Capitolo 12

"Tanti auguri a voi, tanti auguri a voi, tanti auguri!", cantarono tutti i miei parenti felici in coro, in attesa che spegnessimo le candeline sulle nostre torte, una gialla come un canarino e l'altra rigorosamente viola. Artemide era felicissima in un vestito viola lungo e i capelli intrecciati in una treccia piena di violette. Sembrava una vera dea. Io ero vestito con una semplice felpa gialla e un paio di jeans. Il giorno del nostro compleanno era il giorno più bello dell'anno per mia sorella e questo fin da quando ho memoria. Si vestiva sempre elegante per l'occasione e invitava tutti i suoi amici, i quali erano obbligati a portarle un regalo sennò non sarebbero stati più amici. Lei funziona così: fai qualcosa che non le va bene o feriscila anche una sola volta e non avrai mai più un suo sguardo d'attenzione. Mi ritengo fortunato ad essere il suo gemello. Se per sbaglio le faccio uno sgarbo il massimo che fa è tenermi il broncio per qualche giorno. Sono l'unica persona con cui la regola esposta sopra non funziona.

Sono la sua persona speciale, me l'ha sempre detto e ne sono sempre stato consapevole. E fidatevi quando vi dico che è bello essere la persona speciale di Artemide Leoni: lei ha questa personalità esuberante e sempre felice che è impossibile non essere contagiati. Sa sempre trovare le parole giuste per rispondere a tono, tanto che è meglio non litigare con lei. Inoltre per le sue persone speciali perderebbe una discussione o litigio, che vista mia sorella è il suo segno d'amore inconfutabile. Tuttavia non è solo questo. È come se, a volte, mi conoscesse più a fondo di quanto mi conosca io. Sa sempre di cosa ho bisogno, quando sono giù e le cause dei miei malesseri. Tutti insomma vorrebbero averla nella loro vita, ma solo in pochi ne hanno l'onore.

Un palloncino giallo esplose sotto i salti di uno dei miei tanti piccoli cugini, ricordandomi che ero costretto tra le mura del mio ampio soggiorno a festeggiare qualcosa che non volevo. Io infatti, contrariamente ad Artemide,odio il mio compleanno: è la festa in cui tutti i riflettori sono puntati su di me, in cui i parenti cominciano sottovoce a paragonarmi a mia sorella.

"Chi dei due avrà i voti più alti a scuola? Certo che Apollo si poteva mettere almeno una camicia. Chissà perchè quel ragazzo non sorride mai!"

Queste erano solo alcune delle frasi che nel corso degli anni avevo udito da parenti che si presentavano solo per l'occasione e presumevo per il loro passatempo preferito: giudicare. Non mi è mai piaciuto essere al centro d'attenzione di una discussione o di una qualunque cosa. Ho sempre lasciato il compito a mia sorella, la quale sotto i riflettori era come splendesse ancora di più. Da piccoli dovevamo fare una recita scolastica e le era stata assegnata una parte secondaria, mentre ad una bambina che non sopportava la parte principale, che ovviamente voleva lei. Era riuscita a farsi scambiare i ruoli con il consenso della bambina, la quale piangendo implorava la maestra di poter fare la parte di Artemide. Ciò che vuole Artemide lo ottiene, o con le buone o con le cattive. Anche in questo campo io sono sempre stato l'eccezione: non c'è mai stata una volta in cui io abbia ceduto ai suoi capricci e per questo da lei vengo trattato con rispetto incontrovertibile quando si tratta delle mie cose.

"Apollo vieni!", disse mia sorella da dietro il tavolo delle torte. A quanto pare l'esibizionismo non era ancora terminato. Mancavano infatti le foto con qualche cugino di terzo grado venuto apposta da fuori città per noi. Come se qualcuno glielo avesse chiesto. Sorrisi e aspettai con impazienza che la tortura finisse solo per tornare in camera mia a leggere Dorian Gray. La mia gemella però aveva altre idee. Mangiata la torta del nostro quattordicesimo compleanno, mi portò in giardino, lontani da tutti i parenti. Ci sedemmo sulle altalene che erano poste nel lato destro del giardino, mentre un leggero venticello mi fece pentire di non aver preso almeno una giacca. Aveva in mano due penne e due bigliettini dei nostri colori: giallo e viola. La storia dei colori risaliva fin dalla nostra nascita: i miei genitori, da veri appassionati di tutto ciò che riguardasse il mondo antico e i suoi miti, si erano incontrati in Sicilia, presso quello che si diceva essere il tempio dei due dei gemelli. Si innamorano e non appena appresero che aspettavano due gemelli, un maschio e una femmina, presero l'opportunità per sfoggiare il loro amore e la loro saggezza e in materia antica dandoci i nomi di quelli dei che, a detta di mia madre, li seguivano fin dal loro primo incontro. Tuttavia, non si limitarono solo a ciò. Fin da quando ho ricordo tutte le mie cose sono sempre state gialle: dal colore della mia culla a quello della mia stanza. Per chi ne sa un minimo di mitologia il giallo è il colore del dio Apollo, dio del sole. Contrariamente mia sorella aveva tutte le sue cose di colore viola e lilla, colore della dea Artemide secondo i miei genitori. Mia sorella era decisamente appagata di avere fin dalla nascita un colore che la rappresentasse. Fin da bambina aveva fatto del viola il suo colore, comprando vestiti, astucci, zaini di quella tonalità. Io, d'altro canto, non sopportavo questa credenza, che con il tempo capì essere più un'ossessione dei miei genitori. Era come se, fin da quando ero nato, loro avessero voluto impormi quale fosse il mio colore preferito, cosa avrei dovuto comprare e addirittura quali vestiti indossare durante i compleanni. Tutto ovviamente rigorosamente giallo, un colore che con il tempo cominciai piano piano a detestare. Non mi era mai piaciuto veramente, troppo sgargiante e gioioso. Mi è sempre piaciuto il blu, che con la sua oscurità era come se nascondesse misteri affascinanti ignoti a tutta l'umanità. Per questa sua caratteristica lo trovavo a dir poco affascinante. Tuttavia, non volevo rendere infelici sia i miei genitori che mia sorella, così facevo finta che il giallo fosse il mio colore preferito.

"Ti ricordi il nostro sesto compleanno?", chiese come se la domanda fosse "Cosa hai mangiato ieri?". Non avrei saputo rispondere nemmeno a quella per la cronaca.

"Si...?", dissi dubbioso.

"Dai Polo! Quello in cui avevo ricevuto la barbie che desideravo da quando ero praticamente nata!"

"Così aiuti ancora meno.", dissi sincero.

"E tu saresti il più intelligente tra noi due?"

"Beh è un dato di fatto.". Sbuffò.

"A quel compleanno avevo chiesto alla mamma una domanda...", disse senza finire la frase.

"Cos'è? Completa la frase e vinci un milioni di euro?", dissi a metà tra il divertito e l'irritato.

"Avevo chiesto alla mamma quale fosse il compleanno più importante."

E così ricordi sepolti sotto chissà quanti strati di polvere riaffiorano.

"Mamma, mamma!", disse insistente Artemide, mentre la mamma era impegnata a tagliare la torta per tutti gli invitati. Era il nostro sesto compleanno e io non vedevo solo l'ora che tutti se ne andassero, solo per mangiare le fette di torta avanzata solo con mia sorella e i miei genitori in cucina. Decisamente la parte più bella di ogni festa di compleanno.

"Non ora Art. Se la zia () non riceve la torta tra minimo due minuti te la senti te."

"Qual è il compleanno più importante della vita?", chiese incurante di quello che mia madre le aveva detto poco prima. Mia madre, con i suoi occhi azzurri che ogni giorno vedevo davanti allo specchio alla stessa maniera, lasciò il coltello vicino alla torta e si sedette su una sedia lì accanto.

"Vieni anche te Apollo." Io che stavo ascoltando in silenzio e nel mentre giocavo con una pallina rossa tirandola sul muro, ero curioso di sapere la sua risposta. Ero sicuro che dopo quel compleanno quella giornata sarebbe finalmente diventata una come un'altra, o almeno speravo che mia sorella si sarebbe calmata arrivata all'apice del compleanno più importante. Speravo che la risposta fosse dieci o addirittura sette anni, così quello strazio annuale sarebbe finito in solo un anno.

"Non c'è un compleanno più importante di un altro, - cominciò mentre tutti i miei sogni cominciavano piano piano a sgretolarsi- ma ci sono traguardi importanti. Sicuramente il diciottesimo è un traguardo molto importante e tanto atteso dai ragazzi."

"Perchè? Cosa succede a diciotto anni?", chiese impaziente Artemide, mentre mia madre non poté fare altro che emettere un risolino divertito.

"Non cambi così di punto in bianco. - precisò - Però la legge ti riconosce finalmente come adulto, non più come un adolescente. Insomma entri nel mondo degli adulti e non ne puoi più fuggire."

Artemide a quelle parole si illuminò, come se nella sua testa avessero cominciato a muoversi milioni di molle e bottoni in un solo istante. Avevo paura di quello che la sua testa stava partorendo, perché la maggior parte di tutto ciò di pazzo che faceva in qualche strana maniera riusciva a coinvolgere anche me, volente o non. Io, d'altro canto, dopo quelle parole non volevo arrivare a compiere diciotto anni. Diventare grandi era qualcosa in effetti per grandi ed io ero solo un bambino che voleva rimanere tale per sempre. Tutto ad un tratto i compleanni mi piacevano ancora meno, perchè mi avvicinavano piano piano e inesorabilmente verso il mondo degli adulti.

Al ricordo di come il mondo degli adulti mi spavantasse così tanto sorrisi. Ormai a quattordici anni capivo quelle parole meglio. Diventare grandi non era male, nonostante dovessi cominciare a fare le cose da solo senza l'aiuto di nessuno, ma implicava anche più libertà e maggiore autoconsapevolezza di sé stessi. Ora, cresciuto, volevo diventare grande, solo per assaporare ancora di più quella libertà che sognavo da sempre.

"Ricordo."

"Bene. - cominciò con un sorriso fin troppo grande per i miei gusti- Mancano solo quattro anni a quel traguardo. È pochissimo tempo!"

"Stai scherzando? Manca un'eternità."

"Vedrai quando avrai diciotto anni e ripenserai a questa chiacchierata, ti sembrerà ieri." La solita esagerata, pensai.

"Comunque ho pensato che sarebbe bello se scrivessimo su un biglietto del nostro colore i nostri desideri per quando arriveremo a quel traguardo. Ad esempio quello che ci aspettiamo da quell'età e cose così. E poi quel giorno li bruceremo, senza che io legga cosa hai scritto te e tu cosa ho scritto io. Così che forse, come dice la mamma, Zefiro o qualche vento gentile ci ascolterà e esaudirà i nostri desideri."

"Credi veramente a quelle cose?", chiesi scettico, sapendo che la mamma quando raccontava i suoi miti li rendeva così avvincenti che sembravano quasi reali. Sembravano, appunti.

"Perchè devi rovinare il momento con il tuo realismo? Certo che so che non esistono, ma è sempre bello far finta di crederci." Non capivo perché mia sorella si dovesse illudere a fantasie irreali, ma non provai a farla ragionare. Stavo per declinare la proposta, troppo fantasiosa per uno come me che ha sempre creduto solo in ciò che vede, quando mi resi conto che un po' di fantasia non mi avrebbe fatto male. In quel periodo avevo bisogno di fare chiarezza con me stesso e forse scrivere desideri sinceri e puri mi avrebbe aiutato.

"Quindi tu non leggerai quel biglietto, vero?", dissi cominciando a dondolarmi sull'altalena con un po' di entusiasmo.

"No, non appena bruciato solo tu saprai cosa c'era scritto. O almeno solo la tua memoria."

"Va bene, ci sto.", e detto questo facemmo scontrare i nostri pollici della mano destra come facevamo sempre quando una promessa era una promessa inviolabile.

Quella sera, da solo nella mia camera infransi per la prima volta una promessa con Artemide. Presi due fogli, uno giallo e uno blu scuro, e scrissi le stesse cose in ognuno dei due. Fui felice di vedere come, pensieri che comparivano nella mia testa qua e là erano in realtà quello che volevo veramente, i miei desideri più intimi che nessuno avrebbe dovuto leggere. Solo il vento e io, ogni qual volta in cui mi sarei dimenticato chi fossi davvero.

Presi il foglietto blu e lo nascosi dove sapevo che nessuno avrebbe mai cercato e, sdraiato sul letto mi resi conto di una cosa alquanto evidente, ma a cui avevo sempre cercato di non pensare. Essere la persona speciale di Artemide significa essere il suo centro, il suo punto fisso. Questo, come già detto, porta molti vantaggi ma purtroppo anche svantaggi. Me ne accorsi quella notte, rendendomi conto che ero sì la sua persona speciale per cui avrebbe fatto di tutto, ma dal suo punto di vista. Dava per scontato che, solo perchè siamo gemelli, mi piacevano le sue stesse cose: dal compleanno al colore impostoci dai nostri genitori. Non si era mai posta la questione che a me tutte quelle cose non piacessero affatto. Non si accorgeva che quell'Apollo che pensava di conoscere come conosceva l'alfabeto a memoria in realtà non lo conosceva. E io, solo per darle l'illusione che ero la persona che credeva, cominciai a nasconderle segreti, dai più banali fino a quelli che un giorno, ormai troppo tardi, mi resi conto che aveva il diritto di sapere.


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