49. Riflessioni
DALLA REGIA: La narrazione viene di nuovo affidata a Gabriella.
Consiglio di leggere questo capitolo e di avere come sottofondo musicale il brano "Le Onde" del pianista italiano Ludovico Einaudi. Spero che siate struccate perché potrebbe farvi piangere, ma spesso piangere ci aiuta a sentirci meglio. Parlo della canzone, eh, non pretendo che siano le mie parole a farvi piangere.
Un altro giorno senza di lei. Guardo fuori dalla finestra e mi accorgo che non ho più la percezione del tempo, schiacciata ancora una volta dalle difficoltà che sono sorte nella mia vita. Mia mamma non c'è più, scomparsa chissà dove e con chi, da sola, o con quel farabutto di Angelo che nel frattempo è tornato e si è sempre dimostrato affranto. Forse la crede morta o forse l'ha uccisa proprio lui e questo mi fa ancora più male pensarlo perché dentro di lei c'era anche suo figlio. Già il fatto che l'abbia picchiata non esiste, non riesco ad accettarlo. Mia madre non se lo meritava. Ne aveva già passate tante con papà, forse quel bambino le aveva imposto di andare avanti, di non annegare ancora nel dolore della morte di papà perché lui aveva bisogno di crescere nella sua pancia. Per crescere doveva mangiare.
Si può decidere di non voler più crescere perché crescere significa stare male? Di giorno in giorno nuove difficoltà e io non riesco ad accettarlo. Non voglio crescere, non voglio invecchiare, voglio scomparire, dimenticata da tutti, ma voglio farlo con calma, mangiando sempre meno, finché arriverò al punto in cui dovranno trasportarmi in braccio perché sarò un filo. Che senso ha crescere se poi devo solo fare i conti con del dolore? Del dolore vivo, gonfio di lacrime e di pianti isterici, di pugni dati al muro, di unghia che graffiano le pareti perché non trovano altro modo per sfogarsi altrove e di facce, di facce che ti urlano che devi mangiare e una voce, quella di Emilia, che ha promesso di starmi accanto sempre e mi chiedo chi glielo faccia fare di scegliere come sorella una come me, una che ha sempre pensato di essere forte e che invece ora vacilla più di una piuma.
Chi cazzo te lo fa fare Emilia? Fino a tre mesi fa neppure mi conoscevi, non sapevi nulla della mia esistenza eppure ora saresti pronta a lottare pur di convincermi che devo vivere, che devo crescere, che devo invecchiare. Perché lo fai? L'affetto non giustifica sempre tutto. Sono orfana a sedici anni, dopo undici trascorsi a elaborare l'abbandono di mio padre e gli ultimi mesi, passati a scoprire mille altarini sul mio passato, fra le bugie di mia madre e la vita, che nel frattempo, andava avanti.
Emilia, cazzo, perché non te ne vai anche tu e mi lasci sola? Tanto tutti se ne vanno, perché voler trascinare avanti l'agonia in cui verserò quando anche tu, stanca, incazzata, ti arrenderai e te ne andrai? Lo so già che non rimarrai per sempre. Tu, con le tue coccole, il tuo affetto, il bene che mi hai dimostrato, tu che sei rimasta quando tutti se ne erano andati, scomparsi nel nulla o allontanati dalla mia rabbia, come ho fatto con Giulio, perché non mi dici chiaro e tondo che un giorno te ne andrai anche tu? Sarebbe tutto più semplice. Sarebbe tutto più normale.
Emilia, cazzo. Mi sveglio di notte, in preda agli incubi, e ti vedo dormire serena e ti invidio, perché anche tu hai avuto una vita di merda prima di conoscermi eppure hai le palle per non crollare. Credevo di averle anch'io, ma sono crollata. Sono una bambina che urla alla vita in una stanza chiusa, fredda e buia. Le urlo di farmi tornare quella che ero, di farmi risorgere, di liberarmi da questa prigione. Le urlo che non mangerò finché non mi farà uscire, ma lei mi lascia lì. Non ascolta i miei capricci, non li considera, non mi conforta, mi rende prigioniera della mia stessa esistenza. E poi quando la sera cala e tutto si fa ancora più buio, due braccia si avvicinano a me, mi coccolano, mi stringono forte e io mi abbandono completamente a loro. Mi sembra di aver trovato un rifugio sicuro, ma non so quanto durerà e ho paura a chiedermelo. Ho paura a chiedermi quanto resterai, Emilia. Ti vorrei sempre con me, sempre fino a quando la vita non deciderà che anch'io dovrò andarmene, ma ho paura, cazzo, ho una fottuta paura che tu possa andartene. Non riuscirei a sopportarlo. Sei stata troppo importante per me in questi tre mesi, troppo. Non avrei potuto chiedere di meglio.
Esco in cortile e vedo Giulio. Adesso non si nascondono neanche più, tanto lo sanno tutti che stanno insieme. Sta con lei. Si baciano sempre. In ogni dove. In ogni più piccolo angolo del cortile ci sono loro, incastrati nei loro baci, lei con i capelli disordinati che scioglie sempre quando lo bacia forse per nascondersi, per essere meno notata, forse perché lo sa anche lei che Giulio non è solo il suo ragazzo. Era solo un'ipotesi di mia mamma, ma Giulio lo sa che non è figlio di Angelo, mi chiedo se sappia che Giorgia potrebbe essere la sua sorellastra e mi chiedo se lei lo sappia. Mi chiedo se lo sappia quando si scioglie i lunghi capelli ricci e mossi quando lo bacia. Mi chiedo che cos'abbia lei in più di me. Mi chiedo perché Giulio non poteva essere una persona normale e perché doveva essere proprio il figlio o figliastro di Angelo. Anche io e lui abbiamo rischiato di essere fratellastri, ma da quando mamma è sparita, lui per me non è più niente.
Barbara mi raggiunge e mi mette un braccio sulle spalle. In questi tre mesi mi ha fatto capire che si è comportata male con me, mi ha detto che ha detto varie cose di me a Giorgia, ma che l'ha fatto semplicemente perché non sa tenersi le cose per sé, ma è cambiata, molto e io non so come ma ho iniziato di nuovo a fidarmi di lei. Giorgia non la saluta neanche più anche perché lei ha chiesto di cambiare sezione, adesso è nella classe di Giulio così hanno più tempo per vedersi e per baciarsi. So che si baciano anche in classe, sono stati richiamati con varie note per questo, ma loro se ne fregano di tutto e di tutti.
- Dai, andiamo via - mi dice - ti fai del male e basta. Giorgia è una stronza, fidati.
Ingoio il rospo e mi allontano con lei. Mi offre una schiacciatina.
- Non ho fame.
- Gabri, neanch'io, ma non puoi non mangiare, dopo svieni.
Addento controvoglia un pezzo di schiacciatina, solo perché non voglio far preoccupare di nuovo Emilia. L'ultima volta la bidella l'ha dovuta chiamare perché ero svenuta in classe. Non avevo mangiato dalla sera prima.
- Ho detto a Emilia di Raul - le dico, abbassando lo sguardo - ci ha creduto. Avevi ragione, ora forse si preoccuperà meno per me se sa che mi interessa un'altra persona.
- A me però non piace più tanto questa faccenda. Io l'ho detto per scherzare, ma tu mi hai presa troppo alla lettera. Ora lei crede che a te interessi uno che si chiama Raul, ma in realtà questo Raul non esiste. Tu stai ancora morendo dietro a Giulio!
- Non ce la faccio a dimenticarlo! - sbotto - nonostante tutto quello che è successo e mi sento una merda, mi sento in colpa, ma non ce la faccio.
- Suo padre ha picchiato tua madre, l'unico che dovrebbe sentirsi una merda è lui visto che poi lei è scomparsa nel nulla.
- Lo so, lo so. Ma non ce la faccio. Sotto sotto lo amo ancora e mi sento tremendamente in colpa per questo. Per questo Raul è perfetto. Non esiste, ma fa stare tranquilla Emilia.
- E te? Chi riuscirebbe a metterti tranquilla?
- Lui, solo lui - ammetto.
- Giulio?
- Sì - mi appoggio al muro della scuola - vorrei che non fosse successo niente di quello che è successo. È stato uno stronzo, mi fa schifo, mia madre è sparita per colpa di suo padre, ma una parte di me non riesce a dimenticarlo. Non ce la fa. Mi sento troppo attaccata a lui, non te lo so spiegare...
- Anche a me è successo - mi confida - innamorarmi di un ragazzo che non facesse per me, eppure a volte i sentimenti non si riescono a reprimere.
- Perché è così difficile l'amore? Perché non può essere tutto più semplice? Perché non possiamo amare chi vogliamo senza che lui per forza stia con un'altra persona? Perché non possiamo far funzionare le cose una volta tanto? Perché deve essere tutto da conquistare? Perché dobbiamo lottare per avere ciò che vogliamo?
- Forse perché se lotti, la conquista acquista un senso - butta lì Barbara.
- Giorgia lo bacia e basta, davanti a tutti, ma magari non lo ama come l'ho amato io fino a un certo punto, finché amarlo non è diventato altro che un senso di colpa infinito.
- Forse dovresti davvero dimenticarlo e lasciarlo a lei. Giulio non capisce quanto tu stia male per la scomparsa di tua madre, così improvvisa e senza una spiegazione apparente e non si merita una delle tue lacrime.
Mi mordo un labbro. Ha ragione lei. Non si merita niente, eppure mi sento ancora più a disagio a pensare che una parte di me lo vorrebbe ancora tutto per me quando ancora credevo che sarebbe andato tutto a finire bene. La campanella di fine intervallo suona e mentre rientro a scuola vedo Emilia nell'atrio. È lì in piedi, che parla con una bidella e non appena mi vede si avvicina. Cosa ci fa qui? Non doveva venirmi a prendere, le avevo anche detto che sarei rimasta a scuola per il corso di recupero per nascondere il fatto che non volessi pranzare, ma sono le undici.
- Oh, eccoti - commenta, sorridente, abbracciandomi.
Barbara si fa da parte guardandomi con sguardo interrogativo. Emilia mi accarezza i capelli e mi guarda con un sorriso che non le vedevo indosso da tempo.
- Ho una cosa da dirti - esclama Emilia - ti sono venuta a prendere a scuola per questo. Vai a fare lo zaino, ti aspetto qui.
- Ma che succede? - le chiedo, mordendomi un labbro.
- Ti racconto tutto dopo - continua a sorridermi, mettendomi leggermente a disagio.
Cosa dovrà dirmi di così bello da non riuscire ad aspettare l'una? Torno con Barbara in classe e dico alla prof. che devo uscire prima. Mi guarda con una smorfia perché doveva interrogare e forse io ero una di quelle. Glielo leggo in faccia e a questo punto, grazie Emilia. Mi hai salvato il culo. Saluto Barbara e la raggiungo nell'atrio.
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