Capitolo 8

Fui finalmente a casa quando ormai era così buio da non riuscire a distinguere qualcosa oltre al mio naso. Scesa dal catorcio di Raul cercai di mettermi in piedi appoggiandomi alla portiera, mentre dietro di me Emma teneva il suo sguardo attento sul mio fondoschiena, come se cercasse qualcosa. La guardai sottecchi, mentre lei continuava imperterrita nella sua strana ricerca non accorgendosi che la stava osservando dubbiosa. Provai a voltare il capo per capire cosa la stesse prendendo così tanto, quando però il collo cominciò a farmi male, capì che avrei visto semplicemente il gesso bianco come me lo avevano messo, forse sporco di qualcosa a cui non volevo affatto pensare in quel momento.

"Quando hai finito di guardarmi il fondoschiena dimmelo.", esclamai allora, sapendo il colore rossiccio che ormai il suo volto doveva aver assunto alla mia affermazione.

"Non ti stavo guardando il sedere!- si difese lei- Non si vede nemmeno con la felpa nera che te lo copre!"

"Cosa stai guardando allora?"

"Io? Mmm..Nulla!", fiutai la bugia che aveva appena detto, ma lasciai correre perchè l'unica cosa che volevo fare in quel momento era andarmene a dormire senza neanche togliere l'unica scarpa che mi era rimasta da levare.

Ci augurammo la buonanotte davanti alla porta di casa mia e poco dopo la macchina di Raul abbandonò il giardino con il suo inconfondibile sbuffo da macchina scassata, a cui mancavano pochi metri prima della definitiva rottamazione.

Ero rimasta sola. Guardai l'altalena immobile, nonostante ci fosse un leggero venticello che mi portava dolcemente i capelli sul viso. Fui pervasa dal ricordo di poco più di ventiquattro ore prima, quando avevo lasciato l'unico ricordo tangibile di Apollo volare via in una notte che solo in quel momento mi ero resa conto aveva assunto una piega del tutto inaspettata, la quale mi aveva in così poco cambiata. Se fino alla sera infatti prima ero convinta che un bacio fosse semplicemente un gesto che non sempre esprimeva l'amore, ora ero sicura del contrario. Come si può dare un bacio ad una persona solo perchè presi dall'euforia di una festa o dall'alcool nel corpo? Come si può dare un bacio solo per divertimento, senza provare quel sentimento che pensi che descrivano solo nelle canzoni sdolcinate, ma che mi ero resa conto esista anche nella realtà? Non lo si può negare e io non potevo farlo, non dopo averlo provato per davvero solo la notte precedente.

Può davvero una notte cambiare completamente una persona, tanto da arrivare a fargli perdere le proprie convinzioni che fin lì credeva fossero degli assiomi immutabili? Se mi avessero chiesto solo un anno fa cosa per me significava un bacio, avrei risposto che era solo un gesto che la gente elogia fin troppo, nonostante la sua semplicità. Tuttavia un bacio al sapore di fragole mi aveva fatto capire che non ne volevo più di fugaci dati per gioco o per noia del momento, volevo che tutti i miei baci fossero come quello di quella sera: pieni di quei sentimenti sdolcinati, che fino a quel giorno non ero cosciente volessi cominciare a provare per davvero.

La luce del portico di casa mia si accese e mia madre accorse in giardino con un sorriso fin troppo ampio per una madre che solo qualche ora prima aveva scoperto la figlia fare un festino leggermente alcolico a casa sua. Provai a muovere la carrozzina verso il portico, ma il terreno ciottolato mi impediva di muoverla anche di un solo centimetro, così fui costretta a farmi portare da mia madre in casa.

"Com'è andata in pizzeria?", chiese mia madre, ma dal tono assente capì che non era realmente interessata alla mia risposta.

"Tutto bene.", dissi quindi senza accennare minimamente al fatto che ci avevano cacciati dal ristorante, di cui vorrei sottolineare mia madre conosceva il proprietario. Stavo solo rallentando i tempi, non ero sicuramente in vena di un'altra ramanzina, era ancora pur sempre il mio compleanno e volevo festeggiare queste ultime ore nel mio letto a dormire abbracciata al mio cuscino.

Quando arrivammo alle scale che portavano al piano superiore, dove mi stava aspettando il mio letto morbido e pieno di cuscini altrettanto morbidi, mia madre tirò dritto verso il soggiorno senza dare alcuna spiegazione.

"Mamma la mia camera è di sopra!", le dissi quindi cercando di farle capire il mio bisogno di un sonno ristoratore.

"Lo so!", rispose lei semplicemente. Stavo per ribattere che avevo già cenato e papà non si sarebbe offeso se lo avessi salutato il giorno successivo, ma la vista del soggiorno al buio mi incuriosì e non poco. Il mio soggiorno era quella parte della casa in cui le luci rimenevano accese anche durante la notte, poiché c'era sempre qualcuno all'interno a lavorare o a studiare.

Mi posizionò davanti alla porta del soggiorno ed entrò, accendendo in seguito la luce.

"AUGURI!"

Il soggiorno era pieno di tutti i miei familiari, dai miei nonni che ancora mi erano rimasti, ai miei cuginetti di solo qualche mese, i quali giocavano con alcuni palloncini Lilla che andavano a ricoprire tutto il soggiorno. Vedere tutte quelle persone lì solo per me, nonostante quello che avessi combinato, che ero sicura fosse arrivato alle orecchie indiscrete di tutte le mie zie pettegole, mi fece commuovere come era da anni che non mi capitava, quando ancora c'erano due torte una rigorosamete gialla e l'altra lilla, anziché una sul tavolo trasparente dell'ampio soggiorno.

Uno scoppio sonoro mi spaventò e fece sì che nessuno si accorgesse di questo mio lato troppo tenero che stavo mostrando fin troppo dall'altra sera. Mio cugino Marco guardò un punto fisso alle mie spalle ,in imbarazzo con un tubo sparacoriandoli in mano, mentre questi ultimi scendevano lentamente sopra di lui.

"Doveva scoppiare prima.", disse a disagio come non l'avevo mai visto nel silenzio generale, mentre tutti gli occhi si erano andati a puntare su di lui.

"LA NEVE!", urlò semplicemente il mio cuginetto di tre anni, saltando felice vicino a Marco, il quale subito si liberò in una risata liberatoria come tutti i presenti.

Gli andai incontro con la carrozzina e lui si abbassò al mio livello d'altezza, abbracciandoci intensamente.

"Torno e ti ritrovo con una gamba rotta! Da te mi aspettavo di peggio, cuginetta!", disse grattandomi dolcemente la testa come faceva sempre.

"Ma tu non dovevi tornare la settimana prossima?"

"E perdermi il diciottesimo della mia cuginetta preferita? Nah"

"Scemo!", gli dissi semplicemente dandogli un pugno innocente sul petto.

"Artemide Leoni, questo lo prendo come un affronto alla mia personalità, lo rammenti bene per il futuro signorina." , esclamò fingendosi sorpreso con una mano portata al petto teatralmente.

*Marco* era più un fratello che un cugino: era cresciuto assieme a me e ad Apollo fin da piccoli, anche grazie alle nostre nascite distanti solo di qualche mese. Lui era nato a Dicembre dell'anno prima, quindi non perdeva occasione a rinfacciarci di essere più grande quando nella realtà erano solo quasi tre i mesi e mezzo che ci distanziavano. Non lo vedevo dalla fine dell'estate scorsa, poche settimane dopo la morte di Apollo, quando lui era partito per fare un semestre e tre mesi in Inghilterra, dove si sperava avesse finalmente appreso qualche parola d'inglese. Il suo livello alla partenza era sicuramente da prima elementare, non sapendo nemmeno esprimere il suo nome. Non era cambiato molto in quei mesi: i capelli lisci corvini erano sempre in disordine, nonostante sapessi avesse provato a pettinarli prima di venire; gli occhi azzurri, uguali a quelli di quasi tutti i componenti della famiglia Leoni, mi scrutavano con la stessa allegria energia di sempre, mentre un sorriso smagliannte e birichino si allargò sul suo viso tondo e olivastro.

Non posso mentire sul fatto che la sua figura di secondo fratello mi era mancata nel momento in cui ne avevo più bisogno, quando in solo due mesi avevo perso due fratelli: uno per sempre, l'altro l'avevo finalmente a distanza di tempo ritrovato.

"Allora English man, com'è questa fantomatica Inghilterra?"

"Fredda, piovosa ma soprattutto fredda! Non sai quanto era caldo il venticello fresco dell'aeroporto!"

Stavo per chiedergli una di quelle mille domande che avevo programmato da mesi per quando sarebbe tornato, ma mia madre sbucò improvvisamente dietro di me trascinandomi con la carrozzina al lungo tavolo pieno di regali allestito su un lato del nostro soggiorno.

"Mamma, potevi avvertire!", le dissi silenziosamente così che sentisse solo lei, sorridendo a tutti gli invitati che mi guardavano impazienti che scartassi il loro regalo.

Non rispose ma andò verso la cucina a prendere chissà cosa, lasciandomi in mezzo al soggiorno circondata da tutti i miei parenti in attesa che facessi qualcosa. Dire che ero imbarazzata è dire poco: non avevo la più pallida di cosa fare mentre ormai le mie prozie per cui provavo tanta simpatia cominciavano a parlare fra di loro. *Marco* era in fondo alla sala che se la ghignava divertito, senza che gli venisse la grandiosa idea di venire lì ad intrattenere il pubblico di familiari in fermento per la mia prossima mossa.

Grazie agli Dei mia madre tornò poco dopo con un regalo dalla scatola piuttosto grande che era rivestita da della carta bianca con un gran bel fiocco lilla.

"Da mamma e papà, spero ti piaccia.", disse con un ampio sorriso appoggiando la grande scatola sulle mie gambe.

Le sorrisi, ringraziandola semplicemente con lo sguardo. Mio padre, in disparte in fondo alla sala, alzò il suo calice colmo di champagne e ne bevve un sorso. Sorrisi anche a lui prima di slacciare il fiocco lilla dal pacco.

Aprì la scatola e quando guardai al suo interno non potevo credere ai miei occhi.

"NON CI CREDO!", urlai semplicemente di gioia guardando prima verso mia madre poi verso mio padre, i quali annuirono fieri del loro regalo.

Un cucciolo di cane dal pelo color panna e due occhi grandi come delle palline da ping pong color miele mi scrutava curioso e allo stesso tempo impaurito, mentre le mie zie cercavano di farsi crescere il collo come quello di una giraffa, solo per la curiosità di sapere cosa ci fosse in quel pacco color lilla.

Lo presi delicatamente dalla scatola e me lo portai all'altezza del viso. Il piccolo mi guardò e giurai di aver visto un piccolo sorriso spuntargli sul musetto color panna. Cominciò ad abbaiare e prese a leccarmi il viso con la sua lingua ruvida ma bagnata,che mi fece il solletico e ridere non so se per l'entusiasmo del momento o per l'euforia. Un coro generale di apprezzamenti per il cucciolo spaventarono quest'ultimo, facendolo dimenarsi tra le mie braccia. Lo accarezzai dolcemente cercando di calmarlo, mentre i miei cuginetti più piccoli erano già accorsi verso di me cercando di vederlo da più vicino. Ai loro occhi il piccolo batuffolo di pelo era come un bel peluche vivente pronto per il loro prossimo gioco in cui solitamente i peluche non facevano propriamente una bella fine. Dovevo salvare quell'innocente creatura dai loro piani malefici.

"Come lo vuoi chiamare?", chiese con occhi grandi e dolci il mio cuginetto.

"Non lo so ancora.", dissi mentre l'altra mia cuginetta si era avvicinata troppo vicino al mio cagnolino.

"Nuvola! Chiamalo Nuvola!!", disse uno dei nanetti saltellando eccitato come non mai.

Fermo restando che chiamare un cane Nuvola per me era più che fuori questione, non potevo accettare che quelle piccole creaturine all'apparenza innocenti stessero cercando di distrarmi con il nome del mio nuovissimo cucciolo di cane. Come se non avessi saputo che mentre il piccolo marmocchio mi distraeva con un insulso nome da dare al mio cane, non ci fosse dietro di me l'altra piccola nana pronta a prendere il cucciolo di cane e portarlo chissà dove a fare chissà quale gioco malefico da piccoli marmocchi.

Mi voltai e capì subito che diventare maggiorenni significava anche cominciare a soffrire di patologie e dolori così sconosciuti ai giovani fino all'ultimo giorno del loro diciottesimo compleanno; perchè se così non fosse stato non riuscivo proprio a capire come il mio collo potesse farmi così male dopo essermi voltata delicatamente nella direzione della nana. Va bene, forse non mi ero proprio voltata delicatamente, cogliendo sul fatto la mia cuginetta con le mani nel grande pacco a regalo, ma fatto sta che, seppur ormai adulta, fossi troppo giovane per provare simili dolori. La bambina si voltò e scagliò contro di me la sua arma migliore, quella che tutti i bambini sono addestrati fin dalla nascita ad usare per ottenere ciò che più bramano: gli occhioni da cuccioli indifesi. Ma se pensava che fossero abbastanza per lasciarle prendere il mio nuovo cane, si sbagliava di grosso.

"Guarda c'è un ragno gigante sopra la tua spalla!", dichiarai convinta e con espressione spaventata.

I suoi occhi mutarono così in fretta che mi pentì in un primo momento nel vedere il terrore pervaderle il volto, ma quando cominciò a correre verso il giardino seguita a ruota dall'altro marmocchio, mi convinsi di averlo fatto per una nobile causa.

Stavo per prendere il mio cucciolo e mettergli il guinzaglio per andare a fare la prima passeggiata assieme, quando qualcuno dietro mi spinse con la carrozzina davanti al grande tavolo bianco posto al centro del soggiorno, ricordandomi che la festa purtroppo non era ancora terminata. Sorrisi, non guardando i miei parenti, ma la piccola scatola color lilla che sapevo nascondesse al suo interno una piccola palla di pelo pronta a venire in passeggiata con me. Guardai anche verso mio cugino, il quale piano piano, passo dopo passo si stava avvicinando verso di me, cercando in tutti i modi di apparire nella foto che di lì a poco mi avrebbero fatto con la torta. Le luci si spensero e dalla porta entrò una torta a due strati, che veniva delineata parzialmente dalla luce fioca delle diciotto candeline messe sopra. Mia madre mi si sorrise sincera, mentre posizionava la torta dinanzi a me e cantava insieme a tutti gli invitati la solita canzone di tanti auguri. Le sorrisi di rimando e la guardai negli occhi, gli stessi che era da tempo che non riuscivo a guardare perchè troppo uguali a quelli di Apollo: azzurricome il mare cristallino.

Qualcuno accese le luci, ma io non distolsi lo sguardo, almeno finché qualcun'altro accanto a me, che ero sicura essere mio cugino, non si avvicinò così tanto da essere praticamente appiccicato a me.

"Se vuoi entrare nella foto basta chiedere."

"Lo sai che odio farmi riprendere, a cosa alludi?", disse posizionadosi in posa e sfoggiando un sorriso a trentadue denti diretto alla fotocamera, che mio padre stava usando per scattare foto da più di qualche minuto.

"Certo!", dissi sarcastica, alzandomi dalla carrozzina molto elegantemente cercando di appoggiarmi con le mani al tavolo.

"Esprimi un desiderio!", urlò mia madre, mentre mio padre stava filmando tutto.

Mi concentrati, pensando alla cosa che volessi di più al mondo e soffiai sulle candeline, spegnendole tutte in un solo colpo. Un coro di applausi si levò da tutti i presenti, i quali pochi secondi dopo tornarono a chiaccherare sui loro discorsi che la mia torta aveva bruscamente interrotto.

"Quindi i polmoni non si sono rotti durante la caduta?", mi chiese sarcastico Marco vicino a me, venendo subito dopo spinto di lato dalla sottoscritta. Teatralmente si buttò quasi a terra e si toccò il punto in cui lo avevo colpito con un sorriso del tutto colpevole, il quale però scomparve in pochi secondi alla vista di qualcosa. Come Emma teneva lo sguardo fisso su un punto che io non potevo vedere della mia coscia, fermo e serio come non lo era quasi mai. La cosa stava cominciando a preoccuparmi.

"Si può sapere che cos'ho sulla gamba?", sbottai così infine.

"Vieni con me, andiamo in giardino che è meglio!", disse e non appena mi sedetti sulla carrozzina mi accompagnò sul retro della casa dove c'era il giardino, non prima però di avermi fatto prendere il mio cane a cui dovevo ancora dare un nome.

Arrivammo davanti alle altalene e si sedette su una di loro, lasciandomi con la carrozzina davanti a lui.

Il piccolo cucciolo sulle mie gambe cominciò a scodinzolare felice, mentre il suo pelo aveva una particolare sfumatura bionda al chiaro di luna, una sfumatura che mi ricordava troppo lui. Non poteva essere una coincidenza. Le coincidenze sono un qualcosa che gli uomini si sono inventati per dare spiegazioni illogiche agli eventi, solo per illudersi che esse siano come vogliono loro.

"Apollo!"- dissi convinta, mentre Marco mi squadrò dubbioso alla mia affermazione così causale e apparentemente senza senso- Il cane, lo voglio chiamare Apollo!", precisai infine.

Il suo sguardo si fece serio, mentre il piccolo Apollo cominciò a dimenarsi così tanto tra le mia braccia che lo dovetti lasciar libero di correre per il giardino, il che implicava la non poi così remota possibilità di cadere tra le braccia di due piccoli marmocchi. Vederlo però correre felicemente intorno ai piccoli alberi del giardino e all'altalena mi fece dimenticare i loro piani malefici.

"Ne sei sicura? Insomma tra tutti i nomi proprio il suo gli vuoi dare?", mi chiese con una nota malinconica, segno che non aveva ancora superato del tutto la sua morte. Come poteva d'altronde dimenticare per andare avanti, quando con lui aveva condiviso tutta la sua infanzia e adolescenza, quando erano così legati che si sarebbe detto che fossero loro i gemelli, non io e Apollo. Erano così legati che alla sua morte, *Marco* si decise finalmente a cambiare, a lasciarsi indietro tutta la sua vita e tutti i suoi amici censurati fin dai quattordici anni, andando a studiare la materia che odiava più al mondo per quasi un anno, completamente solo.

"Sono sicura! Guardalo! È pieno di vita, come lo era lui. Il suo pelo è così biondo alla luce lunare, come i suoi capelli. Non può essere una coincidenza!"

"Apollo!", lo chiamai e il piccolo batuffolo di pelo si girò al mio richiamo, venendomi incontro con un colpo di coda. Sorridemmo entrambi alla vista di quella creatura che stava provando ad entrambi che voleva essere chiamato Apollo, in ricordo di una persona fantastica morta nel fiore dei suoi anni.

"Apollo!". lo chiamò allargando le braccia *Marco*, e subito il cagnolino gli corse incontro leccandogli tutto il viso fugacemente e senza sosta

*Marco* era disgustato dalla lingua del cane sulla sua faccia, lo si vedeva dalla smorfia infastidita che aveva stampata in viso.

"Ok, sei carino e tutto ma per favore smettila di leccarmi la faccia! Va da lei!- esclamò indicandomi- È lei la tua padrona, non io!".

Da brava cugina quale sono, non lo chiamai a me ma mi godetti lo spettacolo ridendo di gusto.

"Artemide! Ti prego! Toglilo dalla mia faccia!"

"Perché dovrei? In fondo vi state solo divertendo!"

"VI? Veramente? A me sembra che si stia divertendo solo lui!", disse cercando di non ingerire qualche pelo canino

"Ti conosco, ti stai divertendo."

"Se non lo chiami non ti dirò cosa c'è sul tuo gesso!"

Le mie risate cessarono alle sue parole, il vento si placò e Apollo che leccava la faccia di uno schifato Marco non era poi più così divertente.

Quindi non mi ero immaginata le occhiate di Emma sulla mia coscia, lei stava guardando qualcosa di particolare che il mio gesso aveva e che in qualche modo la bloccava nel dirmi cosa fosse.

Cosa c'era scritto sul mio gesso? Non ne avevo la più pallida idea, ma non era Emma l'unica dotata di occhi per vederlo e stavo per scoprire perchè non me lo avesse detto.

"Apollo!", richiamai e con mio grande stupore il mio cane smise immediatamente di leccare il viso di mio cugino, scondinzolando con aria felice del suo lavoro appena consluso verso di me.

"Grazie agli dei! Quel cane mi odia!", esclamò indignato puntando un dito verso Apollo, il quale era venuto a sedersi diligentemente vicino alla mia carrozzina, ringhiando contro Marco alla sua affermazione così insensata. Lo amava era ovvio a chiunque.

"Lo sappiamo tutti che ti ama.- liquidai in fretta la questione- Ora mi diresti gentilmente che cos'ha il mio gesso che non va? Perché anche Emma sono sicura abbia notato questa cosa strana che io non posso vedere perchè... non so, ho il collo corto?", esplosi infine mentre vidi lo sguardo di mio cugino assente, forse assorto in qualche pensiero astratto con cui non volevo avere niente a che fare.

"Ho il collo corto?"
"Anche Emma l'ha notato?"

Chiedemmo all'unisono, mentre Apollo piegò la testa di lato come a sentenziare che non ci capiva affatto. Come dargli torto d'altronde.

"No che non hai il collo corto!- disse con un'espressione che cercava di immaginarsi un collo veramente corto- Almeno non ho mai fatto caso alla lunghezza del collo di una persona. Perché stiamo parlando della lunghezza del collo delle persone quando ti dovrei dire cos'hai scritto sulla coscia?! Direi più vicino alla chiappa comunque.

"Quindi è una scritta, non è una macchia di ciclo. Dannazione, dimmi cosa diavolo c'è scritto sulla mia coscia o chiappa o Apollo viene a darti un'altra lavata!"

"Ok, ok, ma dopo mi devi assolutamente spiegare! Capito?"

"Se sapessi di che parli te lo spiegherei.", risposi infine diretta come un coltello che taglia un filo da cui dipende la vita di molte persone.

Prese il telefono dalla tasca del suo giubbotto e mi chiese di alzarmi. Andai ad aggrapparmi all'albero più vicino per tenermi in piedi, mentre *Marco* faceva una foto di quella che mi era chiaro essere più una chiappa che una coscia. Mi chiesi quale persona malata di mente scriva sulle chiappe gessate dei pazienti sotto anestesia, mentre le immagini di tutte le opzioni più disastrose possibili su cosa potesse esserci scritto scorrevano veloci nella mia mente.

Mi porse il telefono con la foto del mio gesso su cui c'era un'unica frase, scritta con un pennarello nero indelebile probabilmente di tutta fretta in una grafia così piccola e disordinata da essere quasi illeggibile.

                                                               

                                                              Può una notte durare per sempre?

                                                                  Vorrei poterti rispondere di sì

                                                                       Il ragazzo dell'accendino


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