Fili argentati

[ATTO 1]

[Capitolo due]

"Fili argentati"

La prima settimana di Persephone nel ruolo di studentessa londinese stava andando alla grande. Quattro giorni, e aveva già preso la mano con la sua nuova routine quotidiana, formata principalmente da tempo speso sui suoi corsi scolastici, e tempo passato con Jay. Lei e quest’ultima si erano avvicinate molto, nonostante il relativamente corto periodo passato insieme, le loro personalità completamente opposte contrastavano, e ben presto quel contrasto si trasformò in un forte legame. Jay aveva pensato bene di farle fare anche un giretto per le strade di Londra una sera, e le due erano incappate in un colorato mercatino locale,  e nella frenesia si erano messe ad esplorare il posto, alla ricerca di qualcosa da comprare come souvenir della serata. Alla fine, Persy si era fatta prendere un piccolo pesce rosso in un sacchetto,  Jay aveva ceduto alla richiesta dopo che la ragazza si era quasi messa  a piangere riguardo alle “povere condizioni di vita” che i pesciolini della bancarella “dovevano sopportare”. 
Il pesce, ribattezzato Bubbles, risiedeva ora in una boccia cristallina sul comodino delle giovani. 

Insomma, tutto stava andando splendidamente. 
Quel sabato, tutto era iniziato nel modo migliore possibile. Il tempo era caldo (o almeno, “caldo” per gli standard di Londra), qualche raggio di sole di tanto in tanto faceva capolino da dietro le nuvole, le strade erano animate e piene di gente, c’era nell’aria l’odore invitante del pane appena sfornato e la musica di fisarmonica di strada riecheggiava vibrante nell’affollato viavai.  
Persephone, borsa della spesa alla mano, era uscita per fare compere.

“Libri di testo, una federa nuova per il mio cuscino, forse dovrei prendere anche dell’altro latte insieme alle uova, mi pare stesse finendo…”

Girando per le strade, la ragazza si lasciava trasportare dall’atmosfera allegra, ogni tanto canticchiava sottovoce, svoltava per le vie a ritmo di musica, il suo sorriso fisso ai lati della bocca. Nella sua borsa vi erano solo i libri scolastici presi una mezz’ora prima nella libreria più vicina, che sbattevano l’uno contro l’altro ad ogni energico passo fatto.
Davanti ad un bivio, Persy si appoggiò di schiena ad un cartello stradale, e tirò fuori il cellulare, aprendo GMaps. Poteva sentire una nave in lontananza, e capì di essere vicina al Tamigi. inserì il nome della via in cui si trovava nell’applicazione, e iniziò a scorrere sullo schermo, alla ricerca di un market vicino a lei (possibilmente un poco al di fuori da Chelsea, perché lì tutto costava davvero TROPPO!).
Fu allora che fu distratta da un leggero prurito sul dorso della mano. Piccole zampette sottili in movimento.
Ruotò il braccio che reggeva il telefono, e subito iniziò ad agitarlo  freneticamente. Un ragnetto scuro, spuntato chissà da dove, era intento a zampettare allegramente sulle sue nocche,  muovendosi silenzioso come un’ombra e delicato come uno spillo sulla pelle. Persy trattenne un urlo di disgusto, e continuò a scuotere con veemenza il braccio, nel tentativo di far cadere l’esserino al suolo, non aveva assolutamente intenzione di toccarlo con le mani.

A Persephone i ragni non piacevano. La vista dell’aracnide la metteva a disagio, forse erano  le zampe pelose e appuntite, forse era la miriade di piccoli occhietti scrutanti, forse era il suo modo di muoversi, rapido, scattante, improvviso.   Ma la cosa più spaventosa riguardante quegli esseri, per lei, oltre che il loro brulicare sotto ogni punto più nascosto di una casa o di un giardino,  era il loro continuo contrarsi e tessere. Tessevano, annidati nella sicurezza delle abitazioni delle persone, i loro fili argentei, on essi intrappolavano le loro sfortunate vittime, bevevano la loro vita, e li lasciavano niente più che un involucro vuoto di ciò che erano.  Era terrificante pensare che una creaturina così gracile potesse tenere in sé una tale natura ingannevole, quasi maligna. 
A Persy i ragni non piacevano proprio.
Così, quando notò che il  suo piccolo ed indesiderato ospite si  stava rifiutando di finire al suolo,  decise che la cosa più intelligente da fare per evitare qualsiasi contatto con la creatura, era appoggiarsi ad un edificio e  lasciare che il ragno se ne andasse da solo. E così fece. 
Appoggiò la  mano alla prima costruzione che le capitò sotto tiro, e lì attese. Come era prevedibile, l’aracnide scese velocemente attraverso il palmo, appoggiandosi al marmo  dell’edificio, e schizzando via attraverso qualche crepa.  Persy sospirò, sollevata, e si strofinò la mano  contro la giacca. Fece per prendere i suoi libri ed andarsene, quando qualcosa attirò la sua attenzione. 
L’edificazione  sulla quale  ella aveva posato il ragno era un grande fabbricato in marmo bianco.  Ad occhio e croce sembrava essere almeno alto tre piani, con uno spiovente tetto color pece sorretto all’entrata  da due colonne  candide. Il portone era grande, di legno scuro  e dall’aspetto antico. Ma non era questa la cosa interessante. Più in alto della porta, e del mosaico semicircolare sopra ad essa, formato da vetri di diverse tonalità verdi e blu, che raffigurava una figura circolare immessa in una ovale (A Persy sembrò un po’ un uovo), sovrastava l’edificio una facciata marmorea dall’aspetto triangolare. Su questa facciata, vi era la scritta “MAGNUS” a caratteri cubitali. 

Il Magnus Institute , un’organizzazione dedita alla ricerca accademica  in ambito esoterico e paranormale.  Fondata nel 1818 da tale Jonah Magnus, a oggi contiene quasi duecento anni di studi nello strano mondo dell’inspiegabile.  Ovviamente, nel tempo, la sua reputazione, così come le credenze  della gente riguardo a questo genere di argomenti,  sono visibilmente diminuite, ma nonostante lo scherno delle altre istituzioni, resta in attività grazie ai loro maggiori finanziatori,  la ricca famiglia Lukas. 

“Quindi è questo il posto…”

Persy si avvicinò lentamente alla porta  in  legno, osservando pensosamente i riflessi del sole sulle sue scintillanti maniglie dorate.

“Magari un’occhiata…”

La ragazza  afferrò la maniglia con entrambe le mani,  e iniziò spingere.  

“Wow...”

Persy venne pervasa da un’ondata di diversi suoni e profumi provenienti dall’interno dell’edifico, che uscirono tutti insieme, come un Jack dalla scatola, non appena la porta venne spalancata. Erano tutti così differenti, che per  la confusione, ella rimase un attimo spaesata, lì sullo stipite in legno: un gran vociare, della musica proveniente da chissà dove, lo squillo di un telefono, ed ancora, l’odore dolciastro del the, il profumo della carta antica, l’essenza della candela profumata che bruciava sul banco della reception...  
Persy, frastornata, fu molto tentata dal chiudere la porta ed andarsene,  senza nemmeno essere effettivamente entrata nel posto, ma una voce la fermò  prima che potesse fare marcia indietro. 
<<Salve, cerca qualcosa in particolare?>>
La donna alla reception,  una signora quasi sicuramente sulla trentina, con una permanente castana, occhi scuri e pesantemente truccati, ed un tailleur rosa da mal di testa, sorrise in maniera smielata, impugnando una penna in una mano ed un registro nell’altra. 
<<E’ qui per una testimonianza   o...? >>
Sì, stava decisamente parlando con Persy. Lei si riscosse dallo stato di trance in cui era finita, e fece qualche timido passo all’interno dell’edificio. 

<<U-uh, in realtà io->>
<<Devo per caso chiamare lo staff per lei?>>
La donna la interruppe bruscamente con fare civettuolo, e senza attendere una risposta, alzò  la cornetta accanto a lei, premette un pulsante e se la portò all’orecchio.
<<Sì, all’entrata. Una ragazza, sì. Uh, certo, certo, lo so! ...Oh! come ti chiami, cara?>> 
alzò nuovamente la testa in direzione di Persy, in attesa di una risposta. 
<<Harvey. Persephone. Ma in realtà io non sono qui per->> 
<<Dritta in fondo, giù per le scale, primo ufficio a sinistra.>>
La donna ruotò la sua sedia girevole, e tornò a fare quello che stava facendo prima dell’arrivo di Persy, che a quanto pare era rifarsi lo smalto.

“Fantastico, e adesso cosa mi invento?-”

Come meccanicamente, Persy prese a seguire le indicazioni date. Se da una parte era seccata, alla receptionist e alle proprie poche capacità sociali, e sapeva che probabilmente per evitare l’umiliazione la cosa migliore da fare sarebbe stata uscire di corsa e non tornare mai più in quel posto strano, dall’altra era...incuriosita? Affascinata? Forse “intrigata” era il termine più corretto. Anche emozionata, però. Si sentiva davanti a qualcosa di grande, qualcosa di importante. Forse sapeva anche riguardo a cosa testimoniare. Forse avrebbero potuto aiutarla. 
“Giù per le scale, primo ufficio a sinistra...”
 
Gli Archivi si trovavano letteralmente nel piano più in basso dell’Istituto, più in basso di loro situavano probabilmente soltanto il ripostiglio per le scope e la sala pause dello staff.  
Erano bui. Erano freddi. E soprattutto erano un DISASTRO. 
Quando Persy arrivò, dovette fare molta attenzione a non inciampare in una delle centinaia di scatole  piene di vecchi documenti sparse  lungo il pavimento.  Ne urtò per errore una  con il braccio,  e si ritrovò con un dito di polvere sopra la manica della felpa.  L’intonaco sui muri era crepato e scolorito, e dagli angoli della stanza pendevano vecchie ragnatele, diventate ormai lanose e sfilacciate. Curiosamente, niente ragni. Solo ragnatele.  
Arrivata in fondo alle scale,  Persephone si ritrovò faccia a faccia con  file e file di scaffali da libreria, che si stagliavano in orizzontale per la maggior parte della stanza, tutti colmi fino al tracollo di documenti scritti, mal catalogati in scatoloni, cartellette, o semplicemente appoggiati alla bell’e meglio sopra ad essi, nel tentativo di non far crollare tutto. 

<<A quanto pare l’archivista qui è severamente sottopagato...o semplicemente ha comprato la laurea….>>   commentò  la giovane sottovoce, mentre si ripuliva la manica impolverata.
Le sue ipotesi vennero interrotte da un vociare proveniente dall’ufficio accanto,  che subito le fecero chiudere la bocca ed attendere pazientemente che qualcuno arrivasse ad incontrarla.
La porta dell’ufficio si spalancò, e due figure ne fecero capolino, parlottando tra loro ed ignorando completamente la presenza dell’adolescente.
La prima era una giovane adulta, a vista non più di ventisette anni, dalla pelle scura, i capelli color caffè, lunghi e legati in una coda bassa, e gli occhi ossidiana. 
Era molto alta, indossava un paio di occhiali a montatura rotonda, rossetto scuro ed un maglione a girocollo verde pantano, accompagnato da jeans e stivaletti  terracotta.  
Reggeva in mano una cartelletta opaca, con dei fogli stropicciati affissi ad essa. 
La seconda figura era un uomo, di un’età imprecisata tra i venti e i sessant’anni, visto che sembrava essere abbastanza giovane, ma aveva la faccia di qualcuno che non dormiva da almeno due mesi, e tra i suoi capelli scuri spuntavano alcuni ciuffi grigi. Sembrava essere pakistano, ed era visibilmente più basso della ragazza accanto a lui. Indossava un paio di occhiali a montatura quadrata, una camicia e sopra ad essa un gilet verde, pantaloni khaki color beije, e mocassini marroni. 
Persy rimase ferma di fronte alle scale, nella speranza che la notassero da soli e lei non dovesse interromperli, ma la loro discussione continuò noncurante.

<<Lo so che la situazione è stressante->> 
<<Stressante? E’ un incubo, Sasha!  Questo posto è un disastro, gli altri non mi prendono sul serio, e  Rosie non mi ascolta!>>
<<Rilassati, lo sai com’è fatta Rosie, proverò a riferirle di nuovo  che per un po’ non deve mandare nessuno quaggiù.>>
<<Grazie, Sasha, almeno tu...>>
<<Nessun problema, Jon. Quindi, quando hai intenzione di cominciare a riordinare questo posto?>>
<<Beh, pensavo oggi, visto il macello che Gertrude si è lasciata dietro, e->>
Finalmente, gli occhi dell’uomo incontrarono quelli di Persy, e smise immediatamente di parlare. La ragazza accanto a lui seguì il suo sguardo, e notata la adolescente, le rivolse un cenno di saluto.
Con un sospiro rassegnato, lui fece qualche passo in avanti.
<<Harvey, suppongo.>>
Persephone era abbastanza imbarazzata dalla situazione, e si sentiva un po’ di troppo, quindi si limitò ad annuire. 
I due si scambiarono una professionale stretta di mano, e l’uomo poi prese a squadrarla dalla testa ai piedi.
<<Mi scuso per l’inconveniente, ma in questo periodo non prendiamo più testimonianze, stiamo andando attraverso un...cambio di gestione.>>
<<Oh..ma la receptionist ha detto che->>  
Persy venne interrotta  a metà frase dal tono seccato dell’uomo
<<Rosie non ha ancora capito che siamo troppo occupati al momento  per continuare con quel tipo di lavoro,  probabilmente è troppo occupata a recuperare  Gossip Girl invece che ascoltarmi parlare...>> aggiunge poi tra sé e sé, chiaramente scontento.
Da dentro gli archivi, una voce giovanile risuonò nella stanza
<<Hey! Non mancare di rispetto a Gossip Girl, è una bellissima serie!>>
<<Pensa a lavorare, Tim!>> gli gridò di rimando l’uomo, prima di rivolgersi nuovamente a Persy.
<<In sostanza, la precedente capo archivista, Mrs. Robinson, non lavora più qui, e ora ci stiamo adoperando per sistemare il disastro che si è lasciata dietro... >>
<<Capisco...>> Persy annuì, pensierosa.
<<Mi spiace, ma temo dovrai ripassare quando saremo nuovamente liberi.>>
L’adolescente ringraziò e si ripromise che sarebbe passata nuovamente per di lì, prima o poi,  e successivamente fece retromarcia e tornò su per le scale, e fuori dagli archivi. 
I dipendenti rimasero nuovamente soli, e nuovamente calò il silenzio, interrotto soltanto dallo sbattere della porta dell’ufficio dell’uomo in gilet. 

Tornato nel suo ufficio, egli vide il registratore a nastro che lo attendeva sulla sua scrivania. Emise un sospiro seccato, e si accomodò  sulla sua cigolante sedia da lavoro.   Soffiò sul vecchio aggeggio, e una nuvola di polvere si espanse nell’aria, così forte da farlo tossire.  
<<Ah-! Diamine! Stupido affare antiquato-!>>
dopo aver dissipato la polvere, e aver smanettato un po’ con i pulsanti del registratore, esso si aprì, rivelando un piccolo scomparto rettangolare.  L’uomo prese una cassetta da uno scatolone accanto a lui, e ve la inserì al suo interno.
Con un udibile CLICK , il nastro nella cassetta iniziò a girare con un leggero ronzio.    Egli premette il tasto rosso sul registratore, e poi  afferrò un foglio sulla sua scrivania.
Accertatosi che l’affare stesse effettivamente registrando, iniziò a parlare.
<<Test….Test...>>
 Sistemò il foglio  nelle sue mani
<<Elias, se stai sentendo questo, significa che ho trovato il modo per registrare quelle testimonianze… “difficili” di cui ti ho parlato.>>
L’uomo osservò il suo portapenne.   Una delle stilo lì presenti portava ancora la targhetta “GR” .
<<Nonostante  io odi parlare male dei morti, la precedente Archivista ha lasciato questo posto in uno stato pietoso. Anche un’organizzazione insolita come il Magnus Institute necessita di un archivio ben organizzato. Come ben saprai,  ho cercato di digitalizzare e registrare  versioni audio delle testimonianze che abbiamo, ma ho avuto diversi problemi con alcune tra le più bizzarre. Ci sono state abbastanza distorsioni da renderle completamente inascoltabili. >>
L’uomo  diede un colpetto leggero con le nocche delle dita al registratore a nastro.
<<Grazie al cielo, siamo riusciti a trovare questo vecchio registracassette nel magazzino, e queste cassette, per quanto arcaiche siano, sono pur sempre meglio di niente.  Quindi tanto per testarli, ho preso la più corta delle testimonianze irregistrabili, e  intendo provarla a leggere qui dentro. >>
Stese il foglio davanti a sé e iniziò ad osservarlo.
<<Francamente, non mi preoccuperei nemmeno di mettere in versione audio qualcosa di così...frammentato. Ma come prova dovrebbe andare bene.>>
Si schiarì la voce, ed iniziò a leggere.
<<Testimonianza di Jacob, nessun cognome dato, riguardante...Dio solo sa cosa.  Testimonianza originale data  il 15 luglio 2011. Inizio testimonianza.>>
L’uomo prese un respiro profondo, e ricominciò a concentrarsi sulle parole scritte. 
Erano in una calligrafia tremolante, la penna aveva sbavato in più punti, come se chi stesse scrivendo stesse anche tremando come una foglia.
<< “Prenderà anche te. Puoi fissarlo quanto voi, prendere i tuoi appunti e fare le tue ipotesi, ma tutto il tuo osservare  risulterà in niente. Quando il tempo arriverà, in tutta la sua oscurità ed il suo massacro, desidererai aver smesso di ascoltare, e di aver iniziato a fuggire quando potevi.”>>
L’uomo deglutì. Perché si sentiva così a disagio? Era solo una minaccia a vuoto, probabilmente qualche scherzo di pessimo gusto, non era la prima volta che i ragazzini  locali scrivevano testimonianze palesemente false per prenderli in giro. Ma non poteva far altro che sentirsi osservato, e probabilmente sarebbe stato meglio se si fosse limitato a finire la cassetta e consegnarla al suo capo il più in fretta possibile. 
<<Testimonianza finita. Beh, capisci perché normalmente non mi sarei neanche disturbato a registrarla. Non esattamente qualcosa per i posteri...Ma in ogni caso, fammi sapere se riesci a sentirla correttamente, Elias. Se la risposta è sì, penso possiamo cominciare a trasportare su cassette il resto delle testimonianze.>>
Un altro CLICK  segnò la fine della registrazione.

Vigilio. Audio. Opperior.
Vigilio. Audio. Opperior.
Vigilio. Audio. Opperior.

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