Cambiare aria
[ATTO 1]
[Capitolo 1]
“Cambiare aria”
Londra, città dalle mille attrazioni, dalle persone educate e dal fascino irresistibile.
“E si spera anche città delle opportunità, l’ideale per un nuovo inizio”
La ragazza strinse forte la sua valigia in pelle marrone e si accoccolò a gambe accavallate sul sedile del taxi, appoggiandosi dolcemente alla portiera, osservando il panorama fuori dal finestrino. Un leggero rombo del motore annunciò la partenza del veicolo, e presto l’aeroporto dove ella aveva passato due ore buone per fare il check-out si allontanò sempre di più, confondendosi nel cielo grigio e nuvoloso. Una singola goccia d’acqua cadde sul parabrezza. Poi un’altra, ed un’altra ancora. Presto il rumore calmo delle ruote sull’asfalto si confuse con quello della pioggia, e le palpebre della ragazza si appesantirono, mentre il paesaggio fuori dal finestrino continuava a mutare: file di case, con tetti spioventi e mattoni dai colori brillanti, parchi, con le aiuole in fiore e gli alberi potati, strade, piccoli negozi, tanta gente che si sbrigava ad aprire l’ombrello o a correre a casa.
Lei si sentiva serena. La pioggia attutiva tutti i forti rumori del mondo esterno, e i suoi pensieri regnavano in quel piccolo spazio ovattato che era il retro del taxi. Una nuova vita la attendeva una volta uscita di lì. Una università, tanti corsi, tanti amici, divertimento dopo la scuola, feste, magari anche l’amore, un diploma, una carriera. Tutto ciò che riusciva a vedere davanti a se era pura felicità, per la prima volta le sembrava così vicina, così raggiungibile.
<< -no £7.80 per la corsa.>>
<<Uh-?>>
Quando la ragazza tornò alla realtà, si ritrovò faccia a faccia con lo sguardo spento e annoiato del tassista che l’aveva portata fin lì. Fuori dal finestrino, vi era un edificio imponente, in mattoni arancioni e bianchi dall’aria fresca, formato da più zone coniugate insieme da corridoi e cupolette. Il cancello davanti portava fieramente uno striscione che decantava “KCC, sii padrone della tua storia”, seguito da una schedina orari per dei seminari.
Kensington Chelsea College, situato in Hortensia Rd, nella zona di Londra conosciuta come “Chelsea Centrale”, e anche come una delle zone più costose della città. Era l’università alla quale la ragazza sarebbe andata, e alla quale era stata accettata il luglio di quell’estate. Avrebbe seguito il corso di psicologia e scienze umane, oltre che un corso di criminologia e un paio di altri corsi per divertimento personale, e dopo aver preso il suo diploma alla fine dei cinque anni, sarebbe andata ad una scuola di medicina e in futuro sarebbe diventata una psicologa. Il suo piano per la vita era lineare e conciso, ed ora, con l’università dei suoi sogni davanti, sembrava essere più vero che mai.
Pagò velocemente il tassista (e, perché no, gli diede anche una mancia, si sentiva di ottimo umore quel giorno!), e in un lampo aveva già scaricato tutti i suoi bagagli ed era in piedi davanti al portone in legno.
Persephone Harvey, diciannove anni appena compiuti, capelli lunghi, mossi e castani, occhi verdi e vivaci come due ranocchie, una spruzzata di lentiggini sulla sua pelle chiara e una vita di speranze davanti a sé. Aveva sempre avuto ottimi voti, le piaceva studiare, impegnarsi non le pesava, nei libri aveva riposto la sua intera anima e la sua positività ed esuberanza era contagiosa. Si penserebbe che il suo deficit dell’attenzione le avrebbe causato problemi a livello scolastico, ed invece era il contrario. Spesso si concentrava talmente tanto sullo studio che si dimenticava di tutto ciò che la circondava. Nella sua vecchia casa era finita al centro di un bizzarro incidente che le aveva dato una brutta fama, ma ora era pronta più che mai a ricominciare, e diamine, avrebbe ricominciato alla grande!
In una manciata di minuti, era già registrata e con in mano la chiave per la sua stanza nel campus universitario, ed una collaboratrice scolastica le stava dando in mano una piantina per orientarsi in giro per il college. Le si poteva leggere l’emozione sul volto, gli occhi le schizzavano da tutte le parti sulla strada verso il suo appartamento, saltellava con fare spensierato lungo i grandi corridoi, si fermava a controllare i cartelloni affissi, il sorriso mai abbandonava il suo volto.
4F, 4F, 4F
si ripeteva mentre saliva l’ennesima rampa di scale.
Quarto piano, sezione F, stanza 1818.
Quando si ritrovò davanti la placchetta di metallo, dopo ben quattro rampe di scale e venti minuti buoni di ricerca, un po’ per questo, un po’ per il lungo viaggio in aereo, ed un po’ perché l’adrenalina di poco prima stava andando a scemare, era ormai esausta. Bussò due volte alla porta, per poi infilare le chiavi nella serratura ed entrare, trascinandosi dietro tutte le sue valige.
Una testa biondo platino e sconosciuta la osservò con fare confuso dal divanetto dove giaceva sdraiata.
<<Harvey, giusto?>> chiese, soffocando una risatina al modo in cui Persephone stava cercando disperatamente di trasportare tutti i suoi bagagli insieme dentro la stanza.
Lei si rese conto della persona nel suo appartamento, e subito lasciò cadere tutto al suolo, e si sistemò imbarazzata il maglione spiegazzato.
<<U-Uh! Sì! E tu sei… Bou...qualcosa, giusto?>>
<<Bouchard.>> la corresse la ragazza bionda, per poi aggiungere <<Jailyn Bouchard. Chiamami Jay.>> e un sorriso calmo e pacato si fece strada sul suo volto.
<<Ah-! Persephone, ti prego di chiamarmi Persy. Lo preferisco.>> Persy iniziò a giocherellare nervosamente con una ciocca di capelli. Solare quanto vuoi, ma incontrare persone nuove la metteva in ansia, specialmente la persona con la quale avrebbe dovuto convivere da ora in poi, la sua coinquilina.
Jaylin Bouchard, diciannove anni, capelli corti color platino, occhi a mandorla azzurro glaciale, in grado di pugnalarti con un solo sguardo, labbra sottili, carnagione chiara. Bellissima ragazza, quando aveva voglia di prendersi cura di sé. Penseresti che la figlia di un ricco dirigente accademico saprebbe meglio di chiunque altro come dare valore alla propria immagine, ma Jay non era di questo avviso. Pessima capacità nel vestire, sempre in abiti logori e sudici, igiene personale scarsa, in giro come se fosse una trovatella qualsiasi appena fuggita da un incendio. Ma il suo pessimo aspetto era controbilanciato da una mente brillante e sveglia, ottime capacità di convinzione, voti molto alti nei suoi corsi, il cui principale era Economia, ed una personalità di ghiaccio. Non aveva hobbies, non aveva interessi notevoli, niente di niente. Seria, composta, obbediente, degna erede dell’attività del padre.
<<Dunque, Persy...>> Jay scandì lentamente il suo nome, come per dimostrare di aver afferrato la sua richiesta di poco prima <<Sei nuova di queste parti?>>
Persy decise che avrebbe pensato più avanti alle sue valige, sparse ingloriosamente sul pavimento, e non appena Jay le fece spazio sul divano, lei si accomodò senza troppi complimenti.
<<Sì, sono arrivata a Londra oggi, vengo dallo Yorkshire>>
<<Lontanuccio...>>
<<Già, sono atterrata con l’aereo stamattina.>>
Silenzio imbarazzante.
<<Quiiindi...come ti sembra la zona?>>
<<Oh, molto carina!>>
Altro silenzio imbarazzante.
Okay, così non può funzionare.
<<Tu che corsi segui?>>
<<Oh, Economia, principalmente. Mio padre gestisce un istituto e prima o poi passerà a me, quindi devo assicurarmi di essere impeccabile.>>
<<Un istituto? Di che tipo?>>
<<Prometti di non ridere?>>
Persy la osservò, visibilmente confusa
<<Ovviamente no, perché dovrei?>>
<<Perché può sembrare una cosa ridicola a primo impatto>> Jay abbozzò un sorriso <<Magnus Institute, dedicato alla ricerca sul paranormale e l’esoterico.>>
Persy si irrigidì. Di certo non si aspettava una risposta del genere in un momento del genere.
<<Quindi studiano i fantasmi?>>
<<Fantasmi, fenomeni paranormali, artefatti maledetti, rituali, antichi libri, quel genere di cose. Mio padre ne è a capo da almeno vent’anni.>>
Persy rimase interdetta. Come bisognerebbe rispondere ad una cosa di questo tipo? E specialmente, come reagire quando il nome del posto ti è familiare?
<<Ah...Come...Come funziona?>>
<<Perché lo chiedi?>>
<<Così. Mi interessa l’horror, seguo questo canale Youtube che->
<<In pratica,>> Jay la interruppe <<La maggior parte delle volte arriva gente da noi a parlarci delle loro esperienze, noi le mettiamo per iscritto, facciamo ricerche su esse e poi le testimonianze vengono trasferite nei nostri Archivi. Ma la maggior parte delle persone vengono lì solo per usare le nostre risorse per ricerche personali, abbiamo una biblioteca molto ben rifornita.>>
<<Interessante, magari qualche giorno ci faccio un giro, sia mai che trovo qualcosa di carino da leggere!>>
<<Tu credi nel paranormale?>> La domanda improvvisa di Jay mutò sul nascere il discorso di Persy su quanto amasse leggere, e la lasciò un po’ sbigottita.
<<...Come, scusa?>>
<<Ti ho chiesto se tu credi nel paranormale.>>
<<Io…? Beh...>> Persy ammutolì e ricominciò a girarsi la manica del maglione più e più volte, cercando di scegliere le sue prossime parole. Non voleva fare la figura della perdente che credeva alle storie di fantasmi, ma l’idea di qualcosa di inspiegabile e misterioso esistente nel mondo per lei era quasi una certezza.
<<Penso...>> disse, con la voce titubante <<Che non sia tutto inventato. Non credo a tutto, ma secondo me qualche storia potrebbe essere vera.>>
Jay si sdraiò all’indietro con noncuranza, appoggiandosi allo schienale del divano
<<Ti do ragione,>> disse <<tra tutte le cazzate fatte apposta per terrorizzare la gente, qualcosa secondo me esiste davvero.>> Detto questo, girò nuovamente il capo in direzione di Persy
<<Tu di cosa hai paura?>>
Ora, Persy non è mai stata una persona coraggiosa.
<<I ragni...>>
Come una persona normale, aveva paure del tutto regolari. Temeva ciò che non poteva controllare, temeva la morte, temeva gli assassini, temeva camminare di notte da sola.
<<Le altezze...>>
Temeva gli umani, e tutto ciò che umano non era, ma sembrava.
<<Le bambole...>>
Ma più di tutti, la ragione che l’aveva spinta a ricercare la psicologia come campo di specializzazione, era un terrore profondo per il labirinto che è la mente umana.
<<Ho paura di perdere i contatti con la realtà. Ho fatto ricerche sull’argomento, e non distinguere il vero dal falso potrebbe essere un destino peggiore della morte.>>
Jay sorrise. Un lungo, placido e soddisfatto sorriso.
<<Okay, Shakespeare, se lo dici tu->>
<<Hey-! Sei tu che lo hai chiesto>> Ridendo, Persy le lanciò un cuscino, che la colpì in testa. Jay sorrise nuovamente e contrattaccò con un altro cuscino.
Quando le due ebbero finito di tirarsi cose addosso, Jay si offrì di aiutare Persy a smontare i propri bagagli, visto che erano rimasti per almeno un’ora accasciati mestamente sul pavimento, abbandonati.
L’appartamento non era molto grande, un salottino che fungeva anche da cucina, un bagno ed una stanza condivisa con due letti ed un armadio. Insomma, una normale stanza universitaria. Appena finito di buttare tutto ciò che poteva essere considerato un indumento nella sua parte d’armadio, ed aver lanciato il resto senza ritegno alcuno nei vari cassetti, Persy procedette a gettarsi sul letto, con la grazia di un elefante in una cristalleria.
<<Fa come se fossi a casa tua, allora.>> Commentò Jay in maniera ironica, ma Persephone era già crollata, e stava russando sonoramente per la stanchezza.
Jay decise di lasciarla stare e chiuse la porta della camera, silenziosamente, per poi tornare nel salottino.
Si sedette al tavolo da pranzo, e tirò fuori il suo cellulare.
Il beep dei numeri premuti sullo schermo risuonò nel silenzio della stanza.
<<Papà, senti, ti devo parlare un attimo.>>
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