Capitolo 14
Non appena aprì gli occhi quel giorno afoso di inizio luglio un moto di frustrazione mi pervase senza un vero motivo. La giornata non si prospettava come una delle migliori. A cominciare da Apollo che mi svegliò alle sei e mezza perchè doveva assolutamente fare i suoi bisogni. Troppo presto per i miei gusti, ma non volevo pulire la pipì sul pavimento della mia stanza. Mi vestì di tutta fretta e in un modo o nell'altro arrivai alla carrozzina nell'atrio al piano di sotto. Apollo mi trascinò con la sua forza vitale, mentre io cercavo di capire in che posto fossi. Capì solo quando stavo andando incontro ad un albero che ero poco lontano da casa mia. Ero talmente addormentata che lascai fare la pipì ad Apollo sul cancello di un vicino, il quale assistè alla scena dalla sua finestra ancora in un grigio pigiama mentre beveva una tazza fumante di, presumo, caffè. Anche lui doveva essersi svegliato in malo modo perchè subito si fiondò fuori ancora in pigiama e con la sua tazza di caffè a spiegarmi come dovevo spiegare al mio cane a non fare la pipì sui cancelli altrui. Era un uomo a metà tra la vecchiaia e l'età adulta, lo tradivano solo alcune rughe vicino agli occhi quando si metteva a parlare a macchinetta.
"Scusi, la prossima volta vedrò bene di fargliela fare nel buco del cancello." risposi. Era troppo presto perché qualcuno mi venisse a fare la predica per un po' di pipì. Inoltre standogli vicino la mia strana frustrazione non faceva che aumentare.
"Non si permetta!- disse furioso- Se la vedo ancora in giro con quel cane vicino a casa mia chiamo il canile."
"Io direi che se non la smette di sventolare in aria quella tazza di caffè dovrà prima chiamare il reparto di ustioni gravi." Il povero signore si era messo contro la ragazza sbagliata di prima mattina. Quando ormai avevo finito la frase ero già una decina di metri distante, ma riuscì comunque a sentirlo confabulare qualcosa come "Queste generazioni di oggi.", per poi rientrare avendo cura di non spandere il caffè ovunque. Troppo tardi, visto che la metà era finita per terra e sono sicura che anche qualche goccia sia finita sul suo dannato cancello. In fondo quindi non era tutta colpa mia se si era sporcato.
Tornata a casa, ormai di pessimo umore, trovai mio padre seduto in cucina mentre leggeva il giornale. Mi ricordò che dovevo avvertire ogni volta che prendevo la briga di uscire di casa. Da quando avevano scoperto la mia piccola bravata ero uscita solo per buttare la spazzatura e portare a passeggio Apollo.
"Ero solo con Apollo. - sbuffai, stufa di essere trattata come una bambina- Allora ti devo anche avvertire che molto probabilmente verrà il vicino dell'altra strada a lamentarsi di un cancello, ma "per fortuna" oggi sono tutto il giorno a scuola. Se dovesse passare, fagli tanti saluti anche da parte mia.", dissi prima di andare in camera mia.
"Perchè devi sempre essere....te!", disse esasperato senza aggiungere altro. La punizione c'era già, non serviva aggiungerne un'altra. Stare troppo in casa cominciava davvero a fare male al mio senso sociale. Avevo passato tutte le giornate in camera mia a leggere o a guardare serie tv, parlando, o direi meglio, ringhiando contro i miei genitori di tanto in tanto. Stranamente ero quasi felice di poter cambiare aria, nonostante andassi a pulire e a studiare.
Non appena arrivai a scuola di mattina verso le dieci, notai che anche i miei amici non erano del migliore dell'umore. Non ci rivolgemmo la parola, nemmeno i saluti, perché in fondo nessuno di noi voleva ascoltare la bidella che ordinava cosa fare. Passammo tutta la mattina in silenzio. Io, essendo in carrozzina, non potevo fare altro che pulire banchi e sedie, mentre ai miei amici toccava pulire per terra e spostare banchi. Per una volta ringraziai di essere invalida. Il nostro piano iniziale era di dire di aver pulito qualcosa, facendo in realtà tutt'altro. Tuttavia il preside doveva aver capito come pensavamo, perché fu presente una bidella per tutte e tre le ore, la quale ci osservava con la sua aria da persona che avrebbe voluto fare tutt'altro, ma che allo stesso tempo si divertiva a fare la guardia carceraria.
Verso mezzogiorno, quando per quel giorno mancava solo un'ora di lavoro, ero così stufa di passare quello straccio giallo su ogni banco di quella immensa scuola che sbottai.
"Il preside non aveva detto che avremmo aiutato? A me però sembra che stiamo pulendo solo noi!", la bidella alzò lo sguardo dalla sua rivista enigmistica che dopo tutto quel tempo doveva essere bella che finita e mi guardò torva.
"Vuole che le faccia un brutto rapporto al preside?". Non potevo credere che una bidella mi stesse minacciando. Il mondo doveva star girando al contrario quel giorno, non c'erano altre spiegazioni.
"É solo una bidella. Non può!", dissi in tutta risposta.
"Si dà il caso che il preside mi ha affidato il compito di dirgli come state lavorando. Quindi torni a pulire quei banchi.", disse infine svogliata, per poi tornare a scrivere sul suo giornale.
Raul mi guardò come a dire di lasciar perdere. Seguì il suo consiglio, ma la rabbia, già accumulata da stamattina stava per diventare insostenibile.
L'una arrivò con lento scorrere delle lancette. Pranzammo in un'aula vuota, senza finalmente più lo sguardo della bidella addosso. Era una strana liberazione.
"Io non passerò due settimane in questo modo.", sbottò Emma addentando il suo panino.
"Concordo.", si aggiunse Raul con la voce impastata dal cibo.
"Almeno dopo scuola potessimo andare da qualche parte assieme sarebbe meno straziante.", dissi io, alludendo al fatto che per ancora una settimana nessuno di noi poteva uscire.
"Comunque non gliela darò vinta così al preside. Già mi viene l'orticaria a vederlo tra poco presentare il suo progetto di collaborazione con il Pascoli con un sorriso falso. Non lo vuole nemmeno lui!", disse Emma.
"L'ha ammesso, ma non possiamo farci nulla.", ammisa scoraggiato Raul.
"Se solo sapessimo perché è costretto e fosse qualcosa di losco potremmo ricattarlo."
"Giuro che se dici ancora qualcosa di illegale da fare Emma io me ne vado."
"Era solo un'idea! Ma sarebbe comunque bello poter sapere perchè ci stiamo rovinando l'estate. Tu che dici Art?"
Addentavo svogliatamente il mio panino al salame, quando mi venne un'idea, sia per combattere la noia che per rilasciare almeno un po' di frustrazione.
"Possiamo sempre rovinargli anche questo progetto."
"Rieccoci! Io non parteciperò stavolta, mi dispiace.",
"Non sto parlando di ubriacare di nuovo gli snob. Stavolta sarà una cosa legalissima e nessuno ci potrà nemmeno mettere in punizione."
"Cosa gira in quella testolina?", chiese curiosa e finalmente con un sorriso la mia migliore amica, pizzicando con il suo panino la mia fronte.
"Che schifo la tua insalata tonnata!- sbottai io, per poi riprendere il discorso.- Il preside ci ha detto di presenziare, giusto?"
I miei amici annuirono.
"Ma nessuno ci ha detto di essere obbligati ad ascoltare questi tutor o a dover fare il bravo tutor.". Alle mie parole gli occhi di Raul si illuminarono.
"Ora ti seguo.", disse, finalmente posando gli occhi
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Quella settimana il progetto si svolgeva al D'annunzio, quindi dovemmo solo cambiare aula. Come previsto il nostro piano sarebbe stato effettuato da tutti gli studenti del D'annunzio: ovvero solo noi tre. Nessuno si era presentato, se non per Edoardo, il quale pensavo fosse lì solo in qualità di rappresentante di istituto. D'altra parte l'aula era piena di studenti del Pascoli, circa una ventina, tra cui intravidi subito la smorfia di Giada alla nostra entrata. Era vestita con dei jeans bianchi stretti, un top blu attillato e un immancabile borsetta Prada così piccola che mi chiesi dove aveva messo le penne. Prendemmo posto sulle sedie disposte davanti alla cattedra dove c'erano i due presidi. Non appena ci vide il nostro preside prese un foglio e scrisse qualcosa, presumibilmente la nostra presenza. Insomma, come avevo previsto, era la presenza che contava. Sorridemmo tutti e tre in direzione del preside, il quale fu felicemente stupito di quella calorosa accoglienza.
"Benvenuti a tutti! Grazie per la vostra presenza, conta molto per entrambi gli istituti.- cominciò il suo discorso proprio come lo aveva descritto Emma poco prima- Sappiamo tutti di cosa si tratta....", e ci dovemmo sorbire un noiosissimo discorso sull'accettare le differenze e farne una ricchezza. A metà discorso si aprì la porta dell'aula, facendo entrare un ragazzo così in ritardo da essersi dimenticato il casco della moto in testa. Un chiaro segnale che non era del D'annunzio. Noi quando siamo in ritardo lo prolunghiamo il più possibile, senza correre. Si andò a sedere in uno dei posti davanti.
"Avete tutti compilato il formati e quindi abbiamo stabilito le coppie, che purtroppo per questo primo giorno saranno poco miste. Cercherò di spronare nei prossimi giorni i miei ragazzi a partecipare a questa splendida attività.", Non potei fare a meno di trattenere una risata un po' troppo rumorosa alla sua affermazione. Nessuno sarebbe mai venuto, lo sapevo. Il preside mi guardò torvo, ma io mantenni lo sguardo. Alzò gli occhi al cielo, visibilmente scocciato dal mio comportamento.
"Comunque le coppie le abbiamo fatte in base alla materia. Quindi cominciamo."
Iniziò con la coppia già annunciata, la mia migliore amica e Giada, le quali si allontanarono insieme verso un banco nell'angolo. Avevano entrambe la mascella e gli occhi serrati. Nessuna delle due avrebbe detto una parola per le due ore successive, questo era poco ma sicuro. Raul venne abbinato ad un ragazzo che non avrei saputo dove collocare nelle mie conoscenze. Gli strinse la mano e si presentò gentile. Non appena mi passò vicino gli lanciai un'occhiata come a dirgli che non era quello il piano. Si tolse la maschera di cordialità e si fermò ad un banco senza più dire una parola.
"Leoni e Longo.", una ragazza bassina con gli occhiali tondi più grandi di lei si avvicinò verso di me.
"Piacere, Giulia.", disse ansiosa e così veloce che feci fatica a capire il nome.
"Artemide."
"VERAMENTE?- urlò entusiasta- Come la dea greca della caccia? O MIO DIO!", tutti gli sguardi si posarono su noi due.
"Sì?", fu tutto ciò che le le risposi, imbarazzata per la prima volta dal mio nome.
Non ascoltai le altre coppie mentre mi andavo a sedere in un banco vicino alla grande finestra, mentre Giulia mi bombardava di domande su come ci si sentisse ad avere un nome così particolare e importante. Era divertente vedere come si poneva la domanda, ma non appena provavo a rispondere si rispondeva automaticamente da sola. Insomma giocava al nostro gioco e non ne era nemmeno al corrente.
"Dev'essere sicuramente entusiasmante. Tutti ti devono adorare proprio come una vera dea...", e continuò con qualche altro elogio o strana parola, ma io ormai non ascoltavo più. Il ragazzo arrivato in ritardo si era appena tolto il casco, rivelando la sua identità. Avevo sperato di vederlo, ma non a scuola, dove non potevo assolutamente fare conversazioni amichevoli con quelli del Pascoli. Non davanti al preside perlomeno. I suoi capelli erano così arruffati e in disordine che il mio sguardo si trattenne troppo a lungo su di essi. Ero come incantata dalla sua presenza e lui se ne accorse. Mi rivolse un sorriso che volevo ricambiare, ma la vista del preside subito dietro di lui mi fece spostare velocemente lo sguardo fuori dalla finestra, senza un minimo accenno di sorriso. Non so come ci rimase, sperai non troppo male, ma il danno ormai era fatto. Con la coda dell'occhio lo vidi sedersi con un'altra ragazza piena di trucco del Pascoli, proprio con il viso in linea d'aria al mio. Non ci volle molto perché i nostri sguardi si incrociassero di nuovo. Stavolta non sorrise, ma mantenne lo sguardo, per poi posarlo sulla ragazza di fronte a lei. In quel momento avrei dato tutto l'oro del mondo per essere lei, ma purtroppo ero bloccata con una chiacchierona che non aveva ancora smesso di parlare a proposito del mio nome.
"Comunque dovremmo cominciare.", disse ad un certo punto. O almeno è quello che percepì solo alcuni attimi dopo, lo sguardo ancora perso a vedere Alessandro scrivere su un quaderno. Le sue mani nella mia testa era come se componessero qualcosa di armonioso solo nei movimenti e mi fu facile immaginare che stesse scrivendo qualche poesia, quando molto probabilmente era il titolo del loro argomento. Giulia, vedendo nessuna risposta da parte della sottoscritta, si voltò per capire cosa, o meglio chi, stessi guardando.
"Alessandro De Santis.", il suono del suo nome finalmente completo mi fece provare un brivido del tutto inaspettato
"Così suona ancora meglio". Ero ufficialmente persa.
Decisi che era ora di sapere qualcosa su questo ragazzo e la Giulia aveva tutta l'aria di esserne ben informata.
"Dimmi qualcosa su di lui", dissi quasi come un ordine.
La ragazza sorrise come se le avessi appena chiesto di parlare del suo libro preferito. Si sistemò gli occhiali tondi sul viso prima di cominciare quello che sapevo sarebbe diventato un monologo di due ore, se avessi sfruttato al meglio l'occasione.
"É uno tra i ragazzi più ambito di tutta la scuola. Non solo per la sua bellezza ovviamente, - e dicendolo arrossì e io non potei frenare l'impulso di tirarle una matita- ma anche per la sua aria un po' misteriosa. Praticamente di lui si sa solo che gioca a Tennis, ma che allo stesso tempo non può fare ginnastica. Strano dirai tu. Così la pensano tutti. Poi c'è il fatto che nessuno lo ha mai visto in giro, se non alle volte con Giada e il suo migliore amico. Molti dicono che lui e Giada stiano insieme, ma non ci credo. La maggior parte del tempo lui cerca di evitarla, ma lei le sta sempre addosso. Poi c'è da dire che...", chissà cosa voleva dire Giulia. La nostra conversazione fu interrotta dal preside che venne a controllare di cosa stessimo discutendo così animatamente. D'improvviso la bolla che si era venuta a creare da quando l'avevo visto esplose e mi accorsi solo allora di Emma e Raul che mi guardavano infuriati dalle loro postazioni Agli occhi del preside poteva sembrare che discutessimo di chissà quale autore, e così provò subito a mentire Giulia, dicendo che stavamo parlando del mito di Artemide e Apollo. Tuttavia, il piano doveva andare avanti, e a sorpresa della mia compagna cambiai repentinamente le carte in tavolo.
"In verità stavamo parlando di altro che non riguardava il programma di latino.", dissi fiera e ad alta voce, così che anche l'altro preside e tutti i professori presenti potessero sentirmi. L'effetto fu quello desiderato: tutta l'aula d'improvviso tacque e i miei migliori amici mi guardarono sbalorditi, ma soddisfatti dalla mia presa di coraggio.
"Prego?", disse solo il preside stupito con un sorriso che piano piano scendeva e andava a formare una linea secca sul suo volto.
"Sta solo dicendo che ci siamo perse in chiacchiere. Cominciamo subito.", mi difese sorprendentemente a disagio Giulia.
"Bene!", disse solo il preside, andando a controllare gli altri studenti. Quelli del Pascoli rimasero delusi di non poter vedere nessun teatrino. Il preside aveva capito che l'avrei fatto e così si fermò in tempo. Ne rimasi delusa, perché potevo mettere fine a quel progetto quel giorno stesso, ma evidentemente anche il preside sapeva rimescolare le carte in tavola quando doveva. Piano a piano gli sguardi tornarono sui rispettivi compagni di lavoro. Guardai Alessandro e lo trovai a guardarmi interrogativo ma allo stesso tempo divertito dalla situazione. Questa volta un piccolo sorriso non poté che comparire spontaneamente.
"Ma sei pazza??", mi chiese Giulia. Io la guardai e non dissi nulla. Adesso non dovevo commettere altri errori, il silenzio era l'unica cosa che dovevo fare per le successive due ore.
Non vedendo risposta, cominciò a tirare fuori un quaderno e dei fogli sparsi.
"Dunque, dove siete arrivati con il programma?", chiese gentile. Anche questa volta non risposi. Ma la mia compagna era un osso duro e continuò.
"Presumo che sarete arrivati ad Ovidio. Ci sono degli argomenti che vorresti fare o cominciamo da capo?" Silenzio.
Aspettò per un intero minuto guardandomi perplessa, mentre il mio sguardo si posava di continuo qua e là per l'aula a controllare la situazione. Giada ed Emma non si guardavano neppure e andava benissimo così, mentre Raul faceva fatica a non tirare fuori il quaderno per cominciare la sua lezione di matematica. Il ragazzo davanti a lui lo guardava perplesso e a poco a poco si stava spazientendo. Immagino che con Giulia ci sarebbe voluto più tempo, visto che all'assenza delle mie risposte aveva cominciato a parlare di un autore a suo piacimento, senza che io la degnassi però di attenzioni. Sarebbe stato quella a farla impazzire di lì ad un'ora. L'unica coppia mista che vedevo lavorare bene era quella formata da Edoardo e da un altro ragazzo biondo. Più che però che sui miei compagni il mio sguardo si posò fin troppo spesso Alessandro, il quale stava spiegando qualcosa che lo doveva sicuramente interessare nel profondo. Aveva un grandissimo sorriso e continuava a gesticolare come un bambino. Più volte ci ritrovammo occhi negli occhi e quelli erano gli unici momenti in cui la sua bocca smetteva di muoversi per alcuni secondi. Era un gioco di sguardi così intenso che fu facile non ascoltare la povera Giulia, la quale aveva cambiato tre autori nell'arco di dieci minuti solo per catturare la mia attenzione. Il ragazzo davanti a Raul si alzò improvvisamente e andò dal suo preside, che fortunatamente si trovava proprio alle mie spalle. Sentì che si lamentava perché Raul non aveva ancora cominciato. Il suo preside chiamò il mio e lo avvertì del fatto.
Il trio sorrise soddisfatto.
Il preside andò da Raul, il quale cominciò a perdere la lucidità con cui aveva bellamente ignorato il biondino del Pascoli. Alla domanda del preside sul perché non avesse ancora cominciato a spiegare, lui rispose che purtroppo non era una bella giornata per la sua memoria. Il preside, stranamente, mantenne la calma e disse a Raul che allora poteva andare ad ascoltare una lezione di matematica di un altro studente, per schiarirsi le idee. I due si alzarono e si andarono a sedere al tavolo di Edoardo. Il loro passaggio non passò inosservato e si cominciarono a sentire i primi bisbigli sull'accaduto.
Nessuno dei professori o presidi in quella prima mezz'ora aveva osato avvicinarsi al tavolo di Emma e Giada. Come contraddirli d'altronde: esso emanava un'aria così tesa che sembrava essere in un'altra dimensione. Via a via che il tempo passava gli sguardi di Alessandro si fecero sempre più incuriositi dal mio comportamento, con il suo sopracciglio che immancabilmente si alzava sempre più perplesso. Trascorsa un'ora, a mio parere eterna, anche Giulia non mollò la presa con me.
"STO PARLANDO ALL'ARIA! Mia mamma mi aveva detto di non immischiarsi con...questi qua.", sbraitò gesticolando nella mia direzione. Prese il suo zaino e si avviò verso l'uscita senza salutare nessuno.
Quella fu la prima e l'ultima volta che la vidi nella mia vita.
Le parole che disse colpirono tutti i presenti, i quali cominciarono a guardare noi quattro del D'annunzio in modo sospetto. Anche il compagno di Edoardo, che in un primo momento sembrava essere preso dalla conversazione, cominciò a poco a poco a perdere interesse e a guardarlo in modo diverso. Al tavolo di Raul invece i tre del Pascoli cominciarono a lasciarlo in disparte. Sul tavolo di Emma e Giada era tutto come sempre, non una parola.
Il preside capì che la situazione gli si stava volgendo contro. Girava per la stanza senza una vera meta, continuando a guardare il posto davanti a me, vuoto, che parlava più di ogni altra cosa. Fu così che si sedette di fronte a me.
"A che gioco state giocando?", disse facendo piano per non attirare l'attenzione dei presenti.
"Lei non ci ha mai detto di essere obbligati a svolgere questo progetto, solo a presentarci. No?"
Lo vidi prendere una penna sul tavolo e cominciare a giocarci per allentare lo stress. Se però avessimo pensato che il preside avrebbe fatto vedere davanti a tutti la sua sconfitta, ci saremmo resi ben presto conto che non sarebbe stato così. Mi portò ad un tavolo, dove due studenti del Pascoli stavano riprendendo Seneca, dall'altra parte dell'aula, sfortunatamente di spalle ad Alessandro. E fu così che passai l'ora successiva a guardare il muro di fronte a me. I ragazzi del Pascoli però notarono il nostro strano comportamento e molti si sentirono offesi. A poco a poco, con scuse poco plausibili lasciarono l'aula. E fu così che il preside dovette interrompere il primo incontro con venti minuti di anticipo. Non appena ci disse che eravamo liberi, ci convocò alla cattedra con la scusa di dover firmare la presenza, mentre gli altri studenti sciamavano fuori dall'aula.
Firmammo tutti e tre soddisfatti, con il suo sguardo d'odio che ci attraversava ogni viscera. Non fece però nessuna scenata davanti all'altro preside o ai professori, il che ci fece credere che in meno di tre giorni quel progetto sarebbe finito nel dimenticatoio. Se solo avessimo conosciuto meglio il nostro preside avremmo saputo che non sarebbe affatto andata così.
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