20. Le cose che abbiamo in comune
Andare a caccia di ricordi non è un bell'affare.
Quelli belli non li puoi catturare e quelli brutti non li puoi uccidere.
Giorgio Faletti, Io sono Dio
Trovarsi al posto giusto al momento giusto.
Strano ma vero, dato il mio proverbiale pessimo tempismo.
Davanti allo stabile che ospita l'attico di Alberto non c'è nessuna traccia di portieri ficcanaso nonostante il portone spalancato, per cui filo in ascensore selezionando il tasto del piano più alto prima di pentirmene.
Sul campanello, una targhetta, vergata con calligrafia svolazzante, riporta il cognome del padrone di casa.
Suono, attendendo per parecchi minuti che si apra una fessura da dove una peruviana tozza, non contenta dell'esame dallo spioncino, mi scruta sospettosa.
‹‹Chi è e cosa vuole?›› chiede brusca in un italiano perfetto, venato però da una leggera cadenza sudamericana.
‹‹Mi chiamo Marina Benedetti›› esordisco, bloccandomi sulla qualifica.
Chi sono, in realtà, per i Brancia Testasecca?
Una ex fiamma, ex collaboratrice, ex e basta ma comunque ex? Scelgo la più improbabile delle ipotesi, ripensando alla proposta della rossa: ‹‹Un'amica della signora Carolina Monti. Mi ha pregata di passare per sapere come stanno il signorino Attilio e la sua caviglia››.
In effetti, sebbene un po' parafrasata, è andata esattamente in questo modo. La peruviana mi osserva per qualche altro minuto: ‹‹Vado a vedere se il signorino è sveglio››.
Richiude la porta lasciandomi sul pianerottolo prima che possa obiettare, tornando dieci minuti dopo con il via libera.
La seguo lungo uno stretto disimpegno sulle cui pareti campeggiano icone di pop art, approdando in un soggiorno luminoso grazie a una gigantesca vetrata che dà su un terrazzo con vista panoramica.
La sala è arredata con una parete attrezzata in legno, stracolma di libri, vinili e apparecchi audiovisivi tra cui un grammofono e una smart tv al momento accesa su un canale per bambini.
‹‹Marina, che bello che sei passata a trovarmi›› esclama il giovane infortunato, aggiustandosi gli occhiali sul naso per poi tentare maldestramente di sollevarsi dal divano con penisola su cui è adagiato. Lo sforzo gli strappa un gemito di dolore per via della caviglia dolorante, fasciata stretta da una gessatura leggera.
‹‹Cos'hai combinato?›› domando scherzosamente sedendomi accanto a lui mentre gli scompiglio la zazzera di capelli che ricade sugli occhi.
‹‹Mi sono fatto male a scuola, giocando a pallone›› spiega baby Brancia Testasecca con un'espressione così buffa da strapparmi un sorriso. ‹‹Non sono molto bravo ma mi piace stare in porta››.
‹‹Ti riprenderai in men che non si dica, vedrai›› lo rassicuro ‹‹A proposito, buon compleanno›› esclamo, porgendogli un pacchetto incartato di fresco.
‹‹Te ne sei ricordata, mitico!›› Attilio straccia la carta colorata con occhi luccicanti.
Per un attimo, temo che rimarrà deluso dal libro di miti greci che ho pensato di regalargli, forse troppo serioso per un bambino di sette anni. Invece il festeggiato mi stupisce, reagendo proprio come avrei voluto facesse, con curiosità e un pizzico di timore reverenziale davanti al fascino dell'ignoto da scoprire tra le pagine del volume che sta sfogliando. Sillaba il titolo poi, volgendo i suoi occhioni castani su di me, pone la domanda più bella che una lettrice possa sentirsi rivolgere: ‹‹Me lo leggi?››
Acconsento, emozionata e ci immergiamo nella storia di Icaro e delle sue ali di cera. Siamo giunti quasi alla fine quando veniamo interrotta dalla peruviana:
‹‹È quasi ora di cena, io vado via altrimenti perdo l'autobus›› ci avvisa. ‹‹Buonanotte signorino Attilio, la tua tata torna domani›› saluta il bambino, piantandomi addosso uno sguardo inquisitorio ‹‹Rimane lei finché l'avvocato non rientra, vero?››
Attilio saluta la tata mentre io la osservo perplessa, seguendola fino alla porta d'ingresso: ‹‹Non può andarsene, io sono un'estranea, chi le assicura che non farò del male al bambino?›› le faccio presente, indignata.
‹‹Nessuno regala a un bambino un libro di favole e gliele legge come sta facendo lei se ha brutte intenzioni›› sentenzia la donna ‹‹E poi l'avvocato sta arrivando, può benissimo sbrigarsela con lui››.
Non ho realizzato il senso della frase che è già sparita, lasciandomi da sola a fronteggiare le conseguenze delle mie azioni avventate.
Sono un'idiota.
Cosa mi è venuto in mente quando ho deciso di bussare alla porta del mio ex - capo, fidanzato, la qualifica è irrilevante adesso - mettendomi a fare la babysitter a suo figlio? Cosa penserà del fatto che sono qui?
Attilio mi richiama in soggiorno: ‹‹Finiamo di leggere la storia prima che torni papà? Così gliela raccontiamo››.
E io, incastrata qui mio malgrado, accetto.
Dobbiamo esserci addormentati entrambi sulle ultime pagine perché, quando i miei occhi si aprono di nuovo, lo fanno mettendo a fuoco altri occhi, di un azzurro talmente chiaro da sembrare bianco. Ghiaccio. Alberto.
Salto su come una molla, costringendo il padrone di casa a balzare indietro per non essere travolto dalla mia irruenza. Mi accorgo che stringe tra le mani una coperta, forse con l'intenzione di poggiarla addosso al figlio. Dev'essere di certo per il solo Attilio, comprendermi nell'equazione sarebbe intimo, troppo, e in qualche modo sbagliato.
‹‹Alberto›› Ripeto a voce alta il nome del rosso come a verificare la sua reale presenza nella stanza.
‹‹Marina›› replica lui, sullo stesso tono.
Comincio a giustificarmi in modo sconclusionato: ‹‹Devo essermi addormentata mentre leggevamo i miti greci, ho saputo che Attilio si era fatto male quindi ho pensato di passare a trovarlo, considerando anche che è il suo compleanno››. Prendo fiato, a disagio, cercando di non incrociare di nuovo il suo sguardo: ‹‹Ti chiedo scusa, non avrei dovuto farlo. Adesso me ne vado››.
‹‹Forse hai ragione ma, già che ci sei, ti andrebbe di farmi compagnia per cena?›› propone, aprendo il frigo dove la tata ha riposto quello che resta di una sette veli strabordante di cioccolato che, in verità, abbiamo già assaggiato tutti e tre, Attilio, la tata e io.
‹‹Okay›› mi lascio sfuggire. L'eccesso di zuccheri deve proprio avermi dato alla testa. ‹‹Se proprio non disturbo››.
Non riesco a registrare l'effetto delle mie parole sul suo volto perché Alberto si è chinato sul figlio per stampargli un lieve bacio sulla fronte. Attilio si agita nel sonno senza svegliarsi mentre il padre lo prende delicatamente tra le braccia.
‹‹Lo metto un attimo a letto e torno›› mi avverte con un tono quasi minaccioso, come a volersi accertare che non infili la porta la porta nel frattempo, per poi sparire lungo un corridoio che, con ogni probabilità, porta alla zona notte della casa. Mi siedo di nuovo sul divano, ora vuoto, prendendomi il viso tra le mani.
Che diavolo sto facendo qui?
Lascio correre lo sguardo in giro per la stanza, leggo i titoli dei libri sugli scaffali, sbircio le custodie dei vinili, noto l'assenza di foto incorniciate sui mobili.
Dicono si possa intuire molto di una persona osservando la disposizione dei suoi effetti personali all'interno di un ambiente protetto; applicando questa teoria ad Alberto Brancia Testasecca, emerge il ritratto di un'anima antica e tormentata, a cui non piace perdersi nei ricordi.
È quello che invece faccio io, richiamando alla mente i nostri primi incontri, a Villa Ines, dove battibeccavamo praticamente su tutto - questioni morali e dottrinali, gusti musicali, genere di libri e film preferiti - scoprendo però anche notevoli punti di contatto, la passione per la filosofia in primis. E poi le poesie di Keats, i quadri dei Preraffaelliti, la voce di Nina Simone.
Alberto, tra i suoi pezzi, preferiva la celebre My Baby Just Cares for Me, io optavo invece per Mr Bojangles.
‹‹Scoperto qualcosa di interessante?›› La voce del rosso alle mie spalle mi fa trasalire, tuttavia replico con prontezza: ‹‹Nulla che non sapessi già››.
Con un sopracciglio sollevato mi sfida a essere più esplicita.
Accenno alla parete attrezzata. ‹‹I tuoi gusti, al contrario dei miei, non sono poi cambiati molto in questi anni›› In cui non siamo stati insieme.
Le parole non dette aleggiano comunque tra noi. ‹‹Chissà se i tuoi lo sono poi così tanto›› si chiede lui, pescando dalla collezione proprio il vinile di Mr Bojangles, per poggiarlo sul piatto del giradischi, mettendo su la puntina che permette alle note jazz di propagarsi per la sala in un gradevole sottofondo.
‹‹Non disturberemo Attilio?›› domando.
Alberto scuote la testa: ‹‹Dorme come un ghiro›› mi rassicura, invitandomi a seguirlo. ‹‹Ha mormorato qualcosa su un certo Icaro e ora è nel mondo dei sogni››.
La cucina è sita di fianco al soggiorno.
Design moderno, iper accessoriata, ha, con mio sommo stupore, un'aria vissuta.
Sul frigo, sotto numerosi magneti di varie città italiane e straniere, sono infatti appesi alcuni disegni di Attilio e diverse cartoline. Sul piano cucina, tra i vari utensili, due tazze per la colazione e un gancio con appeso un grembiule su cui campeggia la scritta MasterChefDad, che Alberto recupera prontamente.
‹‹Non sapevo cucinassi›› esclamo.
‹‹Felice di essere ancora in grado di sorprenderti›› replica, in riferimento allo scambio di poco fa. ‹‹Carbonara?›› propone. ‹‹Con guanciale, ovviamente›› puntualizza.
‹‹Ovviamente›› ironuzzo, strappandogli un sorriso, anche se di ovvio c'è poco o nulla, questa sera.
Si respira un'atmosfera rilassata, forse merito del Nebbiolo stappato e bevuto nel mentre.
‹‹Ho saputo che sei ancora impegnatissimo con il caso Bertrand››. esclamo ‹‹Ci sono stati sviluppi?››
‹‹Gli inquirenti non hanno elementi sufficienti per contestare il concorso in reato, ma puntiamo a una confessione del manager imputato per essere del tutto al di sopra di ogni sospetto››. rivela ‹‹Bertrand Company sta subendo pesanti perdite economiche per tutta la faccenda››.
‹‹È per questo che il tuo cliente si fa vedere in giro con bionde mozzafiato?›› domando ancora, memore dell'articolo che ha innervosito Georgiana.
‹‹Malaguti e io gli abbiamo consigliato di limitare gli effetti della pubblicità negativa›› dichiara ‹‹Come sir Thomas abbia deciso di farlo non mi riguarda››.
Prendo atto delle sue parole con un cenno del capo.
‹‹Nessuna tirata filosofica circa l'immoralità delle multinazionali e di chi le dirige?›› commenta Alberto.
‹‹Felice di riservarti ancora qualche sorpresa›› lo scimmiotto.
‹‹Come va il tuo piano di rilancio accademico?›› Il cambio di argomento mi lascia un attimo interdetta, perciò aggiunge: ‹‹Le voci corrono, specie nel nostro ambiente››.
‹‹Beh, ci sto lavorando›› confermo ‹‹Tra qualche giorno saprò se le mie speranze saranno disattese o meno›› gli confido, omettendo la parte sulla probabile collaborazione con Ferri. Per qualche ragione, non mi va di parlare di lui adesso.
Nondimeno il rosso pare di diverso avviso:
‹‹Spero che la decisione non dipenda da Alessandro Ferri›› afferma lui. ‹‹A dispetto delle apparenze, non c'è da fidarsi››.
‹‹Parli per esperienza diretta?›› lo incalzo.
‹‹Cosa ti ha raccontato?›› Percepisco una certa urgenza nell'udire la risposta, ergo lo accontento subito: ‹‹Anche in questo caso, nulla che non sapessi già, in un certo senso››
‹‹In un certo senso?›› È beffardo più che inquisitorio.
Fisso il vino rimasto nell'apposito flûte prima di replicare: ‹‹Che tu rubassi la ragazza a un amico fraterno, incurante dei suoi sentimenti in proposito, è una circostanza di cui non ti avrei mai potuto ritenere capace›› esclamo. ‹‹Ma evidentemente è una delle tante cose che non sapevo di te››.
‹‹È buffo che sia proprio tu a farmi la ramanzina sull'importanza dei sentimenti, quando per prima hai anteposto il successo professionale alla nostra storia›› replica lui.
‹‹I fatti mi hanno dato ragione, dal momento che ti sei consolato in fretta, impalmando un'altra donna, per di più incinta, a nemmeno un anno dalla nostra rottura›› ribatto, sentendomi un po' un disco rotto.
Un ghigno affiora sulle labbra di Alberto: ‹‹Mi chiedo come tu abbia potuto sopportarmi durante questi ultimi mesi, se mi tieni ancora in questa considerazione›› sibila ‹‹Non mi stupisce che sia fuggita alla prima occasione, d'altra parte hai parecchia esperienza in materia››.
Scuoto la testa, nauseata: ‹‹Tanto quanto ne hai tu nel rovinare sempre tutto››.
Mi alzo, recuperando le mie cose in soggiorno, con in sottofondo il raschiare sordo del vinile che ha smesso di girare.
Altra lezione di vita non richiesta: gli errori si pagano, sempre.
Alberto fa la sua comparsa dietro di me.
Solleva da terra la raccolta di miti greci che ho regalato ad Attilio, con ogni probabilità scivolata durante il trambusto di poco fa. Mi mostra il passo su cui il libro è rimasto aperto, si tratta dell'inizio del mito di Dedalo e Icaro di cui bofonchiava il bambino nel sonno.
‹‹Ah, la saggezza degli antichi Greci›› commenta suo padre. ‹‹È proprio vero che a volare troppo vicini al Sole ci si brucia››.
‹‹Non preoccuparti, tu non hai mai corso il rischio›› ribatto ‹‹Anzi, ti sei rintanato››.
‹‹Va' pure da San Ferri›› replica Alberto ‹‹Gli riesce piuttosto bene, consolare le mie ex››.
‹‹Prima quasi gli rovini la vita e poi usi un simile sarcasmo?›› lo rimbrotto.
‹‹Fare carriera sulle spalle degli altri libero da legami indesiderati›› esclama il rosso ‹‹Le sventure di Alessandro Ferri sono state davvero grandi››.
Incrocio di nuovo i suoi occhi: ‹‹Sei un vigliacco, Alberto Brancia Testasecca››.
‹‹Lo siamo entrambi, Marina›› rilancia lui ‹‹Solo che io non ho più intenzione di nasconderlo››.
‹‹Davvero?›› lo provoco.
‹‹Perché sei qui, stasera?›› replica centrando il punto. Maledizione, tana per lui.
A giudicare dall'intensità del suo sguardo, lo sa.
‹‹Io...›› balbetto.
‹‹Ho paura›› ammette a sorpresa ‹‹Di quello che siamo stati e potremmo tornare a essere. E credo ne abbia anche tu››.
Non confermo né smentisco. ‹‹Cosa rimane, allora?››
‹‹Quello che siamo diventati››. Una risposta immediata, lapalissiana e, in apparenza, semplice. Pronunciarlo ad alta voce lo rende vero e incontrovertibile, l'ennesimo elefante nella stanza tra noi, un nuovo dilemma su cui perdere il sonno.
Non so cosa dire, quindi lascio parlare il silenzio dietro una porta richiusa alle spalle prima di sparire nella notte romana.
Spazio autrice
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