4. Must be funny, in the rich man's world

Money, money, money
Must be funny
In the rich man's world.

ABBA, Money, Money, Money

La settimana di prova da Brancia & Associati è andata.

Nonostante le premesse, non ho più avuto a che fare con il socio dirigente.

Anna De Giorgis, infatti, mi ha assegnata a un altro associato, Alvaro Malaguti, che fisicamente somiglia moltissimo al suo omonimo canterino di tormentoni estivi – o a Jamie Dornan - e pare sia altrettanto estroverso.

Come prevedevo, Georgiana è impazzita nell'apprendere del colloquio ma, sebbene abbia provato a scucirmi dettagli sensazionali, le è toccato accontentarsi di una versione edulcorata e politicamente corretta dei fatti.

Non si sputa nel piatto in cui si chiede di mangiare.

Peraltro temo che lo stretto rapporto di confidenze tra la mia migliore amica e Carolina Monti – rossa appariscente, architetto di grido nonché consanguinea, nel senso letterale del termine, del mio ex – possa portare a qualche rivelazione inopportuna. 

Per fortuna la questione troverà soluzione entro la fine della giornata: sono stata infatti convocata nell'ufficio della De Giorgis per l'ora di pranzo.

La responsabile delle risorse umane è parecchio assorta nell'esame di diversi fascicoli, tanto da doverle annunciare la mia presenza tramite un discreto colpo di tosse. Si riscuote subito e non perde tempo; faccio appena in tempo a sederle di fronte che mi ritrovo davanti un contratto di assunzione a tempo determinato, come segretaria dello studio full time.

‹‹L'avvocato Malaguti è rimasto favorevolmente sorpreso dalle sue capacità››.

Dietro quell'apparenza imperturbabile, mi sembra di avvertire del sarcasmo ‹‹Però non rimarrà alle sue dipendenze qualora decidesse di firmare››.

‹‹Perché no?››

‹‹Perché l'assistente dell'avvocato Brancia Testasecca è appena andata in pensione›› mi spiega ‹‹Quindi il posto vacante di segretaria del socio dirigente ha la priorità››.

‹‹Per una questione gerarchica, quindi?›› insisto.

‹‹Perché i lavori dello studio non subiscano rallentamenti eccessivi›› ribatte lei ‹‹Gli altri associati si adegueranno di conseguenza››.

A giudicare dal tono, non incontro le simpatie di questa donna più di quanto lo faccia l'unico altro associato a cui sembra riferirsi dunque, per stuzzicarla un po', rilancio:

‹‹E l'avvocato Malaguti?››

Il volto di Anna De Giorgis viene attraversato da un moto di vera e propria stizza: ‹‹Per quanto le sorti lavorative dell'avvocato Malaguti possano starle a cuore e, mi creda, non è la prima a cui è successo, non toccherà più a lei occuparsene››.

Torna a porgermi il plico di fogli, a ribadire che la discussione è chiusa.

Mi arrendo, d'altronde non sarebbe saggio inimicarsi la responsabile delle risorse umane per un motivo del genere.

‹‹Posso avere qualche momento per leggere con calma prima di firmare?››

‹‹Si prenda pure la pausa pranzo›› accondiscende. Purché si tolga dai piedi è il tacito sottinteso che, però, arriva forte e chiaro.

La ringrazio con un cenno del capo, dirigendomi verso la postazione che, a quanto pare, dovrò presto lasciare.

‹‹È già passata in ufficio dalla dottoressa De Giorgis?››

La voce di Alberto - dell'avvocato Brancia Testasecca, correggo a mente - giunge da dietro le mie spalle, dunque mi tocca voltarmi per rispondere:

‹‹Torno giusto ora da lì››.

Mi fissa in silenzio, attendendo una risposta che, al momento, non ho. Perciò faccio finta di nulla.

‹‹Posso aiutarla in qualche modo? Altrimenti andrei a pranzo›› taglio corto. Questa formalità forzata nei suoi confronti mi sfianca eppure è necessaria per gli equilibri dello studio e, forse, per la mia sanità mentale.

‹‹Ci venga, con me›› propone ma, di fronte alla mia espressione scettica, si fa più esplicito: ‹‹Ha presente quel talento nell'identificare le cause perse? Ecco, dovrebbe metterlo a servizio dello studio››.

Dieci minuti dopo siamo immersi nel traffico della Capitale all'ora di punta, diretti verso un ristorante stellato dove solo l'aperitivo costa metà del mio attuale stipendio. Il rosso non ha fornito ulteriori indicazioni, la nostra destinazione l'ho dedotta dalle coordinate inserite nel navigatore dell'Audi metallizzata, dal cui stereo si propaga una voce femminile accompagnata da sonorità jazz.

Memore della sua passione per il genere, tiro a indovinare: ‹‹Nina Simone?››

La replica è immediata: ‹‹Edith Piaf››. E alza il volume sul ritornello in cui la cantante afferma di non rimpiangere nulla. Messaggio ricevuto.

Siamo cullati per qualche altro minuto dalla voce iconica dell'artista francese, poi Alberto sterza bruscamente, eseguendo un perfetto parcheggio all'americana durante il quale rischio di urtare il cruscotto con la testa.

La nostra meta è il locale pretenzioso che mi ero figurata, assolutamente adatto a un pranzo con qualcuno che si vuole impressionare, perfettamente nello stile del socio dirigente di uno studio legale di punta come Brancia & Associati. Un po' meno in quello dell'uomo con cui ero solita frequentare tuttavia, penso sbirciandolo di sottecchi, nella vita si cambia e nessuno può saperlo meglio di me. Di noi, se questo plurale avesse ancora senso di esistere. Ma non ce l'ha, chiaramente.

Il managing partner scambia due parole con la hostess di sala, una giovanissima asiatica, che ci indica un tavolo già occupato da quello che, considerando la deferenza mostrata dall'avvocato Brancia Testasecca, sarà un potenziale cliente dello studio legale, se le cose andranno secondo i piani.

Carnagione olivastra, chioma scura un po' piratesca, tratti pronunciati, il nostro ospite non si scomoda minimamente a salutarci, preso com'è a smanettare sul suo smartphone. Lo riconosco non appena si degna di sollevare dallo schermo un paio di occhi nocciola dall'aria furba; si tratta di Thomas Bertrand, CEO di Bertrand Company, multinazionale attiva nei settori di tè, caffè e bevande energetiche nonché presidente della Bertrand Foundation, che si occupa principalmente di mecenatismo e attività filantropiche.

Scambia un'energica stretta di mano con Brancia poi, volgendo gli occhi su di me, gli pone una domanda silenziosa.

‹‹La dottoressa Benedetti è una fidata collaboratrice›› spiega il rosso ‹‹Nonché figlia del socio fondatore dello studio legale che ho l'onore di dirigere, il compianto avvocato Marcello Benedetti››.

Bertrand ne prende atto con un cenno, tornando a rivolgere la propria attenzione al dispositivo mobile.

‹‹Questa dannata Brexit mi sta facendo perdere milioni in Borsa›› si lamenta, dimostrando doti da poliglotta nonostante la presenza di un marcato accento british. ‹‹Faccia il possibile, avvocato, e non si preoccupi dell'onorario››.

Mi trattengo a stento dall'alzare gli occhi al cielo. Classico sbruffone che ritiene tutto abbia un prezzo.

Un'ombra di soddisfazione attraversa rapidamente gli occhi del mio futuro capo, che oggi non sono schermati dalla solita montatura spessa, mentre rassicura l'industriale in tal senso.

Obiettivo raggiunto, con una facilità sconcertante. Massima utilità con minimo sforzo, Bentham sarebbe fiero di vedere comprovata la propria teoria utilitarista.

Segue pranzo a base di confronto tra ego ipertrofici e sofisticatissimi piatti in porzioni che, al contrario del mio malcontento, rimangono mignon.

Quando ci congediamo da Bertrand, sono furiosa.

‹‹Non farlo mai più›› sbotto, dimenticando per un attimo la recita secondo cui ci diamo del lei e non sappiamo assolutamente nulla l'una dell'altro al di fuori delle quattro mura dello studio legale.

L'espressione compiaciuta di Alberto è venata dal fastidio:

‹‹Prego?››

‹‹Mettermi in mostra, come un trofeo. Rinfacciarmi i miei natali per poi servirtene a tuo vantaggio alla prima occasione›› esclamo ‹‹D'altronde, cosa mi sarei mai potuta aspettare dall'avvocato delle multinazionali?!››

‹‹L'avvocato delle multinazionali?›› ripete. La definizione sembra divertirlo, più che altro.

‹‹Non lo sei, forse?›› lo incalzo ‹‹Hai intenzione di assumere la rappresentanza legale di una società più volte accusata di aver fatto massiccio uso di glifosato e altri pesticidi potenzialmente cancerogeni all'interno delle proprie colture, in quantità superiori alle soglie consentite dalla legge››.

‹‹Accuse che si sono rivelate del tutto infondate in tribunale›› ribatte ‹‹Non bisognerebbe tenerne conto, secondo lei?›› Rimarca di nuovo le distanze, l'avvocato Brancia Testasecca, come sempre quando è in difficoltà. Ma non ho intenzione di cedere:

‹‹Mi perdoni se, da essere umano, sono più interessata allo sfruttamento becero delle risorse naturali e, soprattutto, alla salute pubblica››.

‹‹La gente si ammala tutti i giorni e spesso non è colpa di nessuno››.

‹‹Suppongo sia l'argomentazione preferita di tutti coloro che negano i cambiamenti climatici per via dell'inquinamento, Donald Trump in testa››.

‹‹Potrebbe pure considerarmi un untore, se le servisse a ritornare in silenzio››.

Nel frattempo, siamo tornati al parcheggio però l'idea di trascorrere altro tempo in sua compagnia mi appare insostenibile.

‹‹Prenderò i mezzi, in coerenza con le mie convinzioni ambientaliste, non si disturbi›› dichiaro.

‹‹Quel che mi disturba è il suo atteggiamento polemico›› afferma ‹‹Ha siglato un contratto di lavoro presso uno studio legale, non con una onlus››.

‹‹È la mia giornata fortunata, allora›› Tiro fuori dalla borsa la bozza in bianco, come un asso dalla manica ‹‹Visto che non l'ho ancora fatto››.

Credeva davvero che avessi già firmato, il rosso, dunque approfitto del breve vantaggio derivante dall'effetto sorpresa per girare i tacchi, indirizzandoli verso la fermata più vicina della metro. Eppure me ne pento una volta salita sul vagone stipato di gente, perché avrò pure ragione ma con le questioni di principio, a questo giro, non si mangia. E io ho bisogno di soldi, che poi è il vero motivo per cui ho messo in moto tutta questa pantomima.

‹‹Benedetti, dov'era finita?›› mi apostrofa la De Giorgis, quando rimetto piede in studio ‹‹La sua pausa pranzo è terminata da circa tre ore››.

Sto per scusarmi, comunicandole che, in ogni caso, dubito ci rivedremo però lei mi interrompe con un gesto: ‹‹L'avvocato Brancia Testasecca mi ha chiesto di avvisarlo quando fosse rientrata. La attende nel suo ufficio, si sbrighi››.

Busso piano, ricevendo quasi subito il permesso di entrare.

Nel varcare la soglia, il mio cuore perde un battito.

Sembra di stare in una capsula del tempo. Tutto è uguale a quando, dietro la scrivania, sedeva papà. Stesso mobilio, stesse pile di fogli ai lati della scrivania, persino le tende, attualmente tirate a coprire il balconcino con vista panoramica sulla piazza.

L'incanto, però, è presto spezzato.

‹‹Ce ne hai messo di tempo›› commenta colui che ne ha preso il posto.

Lo osservo in silenzio, braccia conserte, in attesa di ascoltare quello che ha da dire prima che mi cacci via in modo definitivo.

Alberto capisce l'antifona per cui, con un cenno, mi invita ad accomodarmi su una poltroncina imbottita. L'arredamento vintage presente in questa stanza cozza con quello minimal del resto dello studio ma forse, proprio per via del colpo d'occhio, rimane più impresso.

Non riesco a smettere di rimirarlo, ricordando tutte le - poche in realtà, specie negli ultimi anni - volte in cui sono passata di qui a salutare mio padre. E, in fondo, apprezzo che chi gli è subentrato alla guida abbia deciso di non cambiare nulla.

‹‹C'è ancora il suo profumo›› mi lascio sfuggire, inspirando a pieni polmoni l'odore di carta, inchiostro e tabacco che impregnano vagamente l'aria.

Sentendomi osservata, torno presente a me stessa.

‹‹La dottoressa De Giorgis sostiene che voglia parlarmi›› esordisco, riesumando la fastidiosa formalità dovuta al ruolo in questo contesto.

‹‹Sostiene il vero. Il punto è se lei, dottoressa Benedetti, sia disposta ad ascoltare›› dichiara Alberto ‹‹Me, il resto dei collaboratori, dei clienti e tutti coloro con cui verrà in contatto per via di questo lavoro››. Distolgo lo sguardo dal suo, fattosi troppo intenso. ‹‹Dopo un colloquio come quello che ha sostenuto, non accetto un no come risposta››.

‹‹Perché?›› chiedo, tornando a guardarlo.

Non coglie.

‹‹Perché insisti affinché accetti di firmare quel contratto se la settimana scorsa hai fatto di tutto per mettermi i bastoni tra le ruote?››

Sono davvero curiosa di sentire la risposta, anche se una parte di me teme abbia a che fare con quell'imprudente riferimento a eventi del passato che nessuno dei due ha sul serio voglia di rivangare. Mi scruta a lungo, Alberto, eppure quando decide di parlare intuisco che non darà la risposta sotto sotto auspicata.

‹‹Non avrei nessuna collaboratrice trofeo da sfoggiare a pranzi di lavoro in ristoranti Michelin, altrimenti›› esclama. E così riesce a strapparmi mio malgrado il primo sorriso sincero della giornata.

‹‹Non so perché tu sia tornata, Marina, eppure sei qui››. Il tono è quello di una constatazione che, nondimeno, ha il sapore di una speranza. ‹‹Che ne dici se proviamo a farla funzionare, questa volta?››

Una dichiarazione simile mi coglie alla sprovvista, tanto da farmi impiegare un attimo più del necessario, ipnotizzata come sono dai suoi occhi di ghiaccio, a comprenderne il reale significato.

‹‹Spero per lei che abbia un miglior gusto nella selezione dei suoi collaboratori rispetto a quello che dimostra nella scelta dei ristoranti›› ironizzo.

‹‹Era il locale più alla moda della città!›› protesta.

‹‹Appunto›› ribatto ‹‹A volte qualcosa di meno ricercato aiuterebbe››.

Non gli concedo diritto di replica, afferrando la bozza di contratto per portarla via con me.

Leggo tutto con attenzione per un paio di volte, poi appongo svolazzi come se piovesse negli spazi indicati. Quando consegno gli incartamenti alla De Giorgis, lei mi porge una mano da stringere poi, in maniera del tutto inattesa, aggiunge:

‹‹Benvenuta a bordo, dottoressa Benedetti››.

E, finalmente, sento di essere tornata a casa.

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