Capitolo 9

Avevo appena finito di prepararmi, quando sentii suonare alla porta. Era in anticipo di almeno mezz'ora: la famigerata cena doveva renderlo molto ansioso per presentarsi prima del previsto. Presi in fretta le chiavi e la borsa e gli andai incontro.

- Buon giorno Leila, dormito bene?

Il suo atteggiamento era beffardo e canzonatorio, come se già sapesse che non ero riuscita a chiudere occhio: ma non volli dargli questa soddisfazione. Salimmo nella sua auto, dirigendoci verso il mercato: si accorse che ero nervosa, tesa come una corda di violino. Per stemperare il tutto, mise della buona musica. Aveva compilato la play-list di uno dei miei compositori preferiti, probabilmente, ricordandosi del pezzo eseguito la sera del nostro primo incontro. Era attento a ogni minimo dettaglio, studiandomi in tutti i modi possibili. Restammo in religioso silenzio a farci cullare da quelle meravigliose note per l'intero tragitto. Dovevo stare attenta a non espormi troppo, per negargli la possibilità di sgretolare nuovamente quel muro faticosamente eretto. E poi, non bisogna mai rivelarsi a un uomo che non ha bisogno di sapere. Ed Ethan ne aveva tutta laria.
Rimanevo sempre affascinata nel vedere New York: non sempre capitava di vederla a quell'ora del mattino. Era passata un'ora dall'alba e la guardavo, ammutolita, dal finestrino. La musica scandiva delicate note, analizzando, in sequenza, tutti i punti della città mediante un fascio elettronico: era come se dovesse trasmettere un'immagine che inaugurasse la nascita di un nuovo giorno. La quiete, prima del caos frenetico. Mi voltai a guardarlo: dal volto, anche lui sembrava esserne rapito, in assoluta contemplazione di una calma che la città poteva offrire solo per brevi attimi. Quando arrivammo, spense l'autoradio e rimasi impressionata per la sua capacità di intuire cosa pensassi in quel momento, come fosse dotato di un infallibile sesto senso.

- E' anche il mio artista preferito, mi rilassa molto in momenti come questo.

- Hai ragione, sono rari attimi in cui si può vedere New York nella tranquillità, bisogna goderne più che si può, quando accade.

New York ci offrì più di un dono: oltre quella breve calma, creò una magia che ci avvolse per qualche istante, fondendo i nostri pensieri in perfetta sintonia. Ci divertimmo molto quella mattina: era strano vederlo sotto l'aspetto di una persona comune, alle prese con normali compere. I suoi occhi mi scrutavano curiosi da sotto il cappello, lo stesso che indossava la sera prima, forse per cercare di nascondere la sua identità, nel caso in cui lo individuassero. Mi guardava affascinato per l'abilità con cui trattavo con i commercianti, per la profonda conoscenza del pesce, o, più semplicemente, per il modo con cui afferravo un'arancia per sentirne l'odore o una mela su cui affondare i miei denti. Si divertì molto nel sottrarla abilmente dalle mie mani, per poi ridurla in torsolo, in men che non si dica. Cercai di trasmettergli alcuni segreti, così ché in futuro potesse fare buoni acquisti. Fingeva di essere interessato, per poi scherzarci sopra e prendermi in giro. Senza che me ne rendessi conto, il muro di Gerico, eretto a difesa, era già crollato: ma non mi sentivo invasa o indebolita. Si era fermato davanti ad una bancarella, attratto, per chissà quale misterioso motivo, da un oggetto: una scatola di legno intagliato con delle incisioni indiane (Dell'India), impregnato da essenze orientali, con forte odore dolciastro. Chiese alla donna della bancarella, cosa significassero quelle incisioni: la stessa spiegò che si trattava di una credenza di origini antiche, proveniente da Jaipur, per cui, chiunque fosse pervaso da un brutto ricordo, non doveva far altro che introdurre un oggetto riconducibile a quel ricordo, per poi dargli fuoco e ridurlo in cenere. Di conseguenza, anche i brutti ricordi avrebbero fatto la stessa fine e non sarebbero più riapparsi. Naturalmente non era altro che una futile superstizione, proveniente dal suo paese di origine, qualcosa a cui aggrapparsi quando non si trovavano altre vie duscita alle sopravvenute disgrazie. Non avevo mai creduto a quelle stupidaggini: la mia mente era sempre proiettata alla ricerca di una logica, tutto ciò che ci circonda ha una filosofia antropologica, non trascendentale. Mai, quindi, avrei potuto immaginare che Ethan si facesse abbindolare da una favoletta indiana. Gli vidi estrarre dalla tasca dieci dollari e prendere la scatoletta che la donna aveva già impacchettato. Mi tornò spontaneo dirgli ciò che pensassi e lui di rimando, mi lanciò un sorriso ammiccante.

- Non starai pensando che io creda a queste sciocchezze? Mi piace la scatola, potrei usarla come fermacarte.

Lo guardai scettica, ma lasciai correre: non volevo farmi coinvolgere dalle sue stranezze, ma qualcosa in lui m'incuriosiva. Possedeva tutto ciò che un uomo potesse desiderare: la notorietà, una bella carriera e un cospicuo conto in banca, oltre ad essere smisuratamente bello. Qualità molto ricercate da donne ambiziose ed inclini a una fulminea carriera. Sembrava perfetto, padrone di tutto, eppure mi dava la sensazione che fosse in costante ricerca di qualcosa che non si poteva certamente trovare fra le bancarelle di un mercato.
Ritornammo al mio appartamento, per riporre tutto nel frigo e in dispensa, ricordandogli che era arrivato il momento di dar seguito al mio precedente impegno. Non fece alcuna piega, fu piuttosto discreto. Chiese, solo, dove volevo essere accompagnata, chiedendomi le chiavi del mio appartamento, all'interno del quale avrebbe atteso una chiamata per venirmi a riprendere. Nel frattempo, durante la mia assenza, avrebbe avuto modo di curiosare intorno agli oggetti antichi esibiti in bella mostra, un hobby da lui definito alquanto interessante. Nella singolare partita a scacchi giocata nei miei riguardi, aveva mosso un pezzo decisivo nella sua strategia d'attacco - l'Alfiere - disponendolo, con un'abile diagonale, in una casella in grado di minacciare - la Regina - che, nella fattispecie, rappresentava la mia privacy. Una mossa strategica che rintuzzai prontamente: mai e poi mai lo avrei fatto curiosare tra le mie cose e giammai lo avrei lasciato da solo nel mio appartamento. Gli lanciai, quindi, una proposta che suonava come una piccola vendetta per la sua, se pur innocua, invadenza.

- Ti andrebbe di venire con me?

- Beh, non saprei... non vorrei essere di troppo.

- Sì, come no... sai quanto ci credo. Comunque non disturbi per nulla: anzi, potresti essere d'aiuto, sempre che... riesca a gestire un piccolo battaglione di bambini irrequieti.

Si stupì molto quando comprese la natura dell'impegno, e non se lo fece ripetere due volte, accettando con entusiasmo. Cosa mai poteva esserci di così difficile nel gestire qualche marmocchio? Scorsi nel suo volto un accenno dinquietudine.

- Tu starai con me, vero? Leila, rispondi, non farmi stare in ansia...

Mi allontanai senza rispondergli, non potendo fare a meno di ridere: per me era una goduria renderlo inquieto e lui era consapevole che provassi piacere nel vederlo seduto sui carboni ardenti. Si era diretto verso l'auto ed io lo trattenni prontamente per un braccio.
Poiché la comunità si trovava a due soli isolati dal mio appartamento, sarebbe stato più opportuno raggiungerla a piedi, senza contare che la sua auto avrebbe dato troppo nell'occhio.
La zona in cui c'inoltravamo non era certamente una zona residenziale, ma un luogo anonimo, poco aduso e in una New York City a lui, sicuramente, sconosciuta. Rimasi rapita nel vederlo giocare con i bambini. Nel giro di due ore, fu in grado di conquistarsi la simpatia e la fiducia di tutti, cosa che, per alcuni di loro, non era facile da concedere. Inquanto attore, dovevano essergli peculiari, non sicuramente in versione business-man. I bambini furono felici per la visita di quell'ospite inaspettato, tanto che alla fine della giornata eravamo ricoperti di colla, pittura e quant'altro.
Eve (Evelyn Alvarez), una bellissima bambina di nove anni, rimasta presto orfana, si avvicinò a me chiedendomi di dipingerle un quadro arcobaleno. Guardai prima l'orologio sulla parete poi Ethan che, con un tenero sorriso annuì, dicendo che avevamo ancora tempo a sufficienza. Incuriosito, mi chiese di cosa si trattasse. Non rispondendo, presi una tela, delle tempere e pennelli e iniziai a dipingere un paesaggio non molto convenzionale, sotto lo sguardo convinto di tutti quelli che mi orbitavano intorno.
Alla fine della mia opera, Ethan si dilungò a osservare il paesaggio raffigurato. Non ero proprio una brava artista, ma rimase comunque impressionato per la scelta dei colori, complimentandosi a più riprese. Li ritenni dei convenevoli che avrebbe potuto rivolgere a chiunque, per non sembrare scortese. Poi mi chiese il motivo di quei colori così accesi.

- Si tratta di un gioco: i paesaggi si dipingono con colori reali. Le persone, invece, sono raffigurate con tonalità in parte accentuate, in rapporto a ciò che emanano dal punto di vista emotivo... un po' come scrivere delle note su uno spartito e attraverso la musica cercare di trasmettere le nostre emozioni.

Con le braccia conserte e dall'espressione seria, ascoltava con attenzione ogni minimo dettaglio della mia descrizione, scrutando attentamente le varie zone del dipinto. Improvvisamente arrossii, avviluppata da un caldo innaturale, pervasa dal timore che le mie parole non fossero state sufficientemente chiare e potesse fraintendermi.
Talvolta è difficile trovare le parole adatte per esprimere ciò che si prova, così si cerca di arrivare al cuore delle persone usando la forza dei colori: quel dipinto rappresentava lui. Mi ero ispirata al suo amore per la natura: l'azzurro del cielo e del mare erano come i suoi occhi, di un blu intenso, il verde del prato rappresentava la speranza trasmessa con i suoi propositi filantropici, il giallo è la luce del sole che risplende nel cielo, come dopo un suo trionfo. Non lo conoscevo profondamente per poterne tracciare un profilo più dettagliato. Ethan, infatti, mise l'accento su alcuni particolari, glissati nella mia spiegazione.

- Perché quelle sfumature molto più scure nei loro contorni?

- Quelle rappresentano l'alone di mistero che ti avvolge, ciò che non esprimi!

Rimase senza parole: stetti un po' a osservarlo, in silenzio. Poi, chinandosi su Eve, le sussurrò dolcemente all'orecchio:

- Ehi Eve, posso averlo? Ti prometto che ritornando ne dipingerò uno molto più bello di questo.

La bambina lo guardò con aria un po' incerta.

- Stai tranquilla, mantengo sempre le promesse: ritorneremo a prenderlo e in cambio ne farò uno molto più grande. Tu che ne dici Leila, ti va se ritorniamo a prenderlo insieme?

La mattinata era trascorsa molto velocemente. C'incamminammo verso il mio appartamento per darci una ripulita, riprendere la spesa per poi recarci a casa sua. Strada facendo, intavolò un discorso da santa inquisizione.

- Quante cose ancora non so e che non vuoi raccontare.

-Non sono solita dare una spiegazione dettagliata della mia vita a chicchessia.

- È quindi questo il tuo segreto, attirare le persone come fa il miele con le api?

-Calabroni! Il miele attira i calabroni non le api. Tu sei un calabrone?

- Sei piuttosto pungente con i tuoi sottintesi... non sto cercando di rimorchiarti, se è questo che stai pensando!

La mia era soltanto una domanda retorica. Tacque quando, dal mio sguardo rivolto in basso, intuì che il mio atteggiamento ironico serviva a nascondere, nel profondo, le mie paure e le mie insicurezze. Poi proseguì con un argomento strano, forse per uscire da un silenzio imbarazzante e, inoltre, farmi capire che nonostante tutto, non era così stupido o superficiale come poteva sembrare.

- Hai mai fatto trekking?
- Cosa?

Non capivo cosa stesse per chiedermi.
- ... sai, quello sport con scarponi, corda e un'imbragatura?

- Sì, conosco, conosco! Non l'ho mai fatto e non ho alcuna intenzione di iniziare adesso.

- Peccato... avrei voluto portarti in Nepal, tra i cacciatori di miele. Sarebbe elettrizzante un'avventura del genere, considerato che sei molto documentata sulle api e il miele.

Eccolo qua! Era ritornato l'Ethan sarcastico, nuovamente all'attacco. Mi ero già imbattuta in un libro, dal titolo Honey Hunters of Nepal, che documenta la tradizione nepalese di cacciare il miele sui dirupi a Kathmandu. Cacciatori che si arrampicano sotto gli alveari, mentre altri mettono in sicurezza una scala di bambù che penzola dalla parte superiore del dirupo. Tutto questo per raccogliere del miele, solo due volte l'anno. Ero molto documentata sull'argomento, ma se credeva di costringermi ad emulare quei temerari, era del tutto fuori di testa. Giammai mi sarei fatta trascinare in una follia del genere e glielo feci presente.

- Hai forse paura di cadere? Eppure non ti facevo così codarda!

- Tu chiamala codardia o come meglio preferisci, per me è solo istinto di conservazione.

Dopo esserci punzecchiati a lungo in un mare di allusioni e ripicche, giungemmo davanti al mio appartamento. Entrammo a prendere la spesa, ma prima di uscire preparai al volo due sandwich. Caricando tutto in auto, chiesi dove fossimo diretti, non essendo a conoscenza del suo indirizzo newyorkese.

- Andiamo alla Riverside boulevard.

- Stiamo andando all'Upper Side?

- Sì... ti crea qualche problema?

- No, solo che... è da un bel po' che non frequento più quella zona.

- Tu frequentavi l'Upper Side?

- Un tempo, ma sono passati molti anni da allora.

Rimasi atterrita quando mi riferì l'indirizzo: lo conoscevo bene, lì avevo vissuto parte della mia vita, con la mia famiglia. Speravo che, trascorsi tanti anni, nessuno si ricordasse di me. La mia maggiore preoccupazione risiedeva nel fatto che, in qualche modo, si sarebbero potuti svelare fatti accaduti durante la mia adolescenza, assolutamente ignoti e inimmaginabili. E non volevo che lui lo sapesse in modo improprio. Ci fermammo al locale per prendere alcuni utensili da lavoro: entrando Frank ci guardava incuriosito. Istintivamente abbassai gli occhi, imbarazzatissima per essere stata sorpresa insieme a lui. Andai dritto in cucina, mentre Ethan si fermò a chiacchierare, magari tentando di scoprire qualcosa sul mio conto. Con Frank mi sentivo come in una botte di ferro: lui era l'unico a non sapere nulla che non fosse legato alla mia attività nel ristorante. Lucy era alle prese con i preparativi della serata: salutandola le domandai se occorresse aiuto.

- Non ti preoccupare, è tutto ok, posso cavarmela da sola.

- Lucy, non mi sono mai impicciata nei tuoi affari e non vorrei sembrare una ficcanaso, ma se è possibile... potrei sapere da quando abbiamo iniziato a fare servizio di catering?

Si dimostrò piuttosto evasiva, prendendosi una lunga pausa prima di rispondere.

- Beh... in realtà non ci siamo mai cimentati: abbiamo solo esaudito una richiesta d'aiuto e ho ritenuto che tu fossi la persona più adatta.

Non ero molto convinta della sua risposta, ma preferii crederle piuttosto che intavolare una discussione con lei. Comportandomi come vittima di complotti, avrei rischiato di apparire paranoica. Così lasciai correre. Raggiunsi Ethan e ci avviammo verso il suo appartamento. Arrivati davanti a un palazzo di circa quaranta piani, tirai un profondo sospiro: non era labituale residenza della mia famiglia. Eravamo in ascensore, con lo sguardo puntato sullo scorrere dei numeri indicanti i piani attraversati, sperando in un fulmineo arrivo, se non altro, per fermare quell'orrenda musichetta da avanspettacolo che "deliziava" le nostre orecchie durante la salita. La tortura terminò quando le porte dell'ascensore si aprirono al 33° piano, su un attico di sua proprietà. Al nostro ingresso gli venne incontro un meraviglioso, enorme gatto rossiccio che si rintanò tra le sue gambe, ronfando e facendo le fusa, come probabilmente era solito accoglierlo.

- Ehi, ciao Rust, come stai oggi... stai meglio piccolo?

Il modo con cui poggiò le buste sul pavimento per accarezzarlo e coccolarlo, la diceva lunga sull'amore nutrito per quel gatto, trattato più da amico che da animale domestico.

- E stato poco bene in questi ultimi giorni, soffriva un po' la mia assenza e ho deciso di portarlo con me a New York.

- Adoro i gatti dai nomi originali, mi affascinano, hanno un non so ché di misterioso.

- In un certo senso siete simili: anche tu sei misteriosa.

Cominciai a guardarmi intorno e, a dire il vero, rimasi sbalordita alla vista di quel magnifico appartamento: era un loft a due piani, con un ampio spazio luminoso al primo, arredato da divani bianchi che circondavano la stanza. Al centro, troneggiava un tavolo di vetro con sopra delle riviste ben ordinate e un soprammobile in cristallo. Di fronte al divano, uno schermo gigante ricopriva gran parte della parete. Sotto, era stato collocato un impianto Hi Fi, di ultima generazione, corredato di una vasta collezione di CD. Non vi erano lampadari, ma tante piccole applique sul soffitto bianco e una lunga trave di legno color d'ebano che richiamava il colore dell'arredamento. Attraversava tutta la stanza sorretta da tre colonne nere, distanti circa tre metri l'una dall'altra. Alla sinistra, una lunga scala, con i gradini anch'esse d'ebano: conduceva alle stanze superiori. Tutto finemente arredato, con stile elegante e sobrio. Un tavolo rotondo era posto di fronte a una grande vetrata che si estendeva lungo tutto l'appartamento. La ciliegina sulla torta era costituita da un enorme terrazzo che offriva una magnifica vista sui grattacieli di New York, sul fiume Hudson, il ponte George Washington e la Statua della Libertà. Dall'altra parte dell'appartamento intravidi una stanza in cui, a malapena, era visibile un biliardo nero con il panno rosso, colore improponibile ma eccentrico, in piena sintonia con il personaggio. Era ben visibile, invece, una poltrona di pelle chiara con una chitarra appoggiata sopra. Ethan, aveva senzaltro notato che mi ero fatta prendere dalla curiosità. Osservava, semplicemente, il mio excursus visivo, senza minimamente intervenire. Sulle pareti color avorio vi erano dislocate tele di artisti attinenti il futurismo o il simbolismo. Era quello che credevo: l'arte pittorica rappresentava una lacuna mai colmata. Chiesi immediatamente lumi a Ethan che, gongolante, iniziò una sorta di letterata conferenza.

- Ne ho esposti solo alcuni e sono pittori che appartengono a varie correnti: cubismo, espressionismo e surrealismo. Della vasta collezione, tengo in bella mostra solo quelli che secondo me rappresentano un'arte legata a sistemi d'immagini e giudizi non formulati ma ordinati e collocati nei più disparati ambienti sociali. In estrema sintesi quelli che, ai diversi livelli della cultura, dettano il comportamento, la condotta della gente, senza che essa ne sia cosciente.

Non ebbi il coraggio di interloquire. Mi limitai a un...

- Cazzo! E gli altri non esposti?

- Si ritrovano relegati nella vasta soffitta dove sono riposti gli oggetti di cui nessuno sa più cosa fare.

Rimasi, inoltre, colpita da una grande libreria, anch'essa bianca, ricolma di libri di scrittori vari. A una prima e fugace osservazione dei testi scoprii, rispetto alla pittura, un padrone di casa meno monografico. Era interessato a tutto: dai testi filosofici di Aristotele, Seneca, Platone, Epicuro ai narratori russi Tolstoj e Dostoevskij, dai romanzi di Hemingway e Miller a quelli della Rowling, creatrice di Harry Potter. Dovetti ricredermi sui giudizi tranchant espressi nei suoi riguardi: del tutto ingenerosi e affrettati. Mi aprì la strada in cucina aiutandomi ad appoggiare sul tavolo le buste della spesa: tutto appariva perfettamente in ordine, come se non fosse stata mai utilizzata. In realtà, in tutto l'appartamento non vi era uno spillo fuori posto, tutto così perfettamente lindo e lineare. Che fosse anche un maniaco della perfezione? Mi ero cambiata indossando la divisa da chef: allacciai il grembiule e rialzai i capelli, attorcigliandoli per bene. Sistemai tutto sul ripiano, in modo da seguire un ordine preciso, tale da facilitarmi la preparazione delle portate. Ethan mi chiese se, in qualche modo, potesse essermi d'aiuto. Lo ringraziai, rifiutando cortesemente e non prestando soverchia attenzione allo stato contemplativo assunto nel veder maneggiare, con grande velocità e sicurezza, i coltelli, sfilettando il pesce e tritando le verdure. Improvvisamente cambiò atteggiamento, girandomi intorno, giocherellando, cercando d'infastidirmi con piccole battute scherzose. Ogni tanto spuntava da dietro, allungando le mani e rubacchiando del cibo. Sorridendo lo minacciai con un cucchiaio di legno, affibbiandogli piccoli colpetti sulle mani. Era bello scherzare con lui, mi sentivo a mio agio, ma il mio compito lì era quasi finito. Mi rabbuiai improvvisamente: un cambio dumore che non passò inosservato.

- Stai tranquilla, è tutto perfetto!

- Sarà meglio sbrigarsi: sistemo tutto, preparo il tavolo e chiamo subito un taxi, in un baleno sarò fuori, così potrai gustarti la serata.

Si avvicinò con un sorriso, baciandomi sulla fronte e ringraziando per avergli salvato la serata. Poi uscì dalla cucina felice e impaziente. Pregustando i prodromi di un memorabile evento, si diresse verso il piano superiore. Dopo poco tempo, scese dalle scale indossando un completo nero, con una pochette bianca nel taschino, una camicia color turchese e una cravatta nera. I polsini erano chiusi da due gemelli doro. Esibiva un certo stile, su questo non c'erano dubbi e sicuramente avrebbe fatto colpo sulla sua misteriosa ospite. Abbassai gli occhi, quasi intimidita dal suo sguardo magnetico. Ero inquieta e nel raggiungere rapidamente l'uscita, lo avvisai sull'assoluta necessità di una doccia calda. Lui mi raggiunse di corsa, afferrandomi per le mani.

- Non c'è fretta, puoi approfittare del mio bagno.

Rimasi interdetta.

- Non credo sia il caso di apparire alla tua ospite ancora fumante di doccia!

- Non preoccuparti, le ho appena parlato, c'è abbastanza tempo prima che lei sia pronta per la cena, non ci sarà nulla dimbarazzante o di sconveniente, te lo assicuro.

Ero un po' disorientata, non riuscivo a capacitarmi che trovasse tutto moralmente irreprensibile. Accettai, subendo il fascino di quel sorriso dolce, regalandomi nuovi attimi di ebbrezza. L'appartamento era dotato di due bagni e lui insistette per quello della sua stanza da letto, al piano di sopra. Non potei fare a meno di notare un'enorme alcova: scossi la testa, non osavo pensare cosa potesse servigli tanto spazio. Difficilmente, questa notte avrebbe chiuso occhio. Di colpo, fui attratta dall'enorme vetrata della camera, distraendomi momentaneamente da Ethan e da tutto il resto. Mi si parò davanti uno scenario spettacolare e impareggiabile, una magnifica vista dove, sull'altra sponda del fiume Hudson, si potevano ammirare le luci della città. Fui svegliata dal suono del campanello, mai così ostinatamente intempestivo. Con gli occhi sgranati, guardai Ethan: non mostrava alcun segno di preoccupazione, rassicurandomi che, probabilmente, era arrivato qualcuno per la consegna di un pacco atteso da tempo. Si assicurò che nel bagno ci fosse tutto l'occorrente, lasciandomi, poi, in assoluta privacy. Il solo pensiero che la sua ospite ci potesse trovare insieme, alimentò la mia inquietudine. In quel bagno c'era proprio tutto: dedussi che la ricettività, in versione femminile, in quella stanza funzionasse a pieno regime. Supposizioni, presto, interrotte da un colpo alla porta. Essendomi tolta la maglietta, andai ad aprire, nascondendomi dietro l'uscio. Lo vidi appoggiato allo stipite: si voltò per non crearmi imbarazzo, scusandosi per avermi disturbata.

- Senti, ti prego di non prendertela se mi sono permesso ... in camera troverai dei vestiti dovrebbero essere della tua taglia.

Quando uscii dal bagno, vidi i vestiti poggiati con cura sul letto, assieme a lingeria di colore nero molto sexy, non troppo audace, con ancora l'etichetta sopra. Mentre osservavo quei capi, arguì che Ethan fosse il classico tipo, sempre, pronto a ogni eventualità. Aveva gusto anche nell'abbigliamento femminile: camicia in chiffon e seta nera e un pantalone a vita bassa dello stesso tessuto e colore, e un paio di scarpe a sandalo, con intrecci di fili, ricoperte di strass, con tacchi molto alti. Scesi le scale a passi lenti: incrociai il suo sguardo magnetico. I suoi occhi brillavano, risaltando maggiormente quel blu intenso.
Mi sentii lusingata, ma il tempo, ormai, era agli sgoccioli e dovevo assolutamente essere fuori da quell'appartamento, prima dellarrivo della sua ospite.

- Spero che il taxi arrivi in tempo.

Lui non parlava, sorrideva soltanto, quasi a sottintendere qualcosa. Non riuscivo mai a decifrarlo, ma in quel momento prese forma un sospetto covato da qualche ora. Avvicinandosi al tavolo, scostò una sedia in modo inequivocabile. Si era avvalso di un astuto escamotage per non rischiare lo smacco di un mio rifiuto. Mi raggiunse allungando la mano, incurante di una mia eventuale reazione.

- Non posso tirare il gioco ancora per le lunghe, insulterei la tua intelligenza.

- Ethan, perché hai scelto questo modo per un invito a cena?

- Pensi che a questo punto tu abbia altra scelta?

Durante tutta la cena, parlammo dell'intera giornata trascorsa insieme, confessandomi che, di tanto in tanto, doveva improvvisare per far sì che il piano riuscisse e che, considerata la mia imprevedibilità, una strategia razionale sarebbe stata impossibile attuarla. Mi confessò, anche, l'imbarazzo provato nel telefonare a Julia per chiederle la mia taglia e non tralasciare nulla d'intentato. Poi, mi raccontò episodi della sua vita: la passione per i cavalli, l'esperienza maturata in Africa, i pericoli insiti nella savana con i leoni in agguato e gli elefanti intenti a masticare fichi, fuori dalla sua tenda. Rimasi affascinata per l'entusiasmo manifestato nel narrare le esperienze vissute, a contatto con una natura ancora incontaminata. Luoghi meravigliosi in cui poter trascorrere il resto della propria vita. Teneva altri due gatti, adottati durante i suoi viaggi: uno proveniva da un rifugio per gli animali a New York, l'altro era un esemplare selvatico cresciuto nella giungla, scovato alle isole Hawaii. Vivevano con lui, nella casa ad Atlanta, insieme a cinque cani di varie razze. Dopo avermi raccontato parte della sua vita, si aspettava che gli rivolgessi una serie di domande. Mi limitai semplicemente a chiedergli perché si trovasse qui e non ad Atlanta, residenza abituale. Considerati gli innumerevoli impegni, cosa lo riconduceva a New York City?

- Questa città è la mia seconda casa: qui svolgo la maggior parte dei miei impegni di lavoro e poi amo New York, non riuscirei a stare lontano da qui per un periodo troppo lungo.

Si rise a lungo per l'assurdità di quel raggiro. Mentre versava uno chardonnay bianco nel mio bicchiere, curando di non arrivare fino all'orlo, la sua espressione divenne più seria, trasmettendomi la sensazione che stesse preparando un discorso molto delicato.
Sorseggiando dell'ottimo vino, lo vidi annaspare: farfugliò qualcosa, con un tono di voce ben diverso da quello abituale.

- Leila... non so da dove cominciare... mi trovo in una situazione imbarazzante.

Stentai a sentire, ma improvvisamente il mio cuore iniziò a battere forte, spaventata per quello che avrebbe potuto ulteriormente proferire.

- Spero non ti sia fatto un'idea sbagliata per il solo fatto di aver accettato di cenare con te.

- Prima che tu aggiunga altro, voglio evidenziare i miei sentimenti e non è mistero che provi una forte attrazione nei tuoi confronti.

Una bella stilettata, non cè che dire, dritta al punto. Non sapevo cosa rispondere: ogni tentativo di fuga poteva andar bene, purché mi consentisse di uscire da quella situazione.

- Cosa ti fa pensare che io abbia la stessa attrazione per te?

- Il mio sesto senso!

Sorridendo si alzò, facendo il giro del tavolo, invitandomi a seguirlo fuori per osservare il magnifico scenario dalla terrazza: e voilà, New York City di notte.Era stupenda, romantica, con i suoi bagliori che lasciano senza fiato.Guardavamo quel meraviglioso panorama in silenzio: i suoi occhi brillavano, vagando in punti non definiti. E mentre il sassofono di Charlie Parker diffondeva le ovattate note di Autumn in New York di Vernon Duke, mi chiedevo cosa stesse pensando in quel momento, con quell'aria tranquilla e serena, sicuro di sé. Chinandosi in avanti, si sporse appoggiandosi con le braccia alla balconata, intrecciando le dita delle mani.

- Non vi sono parole adatte per descriverne la bellezza, non credi?

- Sì, è davvero stupenda!

Si volto inclinando leggermente la testa per guardarmi, riprendendo il discorso lasciato in sospeso. Non voleva che travisassi le sue parole o che il suo comportamento fosse interpretato come la naturale conseguenza di una pura attrazione fisica o di un'indecifrabile reazione chimica. Tirai un respiro profondo, poi trasalii per un brivido che mi percorse lungo la schiena. Distogliendo lo sguardo dal panorama, si tolse la giacca per ricoprire le mie spalle, con premurosa galanteria. Notò che accusavo un po di freddo e bastò quel gesto a far avvicinare i nostri volti: incrociammo gli occhi in un languido immobilismo. Era talmente vicino da avvertirne il respiro, le sue labbra a pochi centimetri dalle mie. Si chinò sfiorandole dolcemente ed io rimasi, inspiegabilmente, impassibile. Mi sentivo impacciata, non avevo mai baciato nessuno prima e non sapevo se ricambiare, magari con il bel risultato di apparire incapace o spudorata. Ritornò sulle mie labbra con più decisione, ma non mostrai alcuna reazione che potesse, in qualche modo, fargli credere che ricambiassi ciò che provava in quel momento. Il vero motivo era che non riuscivo a sbloccarmi e liberarmi definitivamente dai lacci che mi tenevano avvinghiata a quel brutto ricordo. Tremavo come una foglia, indecisa se resistergli o abbandonarmi al forte desiderio, infischiandomene delle conseguenze prodotte dall'una o dall'altra azione. Al mio stato confusionale volevo imprimere una parvenza di vaga razionalità ma, stranamente, rimasi impassibile. Ethan avvertì il mio disagio e allontanandosi da me, si scusò per la sua sfrontatezza. Non capivo più nulla, il mio cuore rimbalzava a ritmi frenetici, avrei tanto desiderato saltargli addosso, ma il mio corpo non rispondeva ai suoi richiami. Poi, guardandolo negli occhi, d'istinto, mi avvicinai a lui, tirandolo verso di me. Chiudendo le palpebre, affondai le dita tra i suoi capelli dietro la nuca: senza opporre la benché minima resistenza, mi abbandonai completamente a quel richiamo irrefrenabile. Le sue labbra erano morbide e la sua lingua calda si muoveva delicatamente come se gustasse qualcosa mai assaggiata prima. Mi sentii ardere come se un fuoco liquido corresse nelle mie vene: le sue braccia avvolsero la mia schiena quasi a stritolarmi, comprimendo il mio petto contro il suo, tanto da riuscire a sentire i suoi battiti convulsi, confondersi con i miei.Mi spinse con forza contro la vetrata, intrappolandomi tra le sue braccia, in preda ad un'incontrollata frenesia. La sua mano sinsinuò sotto la mia camicia, l'altra sprofondò tra i miei capelli per poi passare, febbricitante, dalla clavicola al collo. Proprio nell'attimo in cui sentivo il tocco bramoso delle sue dita sulla mia pelle, fui colta da improvvisa paura. Provai a respingerlo, cercando di trattenere la mano che si era fatta strada sul mio seno, ma il tentativo di fermarlo non ebbe successo. Ero improvvisamente diventata piccola e indifesa, faticando a imbrigliare quella furia incontenibile. In quel momento, con gli occhi sgranati e con indesiderabile flashback, rividi quel falco predatore, con la sua lingua bavosa dentro la mia bocca, che con violenza spegneva gli ultimi fuochi delle mie residue resistenze. Quel drammatico ricordo, mi restituì insospettabili risorse fisiche, atte a fermarlo. Si arrestò, appoggiandosi con entrambi i palmi delle mani sul vetro, tenendomi ancora intrappolata con il resto del corpo. Girai la testa da una parte, stringendo forte le palpebre, mentre copiose e calde lacrime rigarono il mio viso, tradendo profondi turbamenti. Non riuscivo a guardarlo, ma sentivo il suo respiro ancora ansimante, mentre la sua guancia sfiorava la mia.

- Credevo lo volessi anche tu, non avevo capito... perdonami per aver frainteso. Ti giuro che non era nelle mie intenzioni non era programmato.

A quelle parole mi voltai a guardarlo: i suoi occhi sembravano sinceri. Scusandosi nuovamente, tolse le mani dal vetro, mollando completamente la presa. Forse è stato il mio comportamento ad averlo incoraggiato, e il mio ostinato rifiuto non rappresentava altro che la paura di un viaggio verso lignoto.

- La verità è che non mi sento pronta ad un passo del genere.

Dopo aver ascoltato le mie parole, baciò delicatamente le ancora fluenti e calde lacrime. In rapida successione poggiò la sua mano nella mia guancia e con il pollice destro la accarezzò, asciugandola delicatamente.

- Non farei nulla contro la tua volontà e se il mio comportamento ti è sembrato disdicevole, spero tanto di non aver compromesso nulla.

Con un braccio mi strinse al suo fianco e mi accompagnò dentro, facendomi sedere sul divano: riavvertii quel desiderio ardente di protezione e sicurezza. Piegato sulle gambe, di fronte a me, teneva le mie mani tra le sue, osservandole e accarezzandole come fossero petali delicati di un ricercato fiore, aspettando che mi fossi ripresa del tutto. Il silenzio che era calato non aiutava, certamente, a far svanire quell'aria dispiaciuta sul suo volto. Dovevo escogitare qualcosa per sdrammatizzare la situazione: così fingendo un certo imbarazzo e ironizzando:

- Ho sempre creduto che succedesse dopo il terzo appuntamento... sai cosa intendo! Oddio, adesso come posso spiegare a Julia la tua curiosità pe le mie misure... e che scusa devo inventarmi con Lucy?

Alzando lo sguardo, vidi un'espressione incerta sul suo volto come se non avesse afferrato bene il significato di quella mia sortita. Un sorriso eloquente bastò a rassicurarlo e lilluminazione del suo volto sembrò espandersi e proiettarsi fuori da quella stanza, per poi confondersi con i colori caldi di una New York City in versione notturna. Rincuorato, rispose che si sarebbe occupato lui di Lucy e che non dovevo crearmi soverchie preoccupazioni, ma d'altro canto, era con Julia che mi sarei dovuta giustificare. Julia era la mia migliore amica, non le avevo mai nascosto nulla, non vedevo perché preoccuparmi. La risposta arrivò immediatamente. A lei, avrei dovuto dare delle risposte esaustive per il semplice motivo che, al suo matrimonio, Ethan mi avrebbe accompagnato presentandomi come la sua donna. Come poteva chiedermi questo? Lui non mi conosceva per niente ed io non sapevo ancora chi si nascondesse dietro quell'ineffabile facciata! Per persuadermi, improvvisò un discorso da consumato oratore, affermando che il futuro è un'incognita e che non dovevamo lasciarci condizionare più di tanto solo perché ancora non ci conoscevamo. Poi cominciò a filosofeggiare asserendo che ogni segreto svelato è un mistero che svanisce.

- Il fascino di un uomo o di una donna si misura dallalone di mistero che li circonda.

Si esprimeva in tal modo, perché non era, ancora, penetrato nei meandri dei miei percorsi misteriosi e, pur subendone il fascino, voleva mantenere, a tutti i costi, un aplomb anglosassone che poco si attagliava al suo temperamento.

- Ho paura Ethan che la tua sia solo uninfatuazione se poi non andasse bene? Se scoprissi di non essere quella che credevi? Alla fine c'è sempre qualcuno che si scotterebbe troppo!

- Se, se, se... ci sono troppi se per i miei gusti... non riesco pienamente a inquadrare lo strano sentimento che provo, ma di una cosa sono certo, ti desidero infinitamente.

Lui aveva le sue certezze e avanzava imperterrito. Io, in qualche modo, cercavo dimprimere una brusca frenata a un bolide che procedeva a velocità incontrollata, rischiando di cappottare al primo tornante.

- Non capisco la tua ostinazione: conduciamo vite diverse, come potrebbe mai funzionare?

- È stato il tuo sorriso ironico e a volte irridente, i guanti di sfida lanciati, le sottili ritrosie e la tua voglia di sorprendermi. Tu sei un incantevole sfida

Nulla gli avrebbe fatto cambiare idea e questo mi spaventava. Ero tentata a cedere, ma il suo modo, a tratti, autoritario mi turbava.

- Ethan, non ti conosco abbastanza e non voglio imbattermi in una relazione irrealizzabile.

- Avremo modo di conoscerci e ci ritaglieremo del tempo per noi, in qualche modo faremo. Non dovrai mai preoccuparti di nulla, penserò a tutto.

Non mi ero mai considerata una suffragette impegnata per il diritto dell'emancipazione, ma ritenni umiliante, come donna, una condizione che spesso impongono i lenoni alle loro assistite. Mi ero già spinta oltre limiti ritenuti, prima, invalicabili. E, se pur in conflitto con i miei sentimenti, per non essere completamente travolta, non mi restava altra scelta che rinunciare a lui.

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