Capitolo 6

Generalmente non si andava oltre le due del mattino ma, quella serata di lavoro, fu una delle più estenuanti che avessi mai svolto e non vedevo l'ora di raggiungere Julia al bar del ristorante, rilassarmi un po' e fare quattro chiacchiere. Stavo sistemando la borsa in spalla, per avviarmi con passo spedito. Alzando gli occhi, rallentai fino ad arrestarmi. Lo scorsi da lontano, rimanendo immobile, esterrefatta. Non era possibile! Era ritornato e stava parlando con Julia, ridevano e bevevano un drink come fossero amici di vecchia data. Mi sentii un po' infastidita per la sua intrusione nelle mie amicizie. Perché era ritornato, per chiedermi scusa di persona? Ripresi a camminare per raggiungerli: quando arrivai, entrambi si voltarono a salutarmi. Julia fu la prima ad aprir bocca, dicendomi che stavano casualmente parlando di me. La guardai preoccupata, accennando uno sguardo di disapprovazione.

- Non preoccuparti, stavo solo dicendo a Ethan di come ti dona il vestito su cui è caduta la nostra scelta.

Da un lato, mi sentii più tranquilla nell'apprendere che l'argomento fosse attinente ai preparativi del suo matrimonio, anche se per breve. M'infastidì il modo confidenziale con cui Julia si era rivolta a lui. Improvvisamente era diventato "Ethan". Che cosa stava facendo, fraternizzava con il nemico? Nel frattempo il mio "sparring partner" mi osservava attentamente, cercando d'incunearsi, senza accendere ulteriori scintille.

- Buona sera, Leila.

- Buona sera.

Fu l'unica cosa che riuscii a dirgli in quel momento, un po' infastidita e in preda all'imbarazzo. Con modo cortese, mi fece posto sullo sgabello accanto al suo, mentre Julia continuava, come al solito, a chiacchierare a ruota libera. Cercai di sembrare interessata, ma in realtà non riuscivo a prestare la ben ché minima attenzione: la mia mente era distratta dalla sua presenza e dal suo sguardo che, attraverso lo specchio del bar, mi scrutava in continuazione. Aveva gli occhi puntati su di me, come quelli di un agente segreto che non deve assolutamente perdere di vista il suo pedinato. Occhi statici, ma penetranti come raggi X: nessun cenno dietro quell'espressione ermetica. Un'autentica sfinge.

- ... ho invitato Ethan al mio matrimonio e indovina? Ha accettato!

- Cos'è che hai fatto?

Rimasi stupita più per la leggerezza di quell'invito che per l'ostentato sorriso sornione dell'invitato.

- ... non mancherei a questo matrimonio per alcun motivo al mondo!

- E a cosa si deve questa sua enfasi?

- Dammi del tu.... Julia mi ha fatto gentilmente, un'accurata descrizione del vestito che indosserai: forse la mia è semplice curiosità.

- L'ha scelto lei, fosse dipeso da me, avrei preferito qualcosa di più sobrio.

- Sobrio? Cosa ci può essere di sobrio in un abito da cerimonia? Così, corri il rischio di aumentare la mia curiosità.

Stava diventando troppo invadente per i miei gusti e come se non bastasse, lanciava provocatori guanti di sfida.

- Se la descrizione del vestito è stata così accurata, la tua curiosità dovrebbe già essere appagata.

- Sono ben altre cose che mi appagano nella vita.

Sorrisi. Che cosa voleva sottintendere con quel "ben altre cose"? La sua linea strategica mutava in continuazione: ironica, irridente, sferzante, criptica, suadente ma sempre con la solita aria da furbetto di quartiere. Stava diventando piuttosto snervante: i suoi continui cambiamenti mi spiazzavano, come le sue domande.

- Quindi... quel sorriso, vuol dire che ho un'altra chance?

- ... chance? Per cosa?

- Ripartire da zero e iniziare una cordiale conversazione!

Le residue resistenze erano ormai ridotte al lumicino. Non aveva più senso continuare a essere maldisposta e decisi di porre fine alle ostilità. Così, annuii. Rimanemmo per qualche secondo in silenzio: pause che mi parvero interminabili, creando un certo imbarazzo. Poi chiamò Frank e rivolgendosi a me chiese se potesse offrirmi qualcosa. Intanto Frank, mi guardava incuriosito: non era abituato a vedermi in circostanze così inconsuete. Riteneva inconcepibile vedermi seduta in compagnia di un uomo che non fosse lui o Jack. Di solito, dopo l'ennesimo tentativo d'abbordaggio, vedeva fuggire il malcapitato di turno che avesse osato avvicinarmi... Accettai che mi offrisse da bere e chiesi a Frank di prepararmi il solito drink.

- ... Frank, due per favore.

Dalla birra era passato al mio drink: dovevo ricordarmi d'annotare bene tutti i suoi repentini cambiamenti: come quello del passaggio da un alcolico a un analcolico, così come il suo atteggiamento. Mentre Frank si accingeva a preparare da bere, visto che la tensione si era sciolta, decisi di cogliere l'occasione per scusarmi del comportamento assunto la sera prima.

- Senti... io non avevo nessuna idea di chi fossi e....

- ... e ora che ti trovi davanti ad una celebrità avverti il dovere di scusarti.

La sua presunzione mi fece inasprire un tantino, ma quella sera non avevo alcuna intenzione di discutere: solo porgergli le scuse e chiudere definitivamente il discorso. Per sedare la mia concitazione, tirai un respiro profondo, continuando poi con calma. Nel frattempo estraevo il giornale dalla mia borsa, poggiandolo sul bancone.

- Rischi di giocarti la tua chance, ti pregherei di non interrompermi... altrimenti non avrai altra occasione per rivolgermi la parola.

- Ok, scusa, continua pure... non fiaterò finché non avrai finito.

- Volevo scusarmi per essere stata insolente e non perché sei un attore.

- Hai fatto i compiti a casa! E cosa ti ha indotto a cambiare idea se non la mia fama?

- Sì, ho fatto delle ricerche e ti confesso di non aver mai visto film o serie TV che ti riguardassero.

- E il risultato delle tue ricerche è bastato per farti cambiare idea?

- EH Foundation mi ha ravveduta: un filantropo della tua portata merita di avere una seconda possibilità e... volevo ringraziarti anche per i fiori.

- Li hai ricevuti? Bene! Era il minimo, giacché stavo quasi per ammazzarti.

- Sì, insieme al messaggio racchiuso nel loro significato. A proposito, come facevi a sapere che l'avrei afferrato?

- Intuito e da come suonavi il piano. In realtà non ero sicuro ma... ci speravo, nessuno suona con tanta passione se non racchiude dentro di sé un amore universale.

- Incredibile... e ti è bastato solo questo?

- ... e anche una buona dose di fortuna!

Non pensavo di essere un libro aperto. Non avevo mai lasciato trapelare nulla su di me. Come faceva costui a percepire parte del mio essere semplicemente da un'esecuzione? Ero irresistibilmente attratta: volevo sapere di più su quest'uomo, quello che Internet non avrebbe mai potuto dirmi!

- Considerando l'esorbitante numero dei tuoi fans, immagino che gli affari vadano bene!

- Ci sono alti e bassi... non tutto funziona come dovrebbe ma... non mi lamento.

- Molto vago direi, la tua è modestia o è solo riservatezza?

Mentre chiacchieravamo, lo osservavo attentamente, affascinata dalla sensazione di sicurezza emanata dalla sua voce profonda, e, senza rendercene conto, avevamo escluso Julia dal dialogo. Lei non se la prese più di tanto, anzi: forse era compiaciuta di come stessero andando le cose tra me e lui, come se un po' lo sperasse. Interrompendo la conversazione, Julia propose di aprire il giornale e iniziare il nostro solito "gioco". Guardare le notizie di politica, sport e spettacolo e commentarle. Ci fu un breve accenno d'intesa tra me ed Ethan, pronti a una sfida senza quartiere per ottenere l'ultima parola. Stavo sorseggiando il mio drink e a me era toccato il compito di sfogliare il giornale alla ricerca di notizie interessanti. Una foto che campeggiava in prima pagina, bastò a farmi raggelare il sangue. Non mi accorsi minimamente del liquido che bagnò i miei piedi, sprigionato dal bicchiere infranto, scivolatomi improvvisamente dalla mano. I ragazzi notarono subito che l'espressione del mio volto era cambiata, senza comprenderne la ragione.

- Leila che ti succede?

Sentivo la voce di Julia ma non riuscivo a reagire. Ethan allungò la sua mano per prendere la mia, ma la ritrassi così velocemente da non concedergli il tempo di sfiorarla. Erano passati dieci anni da quel tragico evento: avevo sempre cercato di lasciarmi tutto alle spalle ma, credo, non sarebbe bastata una vita intera per riuscire a cancellare il volto dell'uomo che aveva abusato di me. Ed era bastata una semplice foto, su un giornale, per farmi rivivere antichi incubi, sentirmi ricacciata in un tragico passato, dal quale volevo definitivamente fuggire, peggiore degli incubi che riaffioravano ogni notte. Mi chiamavano, mi parlavano, ma non riuscivo a sentirli: solo echi di voci sconclusionate. Il panico aveva preso il sopravvento, paralizzandomi completamente, mentre i miei occhi, rimanevano fissi su quella foto. Mi alzai dallo sgabello di scatto, facendolo cadere per terra. Mi sentii strattonare la spalla da Julia: confusa e disorientata, mi allontanai da lei, sottraendomi al fastidioso contatto e con voce esitante dissi che dovevo andare via. Uscii di corsa dal ristorante senza voltarmi, lasciandoli lì, con il giornale sul bancone. Presi le chiavi dalla borsa con le mani tremolanti, non riuscivo a fermarle. Dopo qualche secondo riuscii ad aprire la portiera dell'auto, entrai, misi le sicure, accesi il motore e partii immediatamente, dirigendomi verso casa. Guidavo a folle velocità, tanto che i neon delle vetrine sembravano un unico fascio di luci colorate, delimitanti la strada. Non c'era molto traffico e questo mi consentiva di accelerare maggiormente. A un tratto, dallo specchietto retrovisore, mi accorsi di essere seguita: la paura cominciò a insinuarsi, prendendo il sopravvento. Così accelerai ancora per seminare l'auto che, dopo qualche minuto, uscì dalla mia visuale. Quante le possibilità che si ricordasse di me, che conoscesse il posto di lavoro e magari che mi aspettasse fuori dal locale? Forse mi ero fatta prendere troppo dal panico, fino a pensare che quel criminale fosse lì ad attendermi. Arrivai trafelata al mio appartamento, chiusi subito la porta mettendo il chiavistello e lasciai cadere la borsa per terra, indietreggiando, in preda al terrore. Sentii dei rumori da dietro la porta. Non era un'allucinazione, qualcuno mi aveva veramente seguito: il campanello suonava ininterrottamente e iniziai a tremare, arretrando ulteriormente, finché un pianto convulso s'impadronì di me. Con i pugni bussavano violentemente alla porta, ero paralizzata e non riuscivo a muovermi, poi sentii una voce gridare il mio nome.

- Leila apri!

Non ricevendo alcuna risposta, con un robusto colpo di spalla, buttò giù la porta, trovandomi in un pianto angosciante. Mi cinse al petto, come per proteggermi. Mi sentivo confusa, la vista era offuscata dalle lacrime e non capivo chi era l'uomo che avevo di fronte, allontanandolo bruscamente. Arretrai intimandogli di stare fermo: si arrestò subito, comprendendo che in quel momento non ero lucida. Provò a calmarmi, chiedendomi cosa stesse succedendo. A un tratto mi resi conto che era lui, Ethan, gridandogli in preda all'isterismo.

- Che cavolo ti è passato per la mente, perché mi hai seguito?

- Ti ho visto andare via sconvolta, volevo solo assicurarmi che stessi bene e, a quanto sembra, non stai affatto bene.

Per quanto abile nel decifrare le persone, Ethan non poteva essere in grado di comprendere cosa stessi attraversando e non avrei potuto fargliene una colpa. Si avvicinò cauto allungando le braccia e con delicatezza mi avvolse in un caldo abbraccio, cercando di tranquillizzarmi, lasciando cadere sul pavimento il famigerato giornale. Mi sollevò da terra e stringendomi tra le braccia, mi condusse sul divano del soggiorno, adagiandomi con estrema delicatezza. Rimase vicino a me per più di un'ora, senza proferire parola, aspettando che mi calmassi, accarezzandomi i capelli per tutto il tempo in cui stetti rannicchiata al suo fianco. Stava per alzarsi quando, con la mano chiusa a pugno, lo trattenni afferrandolo per la camicia.

- Stai tranquilla... rimango qui con te se ti fa sentire più sicura: vado solo a preparare una tisana. Ti farà bene, vedrai che dopo starai meglio.

Gli dissi di ritornare subito quasi fosse una supplica. Accarezzò il mio viso, distendendomi sul divano. Non rimase via a lungo, ma tanto bastò per pormi alcuni interrogativi. Che idea si era fatto dopo avermi vista in quello stato? Magari mi avrebbe considerato una pazza isterica, eclissandosi definitivamente. In momenti diversi me ne sarei fregata altamente ma, in quel frangente, sentii il bisogno di avere qualcuno accanto e non volevo che andasse via. Dopo qualche minuto, fu di ritorno con due tazze fumanti, poggiate sul tavolino di fronte a noi: mi sedetti per fargli nuovamente posto al mio fianco. Si mostrò molto premuroso: mise un braccio attorno alla spalla, consentendomi di reclinare la testa, alla strenua ricerca di quella sensazione di sicurezza agognata da non so quanto tempo. Dopoché rimise la mano trai i miei capelli, accarezzandoli, immersi in un silenzio quasi irreale. Alzai gli occhi per guardarlo in viso, non potendo fare a meno di notare che fissava il giornale, lasciato cadere per terra. Mi prese in braccio portandomi sulle sue gambe e con voce calda e tenue mi rassicurò. Rimanemmo in silenzio: i miei respiri, da prima agitati, si fecero sempre più regolari e pian piano mi assopii con la più dolce sensazione di protezione mai provata prima dora. Mi svegliai di soprassalto tutta sudata, tormentata dallo stesso incubo: ma questa volta mi ritrovai stretta ancora tra le sue braccia.

- Calma, è soltanto un brutto sogno, è tutto finito... ci sono io qui con te e non ti lascerò da sola.

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