Laeti triumphantes
Cosa mai può fare un bimbo?
La risposta, concreta, sfugge a Piccardo.
Lo iorno imbrunisce, cala la nocte e la nevicata amplifica il silenzio religioso nelle strade, approfondendolo, sotterrando le orme sotto un velo tramato di scintille, corazzando d'aghi brinati. Misteriosa, silenziosa, quasi indugia. Francesco, Leone e Bernardo ridiscendono nella piana, alla Porziuncola. Davanti al camino, uno svolazzo gagliardo di scintille e faville e braci cineree, Giovannetto e Piccardo si disfano degli abiti fradici, li appendono ai cavicchi piantati al muro e sorseggiano, emersi e ritemprati da un bagno ristoratore, l'acqua cotta in ciotole di terracotta.
Che l'è l'acqua cotta? Mamma la aggancia sempre a bollire sul pentolone nelle giornate d'inverno, lambita da lo focu. È una zuppa gustosissima di origine maremmana, composta con olio, qualche cipolla, uno spicchio d'aglio, del pane, un pezzo di pancetta di maiale o, visto che costa, del lardo come rimpiazzo, e l'agreste, una spremitura ottenuta strizzando l'uva mezza acerba d'agosto in un recipiente chiuso, sigillato sigillatissimo, da cera d'api.
Ci pucci una fetta di pane e il gioco l'è fatto, te la sorbisci tutta, deliziosa, una leccornia da leccarsi i baffi durante l'inverno.
La frase dello zio diventa un cavillo, un chiodo percosso nella mente di Piccardo.
Cosa mai può fare un bimbo?
Non sa manco qual'è la sorpresa dello zio. Come può elaborare una risposta conforme a quella sorpresa ignota? Un bimbo può farne di cose, ma ce ne sono anche tante che non può fare. Cose da adulto. Mestieri da grandi. I poveri, per contro, molto spesso vendono li propri figlioli a imprenditori investenti in mestieri da grandi.
Non pongono i bambini a industriarsi sulle stesse materie dei loro impiegati adulti, ma lavorano. Un bimbo può lavorare.
No, il lavoro non c'azzecca di sicuro con la sorpresa natalizia dello zio.
«Lo sai Piccardo?» Giovannetto s'è ingozzato d'acqua cotta, pastrocchi di mollica gli pastrugnano le guanciotte. «Ieri ho sognato che c'era 'na salsa rossa qua dentro.»
«Nell'acqua cotta della mamma?» Salsa rossa come d'arancia spremuta? Quello s'identifica come succo. «Di che frutto?»
«Era un ortaggio. Ed era bol-pop-polposa! Polposa e rossa!»
Non assomiglia a nessuno ortaggio esistente. «Appunto, te lo sei sognato.»
Giovannetto s'indispettisce. «No! Era reale! Andavo a prenderlo su una barca in una terra lontana lontana, oltre le Colonne d'Ercole!»
Oltre le Colonne d'Ercole s'apre, in uno squarcio di flutti, l'abisso del nulla. Lo sanno tutti che termina il mondo, ma quale terra e terra. Suo fratello spicca per una fervida immaginazione. Dovrebbe abbuffarsi con moderazione a cena. Stizzito, Piccardo mescola la sua zuppa col cucchiaio in legno, grattando via il molliccio grumoso che s'è appiccicato sul fonno della scodella. Il farneticare insensato di Giovannetto su fantomatiche terre remote non favorisce la concentrazione.
Cosa mai può fare un bimbo?
Un cigolio sulla soglia. Angelo è rincasato.
Giovannetto gli corre incontro, giubilante. «Papà!»
Una folata gelida irrompe, immediatamente 'l su' babbo serra l'uscio. I fiocchi si sono cristallizzati in chicchi sul suo mantello, le guance morsicate dal freddo. Issa in braccio il figliolo juniore, pizzicandolo spiritoso sul mento.
«Ho un regalo per voi.»
Pure lui? 'Nco' una sorpresa. Piccardo dovrebbe finirla di stupirsi.
Giovannetto accarezza la barbetta del papà, riccioli d'oro cesellato al bagliore delle candele. Honno - come decade la a nel dialetto locale non decade nessuna lettera, soppiantata alle volte dalla i o dalle e finali - un non so che di seducente.
Chiaro perché la mamma s'è 'namorata del papà.
Deponendo a terra il figliolu, Angelo fruga nel mantello, estraendone.
Cavoli!
«Ma so' due fiorini d'oro!»
Monetine lucenti che Piccardo ha intravisto trafficare solo nei forzieri del nonno e nelle negoziazioni degli adulti in bottega. Oro vero! Pecunia!
Giovannetto è sconcertato. «M-Ma sono per noi?»
«Un regalo di Natale.» Papà ritrae la mano prima che possano appropriarsene, sorridendo sornione. «Parecchio in anticipo, lo so, ma dovete promettermi 'na cosa.»
Non hanno mai posseduto monete di così alto valore e pregevole fattura.
«Cosa?» mormora Piccardo incantato.
«Che le spenderete con discernimento e oculatezza nel modo che ritenete più appropriato e giusto. Non tollero pagliacciate, intesi?»
Pagliacciate? Piccardo ha dieci anni, è più che responsabile! Faccia la predica a Giovannetto piuttosto! L'è lui il piccolino!
Oddio, non per molto altro 'ncora. Suo fratello ha la fortuna spacciata di compiere gli anni nei primissimi giorni di gennaio, dell'anno venturo, mentre Piccardo deve aspettare fino all'estate crapulona e afosa. Ricalcano la dinamica intercorrente tra lo zio e il papà, con quest'ultimo nato quando lo zio aveva ancora tre anni, benché ne dovesse tagliare i quattro. Giovannetto è venuto alla luce quando Piccardo di anni ne segnava ancora tre sebbene fosse nell'anno dei quattro e l'hanno concepito quando ne contava due, ma l'anno l'era quello dei tre.
Un rompicapo 'somma.
«Intesi papà!» promettono ossequiosi all'unisono.
«Mi fido di voi.» Gliele consegna, racchiudendoli tra le ditine.
Piccardo si sente investito d'un dovere da adulto, una responsabilità immensa. Come capirà quand'è opportuno e dignitoso spendere la sua moneta?
Potrebbero comperare un regalo di Natale per lo zio...
Lampante, il pensiero gli balena nel cervello. «Giovannetto! Dobbiamo chiedere a Masino se verrà anche lui alla sorpresa dello zio!» Pria occorre il permesso del papà per uscire a quest'ora. «Possiamo andare in filanda?»
Angelo sospira, sorridendo bonario. «Non bamboleggiate in giro.»
Viva la clemenza di papà! Abbracciandolo riconoscenti, Piccardo e Giovannetto recuperano i mantelli, salutandolo frettolosi e precipitandosi fuori.
Una folata li investe, pungendo 'l naso, ravvivando le guance d'un brillante rosso acceso. Una primizia di neve, brinata sottile, è calata sui tetti, tingendoli di candido come lo zucchero sui canditi dei ricchi. Stelle fisse in cielo rivaleggiano con quelle cadute a ornare nostra madre terra d'un velo da sposa. Sposa promessa al cielo e ai suoi spiriti, agli angeli piumati, alle fate e ai folletti silvani.
Tenendo saldamente e costantemente Giovannetto per mano - la notte è il predominio di Satana e dei suoi sgherri, degli inganni e delle facezie, le familiarità dello iorno ridotte a vaghe reminiscenze - Piccardo svolta e corre nei vicoli. Nelle piazzette, oltre il riparo delle case, la neve è più profonda. Di buon mattino i garzoni spaleranno, liberando le vie e disostruendo i passaggi, le finestre barricate con tavole di legno e ciocchi spessi a misura di protezione degli infidi venti settentrionali.
Spire soffianti da Nord, dalle lande di Allemania e Lombardia, s'intrufolano nei loro mantelli, frustandoli sulle spalle. È un rissoso, il vento, vole pugnare, ma non è un combattente leale! Infido, infido vento de settentrione!
Nella nocte illuminata, le mura della Rocca Maggiore, la su' cerchia imponente e massiccia, incombono su Assisi, un bracco da caccia accucciato in attesa di balzare e stroncare la preda avvistata. Il delegato imperiale c'aveva innestato una sua sede, allocandosi intra 'l suo perimetro, Corrado di Urslingen, contestato e scacciato a rivolte popolari quando lo zio e il papà erano ragazzi.
I mercanti, l'intraprendente, ambiziosa, classe emergente, honno rivendicato un Comune, nel solco del modello impostato a Firenze.
Un Comune.
L'è una struttura completamente italiana. Piccardo ne va fiero. In Francia, ad esempio, gli ha spiegato 'l papà, non hanno idea di cosa sia questa innovativa, dirompente e ottimistica realtà. Un sovrano governa e gestisce tutto. Nel Meridione, nelle Apulie e in terra di Sicilia, lo Stupore del Mondo emana editti bislacchi, sperimenta turpi allevamenti di bambini muti e coltiva la sua erudizione in simposi opulenti ostili al Papa con dotti Saracini e filosofi Iudei.
In Italia, nella loro Italia culla d'arte e cultura, lo sviluppo della civiltà urbana, una rinascita dal torpore dei secoli, e mercantile è particolarmente precoce e genera questa nuova, rigogliosa struttura istituzionale: il Comune. Un sistema di patti, rispetto e tolleranza reciproca tra i ceti che si svincola dall'autorità imperiale e dai poteri feudali attraverso varie lotte, di cui l'assalto alla Rocca s'inserisce in codesto ampio contesto come un minimo frammento. Ma non è tutto oro quel che luccica.
I modelli feudali sopravvivono. Il Comune è controllato da oligarchie di piccoli feudatari e si sviluppano al suo interno corporazioni e micropoteri in lotta tra loro, i ceti mercantili si dispongono secondo rapporti di forza e strutture gerarchiche, in gilde e assemblee e arti dei vari mestieri, sfruttando la campagna quale fonte dei loro guadagni, delle loro entrate e della lor fortuna.
La fortuna, dice il papà, viene dalla terra.
Il che nun se discosta molto da quanto afferma lo zio, che considera la terra come una mamma affettuosa e caritatevole.
È un mondo che muta, che matura, che cambia e sperimenta.
Che osa valicare i confini imposti dal passato.
Piccardo teme, alle volte, di venirne inghiottito.
È troppo questo mondo eccitato, sovrabbondante, energico, brioso. È troppo tutto e sconfina, infinito, ordina e classifica secondo schemi gerarchici e scale di priorità già definite, dov'è essenziale il punto di vista religioso o quello elaborato nei luoghi preminenti del sistema. Questa società, questo mondo spaventoso in cui Domineiddio l'ha scagliato, tende o a integrare qualsiasi novità nel proprio spazio mentale o a rifiutarla radicalmente come male, come diverso, a emarginare l'imperfetto.
Dio, però, secondo lo zio, non emargina nessuno.
L'abbraccio di Gesù sulla croce include chiunque.
Ma la società giura di seguire i precetti di Cristo e si contraddice e lo zio Francesco vole operare all'aperto, impegnarsi e affaccendarsi nella vita di tutti i giorni, in questa società che si contraddice... quindi chi ha ragione?
Lo confonde lo mondo.
«Credi che verrà?» Un fiotto di fiato promana da Giovannetto.
Si spingono attraverso un cumulo di neve. Piccardo ne frantuma la crosta con la punta dello stivaletto. Avanzano, suo fratello ancorato, scavando solchi con la forza delle braccia e delle cosce, guadando un ondoso manto.
«Masino dici?»
«Chi altri sennò?!» brontola Giovannetto indignato.
Piccardo s'è creato una mezza idea. Ammicca al fratellino.
«Bonagrazia ad esempio... la tu' cottarella...»
Una bambina, figliola d'un fabbricante di candele, il più abbiente del paese, dai bei boccoli corvini raccolti in treccine e gli occhi d'un verde smeraldo. Quando passa in bottega o passeggia in giro Giovannetto s'infiamma e s'impappina peggio del solito, invitandola a unirsi ai loro giochi. La sintonia tra di loro è palpabile. Suo fratello non spizzica mezza sillaba, si lascia intendere a gesti, e Bonagrazia ride con gusto.
Come si capiscano lo sanno loro.
Giovannetto si morsica il labbro, frustato.
«Non è la mia cotta!»
Quegli sguardi dolci e i sorrisetti imbranati e la complicità instauratasi subito testimoniano un'altra historia. «Ci credo.»
Un pugno lo colpisce sul braccio. «Dico davvero!»
Sì, sì, qua Piccardo pronostica fiori d'arancio nello tempo venturo.
«Lo zio e Sorella Chiara s'intendono nello spirito come noi e non sono sposati! Lei l'è sposata a Gesù e lui a Madonna Povertade!»
È inutile che si scaldi, Piccardo non muta il su' pensiero.
«Ma sono innamorati.»
«Non nel senso della gente sposata!»
Sono arrivati. Oltrepassano un vecchio cancello, procedono lungo il fianco in mattoni d'un caseggiato, vasi di piantine striminzite sfibrate dalla brina, raggiungendo un cortile interno, una corte. Un nevischio gelido, sotto un colonnato, muore in ricordi coagulati. Attraversano la corte, trasalendo a un cane spelacchiato abbaiante nella loro direzione, sonnecchiante da guardia davanti alla porta.
S'apre. Nel ritaglio di luce il profilo dell'homo si staglia sull'uscio.
«Padroncini?» Omobono, il responsabile della filanda, il supervisore, non nasconde la sua sorpresa. «Che ce fate qua a quest'ora?»
Piccardo si scherma gli occhi con la mano. Il grassoccio supervisore è cinconfuso dalla luce retrostante. «Vedere Masino.»
«Sta a lavora'.»
«Lo sappiamo.» interviene Giovannetto. «Ma l'è 'importante!»
Con lo zio tutto si riveste d'importanza vitale, significativa.
Omobono non può opporsi alla volontà dei figlioli del padrone.
«Attente muje.» li avverte. Attenti bambini. Nella parlata assisiana i plurali maschili si convertono in e finale. «La neve se smugne qua attorno.»
Che si sciolga in prossimità della porta lo scorgono facilmente anche loro, grazie.
Entrando, l'eco delle campane di San Rufino si attenua, disperdendosi per le praterie della valle e sulle pendici innevate del Subasio. È sceso 'l buio tra le viuzze d'Assisi, ma non tutti gli abitanti possono raccogliersi in pace per la preghiera di compieta.
Nella filanda, situata nella parte centrale della città, l'attività s'è intensificata, svelta e frenetica: grosse matasse di lana grezza ingombrano ancora i banchi e, prima di tornarsene a casa, le addette alla cardatura e le filatrici, donnine ricurve dalla vista scarsa, devono pulirle bene dalle impurità che ne impacciano e lordano le fibre.
Lo scantinato è attraversato in tutta la sua lunghezza da tavolate di pino grezzo ingombre di stoffe affiancate a grossi telai. Non vi sono finestre o sfiatatoi ad arieggiare l'ambiente, quanto una congerie di fumose candele di sego. Dalle pareti due ordini di fiaccole spandono sulle facce delle lavoranti una luce stenta e giallognola di malaugurio. Con il calare della sera il freddo è aumentato e le donne battono di continuo gli zoccoli di scorza d'albero sul pavimento per scaldare i piedi intirizziti, ritmanti con lo sbatacchiare dei telai e le percussioni della cardatura.
Papà ha donato loro delle calze pesanti, in lana, e Omobono è un sorvegliante accorto e umano, sensibile e disponibile verso le necessità altrui, comprensivo delle indisposizioni. I racconti di quelli lavoranti sotto il nonno sono agghiaccianti. Orari assurdi, sgobbanti dall'alba al tramonto, senza godere d'un filo di sole.
Papà, soprattutto dopo il riavvicinamento allo zio, ha totalmente virato rotta.
La stanza è calla. Nell'ampio focolare centrale spiccano accatastati grossi ciocchi di betulla e di quercia, le fiammelle scintillanti e tremolanti.
Masino, dotato di mani piccole e agili, sbroglia i nodi da un garbuglio di fibre, uno sgabello e una confusione di grovigli variopinti il suo reame, in fondo, addossato alla parete echeggiante di spifferi e crepe. Il ciuffo nero e scarmigliato gli dondola sulla fronte, rubandogli la visuale. Se lo scansa infastidito, tirando e sciogliendo.
«Masino!» l'appella vittorioso Giovannetto, correndo ad abbracciarlo.
Le matasse cadono nell'oblio, dimenticate a terra, sui piedi avvolti in calzari usurati.
Piccardo li raggiunge con più calma, benché la curiosità lo divori.
«Oggi non c'hai detto se verrai.»
Masino l'è spaesato. «Dove?»
Come dove? Ma ha sentito, era lì presente! «A Greccio per la sorpresa de mi' zio.»
«Nostro zio!» rivendica Giovannetto, 'mbronciato.
Il loro amico resiste poco. Scosso dai tremiti, le spalle sussultanti, Masino si sforma in un pianto disperato. «Nun possu!»
C-Come? Perché?
«La mi' mamma ha sgravatu da poco, c'avete presente no?»
Eccome! Papà s'è congratulo col Crispino l'altro iorno. Una robusta bambina in salute, una mammola carina, i capelli fini e setosi sulla nuca glabra. Arianna, l'hanno battezzata e registrata negli archivi comunali.
«Sì.» assente Piccardo, esortandolo tacitamente a continuare.
«E non se sta risanando 'nco'! La levatrice dice che ce vole tempu, ma c'ha la febbre e respira male! Papà lavora, deve portà alla domu nostra il pane, mi' zia c'aiuta con Arianna, cucina e riassetta, ma se m'assento poi chi bada a mamma?»
Non sarebbe per tanto! Greccio non è a uno sputo, vero, però... però stanno accampando scuse egoiste. Quello di Masino è 'n problema serio. Si pittura la sua mamma riversa a letto in cattive condizioni, il respiro smorzato, il polso paurosamente accellerato, il corpo gonfio e tumefatto, cadaverico.
«Volete farla visitare da un medico? Un cerusico?»
«Affermativo!»
«Perché non provi a chiedere aiuto al mi' papà?» Ha chiuso con i prestiti e l'usura del nonno, dissanguamento da strozzini lo chiama, ma Piccardo nutre la certezza che, se Crispino glielo domandasse, Angelo si prodigherebbe con gli adeguati sostegni.
Masino sgrana gli occhi. «No! Non scomoderemmo ma 'l signore!»
«Ma vi fornirebbe una mano senza esigere un rimborso!»
«No, no e poi no! Giammai!»
Giovannetto n'è leggermente piccato. «Dubiti dell'influenza del papà?»
«No! Certo che no!» Masino rimedia prima di venire frainteso. «Ma 'l medico l'è dispendiosu! Anca pe' voi!» Sospira abbattuto. «'Ndate voi dal Cesco, poi me riferirete la sorpresa. La mi' mamma l'ha bisogno de me. Dall'antru munnu in 'è tornatu mai niciunu. Nun la voglio perdere, l'è la mi' sola mamma.»
Ma non è giusto! Non è giusto che 'l Masino debba temere l'intervento del papà, che la sua mamma debba soffrire e che entrambi debbano perdersi la sorpresa. Piccardo grugnisce frustato, pestando il pavimento. Forzare Masino gli sembrerebbe come obbligarlo, sia a venire sia a rivolgersi al papà.
Gli amici non forzano.
Guarda Giovannetto, rattristato e turbato quanto lui. Che fare?
Vorrebbe tanto aiutare Masino, ma di che mezzi dispone?
Il pensiero lo folgora e si maledice mentalmente per non avere collegato prima.
Estrae il fiorino d'oro dal mantello, abbagliante como una goccia di sole. Masino, che non ne ha mai visto uno, n'è sbalordito. Giovannetto imita il fratello, le sue intenzioni chiare e definite. Li porgono a un esterrefatto Masino.
«Potrete pagare il medico...» comincia il maggiore.
«... e liberarti per venire insieme a noi!» conclude il minore.
Masino farfuglia qualcosa di vagamente simile a un ringraziamento prima di soffocarli in un abbraccio caloroso, salato di lacrime commosse.
«Ce pago venti medici co' questi! Dio ve bedeneca!»
Benedetto si scompone in bedenetto, giusto, come cerqua per quercia. Ragioni? Non chiedetele a Piccardo. Il dialetto assisano è particolare.
Cosa mai può fare un bimbo?
Non detiene ancora la risposta. Intanto, in un gesto che renderebbe orgoglioso il suo zio santo di paese, può devolvere il suo piccolo tesoro per una giusta causa.
A Natale, in fondo, sono tutti più buoni.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top