Capitolo 26

"Papà davvero voglio andare con il bus fino a casa! Non insistere. Ci riesco, devo solo capire come muovermi ma voglio finalmente prendere i trasporti."

Nell'atrio dell'ospedale cercavo il modo migliore per convincere mio padre a lasciarmi andare a casa da sola con le stampelle. Le mie gambe, senza più quell'orribile gesso che stava cominciando ad assumere tonalità grigiastre più che bianche, erano avvolte da due tutori blu. Il medico mi aveva detto che sarebbe stato meglio andare ancora per un po' di settimane con la carrozzina, ma io decisi di lasciarla in ospedale, come un brutto ricordo si butta nella spazzatura. Mi impuntai e decisi che fin da subito avrei usato le stampelle. Ero stata così testarda che il dottore si era arreso, raccomandandomi la massima prudenza se non volevo vederlo di nuovo di lì a pochi giorni. Mi obbligò inoltre ad alternare la gambe portante dalla non. Essendo che entrambe avevano bisogno di riposo e per usare le stampelle almeno una delle due avrebbe dovuto fare da appoggio, mi disse che avrei dovuto fare a turni. Lo promisi, anche perchè, per quanto fosse abbastanza simpatico, vedere il suo viso significava solo una cosa: carrozzina. Avevo passato fin troppo tempo bloccata su quel pezzo di metallo, era arrivato il momento di potermi muovere liberamente.

Mio padre però voleva che almeno per quella giornata tornassi a casa a riposare, dicendo come nel giro di pochi giorni se non l'avessi ascoltato mi avrebbe trovata stesa sul divano. Aveva ragione, ne ero consapevole, ma come facevo a spiegargli che c'era un ragazzo che aveva deciso di passare il resto della serata con me e che mi stava aspettando proprio fuori dall'ospedale.

Non potevo.

"Davvero, voglio solo assaporare la libertà che mi è stata tolta dalla carrozzina e prendere il bus è la prima mossa. Prometto che prendo il primo bus.", mentii infine per lasciarmi andare.

"E va bene! Se tra due ore non sei a casa ti vengo a prendere però!", sancii e capii che la serata con Alessandro avrebbe avuto le ore contate.

"Va bene.", lo salutai con un bacio sulla guancia e poi dissi che dovevo andare in bagno. Rimasi all'entrata fino a che non vidi la macchina di mio padre andarsene, per poi uscire dall'ospedale a passo lento e con la gamba destra un po' dolorante che sosteneva tutto il peso del mio corpo.

Non appena le porti scorrevoli si aprirono lo vidi lì nel parcheggio con un sorriso smagliante e un piccolo mazzo di fiori in mano. Ci distanziavano solo alcuni scalini, che mi resi conto essere troppo difficili da fare per me. Mi venne incontro, dicendo di dargli le stampelle e appoggiarsi a lui. Feci come mi disse e poi mi prese sulle spalle come un papà porta un figlio, portandomi giù dagli scalini. Quel gesto era così intimo e romantico allo stesso tempo che la mia mente reagì con un sorriso che non sarei riuscita a togliere dal mio viso per nulla al mondo.

"Signorina la voglio solo avvisare che il volo sta per attraversare una burrasca!" Si mise a girare attorno a sè stesso sempre più veloce, per poi fare finta di cadere più e più volte.

"Giuro che se mi fai cadere oggi stesso vedi il medico che mi ha tolto il gesso!", lo minacciai divertita quando stavamo facendo un secondo giro su noi stessi.

Quando anche a lui stava venendo la nausea decise di appoggiarmi su un muretto che dava sul parcheggio dell'ospedale, dove potevo stare seduta comodamente. Si sedette di fianco a me, tenendosi la testa per il giramento di testa.

"Questi sono per te!"

Presi tra le mani il mazzo incartato da una carta gialla canarino e composto da più fiori diversi tra loro. C'erano alcune margherite, alcuni tulipani, un po' di lavanda e alcuni fiori di cui non sapevo il nome. Lo annusai e il suo profumo mi riempii le narici di buono.

"Grazie, non dovevi."

"Volevo."

Sorrisi per la sua sincerità.

Seduti su quel muretto, mentre svariate macchine e ambulanze continuavano ad entrare e uscire dal parcheggio, parlammo come se non ci vedessimo da un anno. Parlammo delle mie gambe ormai libere dal gesso, del ritorno a scuola e anche di come a scuola ci sarebbero stati grandi casini a causa della scelta del preside.

"Io già mi immagino te e i tuoi amici che imbrattate le mura della scuola con della vernice rossa."

"E io invece mi immagino già la faccia del preside dopo che l'avremmo fatto e l'espulsione proprio l'ultimo anno. Non ci vorrebbe."

Alla mia affermazione i suoi occhi si fecero curiosi.

"Che intendi dire?"

"Solo che non ho voglia di perdere l'ultimo anno di scuola dietro ad una faida scolastica che dura da decenni. Non voglio dire che non mi interessi e che il preside abbia ragione, solo che non vorrei rovinarmi la maturità o passare un anno in più a scuola solo per questa cosa. Non ne vale la pena, ho imparato la mia lezione quest'estate."

Non riuscivo a riconoscermi, non erano parole che la me di qualche mese prima avrebbe mai pronunciato. Se il preside avesse fatto un discorso come quello di stamattina la sua macchina sarebbe già stata con le gomme bucate. E invece mi ritrovavo a parlare con un ragazzo del Pascoli del fatto che forse sarebbe stato meglio stare nell'ombra per una volta, lasciare che fosse il tempo a decretare il corso degli eventi.

"E cosa ne pensano i tuoi soci?". Risi per come li aveva chiamati, immaginando noi tre che avevamo chissà quale organizzazione illecita.

"Non gliene ho parlato. Diciamo che Emma stava escogitando mille piani per mandare all'aria il piano del preside, mentre Raul l'ho visto un po' giù oggi. L'unica da convincere a non fare qualche cavolata è Emma, a Raul non è mai interessato più di molto. Gli dispiace solo farci fare brutte esperienze da sole."

Alessandro mi disse che pensava che Emma fosse un pericolo pubblico e aveva paura a farle rivedere il suo amico Lorenzo.

"Diciamo che dopo quell'incontro l'ho visto un po' scosso, nervoso."

"Lo sarei stata anche io. Nessuno ha mai tagliato a metà una litigata con Emma."

"Ok non lo porterò mai in giro con il tuo gruppo."

Poi mi chiese se avevo più indagato sul ragazzo che portava i fiori sulla tomba di mio fratello.

Negai.

Non ci avevo più pensato, dopo aver scoperto quale segreto mio fratello aveva nascosto per tutta la sua vita. Era stato un brutto colpo da incassare, come se avessi creduto per tutta la vita che il mondo fosse piatto e di punto in bianco arrivasse qualcuno che dimostra che in realtà è rotondo. Volevo andare a fondo della questione, ma avrebbe significato parlarne con i miei genitori, forse distruggere anche il loro piccolo mondo di certezze. Era un qualcosa che avrei dovuto affrontare con calma, e tra il pensiero della scuola e del gesso non avevo avuto la giusta concentrazione per pensarci, o meglio dire per affrontarlo.

Nel vedermi cambiare umore, Alessandro fece una cosa che mi colse alla sprovvista: mi prese una mano e mi guardò intensamente negli occhi. Il mio cuore cominciò a battere più forte del normale, mentre tutto il mio corpo provava a non tremare per il mix di emozioni che stavo provando.

"Ti ricordi cos'è successo qua quella notte?", chiese indicando il balcone che dava sul parcheggio. Era così diverso dall'unica notte in cui ero salita con Alessandro. Quella notte era deserto, illuminato solo da alcuni lampioni a luce fioca che davano al luogo un'atmosfera quasi tetra. In quel momento invece era pieno di persone: pazienti che prendevano la loro unica boccata d'aria della giornata, parenti che si fumavano una sigaretta per alleggerire la tensione o medici che si prendevano una pausa dopo chissà quale turno di ore.

Annuii perchè in quel momento non sarei mai riuscita a dire anche una sola frase di senso compiuto.

"Me la ricordo ancora: tu che eri nera per tutto il casino successo e io che volevo solo vedere un sorriso sincero nascere sulle tue labbra. Non mi pento di quello che è successo sul balcone...anzi. Solo che, vedendo come stanno andando fra di noi le cose cambierei il corso degli eventi. Mi farei vivo dopo l'operazione, ti inviterei ad uscire e ti bacerei alla prima occasione. Scusa se sono sembrato il ragazzo che ti ha rubato un bacio per gioco, non volevo."

Con un gesto istintivo gli accarezzai una guancia fredda al contatto caldo della mia mano. Capii subito che il gesto gli piacque, perchè chiuse gli occhi e strofinò lentamente la sua guancia sulla mia mano come un gattino indifeso. Poi gli presi il viso con entrambe le mani e lo guardai negli occhi. Posai il mio sguardo sulle sue labbra rosee e avvicinai la mia bocca alla sua. Un contatto leggero con quelle labbra così morbide, che si scontravano perfettamente con le mie. All'inizio lui rimase immobile, come se quel gesto non se lo aspettasse, per poi togliere le mie mani dal suo volto e prendere il mio con le sue, dando un po' di voracità e passione a quel bacio inizialmente molto casto e puro. Ci staccammo, occhi negli occhi e posai la mia testa sul suo torace, inalando il profumo di pino che aveva messo. Sentii il suo battito cardiaco accelerato e non potei fare altro che sorridere. Alzai lo sguardo sul viso e gli sorrisi.

"Quella sera sei stato un grandissimo stronzo, lo ammetto. Ma non è passato giorno dopo quella notte in cui non abbia pensato a quel bacio, davvero."

I suoi occhi alle mie parole si illuminarono. Mi tirò sù dal suo torace e mi baciò con più passione.

"Insomma l'ospedale porta fortuna per baciarla signorina Leoni."

"Taci, che spero di non tornare più in questo posto per un bel po' di tempo. Però è vero. Ci siamo sempre e solo baciati in questo posto. L'importante è che non accada come l'altra volta..."

"Cioè?"

"L'importante è che non tu non sparisca come hai fatto al nostro primo bacio."

Un sorrisetto malizioso comparve sul suo viso, poi prese una ciocca dei mie capelli e cominciò a giocarci attorcigliandola attorno al suo dito.

"Non penso si libererà facilmente di me Artemide Leoni. Io non ho alcuna intenzione di lasciarla andare."

E così detto mi baciò nuovamente con voracità, come se avesse aspettato quel momento da quando ci eravamo conosciuti ormai mesi prima. Per me in un certo senso era così: da quando lui mi aveva rubato quel bacio al sapore di fragole mesi prima, io non avevo aspettato altro che rubargliene uno a mia volta.

E in quel preciso momento, in un comune lunedì di Settembre, quando la maggior parte dei giovani era in preda al panico per il rientro a scuola, stava accadendo. Io stavo rubando più baci che potevo all'unica persona che avevo desiderato di baciare da quella notte dal sapore di fragole.


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