Era una mattina di aprile, quando nella sua vita accadde un evento che ancora adesso non riesce a spiegarsi.
Si era svegliata alle otto e trenta per prepararsi ad andare a prendere il bus delle nove e quarantacinque per recarsi all'università.
Arricciò il naso all'odore di cui era impregnata l'intera casa: pesce marcio. Si chiese se quella sensazione fosse dovuta solamente al suo odio per il pesce, o se sua madre ne avesse effettivamente buttato di avariato.
Balzò in piedi, per quanto fosse annoiata, all'idea di dover seguire un corso all'università alle dodici e trenta che non le interessava più di tanto. Quell'orario non le piaceva per niente, soprattutto perché odiava camminare sotto il sole caldo di Napoli.
Andò in cucina, per bere un bicchiere d'acqua, e, con sua totale sorpresa, notò che la puzza sentita poco prima diminuiva in quella stanza - dove si sarebbe, al contrario, aspettata che fosse più forte -, mentre era molto forte nella zona della sua.
Eliminata l'opzione del pesce avariato, all'idea di qualche topo morto fuori dalla sua finestra rabbrividì.
Tornata in camera sua, silenziosa come una biscia - come al suo solito, per non svegliare la sorella che dormiva - aprì la finestra, e con ulteriore stupore, non vide nessun topo morto.
Annusò ancora l'aria, cercando di seguire la traccia di quel cattivo odore.
Il cagnolino, appena sveglio, uscì dalla camera della ragazza, e iniziò a puntare con il naso la porta chiusa del bagno. Lei percepì che la puzza, in direzione del bagno, aumentasse a dismisura.
Aprì lentamente la porta, non trovando assolutamente nulla nella stanza, davanti a sé.
Si guardò allo specchio, dicendosi che forse la sua era solo una autosuggestione. Però, notò che Pancio, il suo Pinscher, puntava come come un segugio la stanza. Qualcosa deve esserci. Per forza!, pensò tra i brividi.
La faccia di Pancio le provocò un moto nel braccio che la costrinse a chiudere la porta.
E fu lì che lo vide.
Il mostro dormiente era poggiato alla parete del bagno, in un equilibrio inaspettato, che lo faceva sembrare un manichino: quasi fosse stato inchiodato al muro o sorretto da un qualche sostegno. Il liquido che scorreva dalla sua bocca imbrattava tutto il pavimento, espandandosi in una pozzanghera color rosso cremisi.
Si chiese come fosse entrato lì, visto che tutte le porte erano state chiuse, quando i suoi genitori erano usciti nella prima mattinata.
Si mosse circospetta, cercando qualsiasi cosa con cui proteggersi. Ma l'occhio di quella cosa si aprì e si sbarrò nella sua direzione. Era giallo, ricco di venature rosse: lo sguardo famelico.
Al suo risveglio, la puzza aumentò notevolmente, a causa del movimento della carne morta di cui era fatto.
La creatura tentò subito di attaccarla, ma tenace com'era, lei riuscì a impossessarsi del suo spazzolino. Usò la punta leggermente arrotondata come se fosse un coltello. La sua arma di fortuna penetrò facilmente nell'occhio di quella "cosa", che si era decisamente arrabbiata, dato che lo spazzolino era rimasto intrappolato nelle sue carni e lei aveva usato molta forza, nel tentativo, vano, di cacciarlo.
Scappò in fretta, per chiudersi nella sua stanza. Il suo primo pensiero fu di sedersi sul pavimento, dato che la porta si apriva spingendo e non era dotata di una chiave.
Il peso che aveva creato con il suo corpo la aiutò a tenere la porta bloccata, ma solo per poco: perché la creatura iniziava a spingere con una certa prepotenza. Visto che non aveva più molte forze, decise di prendere in fretta la sedia della sua scrivania, lì accanto, e di metterla come fermaporta.
Iniziò a chiamare la sorella, che dormiva placida nel suo letto.
«Svegliati, accidenti!» la esortò, scuotendola.
«Che diavolo vuoi?» disse l'altra assonnata.
«C'è un mostro, qui fuori, che sembra molto intenzionato a entrare. Per ora ho bloccato la porta con la sedia».
«Cosa hai fumato?» chiese ironica la sorella, rimettendosi a dormire.
Offesa dal commento, alzò gli occhi al cielo e cercò di non badarci troppo - pensando che la sorella fosse solo troppo stordita dal sonno, per rendersi conto della situazione -, continuando a controllare la porta ancora chiusa.
La creatura smise di "bussare". Sperò che finalmente fosse andata via, magari avendo capito che lei non fosse una preda facile.
Ma quando quella cosa si materializzò nella stanza, sgranò gli occhi. Nell'occhio in cui l'aveva accoltellata con lo spazzolino, c'era un largo foro. Com'è possibile? Perché tutte a me?: queste erano le domande che le frullavano in testa.
La creatura tentò di morderla, ma furtivamente lei era riuscita a sfuggire all'attacco, andando nello sgabuzzino per recuperare il ferro da stiro che utilizzò per proteggersi, come uno scudo.
Quando il mostro, non ancora esausto, tentò un nuovo attacco, lei colpì la sua testa con il ferro, facendolo cadere a terra.
Riuscì appena in tempo ad andare in camera sua per mettersi uno stivale, che avrebbe utilizzato per uccidere quella cosa, e a tornare dove l'aveva lasciata, che questa si era già rialzata.
«Cavolo! Non muore mai!» urlò con il fiato corto.
Tentò di colpirlo di nuovo con il ferro, ma la creatura riuscì a bloccarla con le braccia forti e a stendersi su di lei sul pavimento, cercando ancora di morderla. Il suo ringhio, e i suoi denti insanguinati dritti in faccia, le provocarono dei brividi lungo la colonna vertebrale.
La puzza era sempre peggiore: cadavere in putrefazione. Il sangue scorreva dalla bocca di quella creatura sulla sua faccia: cercò di tenere la bocca chiusa, in maniera tale da non rischiare di ingerirlo.
Girando il viso, urlò, cercando di attirare l'attenzione della sorella e riuscendo, con uno scatto di rabbia, a mettersi a cavalcioni sopra il corpo del mostro, in una posizione tale da poter colpirlo con il ferro da stiro in testa, ripetutamente. Le ricordò, il risultato, un'opera di cui aveva sentito parlare nel corso di Storia dell'arte contemporanea, viste le chiazze di colore rosso sparse sul pavimento, ormai divenuto la tela del suo lavoro.
La cosa non si muoveva più. Doveva liberarsi di quel corpo. Lo mise in una busta, cercando di non sporcare ulteriormente il pavimento di sangue putrido.
Doveva pulire. Se i suoi genitori avessero trovato il pavimento in quello stato, avrebbero potuto fare domande.
Sua sorella, appena alzatasi e in procinto di uscire dalla stanza, strabuzzò gli occhi, vedendola strizzare il mocho con tanta frenesia. «Si può sapere che cosa diavolo hai facendo?»
Tornata sulla scena del crimine in fretta con il mocho in mano, rimase sconvolta. La tela era tornata ad essere immacolata. «Hai pulito tu?» chiese alla sorella.
«Io?» ridacchiò. «Certo. Non hai visto le mie braccia bioniche che dalla camera hanno pulito il corridoio fino all'ingresso della cucina?» Lo humour della sorella non le stava piacendo affatto.
Come d'istinto, corse nel luogo in cui aveva lasciato la prova visiva del "suo sogno reale". Solo per notare che, nella busta, quella cosa non c'era più.
«Dico sul serio. Ti guardi troppi film horror, e poi sogni queste cose che ti sembrano vere. Smetti di guardarli, e vedrai che starai meglio».
Erano le stesse cose che anche sua madre le diceva. Smettila, smettila, smettila. Ormai non le diceva altro.
Sapeva, e sa tuttora, però, che quello che era successo quella mattina non fosse un sogno: la prova schiacciante era lì, perché nonostante fosse tutto sparito, una minuscola chiazza di sangue era rimasta intrappolata all'interno dello spazio tra due piastrelle.
Quello che non si spiega e mai si spiegherà, è come mai sua sorella non avesse visto nulla.
o 0 O 0 o
Buonasera a tutti. Questa è la prima OS che scrivo. Come già detto un po' nella trama, l'ho scritto in seguito a un sogno che ho fatto (sì, per me i sogni con gli zombie sono sogni. Per me, gli zombie sono la vita). Però è uno zombie un po' particolare. Sto pensando di svilupparci attorno una trama un po' più complessa per spiegare come mai lo zombie si sia materializzato oltre la porta.
Fatemi sapere come vi sembra. Un abbraccio,
fiorellinosbocciato
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top