Quattro - Edward Samuel Teller
Insenatura di Ocracoke, 1718
Pensavo di essere caduto per terra. Avevo sentito l'impatto con il pavimento, invece mi ritrovai in piedi. Davanti ai miei occhi, tra la foschia, la prua di una nave puntava verso il mare. Una testa mozzata era appesa al bompresso, sgocciolando sangue nelle onde sottostanti. I capelli scuri del morto, scompigliati e appiccicosi, ondeggiavano nella brezza.
Dove ero finito? Mi guardai attorno smarrito: diverse chiazze cremisi erano sparse ovunque; il legno dello scafo del vascello sembrava volesse assorbirle.
Mi era addirittura cresciuta una barba lunga e nera, divisa in più codini. Non faceva parte del mio costume per Halloween. Provai a tirarla via, ma mi feci soltanto male.
Feci un giro su me stesso alla ricerca di Azariah e Temperance e i miei occhi si focalizzarono su un gruppo di uomini in divisa con cappotti e tricorni blu scuro. Stavano brindando sulla coda della nave, accanto all'entrata della stiva.
Uno di loro guardò verso di me e mi indicò.
«Tenente Maynard! Guardate!» balbettò con disappunto.
Tutto il gruppo puntò gli occhi verso di me.
«Non è possibile...» brontolò un altro uomo, incredulo. Il calice di terracotta che teneva in mano ruzzolò sul ponte, spandendo il suo contenuto schiumoso a terra. L'uomo digrignò i denti. «Nemmeno gli inferi ti vogliono, farabutto!».
Il tenente sfoderò dalla bandoliera una pistola e direzionò la canna contro di me. La sua ciurma lo imitò: chi estraendo altre pistole, chi spade dalla lama sporca di sangue.
«L'ho decapitato, non può essere ancora vivo» mormorò un uomo massiccio al suo fianco.
«Forse era un tranello» propose qualcun'altro.
«Ci ha fatto uccidere l'uomo sbagliato».
Mostrai le mani in segno di resa. «Buonuomini sono disarmato e innocente».
«Chi sei?» mi domandò il tenente. Una nota vibrante nella sua voce tradiva la sua sicurezza.
«Mi chiamo Edward Te...».
«È lui! Prendiamolo» urlò un uomo dalle retrovie, coprendo la mia risposta.
«...ller». Deglutii.
Il gruppo di soldati si mosse come una sola entità verso di me. Feci appena in tempo a rifugiarmi dietro l'albero di prua per mettermi al riparo dai proiettili.
Altri spari mi consigliarono di rimanere nel mio nascondiglio. Mi raggomitolai a terra con le braccia sopra la testa. Mi avrebbero raggiunto, mi avrebbero ucciso.
Perché ci mettevano tanto ad arrivare?
Tumb. Tumb. Tumb. Tumb.
Sentivo i loro frenetici passi sul legno. Le loro urla. Erano sempre più vicini.
Una sfera verde comparve tra i miei stivali e prese la forma della statuetta.
«Portami indietro. Portami a casa» la supplicai.
Il piccolo teschio parve scuotere la testa scheletrica. Gracchiò con voce rauca: «Soltanto uno potrai salvare».
«Che cosa? Dove sono Temperance e Azariah?».
«Pensa bene» ridacchiò l'angelo della morte. «Soltanto uno e i tuoi amici potrebbero aver già fatto una brutta fine».
Posai le mani attorno alla veste bianca della statua. «No! Per favore. Prendi soltanto me. Io ho recitato la formula, loro non c'entrano nulla».
«Le regole non vanno infrante. Soltanto uno».
La vista mi si appannò di lacrime.
Una seconda scritta si materializzò sul piedistallo nero, cancellando la prima.
"E con il passare di strani Eoni anche la morte può morire" lessi nella confusione.
Un uomo mi si parò davanti. Mollai la statuetta per terra.
«Torna a strisciare con i vermi!» urlò guardandomi con occhi assatanati.
Vibrò la spada contro la mia gola. Mi mancò il respiro. Sentii la lama fredda squarciarmi la pelle. I miei occhi osservavano l'espressione malvagia del mio assassino, che si inclinò di lato con il mio viso. Subito dopo schizzi rossi la sormontarono, imbrattando il volto di entrambi.
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