13. In stazione

Chiamo a scuola per prendere un permesso e poi mi fiondo in stazione. La collega mi avvisa riguardo al binario di arrivo, aggiungendo di non scagliarmi impulsivamente contro Gabri perché non ha smesso un attimo di piangere.

Mi siedo sulla panchina della stazione e mi ricordo di quando a 19 anni sono partita per Roma per la vacanza della maturità e di come proprio nella città eterna io e Giuseppe abbiamo concepito Gabriella.

Un fischio e un rumore di rotaie che stridono mi riporta alla realtà. Una folla di gente si assiepa vicino alla porta d'uscita. Dieci minuti dopo vedo scendere la collega. Dietro di lei, mia figlia.

Francesca mi fa un cenno con la mano. Le raggiungo. Gabri è silenziosa, fissa la punta delle scarpe e non dice nulla.

"Dai, andiamo, mi hai fatto venire un infarto" - commento, scocciata.

La collega mi saluta. Mi avvio verso la macchina senza dire una parola. La ramanzina che mi ero ripetuta diecimila volte prima di arrivare gettata alle ortiche.

"Volevo scappare via perché non ce la faccio più..." - esordisce, spiazzandomi completamente - "ogni cosa mi ricorda papà, ogni singola cosa... non mi era mai mancato così tanto come in questo periodo... e poi a scuola va tutto una merda... non lo so se mi promuovono quest'anno... ti ho raccontato una marea di cazzate, mamma... volevo che per una volta fossi fiera di me, come lo
sei delle tue studentesse con la media del 9,5. Invece non ci sono riuscita... sono impulsiva e mando a cagare tutti ultimamente... la verità è che voglio papà, lo rivoglio, lo pretendo nella mia vita, ho bisogno di sapere cosa fa e dove vive. Pensavo fosse a Milano perché dalle vostre lettere ho scoperto che adorava quella città...".

Scoppio a piangere improvvisamente ed è la prima volta che succede davanti a lei. Non abbiamo mai affrontato insieme questo dolore. Soprattutto proprio adesso che aspetto un figlio da Angelo e che pensavo avesse digerito l'abbandono del padre scopro che non ha digerito proprio nulla.

"Mamma..." - mormora.

"Amore mio, non sentirti un errore, tu sei la cosa più preziosa della mia vita e vieni prima di tutte le mie studentesse. Io sono fiera e orgogliosa della ragazza che sei diventata - le prendo la mano - la prossima volta a Milano ci andiamo insieme. Supererò le mie paure per te"

Mi sorride e mi dà un bacio sulla guancia.

"I need a hug, mom"

La abbraccio e la stringo forte. Si abbandona completamente e ricambia.

"Ti voglio bene. Papà non doveva lasciarti"

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