33. Il passato affiora a tratti
Alla fine della terza ora la bidella mi chiama fuori dicendo che mia madre mi aspetta per andare a casa Sinceramente due ore in quella scuola stamattina mi sono bastate, ma non voglio affrontare con lei nessun argomento, perché sono già abbastanza incazzata per aver chiesto a Giulio di consolarmi e finirei per litigarci di nuovo. Barbara mi raggiunge un attimo in corridoio e mi trascina in bagno.
- Lo devi fare, Gabri. Non me ne frega niente se hai paura. Devi sapere se è solo un ritardo o se sei incinta.
- Non lo so, sta andando tutto di merda e questo sarebbe un altro problema - rispondo, senza alzare gli occhi dal pavimento.
Barbara mi fa una carezza sul viso.
- Nei tuoi panni non avrei tutta la forza che cerco di darti ora, ma le amiche servono a questo, no? Gabri, tu sei sempre stata forte e anche se ne stai passando tante, riuscirai ad uscirne a testa alta!
- Lo spero - mormoro, a bassa voce - ora vado. Ho bisogno di riposarmi un po' e di non pensare a niente.
- Va bene, ci vediamo dopo - Barbara esce dal bagno e torna in classe.
Raggiungo mia madre all'uscita e la vedo scambiare qualche chiacchiera con i bidelli. Penso a tutte le volte in cui l'ho vista ridere anche se dentro avrebbe voluto scomparire, penso a quante volte avrà chiesto a mio padre la forza di andare avanti senza di lui, a quanti pianti disperati avrà fatto chiusa nella sua stanza mentre io mettevo in pausa i miei ricordi sul fotogramma di mio padre.
Non ho tanti ricordi di lui. Da qualche anno ho dimenticato persino la sua voce o il suo profumo. Credevo che non sarebbe mai stato possibile, invece mi sbagliavo. Si possono stoppare i film e riavvolgerne la pellicola, ma non si possono riavviare i ricordi delle persone. Ho sempre pensato che in un mondo parallelo ci fossero i nostri ologrammi a rivivere migliaia di volte ogni nostro attimo - del passato, del presente e del futuro - in un'eterna pellicola chiamata vita alternativa, ma poi non so quanto sia effettivamente reale e possibile una cosa del genere.
Raggiungo mia madre strascicando i passi sul pavimento dell'atrio appena lavato. La bidella mi scompiglia i capelli in modo affettuoso. Mi avvio
verso l'auto. Apro la portiera e mi siedo. Giusto il tempo di vedere mia madre che appoggia la mano alla portiera dell'auto e si tiene stretta la pancia.
- Che succede? - le chiedo, scendendo.
- Ogni tanto ho qualche fitta alla pancia, adesso mi passa.
- Vuoi che chiami una bidella?
- No, non devono sapere che sono incinta.
- Ma perché? Prima di saperlo da te lo sapeva già tutta la scuola!
- Finché sono voci non mi interessa.
- Ma perché non vuoi che si sappia? Io ormai l'ho imparato, purtroppo...
- Perché ho paura di perderlo - ammette - come ho avuto paura di perdere te, a suo tempo, e poi alla fine ti ho persa lo stesso perché mi odi.
- Mamma... - commento - avevi paura di perdermi?
- Sì, da piccola una gravidanza finita male mi aveva traumatizzata - continua - avevo giurato a me stessa che non avrei mai avuto figli, ricordo ancora tutto quel sangue per terra e quella donna sul pavimento...
- Cosa si prova ad avere un bambino nella propria pancia?
- È una sensazione meravigliosa, Gabri. Ti senti il custode di quello che sarà il bene più prezioso al mondo per te.
- Come glielo hai detto ai tuoi?
Scuote la testa, arrossendo.
- Non me lo ricordo più, né ricordo dove trovai il coraggio. Sono sedici anni che non li sento, non so neanche se siano ancora vivi.
- Cioè in pratica non li senti da quando sono nata io?
- Sì, loro volevano che abortissi, ma non ho mai saputo il motivo anche se a parer loro era una cosa seria. Penso che facessero fatica ad accettare che potessi sacrificare il mio futuro per te. In realtà sono riuscita a mantenere entrambi, con tanti sacrifici.
- In che senso una cosa seria? - le chiedo, senza capire davvero se mi stia nascondendo altre cose.
- Mia madre impallidì anche più del dovuto quando le dissi che il bambino era di Giuseppe. Fino a quel momento non aveva mai sospettato nulla o forse non si era indisposta per qualche bacio. Non pensava però che potessimo fare di più, senza essere sposati, e senza il consenso di mio padre, naturalmente.
- Non è che anche lei ti aveva nascosto delle cose che ti riguardassero?
Come tu hai fatto con me, penso.
- Non lo so e non lo saprò mai, credo. Mia madre aveva studiato all'università di Napoli e la madre di Giuseppe era di Napoli. Pensavo che si sarebbero trovate, prima o poi, che sarebbero andate d'accordo, invece mia madre ha cercato in tutti i modi di evitare di conoscere i genitori di Giuseppe. Sembrava quasi nascondere qualcosa.
- Cosa avrebbe potuto nasconderti?
- Quello che i genitori non dicono è sempre troppo e tu lo sai bene.
- Ma non ti sei mai chiesta cosa potesse essere? - chiedo, incuriosita.
- No, non credo di volerlo davvero sapere. Mia madre è sempre stata una donna molto enigmatica e poi mi ha avuta a 21 anni. Ha dovuto interrompere l'università per me ed è ritornata a Bologna.
- E il nonno ha studiato a Napoli anche lui?
- No, lui a Bologna. Si vedevano nel fine settimana quando lei tornava a casa.
- Ah, capisco. Mi piacerebbe incontrarli, però.
- Non credo sarà possibile, ho perso ogni contatto con loro.
- Come vuoi. Stai meglio, mamma?
- Sì, grazie. Possiamo andare.
Mi blocco un attimo prima di aprire la portiera.
- Ti spiace se ci fermiamo un attimo al supermercato? Ho finito gli assorbenti e... fra poco avrò il ciclo.
- Va bene, io però ti aspetto in macchina, ok?
- Benissimo.
Ancora meglio, grazie. Spero proprio di buttarli via, quei quindici euro.
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