Capitolo 13
"Qualunque cosa ci dica, faremo finta di non sapere. Come abbiamo stabilito fin dall'inizio.", dissi, ma la mia voce tradì una certa ansia che avevo fin da quando avevo ricevuto l'email di un incontro con il preside. Potrei benissimo dire che quella fu una delle giornate peggiori della mia vita: non solo mi dissero che alla gamba, a causa dell'incidente, servivano ancora due mesi; in aggiunta dovettero anche gessare l'altro piede. Tre dita rotte, così disse il mio medico, il quale ormai ero stufo di vedermi in quell'ospedale. Se solo avesse saputo quanto io desiderassi non vedere più la sua faccia.
I miei genitori erano affranti dalla risposta, e non riuscivano a spiegarsi come mai fossi sempre in qualche casino. Non avevano tuttavia ancora ricevuto quella dannata email. Arrivò proprio quando stavamo uscendo dall'ospedale.
Non diceva molto, parlava solo di una convocazione urgente dal preside. I miei genitori andarono su tutte le furie, pur non sapendo che cosa avessi combinato, chiedendo spiegazioni. Feci ovviamente la vaga e questo non fece che peggiorare la situazione. Mio padre maneggiò in modo così brusco la carrozzina che per poco non caddi. Decisi che non dovevano sapere, sarebbe stato troppo per loro. Mi chiusi nel silenzio, che li fece solo preoccupare ancora di più, fino al giorno della convocazione. Fu strano tornare di nuovo tra le mura della scuola quando ormai era finita da una settimana. L'entrata era deserta, eccetto per una segreteria che ci accolse calorosamente. Mi accompagnarono e insistettero per essere presenti, ma la segreteria fu categorica: potevano entrare solo gli studenti coinvolti nella faccenda.
"Quale faccenda?! Siamo i suoi genitori e non sappiamo nulla!", andò su tutte le furie mio padre. La segreteria rimase ferma nelle sue convinzioni e disse che a tempo debito, così le aveva detto il preside, avrebbero saputo tutto.
"Sono giorni che chiamo questa scuola per sapere qualcosa e ora è tutto quello che ha da dirmi?" La rabbia era salita, mentre mia madre gli prese la mano nell'intento di tranquillizarlo. Lui la spostò e uscì dalla scuola dicendo di aver bisogno di aria. Guardai mia madre, la quale tra me e l'ira di mio padre di quei giorni, non sapeva più che pesci prendere. Mi dispiacque vederla in quella situazione per colpa mia. Ne avevo combinate così tante nel corso della mia vita che le avevo visto quell'espressione di tristezza mista a delusione così tante volte, che ormai pensavo di essermi abituata. Non era vero. Inoltre il pensiero che Apollo l'aveva fatta stare così solo una sola volta nella sua vita non aiutò ad attenuare i sensi di colpa. Quella volta fu alla sua morte. Mi dissi che sentirsi in colpa non sarebbe servito a nulla: il danno era fatto e l'unico modo per risolverlo era affrontarlo.
E fu così che mi ritrovai davanti alla porta del preside con i miei due migliori amici. Loro annuirono. Era la prima volta che li vedevo dalla volta dell'incidente. Avevano entrambi una brutta cera e un viso tirato dall'ansia. Emma era stata costretta a dire tutta la storia ai suoi genitori, i quali la obbligarono ad andare a chiedere scusa a Giada. Inoltre non aveva il permesso di uscire di casa per ancora una settimana. Raul non mi disse della sua situazione. Non lo sentivo nemmeno per messaggio da quella sera, il che mi fece capire che non aveva più a disposizione il cellulare. Non lo disse, in realtà non disse una parola fino all'entrata, ma sapevo che era così. I suoi genitori erano molto severi e se erano veramente venuti a scoprire tutta la storia dell'alcool, allora non doveva aver passato una bella settimana.
Dopo interminabili minuti di silenzio nella sala d'attesa vuota il preside fece la sua presenza sulla porta d'ingresso del suo ufficio. Sembrava uscito da una strana sfilata di moda, quelle in cui non si sa se lo stilista non avesse immaginazione o ne avesse fin troppa. Aveva una camicia nera, con degli strappi all'altezza dei gomiti, che faceva intravedere gran parte del braccio. Vestiva dei pantaloni a zampa d'elefante rossi ciliegia, con dei motivi di strane righe sparse qua e là che dovevano formare una qualche figura. Rimasi qualche secondo di troppo ad osservare quei pantaloni, per capire cosa avrebbero dovuto esattamente raffigurare. Dopo averli osservati attentamente conclusi che o ero scarsamente intelligente o non formavano assolutamente nulla. Il preside si accorse del mio interesse per i suoi pantaloni e come se avesse capito cosa stavo facendo, divertito mi rispose che doveva essere un leone. Dopo la sua affermazione provai di nuovo a trovare il leone, ma l'unica cosa che riuscì a scorgere erano linee su linee. Il silenzio mi fece capire che stavano tutti aspettando me per entrare, quindi mi finsi sorpresa di aver finalmente visto il leone.
"Ah, eccolo là! Come ho fatto a non vederlo prima!", dissi teatralmente. Tuttavia la mia recitazione doveva essere di scarsa qualità, visto che mi squadrò in modo interrogativo. Poi il suo sguardo si posò su entrambe le mie gambe ingessate.
"Vedo che le vostre marachelle hanno portato problemi anche a voi. Non so se esserne dispiaciuto o profondamente felice."
Traduzione: era felice che fossi ancora su quella maledetta carrozzina. Volevo rispondere a tono, ma compresi che ero già in una situazione di svantaggio, non dovevo peggiorarla. Ci fece accomodare nel suo studio, per poi squadrarci uno alla volta tutti e tre come se ci vedesse la prima volta. L'ufficio era piccolo, ma conteneva così tanti oggetti che sembrava essere magico come la borsa di Mary Poppins. Sul muro erano appese così tante targhe che io mi chiesi quanti corsi servissero per diventare preside e non fare nulla per tutto il giorno. Quello che mi colpì di più però fu la quantità di oggetti personali che erano approsimamente stipati in quel piccolo stanzino. Da medaglie vinte per chissa cosa alle medie fino a qualche oggetto di abbellimento a mio parere privo di gusto. Andavano da rane arcobaleno fino a fiori finti fatti di candele.
Il suo sguardo sembrava arrabbiato, segno che sapeva tutto. La tattica del mentire falliva senza essere stata nemmeno provata.
"Avete idea di quello che avete fatto?". cominciò così la sua ramanzina. Lo stesso modo in cui sapevo sarebbe cominciata quella dei miei genitori quando avrebbero saputo tutto.
"Si!", rispose inaspettatamente sicuro di sè Raul. Il preside evidentemente non si aspettava una risposta del genere, tanto che dovette scuotere la testa come per riprendersi.
"Bene...- cominciò titubante- insomma almeno quello!", riprese con il tono arrabbiato che aveva avuto ad inizio conversazione. Si vedeva che non gli si addice e che se avesse potuto avrebbe delegato il compito a qualcun'altro. Sorrisi divertita dal suo imbarazzo a fare il preside cattivo e arrabbiato. Più per il fatto di non averci pensato per mezzo secondo, credendo che non avrei mai potuto esistere dopo quella convocazione. Invece sembrava più che fosse stato obbligato a farla, il che mi fece stare, almeno per un attimo, un po' più tranquilla. Emma notò il mio sorriso che stonava in quella situazione e mi guardò dubbiosa.
"Comunque sia,- continuò- converrete anche voi che ci saranno delle conseguenze. Non solo avete messo in pericolo gli studenti, ma avete rovinato il nostro primo passo di amicizia verso il Pascoli."
"Allora tanto meglio.", dissi credendo di averlo detto solo nella mia mente, ma purtroppo tutti avevano sentito. Raul si mise una mano sulla fronte in segno di sconfitta.
"Come prego?", disse sconcertato il preside. Il danno era fatto e peggio di così non poteva andare, così decisi di dire quello che tutti gli studenti avrebbero voluto dire al loro preside.
"Dico solo che nessuno vuole diventare amico del Pascoli. Penso chese ne sia accorto anche alla festa. Nessuno ha parlato in modo amichevole con loro. E noi ne siamo la prova. Quindi se quello che abbiamo fatto farà in modo che tutto torni alla normalità sono più che felice di essermi rotta qualche dito."
Emma, la quale fino ad allora aveva tenuto lo sguardo per terra, alzò lo sguardo e fu come si ricordasse improvvisamente del perché eravamo in quella situazione. Era tutto per una giusta causa. L'unico contrario del trio e che sembrava davvero essersi pentito di quello che aveva fatto era Raul, il quale non si girò verso di me, ma tenne lo sguardo freddo rivolto al preside.
"Mi perdoni contraddirla Artemide, ma se ricordo bene è stato proprio un preoccupatissimo ragazzo del Pascoli ad averla accompagnata in ambulanza." Come in una partita di tennis, il mio tiro fu ben parato dalla racchetta ampia e sicura del preside, il quale gongolava sulla sua sedia per la sua affermazione. Il mio sangue non potè fare a meno di salire verso il cervello.
"Ha ragione signor preside.- intervenne una più sicura Emma- Tuttavia è anche vero che è stata proprio una ragazza del Pascoli ad aggredirmi e nel farlo ha spaccato le dita della mia amica." Non giocavo più da sola, Emma aveva finalmente preso la racchetta in mano, mentre Raul sembrava ancora seduto in panchina o intento ad allacciarsi le scarpe, facendo finta che il match non fosse ancora iniziato.
"Non si preoccupi anche la signorina del Pascoli ha avuto la punizione che si merita, ma ne sono personalmente occupato con il preside dell'altro istituto. Tuttavia non siamo qui per parlare di antiche rivalità che ritengo debbano essere sepolte, ma siamo qui per parlare del fatto che avete fatto ubriacare dei minorenni ad una festa della scuola."
"Ne ha le prove?", chiesi come ultima difesa.
"Direi che assaggiando il vostro succo che tutti dicevano essere spaziale me ne sono accorto. Siete stati bravissimi con i dosaggi, perchè ho fatto fatica a capire che ci fosse alcool all'interno, ma il sapore era troppo inusuale. Inoltre molti studenti del Pascoli si sono lamentati di essere stati male ed i sintomi sono tutti riconducibili all'alcol. Insomma, cosa pensavate? Che nessuno si sarebbe accorto di nulla?". Purtroppo in questo caso sia io che Emma eravamo troppo lontane dal suo colpo. Solo Raul, con la sua diplomazia, avrebbe saputo rispondere nel modo giusto. Tuttavia decise di rimanere in panchina e così la pallina cadde con un tonfo sordo sulla nostra metà campo.
Il preside fece un respiro profondo e poi riprese con un tono diverso, più dolce e più reale.
"Non sono solito fare queste cose, ragazzi, credetemi. Ne ho combinate anche io da ragazzo, ma almeno non mi facevo prendere. Insomma se fosse stata una festa normale tutti gli studenti sarebbero stati felici di sapere che c'era dell'alcool gratuito. Se l'avessi scoperto, credetemi, avrei preso anche io un bicchiere. Tuttavia quelli del Pascoli sono...come dire..."
"Strani?"
"Anormali?"
"Sì, avete entrambe ragione. Anzi direi più schizzinosi e ligi alle regole. Sta di fatto che il preside del Pascoli vuole a tutti i costi che voi tre non la passate liscia. Credetemi se vi dico che siete fortunati a non dover spendere una lira e che nessun studente vi abbia denunciato. La cosa può rimanere tra noi. Così mi vedo costretto a dovervi infliggere delle punizioni."
Non ero arrabbiata con il preside, dalle sue parole traspariva la situazione scomoda in cui si era ritrovato, ma volli comunque portare avanti la mia causa.
"Lo fa perché deve mantenere dei buoni rapporti con quelli del Pascoli? Perché poi? Così di punto in bianco si mette a fare comunella con loro?"
"Le cose sono ben più complicate di quello che pensate ragazzi. Io non voglio fare amicizia con loro, ma sono costretto.", ammise , senza aggiungere altro.
"Perchè?", insistetti io.
"Passiamo alle punizioni.- disse evitando accuratamente la domanda- Tutti e tre verrete alla fine dell'esame di maturità di quelli di quinta ad aiutare a pulire la scuola per un'intera settimana. Inoltre dovrete presentarvi per un mese ad un progetto della scuola in collaborazione con l'istituto Pascoli. Consiste in un progetto di tutoraggio, in cui gli studenti che si sentono preparati su una determinata materia o anche un solo argomento possono fare ripetizioni a coloro che hanno ricevuto il debito in quel determinato ambito. Tutti gli studenti che lo vorranno potranno partecipare, ma voi avrete l'obbligo di frequenza. Raul sarà un tutor di matematica e fisica. Emma di filosofia e storia." Prima di passare a dire che cosa avrei dovuto fare fece una piccola pausa, il che mi faceva capire che non sarei stata affatto un tutor.
"Artemide prenderai lezioni di latino, oltre ovviamente a frequentare il corso di recupero alla fine di Agosto. Va specificato che tutti e tre dovrete fare da tutor o prendere ripetizioni da uno studente dell'altro istituto. Ad Emma abbiamo già affidato la sua cara amica con cui si è presa per i capelli per tutta la durata del progetto. Voi due verrete accoppiati di volta in volta. Ora scusate ma devo proprio andare.", disse guardando l'orologio rosso fuoco, per poi andarsene di tutta fretta lasciandoci soli nel suo ufficio.
Rimanemmo tutti e tre in silenzio, cercando di metabolizzare cosa era appena successo.
Fu Raul a rompere il silenzio.
"È meglio che vada anche io.", fece per andarsene, lasciandoci da sole.
"Che ti prende? L'abbiamo fatto insieme e insieme faremo anche questa cosa "della collaborazione""
La schiena ampia di Raul faceva velocemente su e giù, mentre io aspettavo che almeno mi degnasse di una risposta.
"Che mi prende? Mi prende che per colpa di questa bravata avrò l'estate rovinata! Non solo a causa di questo tutoraggio del cavolo, ma anche perché i miei mi hanno obbligato a trovare un lavoro. Volevano mandarmi in qualche posto sperduto a fare la stagione in montagna, ma almeno ora potrò rimanere nei paraggi grazie a questa stupidata del preside."
"Cazzo, mi dispiace. Non lo sapevo.- disse Emma, correndo ad abbracciarlo- É tutta colpa mia. Sono troppo accecata dalla rabbia che provo per Giada. Non avrei mai dovuto coinvolgervi, era una cosa sola tra me e lei.". Pronunciò quelle parole ancora stretta tra le braccia di Raul, mentre il suo sguardo era tristemente perso nel vuoto.
"Emma...Come può essere colpa tua? Noi abbiamo accettato, sapevamo i rischi che correvamo, ma l'abbiamo fatto comunque. E poi quella sera abbiamo avuto la certezza che quelli del Pascoli sono anche peggio di quello che pensavamo. Non so chi sia Giada o cosa ti abbia fatto, ma se ti ha fatto reagire in quel modo ha avuto la punizione che le spettava."
Vidi lo sguardo di Raul posarsi sulla figura fragile della sua amica che lo abbracciava come se fosse il suo unico ancoraggio. Capì che avevo ragione: qualcuno doveva pur far intendere al preside che nessuno voleva fare amicizia con quelli del Pascoli. Le conseguenze c'erano e a nessuno piacevano, ma sapevamo di aver fatto la cosa giusta. Con le nostre azioni avevamo smosso i presidi dei due istituti, i quali avevano pensato che far armonizzare due licei così diversi e in contrasto fra loro fosse una passeggiata. E cosa assolutamente più importante avevamo dato voce a tutte le generazioni di studenti del D'annunzio, le quali si rivolterebbero nella tomba se sapessero lo stato attuale della scuola.
"Grazie Art.", disse semplicemente con le lacrime agli occhi. Andai ad abbracciare le due persone a cui tenevo di più al mondo dall'alto del mio metro e venti a causa della carozzina.
"MIifate sempre finire in qualche guaio, ma senza voi due la vita sarebbe dannatamente monotona", ammise Raul per poi sciogliere l'abbraccio e tornare ad essere l'insensibile di sempre. Viste le sue scarse dimostrazioni di affetto, giudicavo quelle parole come la conferma che, nonostante non avesse preso parte alla partita di oggi, lui ci sarebbe sempre stato. Che sia stato solo guardandoci dalla panchina o intervenendo con le sue imparabili battute sofisticate.
"Comunque Artemide Leoni ci devi una spiegazione. Non vogliamo socializzare con quelli del Pascoli!- disse mimando la mia voce in modo buffo- E poi uno di loro tra poco butta giù dall'ambulanza il tuo mio migliore amico pur di salire con te. È lui vero quello delle fragole?"
Il mio comportamento era incoerente, me ne rendo conto, ma non sapevo che lui era del Pascoli e nemmeno se l'avrei più rivisto, nonostante lui avesse fatto intendere che il fato l'avrebbe fatto. Non sapevo più a cosa credere e in quel momento la mia mente non voleva pensarci, perché più ci pensavo e più non capivo perché si comportasse in quel modo ambiguo con me. Sembrava seriamente interessato a me, ma allo stesso tempo spariva e non provava nemmeno a cercarmi. Cosa lo bloccasse non lo sapevo, ma non vedevo l'ora che il fato avesse in serbo per noi il prossimo incontro. Lo avrei affrontato, seriamente quella volta. Tuttavia non sapevo ancora cosa avesse davvero in serbo per noi il perfido fato.
"Sì, ma è troppo complicato."
"Abbiamo tempo per le cose complicate.", disse Emma parlando anche per Raul, il quale però dovette alzare gli occhi al cielo. Odiava le chiacchierate d'amore, ma per me avrebbe ascoltato tutto. E fu così che, ancora seduti sugli sgabelli dell'aula del preside, mentre una rana arlecchino ci guardava giudicante con gli occhi vitrei, raccontai tutto.
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