Capitolo 21

Dopo quella notte, tutto con lui sembrò essere cambiato.

In peggio.

Alessandro non mi rivolgeva la parola, se non per spiegarmi qualche autore latino. E quando il corso finiva metteva via così in fretta le sue cose che era quasi impossibile dirgli anche un semplice ciao. Si alzava dalla sedia e andava via, non guardandomi nemmeno.

Mi mancavano i suoi occhi scuri nei miei.

Il mio orgoglio invece oscurava quelle immagini e mi impediva anche solo di fare una conversazione diversa da una lezione.

Passammo così le ultime due settimane del corso, quando ormai l'estate mandava i suoi ultimi raggi di sole serali e cominciava a lasciare spazio ad una brezza leggera.

Tutto ciò indicava che il mio esame di recupero era dietro l'angolo. Ovviamente io non mi ero ancora messa da sola a studiare. Quando cominciai, dovetti ammettere che il corso di latino aveva dato i suoi frutti. Una settimana prima mi misi sotto e mi accorsi di come fu per un semplice ripasso degli argomenti spiegati da Alessandro. Mi stupì perfino di come sapevo alcuni dettagli che nemmeno la prof aveva detto in classe.

Ero così pronta all'esame, che non appena vidi davanti a me la faccia tarchiata e pallida, nonostante l'estate, della Prati non provai altro che un senso di potere. Avrebbe potuto chiedermi qualunque cosa e io avrei risposto, citando anche frasi direttamente nella lingua morta.

"Artemide sono felice di vederla, nonostante ancora in carrozzina!", disse sorridente e sapevo che lo fece solo per mettermi ancora più a disagio.

La guardai di sottecchi, come ad incitarla ad andare avanti con il suo lavoro invece di parlare dei miei problemi. Afferrò il concetto e posò gli occhiali da vista sul naso con un gesto meccanico che le avevo visto fare prima di ogni interrogazione.

"Va bene, allora cominciamo."

Cominciò con la domanda fatidica sul passo di Apollo e Dafne dalle metamorfosi, con cui era riuscita a farmi rimandare senza troppi problemi.

Si stupì nel vedere come al nome del dio greco la mia espressione non vacillò nemmeno per un secondo e quando risposi in modo esaustivo, dicendo pure alcuni dettagli a proposito del vero senso della metamorfosi, mi disse di fermarmi, come a disagio della mia conoscenza sull'argomento. Molto probabilmente, dopo quello che avevo fatto alla festa di fine anno, avrebbe voluto bocciarmi dopo la prima domanda.

Non sapeva però chi era stato il mio insegnante personale.

Non si arrese e continuò a chiedere domande a raffica.

Risposi a tutte, mentre la sua espressione sempre più stupita cominciava a farmi ridere.

Non so quanto tempo passò, ricordo solo che a un certo punto entrò un professore dicendo che c'erano anche altri alunni da verificare.

La Prati quindi non poté fare altro che finire le domande, sconfitta.

"In tanti anni di carriera non ho mai visto nessuno recuperare in soli tre mesi un programma intero così brillantemente. Non posso fare altro che farle i miei complimenti!"

Sorrisi, ormai sicura che avrei fatto la quinta con la mia migliore amica quell'anno.

"Il suo tutor non aveva torto quando diceva che l'avresti superato senza problemi. Crede davvero in te."

"Questo ha detto?", non potei fare altro che chiedere.

"Sì ", mi disse con un sorrisetto malizioso, come se anche lei fosse a conoscenza di quello che era successo durante il corso.

Ripensai all'ultima volta che l'avevo visto e come lo avevo trattato. Uno strano senso, quasi comparabile al senso di colpa, si mosse dentro me. Lo scacciai.

Nonostante l'interrogazione si potesse meglio definire come un interrogatorio, dove aveva cercato in tutti i modi di estrapolarmi qualche informazione falsa su qualche autore latino, prima di uscire dall'aula la ringrazia. Dopo quel gesto il senso di inadeguatezza aumentò. Perchè avevo ringraziato colei che mi aveva fatto passare tutta l'estate rinchiusa in queste quattro mura?

Perchè se non avessi presi il debito non avresti riallacciato i rapporti con Alessandro.

Disse una fastidiosa vocina dentro di me. Mentalmente le risposi di farsi i fatti suoi.

La sua risposta però non tardò ad arrivare.

I rapporti che hai distrutto in una serata. Ti ricordo.

Scacciai quella vocina tanto fastidiosa dalla mia mente e uscì da quell'aula.

All'entrata, disposti al muro come soldati pronti a partire per una guerra, mi ritrovai davanti tre ragazzi che non appena mi videro sbiancarono. A giudicare dal loro aspetto ancora a metà tra l'adolescente e il bambino, dedussi che avessero passato come massimo il secondo anno.

Era arrivato il loro turno di essere interrogati. E proprio come in un interrogatorio poliziesco il ragazzo più vicino alla porta si avvicinò con cautela all'aula, deglutendo quella poca saliva rimastagli.

"Non mangia.- gli dissi- Spacca solo gambe se non rispondi correttamente.", esclamai indicando le mie due gambe fasciate.

I tre ragazzini sbarrarono gli occhi. L'ultimo della fila corse in bagno dall'ansia. Me ne andai mentre vidi la porta chiudersi dietro di lui.

All'uscita principale della scuola trovai i miei due migliori amici che mi accolsero lanciando coriandoli di carnevale. In un attimo sentì qualche coriandolo nelle mutande, ma decisi che era un dettaglio insignificante dopo tutto quello che avevo passato solo in quella mattinata.

La differenza con cui entrambi lanciavano i coriandoli mi fece sorridere: Emma li lanciava come se avessi appena concluso la maturità e con una felicità travolgente, mentre Raul sembrava più stato obbligato a farlo, tanto che i suoi movimenti erano lenti e molto meccanici.

Dopo la doccia di carta inaspettata, guardai per tutto il cortile della scuola in cerca di una persona. Di un certo ragazzo dagli occhi scuri profondi, però, nemmeno l'ombra.

"Complimenti amica mia! Gliel'hai messa nel culo a quella stronza!", disse saltandomi in modo brusco in groppa la bionda. La carrozzina fece qualche centimetro all'indietro.

"Abbiamo capito, contieniti almeno davanti a scuola!", la ammonì il moro.

Lei si limitò ad alzare gli occhi al cielo e a fargli un grande dito medio.

"Come fate a sapere che sia andata bene?", chiesi incuriosita. Ero nell'aula da sola al secondo piano con la finestra. In nessun modo potevano aver ascoltato quel colloquio.

Raul si voltò in un'altra direzione, colpevole.

"Abbiamo preso le nostre precauzioni per vedere se lanciarti coriandoli o pomodori.", disse la bionda e indicò una borsa piena di pomodori poco più in là.

In seguito mi spiegarono che avevano messo il telefonino vecchio di Emma in chiamata nell'aula e che se avessimo voluto in quel momento avremmo potuto ascoltare anche le altre interrogazioni.

"Un'idea di Emma, ovviamente. Io mi sono arreso quando mi ha promesso che mi avrebbe accompagnato in moto a scuola per tutto il primo mese di scuola."

Ridemmo all'unisono.

"Dov'è il principe del Pascoli?", chiese la bionda ancora seduta comodamente sulle mie gambe, dopo quel momento di spensieretazze.

"Non lo so." risposi secca.

"Strano, per lui avevo comprato la schiuma. Vabbè sarà per il prossimo carnevale."

Se non gli hai nemmeno detto che giorno era l'esame, cosa ti aspettavi che venisse?

Ritornò prepotente la mia vocina interiore, che anche in quel caso cercai di rilegare in qualche meandro nascosto della mia testa.

"Quindi stasera come festeggiamo?", chiesi per distrarmi.

"Aspettavo che me lo chiedessi! Fanno un karaoke in un locale lungo il fiume. Ci vediamo là"

La bionda proferite quelle parole raccolse la sua borsa di pomodori, alludendo al fatto che ne avrebbe fatto una salsa nel pomeriggio, e si avviò verso casa.

"Va bene Emma! Bellissima idea, siamo tutti d'accordo con te!", le urlai dietro.

"Non prendi il telefono?", le chiese invece il moro.

Lei rispose con un tono alto che era più rotto che altro e che non ci avrebbe fatto nulla.

Rimasti soli Raul e io decidemmo di andare a bere qualcosa ad un bar lì vicino.

Io ordinai un cocktail analcolico e lui una birra media.

"Cin cin e ad una prossima estate migliore!", proferì il moro. Nemmeno lui aveva avuto un'estate così piacevole, tra corso e lavoro.

Bevemmo e ridemmo del più e del meno, fino a che anche lui non mi chiese del cosiddetto principe del Pascoli.

"Non so Raul. È sparito dopo che l'ho mandato via da casa mia."

"Non gli dò tutti i torti!", rispose lui tranquillamente, per poi prendere un sorso della sua birra.

"Da che parte stai?"

"Dalla parte del giusto.", e detto questo già me lo immaginai all'interno di qualche tribunale vestito da giudice a mandare in prigione criminali.

"Quello che voglio dire Art, è che non è che può portare avanti un'amicizia, o qualunque cosa ci sia tra voi due, solo lui. Chi ti ha scritto per primo su instagram? Chi ti è venuto sotto la finestra solo per vedere come stessi? E sono convinto che abbia convinto il preside ad essere il tuo tutor. Tu invece cosa hai fatto per passare del tempo con lui?"

Quella domanda mi colpì con un treno in corsa. Io non avevo fatto nulla per vederlo. Era stato lui ad invitarmi a teatro, a venire sotto casa mia. Io, ora che ci pensavo, non sapevo nemmeno dove abitasse.

Il senso di colpa aumentò ancora di più, così presi un gran sorso dalla birra di Raul.

"Prego, bevi pure."

"Devo andare dal mio consigliere.", dissi prima di avviarmi alla cassa per pagare entrambe le bibite.

Raul si alzò di scatto e mi venne incontro.

"Il tuo consigliere?"

"Sì, un vecchietto di nome Ulisse che sa sempre cosa fare.", dissi come se fosse la cosa più naturale del mondo.

"Ulisse hai detto?", chiese curioso con una strana espressione facciale che non seppi decifrare.

"Sì perché?"

Scosse la testa confusa, per poi rispondere che era buffo che anche lui avesse un nome mitologico. Non badai troppo a quello strano comportamento del mio amico e chiamai mia madre per farmi venire a prendere.

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Apollo ed io stavamo percorrendo una strada che ormai era familiare ad entrambi. Quando arrivammo davanti all'entrata della piccola casa nascosta dal giardino fitto di vegetazione, Apollo fece la sua solita sosta pipì sul cancello del proprietario. Piano piano si stava formando un segno nel punto esatto dove era solito fare i suoi bisogni. Aprimmo il cancello e subito gli tolsi il guinzaglio, lasciandolo libero di scorrazzare nella vastità di fiori e piante.

Mi avviai in cerca dell'uomo che in quegli ultimi giorni era l'unico con cui mi sentivo a mio agio a parlare di ogni cosa. Era come se Ulisse avesse sempre la risposta giusta ad ogni problema, come se lui non fosse toccato dai problemi del mondo, e per questo motivo potesse preoccuparsi dei miei come se fossero i suoi.

Lo trovai vicino ad albero di albicocche, mentre le poneva con un movimento dolce in un cesto di paglia. Non lo salutai, mi limitai a rubare un'albicocca dal cestino come segno della mia presenza.

"Spero che il frutto del mio lavoro sia abbastanza dolce."

La morsi e mi resi conto che fino a quel momento avevo mangiato albicocche al sapore d'acqua. Il confronto con quelle comprate era imparagonabile.

"Preferisco quelle comprate.", scherzai.

"Allora ti chiederei per favore di uscire dal cancello da cui sei entrata. E dato che ci sei dai una pulita dalla pipì del tuo cane."

Sorrise e continuò paziente il suo raccolto. I suoi movimenti erano lenti e faceva fatica a spostarsi sul terreno dissestato intorno all'albero. Decisi che per farmi perdonare per la mia battuta lo avrei aiutato a cogliere le albicocche.

"Sai come si fa vero?"

"Le tiri giù?". lLa domanda mi sembrava abbastanza illogica, ma quando mi ritrovai davanti a due albicocche di colori diversi mi chiesi se avessi dovuto coglierne entrambe.

Mi spiegò che dovevo prima controllare la loro consistenza, solo di quelle però abbastanza arancioni. Lo feci e continuai così per alcuni secondi in silenzio.

"Quindi? Cosa ti turba?"

"Perchè dovrebbe turbarmi qualcosa?"

"Perché anche tuo fratello veniva qua quando qualcosa lo turbava.", disse sempre concentrato a porre le albicocche nel cestino, il quale lentamente si stava riempiendo.

"Alle volte mi chiedo se abbia la palla di cristallo!"

"Quindi?", insistette.

"Ho fatto un casino l'altro giorno!", ammisi, senza aggiungere altro.

Passarono i secondi e non aggiunsi altro.

"Se non mi dici cosa, difficilmente potrò aiutarti."

"Può darmi il tempo?!"

"No, perché più ci pensi, più mi dirai una verità diversa dalla realtà."

Non capivo cosa intendesse e decisi di dare ascolto al suo consiglio e parlai con le prime parole che mi passarono per la mente.

Gli raccontai dell'assurda lotta che c'era tra il mio istituto e quello di Alessandro, e cercai di fargli intendere che al ragazzo tenevo, senza però dirglielo esplicitamente.

"Insomma io non so più cosa pensare di me stessa! Prima ero la prima che avrebbe occupato il liceo per non essere amici di quegli snob, e ora non riesco a togliermi dalla testa uno di loro! Quando stamattina non c'era davanti a scuola ho sentito uno strano vuoto. Insomma sono una contraddizione.", finì esasperata, dopo avergli spiegato il discorso del mio migliore amico sul fatto che io non avessi fatto finora niente per mantenere il rapporto.

Ulisse sorrise, pronunciando così le rughe sul suo volto in modo evidente. Tuttavia era uno dei sorrisi più belli e sinceri che avessi visto in tutta la mia vita. Sorrisi a mia volta per quella semplicità.

"Non penso tu sia una contraddizione. Segui solo il tuo cuore. Il ragazzo ti piace, anche se è del Pascoli..."

"Non mi piace...cioè si mi piace, ma non in quel senso."

"Certo.", disse con un sorrisetto che diceva tutto il contrario.

"Non ci credo comunque che esista ancora quella stupida faida! Dovevo capirlo fin da subito che fossi una del D'annunzio."

L'albicocca che stavo cogliendo mi cadde per terra per la sorpresa.

"Lei ha fatto il Pascoli?"

"Orgogliosamente."

Non sapevo se mettermi a ridere o prendere Apollo e andarmene subito via senza fare mai più ritorno in quella casa.

"Siete sempre rimasti gli stessi! Impulsivi, pieni di ego e con una lingua lunga che ogni volta mi stupisco. Ma è anche per quello che verso la tua età mi sono innamorato di una di voi."

Ogni parola con cui proseguiva il discorso era sempre più una sorpresa per me. Non solo diceva di essere uno del Pascoli, ma di aver avuto una relazione con qualcuna del D'annunzio. Fin da sempre avevo creduto che nessuno fosse stato mai tanto avventato da fare una cosa del genere, eppure davanti a me avevo la prova vivente che ciò era normale.

Raccontò la loro storia: di come si erano conosciuti in una gara di matematica che contrapponeva i due istituti. Lei era così brava che lo aveva battuto senza troppo sforzo.

"Ero il più bravo dell'istituto e una ragazzina mi aveva battuto come se avesse giocato a carte. Mi stupì."

Andò avanti raccontando la loro prima uscita mascherata da aiuto compiti e agli incontri successivi. I suoi occhi si illuminavano sempre di più a quei ricordi così felici, fino a che non raccontò di come la sua famiglia non volesse quella relazione. La obbligarono a sposare un uomo deciso da loro e da quel giorno non la vide mai più.

"Avevamo fatto così tanti progetti insieme. Volevo far sapere al mondo il suo talento con i numeri. Avrebbe dovuto fare carriera, diventare famosa, ma la vita a volte decide per te se non ti sbrighi a farlo. Il tuo amico ha ragione: le persone non rimangono se tu non gli dici o dimostri che le vuoi nella tua vita. Mica siamo tutti nei tuoi pensieri!"

Finito il racconto si girò verso di me con gli occhi lucidi.

"Si vede da come parli del tuo bel principe che ne sei innamorata.", se ne uscì poi improvvisamente.

Quella parole mi fece saltare il cuore.

Innamorata? Io non sapevo cosa significasse, figurarsi se potevo esserlo. Ho sempre pensato che fosse qualcosa di relegabile ai libri o ai film d'amore.

La realtà purtroppo per ora mi aveva dimostrato che quando si tiene troppo ad una persona, questa poi ti viene tolta via da un momento all'altro, senza nemmeno darti nemmeno un minuto in più per dirgli quanto gli volessi bene.

La realtà è troppo crudele e inospitale per ospitare qualcosa di così puro come l'amore.

"Ma cosa dice? Non c'è nessun principe. E non sono nemmeno innamorata!". dissi quindi esasperata, mangiando con foga un'albicocca.

"Come vuoi. Basta solo che poi non verrai qua a dirmi che avevo ragione."

"Non si preoccupi, non succederà mai.", dissi, ma c'era qualcosa in quella parola, "Innamorata", che mi aveva turbata abbastanza da non lasciarmi in pace per tutto il tragitto verso casa, mentre un Apollo inconsapevole di quello che passava per la mia testa, fece la pipì sulla maggior parte dei cancelli del quartiere.

Anche quella volta il mio consigliere però mi aveva dato una dritta, aveva messo le ruote della mia vita sulla strada principale dopo la loro caduta in una banchina cedevole.

Ora sapevo quello che dovevo fare.

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