Capitolo 25

Ultimo primo giorno!

Così sulla via trafficata e piena di euforia per il primo giorno Emma stava digitando sulla sua storia instagram, dove l'unica che sorrideva per quell'evento, a detta sua più unico che raro, era lei. Nella foto Raul aveva in mano un bicchiere pieno di caffè d'asporto e il viso contratto a causa di uno dei tanti sbadigli mattutini. Nonostante tutto era, quello venuto meglio nella foto: non contava che avesse i capelli sparati in aria e il viso assonato, risultava sempre e comunque un modello. Sulla strada trafficata verso la nostra scuola, camminava a passo sicuro, con uno zaino color crema sulle spalle e al suo passare tutte le ragazza, soprattutto quelle più piccole, sbavavano ricordandosi solo dopo quasi essere state investite che non stavano guardando la strada .

Emma invece era allegra, vestita e truccata di tutto punto, come se avesse dovuto presenziare alla sua festa di laurea invece che ad un normale giorno di scuola.

Io nel trio invece ero quella che non si sapeva cosa ci facesse affianco ad un dio assonnato e una dea fissata con il suo aspetto. Ironia voleva però che fossi l'unica ad avere il nome di una dea.

Il tragitto per andare a scuola si snodava per una strada a senso unico che andava verso di essa, affiancata da un marciapiede stretto, in cui al massimo potevano camminare affiancati due persone. Essendo ancora sulla carrozzina dovevo fare la candela dei miei migliori amici: sempre dietro a loro due che camminavano vicini. Inoltre c'era così tanta confusione che alcuni studenti sbuffarono a vedermi intralciare loro la strada. Essendo ancora troppo nel mondo dei sogni per rispondere loro per le rime, li lasciai ai loro lamenti inutili. L'unica cosa che mi consolava di quella giornata era che nel pomeriggio avrei tolto il gesso alle gambe e se ero fortunata potevo cominciare ad utilizzare le stampelle.

Le prime ora passarono con la presentazione dei nuovi professori, alcuni dei quali capì dall'insicurezza con cui si presentarono in classe fossero solo alle prime esperienze. Insomma, con loro sarebbe stato facile copiare e gli sguardi di Emma mi mandarono lo stesso identico messaggio. Alla terza lezione entrò la professoressa di latino e, stranamente da come aveva fatto ogni anno che l'avevo vista entrare nella mia classe, mi guardò e mi sorrise. Ero certa che la mia faccia doveva avere un'espressione giusto un po' confusa.

Ci elencò il programma che avrebbe voluto terminare entro la fine dell'anno e poi cominciò con la propaganda di terrore dell'imminente maturità.

"Ragazzi nove mesi volano.", disse con tono severo, come se giugno fosse il giorno dopo e noi non fossimo sufficientemente pronti.

Poi a metà lezione ci disse che saremmo andati in aula magna, dove il preside avrebbe tenuto il solito discorso di inizio anno. Io ed Emma ci guardammo ed entrambe capimmo che ci saremmo inviate meme a non finire per l'ora successiva.

Per fortuna l'aula magna si trovava allo stesso piano della mia classe, e così non dovetti scomodare nessun bidello sbuffante di dover fare il proprio lavoro per farmi prendere l'ascensore. Tra una risata e l'altra entrammo nell'aula così piena di studenti che a stento la riconobbi. Tutte le sedie erano state occupate e anche tutti i posti sui gradoni che portavano alla parte più alta dell'aula erano già stati presi.

"Da quando in qua le quinte sono così tante?"

I dubbi della mia migliore amica non erano infondati: quello doveva essere un incontro solo per le classi quinte. Tutti gli anni il preside organizzava il discorso inaugurale per annate. Mi ricordavo però che le persone in quarta dell'anno scorso occupassero a stento metà dell'aula.

Certa che ci fosse qualche altra annata mi fermai all'entrata, così come fece tutta la mia classe a causa dell'assenza di posti. Cercai tra la folla il mio migliore amico e quando Emma notò che aveva trovato posto a sedere, gli lanciò un'occhiata che diceva che avrebbe fatto meglio ad alzarsi e a lasciarle il posto. La risposta di Raul fu semplice: una linguaccia che decretava che il posto era e rimaneva suo di diritto.

Indispettita la bionda incrociò le braccia al petto, ma al moro sembrava non fregare molto, tanto che si mise le cuffiette.

Nell'attesa mi misi a guardare la stanza e trovai alcuni compagni di mio fratello che giocavano rumorosamente a chissà quale gioco al telefono. Non potei fare altro che immaginarmi i suoi ricci biondi tra di loro, mentre provava a vincere ad ogni costo, perché sennò avrebbe tenuto il broncio per chissà quanto tempo, proprio come avrebbe fatto un bambino di dieci anni.

In seguito però cominciai ad addentrarmi tra i miei pensieri: chissà se tra quei ragazzi c'era uno che gli piaceva. Mi resi conto che ognuno di loro poteva essere il ragazzo che gli portava i fiordaliso blu sulla sua tomba. Ogni ragazzo presente in quella stanza poteva esserlo e io morivo dalla voglia di sapere chi fosse e perchè non si fosse mai presentata dopo la sua morte. Chissà, forse era una persona che conoscevo e con cui ero stata amica, forse una persona che avrei saputo riconoscere ma a cui non avrei saputo associare un nome, o semplicemente qualcuno a caso che non era nemmeno in quella stanza. Chiunque lui fosse non vedevo l'ora di scoprirlo.

Scorrendo i volti ad una certa fui sicura di aver visto il viso misterioso e triste di Alessandro. Tornai indietro dallo zoom mentale che stavo facendo per essere sicura e fu così che sotto ad un cappuccio grigio c'erano i suoi occhi profondi e scuri. Era così preso a giocare con una matita che non si accorse nemmeno che lo stavo osservando. Mi presi quegli attimi per contemplarlo in tutta la sua tragica bellezza, per poi ricevere uno scossone dalla mia migliore amica.

"Cosa diavolo ci fa Giada qui?", mi chiese con voce irritata all'orecchio. Solo allora mi resi conto che la presenza di Alessandro non fosse una cosa normale.

In quel momento entrò il preside, vestito stranamente sobrio, se così si poteva definire: aveva addosso un blazer color marrone abbinato ad un pantalone in tessuto arancione senza nessuna fantasia. Nessuna fantasia poteva significare una sola cosa: stava per avvenire un discorso importante che avrebbe cambiato le sorti della nostra scuola per sempre.

Andò verso la cattedra vicino all'entrata e prese il microfono per cominciare a fare il suo discorso. Battè più volte sul microfono, fino a che esso non emise un suono che fece in un batter d'occhio ammutolire l'intera stanza.

"Buongiorno ragazzi e bentornati per l'inizio del nuovo anno scolastico! Per voi l'ultimo, uno sicuramente tra i più importanti. Alla fine di esso avrà luogo il primo vero esame della vostra vita: la maturità. Tuttavia, non voglio tediarvi con discorsi che sono sicuro il corpo docenti saprà fare meglio di me. Vorrei invece presentarvi le novità di quest'anno. Come molti di voi avranno notato, quest'aula è un po' troppo piena per racchiudere solo i ragazzi del quinto anno del D'annunzio. Molti degli studenti presenti, infatti, provengono dall'istituto che negli anni tra queste mura è stato definito "il nemico", ma che io voglio inaugurare da quest'anno come "migliore amico": il liceo Pascoli."

Si fermò e diede uno sguardo al pubblico, che l'ascoltava ammutolito dopo aver definito quelli del Pascoli come i nostri migliori amici. Era come se entrambe le parti fossero insieme in quella stanza ad ascoltare lo stesso supplizio, inermi, senza che potessero fare nulla per cambiare il destino delle cose. Quando riportò il microfono verso la sua bocca tutti noi sapevamo che il discorso sarebbe andato solo peggiorando.

"Non mi voglio dilungare troppo, vorrei solo farvi capire l'entità del nuovo progetto che vede come ultimo scopo quello di finire l'assurda faida che nel corso degli anni ha coinvolto i due licei e renderli finalmente partecipi e soci per tante proficue e significative attività. Alcuni di voi hanno già avuto modo di partecipare alle attività di tutoraggio estive, che ha visto coinvolti alcuni studenti di ambedue le parti per una cooperazione, al fine di aiutare gli studenti in difficoltà su alcune materie. E posso dire che è stato un successo, in quanto il 99% degli studenti che vi hanno partecipato hanno superato l'esame di riparazione con pieni voti. Nel corso dell'anno scolastico ci saranno attività didattiche e non che vedranno operativi i due licei. Aggiungo che le gite scolastiche saranno valutate assieme. Quindi spero siate lieti quanto me di dare inizio alla rivoluzione e spero che tutti voi siate partecipi e accogliate con un gran sorriso i vostri nuovi compagni!"

Alla fine del discorso guardò nella direzione di me ed Emma sorridendo. La mia migliore amica lo fissava decisa e piena di rabbia, mentre io mi limitai a guardarlo con delusione. Non riuscivo a capire cosa volesse dimostrare unendo due mondi così diversi tra di loro. Voleva essere ricordato come l'unica persona che era riuscita a conciliare anni di faide e inimicizia? A quale pro?

Non sapevo rispondere, riuscivo però a percepire la rabbia di tutti gli studenti riuniti in quell'aula. Era calata una sorta di incosapevolezza e incredulità, come se ognuno di noi fosse stato messo a forza in qualche strano sogno e di lì a poco ci saremmo svegliati. Più volte mi illusi che fosse vero, ma aprendo gli occhi l'unica cosa che vedevo era la solita aula piena di studenti incavolati già dalle prime ore del primo giorno di scuola. Quelli del D'annunzio stavano già parlottando fra loro, presumibilmente per organizzare qualche marachella da fare quando saremmo stati invitati nel liceo nemico. Quelli del Pascoli avevano più espressioni schifate mentre i loro sguardi si posavano mano mano sugli studenti del mio liceo. Guardando Giada, sembrava che stesse pensando a quale profumo mettersi per togliere il lezzo dopo essere stata per troppo a contatto con noi.

Finito il discorso ognuno si diresse verso le proprie classi e quelli del Pascoli andarono verso la propria scuola posta solo a pochi isolati dalla nostra. Ringraziai il cielo che la mia classe fosse non troppo lontana dall'aula magna, poichè la maggior parte degli sguardi truci di quelli del Pascoli erano rivolti niente poco di meno che verso il trio.

Non mancavano nelle nostre vicinanze commenti come "è colpa di quei venditori illegali di alcool che ora dobbiamo venire in questa topaia e fare amicizia con loro." o "come è possibile che non siano stati espulsi? Me li aspettavo in qualche carcere penitenziario."

Quella mattina era successo fin troppo per finire in qualche rissa o guaio per colpa di qualche persona senza cervello. Non volevo cominciare il mio ultimo anno a dover passare tutti i pomeriggi a pulire l'ufficio del preside, così mi sforzai il più possibile di non dare peso a tutti i commenti che giungevano alle mie orecchie. Non era dello stesso avviso Emma, la quale strofinava freneticamente un pollice contro un'indice così nervosamente che temevo mancasse poco che si girasse e rifilasse qualche destro al primo studente del Pascoli che avrebbe trovato sulla strada. A metà strada ci raggiunse Alessandro, il quale cominciò a camminare di fianco a me. Mi salutò, chiedendomi come stessi.

Emma sgranò gli occhi e smise di arrivare all'osso del suo indice, stupida della scena quanto me. Quelli che però furono colti più di sorpresa furono tutti gli studenti intorno a noi, i cui sguardi ormai erano puntati nella nostra attenzione. Mi è sempre piaciuto essere al centro dell'attenzione, ma così mi sembrava eccessivo, visto che alcuni bidelli si tolsero i loro occhiali comprati a due euro dai cinesi per vedere meglio la scena.

Cercai di risultare il più naturale possibile, rispondendo che stavo bene. Dopo la mia risposta un brusio si alzò tra il corridoio che stavamo percorrendo. Non vedevo l'ora di entrare nella mia classe e finire di essere sotto i riflettori di tutta la scuola. Tuttavia un ragazzo che non conoscevo aveva altre idee. Arrivò da dietro e mise una mano sulla spalla di Alessandro, segno che erano amici. Era abbastanza alto, biondo cenere di capelli e con occhi scuri che però venivano oscurati da occhiali neri molto spessi. Quella che mi colpì fu la sua andatura un po' ondeggiante, come se quando camminasse avesse avuto sotto le scarpe alcune molle che lo facevano andare su e giù in modo innaturale.

"Quindi è vero? Stai con una del D'annunzio! Non l'avrei mai detto Ale, ma hai fatto un bel centro."

Frenai bruscamente la carrozzina, tanto che tutti mi superarono di qualche metro. Girandosi tutti e tre verso di me ci fermammo in mezzo al corridoio in un piccolo cerchio, il quale veniva oltrepassato molto lentamente da tutta la scia di studenti curiosi di sapere perchè due del Pascoli stessero parlando con due del D'annunzio.

"Non stiamo insieme!", precisai con una freddezza che però non voleva intendere che non volessi che un giorno accadesse.

Alessandro mi guardò un po' deluso da quella mia affermazione e confermò il tutto con tono piatto.

"Scusate non volevo creare imbarazzo. Girano solo voci sul fatto che state uscendo insieme, tutto qua."

"Così stai creando più imbarazzo che altro, non credi?", si intromise la mia migliore amica con tono severo. Se quella credevo che sarebbe stata la fine del discorso, mi stavo sbagliando di grosso.

"Non stavo parlando con te, biondina! Stavo solo cercando di capire se le voci fossero vere o meno."

Dopo la sua affermazione compresi che quella discussione si sarebbe infiammata da un momento all'altro e che sarebbe finita con tutti e quattro nell'ufficio del preside. È proprio vero che quando sei un combinaguai per natura, anche quando non vuoi screzi questi ti seguono come se li stessi cercando.

"Biondina a chi, scusa? Nessuno ti ha chiesto di fare gossip alle prime ore del mattino. Ora sei pregato di tornare nel tuo castello di liceo e perderti tra i suoi luridi corridoi."

"Lollo è meglio che andiamo.", disse Alessandro, prendendo il suo amico per la maglietta e incitandolo ad andarsene. Lui però rimase fermo dov'era, guardando in segno di sfida la mia amica.

Lorenzo fece un respiro profondo, si mise a posto gli occhiali, sorrise e disse: "Bene, è stato un piacere vedere come lo stereotipo degli studenti del D'annunzio non sia poi tanto lontano dalla realtà. Ora è meglio che vada. È stato un piacere.". Se ne andò con il suo passo molleggiante e lo persi di vista tra la miriade di studenti che si stavano dirigendo nelle proprie aule.

"Ma cosa voleva esattamente quel quattrocchi? E come se ne è andato? È stato un piacere- esclamò ad alta voce la mia migliore amica, mimando con una vocina stridula- Un piacere un corno!", e detto questo se ne andò anche lei a passo veloce verso chissà dove, visto che aveva sbagliato la strada per la nostra classe.

Rimanemmo solo io e Alessandro fermi nel corridoio, mentre gli ultimi occhi incuriositi ci scrutavano, lasciando poi il corridoio vuoto.

"Cosa è appena successo?", chiese divertito.

"Non ne ho idea! So solo che quel tipo le ha dato fastidio perché Emma aveva già intavolato nella sua testa una litigata di mimo un'ora e mezza e lui l'ha bloccata sul nascere."

Ci guardammo negli occhi e ridemmo sinceri, per poi sorridere come due scemi. Una parte dentro di me a vedere di nuovo quegli occhi così scuri e impenetrabili ammise che un po' le erano mancati, mentre un'altra parte cercava di dirmi che sarebbe stato meglio avviarsi verso la classe.

"Ora è meglio che vada, o alla mia professoressa di latino verrà un colpo a contare uno studente in meno. Ci vediamo questa sera allora."

"Questa sera?", chiesi curiosa, perchè ero sicura di non aver mai detto nulla a proposito di incontrarsi.

"Ti tolgono il gesso, no? Sarò fuori dall'ospedale ad aspettarti e a vederti finalmente zoppicare con delle stampelle.", e detto questo mi salutò con un gesto della mano, per poi correre via.

Non sapevo come facesse a sapere che quel pomeriggio mi avrebbero tolto il gesso dalle gambe, sapevo solo che quell'unica frase mi aveva fatto crescere una sensazione nello stomaco che stavolta decisi di non ignorare.


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