Numeri Nascosti e Interviste Improvvisate Male

I tre giorni che seguirono quel fatidico evento furono l'inferno sceso a Roma. L'officina era stata talmente piena di clienti da costringerlo bloccato lì, senza possibilità di fuga nemmeno nello spacco in pausa pranzo. Mangiava un panino al volo e ricominciava a lavorare, senza sosta. Le giornate gli scivolano sulla pelle e a lui nemmeno sembrava di averle vissute realmente, fermo com'era in quel limbo di non-vita.

Tornava a casa la sera, stremato, senza la possibilità (volontà) fisica di rassettare: cucinava, si lavava, moriva nel letto e poi ricominciava. Un loop infinito scandito dalle passeggiate notturne di Luna-piedi-di-piombo per l'appartamento, che puntualmente gli impedivano di fare un sol sonno tirato.

In libreria non c'era proprio stato, né tantomeno aveva sentito Monica per informarsi circa l'andamento settimanale, come invece era solito fare. Tanto cosa poteva essere cambiato?

Quel venerdì Matteo l'aveva anche lasciato da solo, a vedersela con i clienti scazzati che per un motivo o per l'altro avevano preteso che facesse il lavoro di una settimana intera in un paio d'ore, perché: andiamo amico, c'avemo er week-end davanti.

Come se il suo, di week-end, valesse meno.

Doveva accompagnare Chicca dalla ginecologa, il collega e amico, per il tracciato settimanale: solitamente se ne occupava Luna che aveva modo di gestire autonomamente il proprio lavoro, ma a quel giro "proprio non mi riesco a liberare, ho una scadenza e mi stanno con il fiato sul collo!"

Dunque a Matteo toccava fare il papà e lui era stato fregato, sotto tutti i fronti.

Quando quella sera rientrò non ebbe nemmeno il coraggio di togliersi le scarpe. Le piante dei piedi gli bruciavano da morire, ma abbassarsi per poter dare loro sollievo dalla costrizione dei lacci stretti gli pareva tanto alto tradimento nei confronti di una schiena a pezzi. Si trascinò fino al divano e cadde tra i cuscini, socchiudendo gli occhi e beandosi per alcuni istanti del silenzio di una casa vuota. Il suo attimo di pace durò poco, il cellulare prese a squillare, costringendolo a controllare lo schermo.

Chicca.

Non si preoccupò di rispondere, Matteo gli aveva mandato un messaggio poco prima per avvisarlo del fatto che bimba e mamma stessero bene. E lui non aveva proprio voglia di sentire l'ennesimo rimprovero da parte della sua migliore amica, circa lo stile di vita che stava conducendo.

Impostò il silenzioso e chiuse nuovamente gli occhi.

Solo per pochi istanti, si ripromise, ma questi evidentemente durarono di più perché, quando li riaprì la stanza era immersa nel buio e Luna era seduta a gambe incrociate sulla poltrona alla sua destra, intenta a smanettare davanti al portatile che emanava una luce tanto fioca da imbronciarle lo sguardo e segnarle le occhiaie. A tutti gli effetti un horror a basso costo. Se avesse avuto la forza, probabilmente avrebbe urlato. Invece si limitò a sobbalzare e a sbattere le palpebre ripetutamente, per mettere a fuoco la vista.

«Che ore sono?» Le domandò, stupendosi per
primo del fatto che avesse la voce così arrochita. Adocchiò il pacco di biscotti vuoto adagiato sul tavolino basso che si frapponeva tra lui e il televisore. Erano suoi quelli e lei li stava mangiando.

Sospirò, ma non disse nulla.

«Le dieci.» Non lo guardò nemmeno, presa com'era da qualsiasi cosa stesse facendo. Manuel si alzò di scatto, aprendo e chiudendo la bocca un paio di volte, per poi afferrare il cellulare e controllare di persona che la ragazza non gli stesse mentendo. Occhi spalancati prima rivolti allo schermo, poi a lei.

«Perché non mi hai svegliato?» Le domandò, il tono più accusatorio di quanto realmente volesse. D'altronde la sua coinquilina gli aveva messo un plaid sulle gambe e sfilato le scarpe, probabilmente mossa da un moto di compassione generato dall'averlo trovato in quello stato. Decisamente non meritava di essere aggredita perché a lui piaceva campare male (come diceva Chicca, maledetta Chicca).

«Perché se dormi significa che sei stanco.» E se faceva pietà a Luna, che di norma non notava nulla, allora significava che la situazione era davvero più tragica di quanto pensasse.

Tutti i suoi piani circa quella poco entusiasmante serata sfumarono all'istante. Non aveva nemmeno fame. O meglio, avrebbe volentieri messo qualcosa sotto i denti, ma la sola idea di dover sistemare la cucina, dopo, gli faceva chiudere lo stomaco. Un mesto sospiro e sbloccò il cellulare. Tre chiamate perse da Chicca, a cui mandò un veloce messaggiò di scuse: "So' crollato", e un messaggio della buonanotte da parte di sua madre.

Poi aprì Instagram, per inerzia, e fece un giro veloce in quella che ormai non era più una home page, bensì un'accozzaglia di reels che a lui non interessavano. Non sapeva nemmeno chi fosse quel tale Jerard che raccontava delle sue avventure in giro per il mondo, eppure eccolo lì, sempre in prima linea ad ammorbarlo (e a farlo crepare di invidia, maledetto algoritmo che aveva deciso gli piacessero i viaggi esotici e i gattini carini) con i suoi consigli fasulli su come fare un viaggio low-cost a Zanzibar (ma a chi voleva darla a bere?).

Fece tap sulla barra di ricerca, un gesto che negli ultimi giorni era diventato una consuetudine e pigiò su quello che ormai era divenuto il primo risultato. Non era nemmeno necessario che inserisse una S, Simone Balestra invadeva il suo schermo con la stessa facilità con cui invadeva i suoi pensieri da quando l'aveva baciato prima di scomparire.

Più che altro Manuel non si capacitava di cosa fosse accaduto. Cioè l'aveva baciato ed era stato... Indefinibile? Non programmato, di certo.

Fino all'istante prima non aveva nemmeno ipotizzato che una cosa del genere potesse succedere. Né tantomeno si era permesso di anelare un avvenimento simile, perché quello era Simone Balestra e non poteva proprio essere che avesse desiderato Manuel Ferro; neanche per uno solo scarso minuto. Insomma poteva ambire a ben altro e lui era solo... lui: mediocre, passabile, dimenticabile.

Allora cosa era saltato in testa all'attore?

Scrollò velocemente il suo profilo per quella che poteva essere la centesima volta e... niente, non l'avrebbe mai scoperto.

Luna aveva rovinato tutto e forse (sicuro) per
quel motivo era più suscettibile del solito quando si trovava in sua presenza.

Proprio come un sogno troppo bello, l'attimo si era dissipato in pochi istanti e lui a stento ne rimembrava i dettagli, nonostante si arrendesse all'intrusività di quel ricordo fin troppo spesso nel corso delle sue interminabili giornate. Più volte del socialmente accettabile, a suo parere.

Il distacco era stato brusco: Simone Balestra era salito a recuperare la propria camicia e poi, prima ancora che Luna s'infilasse sotto la doccia come aveva preannunciato, era sparito. Questa volta per davvero. E Manuel non era stato in grado di dirgli nulla, talmente quella situazione gli era sembrata... surreale? Da romanzetto rosa, gli pareva una definizione più appropriata.

Non aveva modo di rintracciarlo, sapeva che si trovava a Roma, da qualche parte, e sapeva anche che non si sarebbe trattenuto ancora a lungo. Scrivergli su Instagram gli sembrava una mossa poco intelligente perché quasi sicuramente non gestiva i suoi social da solo. E a prescindere, uno come lui doveva avere i Direct intasati da talmente tanta gente che un suo messaggio sarebbe passato in sordina, in mezzo a quelli di tutti i suoi followers. Che poi cosa avrebbe potuto mai scrivergli?

Ciao, sono quello che ha insultato i tuoi gusti letterari e che ti ha rovesciato un cappuccino sull'Armani che indossavi, però, ehi, ci siamo baciati. Ridicolo.

«Senti, ma in questi giorni mica ha chiamato qualcuno?» domandò a Luna. La ragazza arricciò le labbra, fingendo di pensarci su. Era così strafottente da fare invidia.

«A parte i call center, tu e tua madre, nessuno usa più i fissi. E te dirò de più, me sa che Anita è a un passo dall'aggiornamento.» rispose distrattamente, e Manuel fece un sospiro, poggiando i gomiti sulle ginocchia.

«Luna, ti prego. È importante, puoi concentrarti?» Perché almeno quello di casa era un numero rintracciabile e se l'attore avesse voluto ricontattarlo, avrebbe potuto reperirlo facilmente.

Non gli aveva detto come si chiamava, ma magari sarebbe riuscito a risalire al suo nome con l'indirizzo di casa o tramite le informazioni pubbliche della libreria in cui era stato. Una mossa un po' da stalker che Manuel avrebbe giustificato, per ovvi motivi. In fondo non si stava comportando da meno, solo che le sue risorse erano più limitate.

La ragazza sospirò a sua volta, abbassando lo schermo del portatile e appoggiando la schiena alla poltrona e accendendo la sua speranza.

«Hanno chiamato un paio di call center, quelli della luce e il gas stanno come i pazzi. E tua madre. Le ho detto di telefonarti sul cellulare perché eri a lavoro. L'hai sentita?» Annuì piano in risposta, un po' deluso. Nessuno gli assicurava che Simone avesse voglia di risentirlo. Magari voleva solo baciare qualcuno. Magari era il suo modo di fare. Forse era una consuetudine baciare chiunque gli capitasse a tiro, un narcisistico modo per affermare il suo essere assolutamente irresistibile. L'autocompiacimento poteva causare dipendenza a tal punto? Mica lo conosceva per davvero, d'altronde. Un bel faccino pulito non per forza doveva equivalere ad una brava persona.

«Nessun altro?» Ritentò, più che altro per farsene una ragione. Non l'aveva cercato. I mezzi a disposizione, se avesse voluto sentirlo o rivederlo, li aveva avuti. Doveva metterci una pietra sopra e basta. Anzi quello lì sarebbe stato l'aneddoto che avrebbe tirato fuori ai futuri cenoni di Natale, per farsi una risata con gli amici che mai lo avrebbero creduto per davvero.

«Nun me pare, no. Aspettavi qualcuno?»

«Non proprio. - mormorò, alzandosi in piedi, il cellulare ancora sul profilo Instagram dell'attore che non aveva nemmeno iniziato a seguire. - Vado a fa 'na doccia. Domattina passo in libreria.» Luna annuì, rimettendosi a battere sulla tastiera.

«Se te trovi metti a lava' quella camicia. - Manuel piegò il capo di lato, interrogativo, le sopracciglia aggrottate. - Perché te lamenti tanto de me, ma onestamente è indecente che n'te sei degnato de smacchia' quella robba. Probabilmente non verrà manco più via.»

«Quale camicia?»

«Il troppo lavoro te sta a da alla testa? Quella che hai lasciato nel bagno piccolo, dietro alla porta. Sta là da giorni, ma almeno fai un tentativo. Pare pure bona. - finse di pensarci per poi metter su espressione cospiratoria. - L'avrai mica rubbata?» Ma lui nel bagno piccolo non c'andava mai, se non per dargli una pulita nei week-end. Era quello riservato agli ospiti che non aveva, quello in cui probabilmente era andato...

«Cazzo. - l'amica sollevò un sopracciglio. - Cazzo. - ripeté, facendole piegare le labbra all'ingiù. - Perché non me l'hai detto? Cazzo!»

«Che so', 'a segretaria tua? Te prendo le chiamate e già è parecchio.» gli urlò dietro, ma lui stava già correndo per le scale a piedi scalzi, il cellulare stretto ancora nel palmo. La camicia era andata a riprendersela, no? L'aveva vista tra le sue mani? Non riusciva a ricordarlo, in quel momento non era riuscito a prestare attenzione a nulla, perso com'era nel pensiero di essere appena stato soggiogato dal fascino di un completo estraneo, conosciuto da praticamente tutta Italia. Si fiondò nella stanzetta recriminata, ed eccola lì, appesa al pomello della porta: la macchia di cappuccino ormai secca che tingeva la stoffa bianca. Rimase a guardarla per qualche istante, prima di afferrarla e studiarla. Se era risalito e aveva deciso di lasciarla lì, un motivo doveva esserci.

E quel motivo si palesò sotto il suo naso quando, rigiratosi la manica destra tra le mani, trovò appuntato un numero di telefono sulla stoffa liscia del polsino.

Il cuore a mille. Era sempre stato lì.

Per tre giorni, durante i quali si era arrovellato sul pianificare una strategia per poterlo rivedere, aveva avuto la risposta dentro casa. Semplicissima. Perché evidentemente non era l'unico che desiderava replicare quegli incontri che fino a quel momento erano stati casuali. Segni del destino? Non lo sapeva, non è che credesse chissà quanto a quella cazzata della predestinazione. E quel numero di telefono non faceva altro che avvalorare il suo pensiero: la fortuna era stata seguita dell'intenzione. Simone voleva rivederlo? Sentirlo?

Lui sì, da morire, e non sapeva nemmeno perché, visto che - bacio a parte - quel ragazzo era stato sgradevole per la maggior parte del tempo.

Si chiuse in camera propria, il numero digitato che ricontrollò quattro volte per essere certo di non aver sbagliato nemmeno una cifra. Temporeggiò, prima di inoltrare la chiamata, gli occhi che scorrevano dalla cornetta all'orario in alto a destra.

Erano le 22:17. Poteva davvero telefonare una persona a quell'ora? Magari avrebbe dovuto salvare il numero in rubrica e scrivergli un messaggio su whatsapp. La gente famosa aveva whatsapp? Oppure poteva attendere il giorno seguente. Solo che aveva aspettato così tanto e, insomma, cosa ne poteva sapere Simone Balestra che quello in cui gli aveva lasciato il numero fosse un bagno inutilizzato?

Alla fine si decise, e al primo squillo avvertì un vuoto all'altezza dello stomaco. Perché il coraggio di richiamarlo, se non gli avesse risposto al primo tentativo, probabilmente non l'avrebbe mai avuto.

«Lo stavo per disattivare, questo numero. - schiuse le labbra quando avverti la sua voce carezzargli l'orecchio destro. Fu capace di allentare la pressione che aveva avvertito fino a quel momento, facendolo cadere seduto ai piedi del proprio letto. - Ciao.» disse poi, e Manuel riprese a respirare.

«Ciao.»

«Ce ne hai messo di tempo. - la sua voce, così profonda... si poteva davvero diventare dipendenti da una voce? - Pensavo non mi avresti richiamato, arrivati a questo punto.» Era soffice, proprio come le sue labbra. E di quello poteva dire di esserne empiricamente certo.

«In quel bagno non ci vado mai, la mia coinquilina, si è ricordata oggi di avvisarmi della...»

«Ma dai, e io che pensavo mi sarei ritrovato una denuncia a carico.» Parlava a voce bassa e Manuel non riuscì a capire se stesse scherzando. Aveva un concetto di ironia che non riusciva a comprendere ma che inspiegabilmente desiderava ardentemente fare proprio.

«Oh, ci ho pensato in effetti. - tentò di emulare il suo tono, facendo un breve pausa per dargli tempo di controbattere. Non lo fece. - Almeno avrei avuto la possibilità di rivederti. Certo, in tribunale sarebbe stato poco pratico, ma in qualche modo mi sarei arrangiato.»

«Vuoi rivedermi?» Chiese e Manuel si lasciò cadere disteso sul piumino. Occhi chiusi, in balia della sua voce come qualche giorno prima della sua bocca.

«E tu?» Gli domandò, e lo sentì soffiare dal naso in una sorta di risata trattenuta. Oh, farlo ridere sarebbe stata una nobile missione che avrebbe portato a compimento. Aveva bisogno solo di un'occasione.

«Mi andrebbe.» Manuel si morse il labbro inferiore, sorridendo.

«Domani sei libero?» gli chiese, e attese per un periodo che gli parve infinito la sua risposta.

«Ho un buco alle quattro di pomeriggio.»

«Magnanimo.»

«Per te va bene...»

«Manuel. - lo informò e reputò assurdo che stesse flirtando con un ragazzo che nemmeno conosceva il suo nome. - Sì. La mattina lavoro, ma il pomeriggio sono libero. Ti offro un cappuccino?» ancora quel suono.

«Ti mando l'indirizzo dell'albergo in chat, Manuel.»

...

Furono un sopracciglio troppo inarcato e una smorfia troppo pronunciata ad accoglierlo sull'uscio della porta bianca, camera 307, indicatagli alla reception. Era una ragazza, con i capelli biondi e lisci che le ricadevano sulle
spalle e con indosso un tallieur troppo nero per il suo viso pallido e troppo serio per l'età che dimostrava. Evidentemente scazzata, con le labbra sottili piegate all'ingiù e gli occhi freddi come il ghiaccio che lo trafiggevano, rimase in attesa come se Manuel le dovesse una qualche spiegazione o giustificazione.

«Io dovrei-»

«Lei è in ritardo. - si ritrovò a guardare l'ora sul cellulare: le 16:02. Davvero? - Per chi lavora?» chiese sbrigativa, forse un po' annoiata.

«Come scusi?» Adesso era seriamente confuso e quella ragazza lo stava squadrando come se fosse un insetto fastidioso da schiacciare quanto prima.

«Senta, gli incontri sono terminati un'ora fa, ora mi faccia la cortesia e mi dica per quale giornale scrive. Il signor Balestra è troppo occupato per perdere tempo con una persona senza un briciolo di professionalità, quindi mi dica il nome del giornale oppure vada via subito.»

«Il Da Vinci.» Disse di getto, per poi mordersi l'interno guancia. Perché lui le bugie proprio non sapeva dirle e la prima idea sensata che gli era venuta in mente era stata quella di propinare il nome del giornale della sua vecchia scuola. Il tutto
perché non voleva essere sbattuto fuori. Non senza nemmeno averlo visto.

«Il Da Vinci?» Era scettica adesso, fece un passo nella sua direzione, come a volerlo intimidire. Assurdo che addirittura ci riuscì, considerando che ad occhio e croce poteva pesare la metà di Manuel.

«Una rivista indipendente nata dalla costola di un giornale scolastico.» Tentò di alimentare la menzogna e questa volta la sua interlocutrice parve sul punto di scoppiare a ridere.

«Laura, che succede?» Melodiosa, la sua voce gli fece tirare un sospiro di sollievo. E il medesimo respiro gli si mozzò in gola quando la ragazza si voltò e lui comparve alle sue spalle, in fondo alla stanza. Ed era così... casalingo? Con un paio di pantaloni della tuta che morbidi gli scendevano lungo i fianchi e la felpa nemmeno lontanamente abbinata con le maniche troppo lunghe. E le pantofole?

«Un altro giornalista, lo sto mandando via.»

«Un giornalista? - domandò lui, facendo balzare lo sguardo dal volto della ragazza al suo e Manuel ebbe l'improvviso desiderio di sparire nel nulla. - Fallo entrare.»

«Devi prepararti, tra un'ora dobbiamo...»

«Fallo entrare.» Ripeté, facendole fare una smorfia, prima di indietreggiare e fargli spazio per
mettere piede nell'ingresso.

«Permes- ma che...?» Simone osservò la scena appoggiato allo stipite della porta, con un paio di dita ferme alle labbra strette. Laura gli aveva messo le masso i palmi sui fianchi e aveva preso a palparlo, scendendo sulle cosce, dove indugiò, per poi infilargli una mano nella tasca dei cargo, dalla quale tirò fuori la chiave inglese che dimenticava sempre di posare.

«Ti serve per scrivere gli articoli questa?» il tono un po' più alto. Manuel la guardò confuso e per un istante si domandò quale diamine fosse il suo problema. Poi si ricordò che una chiave inglese avrebbe potuto essere un'arma d'offesa e che lui, agli occhi della ragazza, potesse apparire come un potenziale pericolo per...

«Un portafortuna?» le sorrise, cercando di tirare fuori la più innocenti delle espressioni che evidentemente non la concise. Anzi, sembrò sul punto di sbatterlo fuori e chiamare gli sbirri per farlo rinchiudere.

«Fallo entrare.» ripeté l'attore, frenando sul nascere le intenzioni poco pacifiche di lei, che si premurò di non restituirgli l'oggetto incriminato.

«Dieci minuti.» Disse minacciosa, mettendoglisi alle calcagna. Lo seguì fin dentro una sorta di salottino e Manuel si domandò a cosa diamine servisse avere una stanza del genere in una camera d'albergo. Simone si sedette su uno dei divanetti e fece un ampio cenno con la mano, per invitare Manuel a fare lo stesso. Prese posto di fronte a lui, la presenza della ragazza alla sue spalle a fargli tremare una coscia dal nervosismo che andava via via accumulando.

«Ebbene?» domandò il più giovane e Manuel rimase imbambolato a fissarlo, non riuscendo a capire cosa effettivamente gli stesse chiedendo.

«Ha dieci minuti, non vorrà passarli a boccheggiare?» s'intromise quella che, tirando le somme, doveva essere la sua manager, guardia del corpo e fattucchiera personale.

Dieci minuti, dieci minuti per...? Strabuzzò gli occhi e per poco non si affogò con la sua stessa saliva perché solo in quell'attimo esatto si rese conto di cosa effettivamente gli stessero chiedendo entrami. Era un giornalista, Simone Balestra un attore che aveva appena lanciato un film: doveva intervistarlo. E lui non sapeva né di cosa la pellicola parlasse, né tantomeno come si chiamasse. E quello stronzo, a questo punto sadico, se ne stava lì seduto, composto e in attesa.

«Lei è l'attore preferito dei lettori del Da Vinci.»

«Ma davvero?» si finse sorpreso, il tono lasciava trapelare un pizzico di compiacimento. Forse un po' iniziava a capirlo.

«E delle lettrici. Sa, ormai bisogna stare attenti perché il maschile sovraesteso è considerato poco inclusivo. Per nulla inclusivo, in realtà. - si schiarì la voce, che nel mentre era andata via via calando. - Avete mai pensato di affrontare la tematica?» Ma che diamine stava dicendo?

«Nel film? - domandò l'intervistato e Manuel tentò con tutto se stesso di non stringersi nelle spalle. Gli occhi di Simone invece brillarono di malizia. - Ci avrebbe fatto piacere ma sarebbe stato... anacronistico perché il film, come ben sa, è ambiento nel Novecento.» Manuel arrossì. Lui che non si imbarazzava mai divenne viola di vergogna.

«Ma lei c'era o no all'anteprima?» s'intromise Laura e Manuel avrebbe tanto voluto urlarle che no, cazzo, non c'era! Era così maledettamente chiaro che stesse accampando delle scuse di merda.

«Lau, puoi lasciarci. È tutto okay.» la ragazza parve quasi sollevata, come se la presenza di Manuel in quella stanza fosse il fastidio peggiore a cui avesse fatto fronte in tutta la sua carriera.

«Simpatico il Rottweiler.» mormorò, guardandosi intorno per qualche istante, come se fosse davvero interessato all'arredamento (notevole) di quella camera d'albergo estremamente grande per accogliere una sola persona.

«Perché non le hai detto di essere un mio amico e basta?» s'interessò Simone e Manuel pensò ad una serie di risposte valide, anche un po' stizzite, da rifilargli, ma alla fine si limitò a guardarlo negli occhi e...

«Siamo amici?» chiese dubbioso.

«Di certo non sei un giornalista.» Manuel sollevò le spalle, per poi sporgersi in avanti e poggiare i gomiti sulle ginocchia.

«E allora perché mi hai tenuto il gioco?» Simone imitò la sua posa, come a volerlo sfidare e a Manuel scappò una risatina nervosa che dissimulò scuotendo il capo.

«Perché era divertente, Manuel. - Rispose come se fosse la cosa più ovvia e semplice del mondo, con la voce più affascinante che le sue orecchie avessero mai ascoltato. Gli fissò le labbra ed ebbe l'impulso di alzarsi e accorciare le distanze per poterlo baciare di nuovo. Perché non aveva pensato ad altro che a quello e perché adesso, che si preoccupava di rimarcare così bene sul suo nome, si sentiva sedotto come non gli accadeva da tempo. Letteralmente, non stava succedendo nulla e lui era eccitato. - Tutto bene?»

«Sì, bene.» Lo stava prendendo in giro? Odiava non capire cosa gli passasse per la testa. Era così bravo a nascondere i pensieri da fargli paura.

«Sei sicuro? Intendo, - pausa, perché ne faceva così tante? Si divertiva a vedere la gente pendere dalle sue labbra? - per la storia del bacio. In realtà volevo scusarmi già al telefono. Mi rendo conto di essere stato inopportuno e, - sollevò le labbra nell'emulazione di un'espressione cordiale. - onestamente non so cosa mi sia venuto in mente. Quindi mi chiedevo se fosse tutto okay.» Non sapeva cosa gli fosse venuto in mente? Era quella risposta a tutte le domande che lo avevano tormentato nei giorni scorsi?

Perché Simone Balestra mi ha baciato? Boh!

«Alla grande.» mormorò tra i denti e Simone annuì educatamente. Laura si affacciò nella stanza, guardando Manuel in cagnesco.

«Cinque minuti.» asserì, per poi sbattere la porta, e Manuel sbuffò spazientito. Un conto alla rovescia sulla testa e delle scuse: le ultime due cose che avrebbe pensato di doversi aspettare da quell'incontro si erano unite per mandarlo dritto al creatore.

«Se le avessi detto la verità, magari...»

«Il tuo datore di lavoro mi ha baciato, non sa perché e mi deve delle scuse? - chiese tagliente, per poi sentire il volto caldo. - Scusa.»

«Già, forse è meglio non raccontarla a nessuno quella parte.» Ecco spiegato perché voleva vederlo. Il vero motivo. E poi che altro? Magari firmare un accordo di riservatezza?

«Certo. Qualche volta la racconterò a me stesso, ma sta' tranquillo, non ci crederò.» ironizzò e Simone per un istante parve colpito dalla battuta perché schiuse le labbra e trattenne il respiro. Non capì se in maniera positiva.

«Allora ti insegno come si fa un'intervista, sia mai che in futuro possa ritrovarti in una situazione simile. - accavallò le gambe: la caviglia destra sulla coscia sinistra e un braccio disteso lungo il bracciolo imbottito della seduta. - Mi parli di lei, signor...?»

«Ferro. - sorrise con le sopracciglia aggrottate. Forse non era tutto perduto, insomma, stava ancora giocando. - Generica come domanda, cosa vuoi sapere?» lo vide carezzarsi il mento con l'indice e sollevare le iridi verso l'alto. Poteva una persona essere bella da morire e al tempo stesso così estremamente carina?

«Ad esempio come mai va sempre di corsa. - Manuel si accigliò. - Quando è arrivato in libreria l'altra mattina pareva di fretta. - sentì il ventre contorcersi, Simone l'aveva notato da subito. - E quando mi ha rovinato la camicia anche. Stava correndo.»

«Attore o investigatore? - Simone tirò le labbra in uno di quei sorrisi di circostanza che proprio non riuscivano a saziare il desiderio che Manuel aveva di vederlo ridere. - Ho un altro lavoro, oltre a quello in libreria.»

«Immagino che la chiave inglese c'entri qualcosa.» Investigatore, decisamente.

«Ho un'officina in co-gestione assieme ad un amico» confermò, annuendo e continuando a stare al gioco.

«Libraio e meccanico, percepisco del dualismo.»

«È una domanda o un commento? - le labbra dell'attore si piegarono verso il basso, quando scosse la testa e sollevò le spalle. - Non credo nel dualismo, mi piacciono i libri e sono bravo con i motori.» Omise il fatto che con la sola libreria non sarebbe arrivato a fine mese. Non che se ne vergognasse, ma nemmeno gli pareva una cosa da spiattellare così, senza nemmeno chiedergli di vedersi una volta. Nemmeno baciarsi senza conoscere i rispettivi nomi in realtà gli pareva una cosa da persone comuni. Neanche la serie di eventi concatenati che l'avevano spinto a fingersi un giornalista, era normale.

«E le capita spesso di regalare ai suoi clienti articoli teoricamente in vendita? Non dovrebbero essere fonte di sostentamento per lei?»

«Capita solo quando è bello da togliere il fiato.» Il giornalista improvvisato inclinò il capo verso destra, senza smettere di guardarlo negli occhi.

«Il libro?»

«Il cliente - Non parve scomporsi, non che Manuel si aspettasse qualcosa di diverso. Era una di quelle persone che si sentivano ripetere cose del genere di continuo. - A te capita spesso di baciare qualcuno che ti ha fatto un danno?»

«No.»

«E di lasciare il tuo numero di telefono sul polsino di una camicia?»

«No.»

«E di scusarti per quanto accaduto?»

«No.»

«Giusto per comprovare il fatto che rispondi di no a tutto: sei impegnato domani sera?» gli domandò di getto, e Simone rimase immobile con le labbra schiuse per quella che Manuel non seppe se definire o meno sorpresa. Voleva conoscerlo. Voleva capire il suo stato d'animo a primo acchito.

«Sì.» Rispose. E basta. Nient'altro. E forse la delusione gli si palesò sul volto, perché lo sguardo di Simone si fece più intenso, come a voler studiare il suo stato d'animo dinanzi a quel rifiuto.

«Oh, beh direi che la mia era una teoria basata su prove indiziarie. Nulla di comprovato e... - sollevò un pollice verso la porta, le labbra strette. - Credo sia meglio che io vada via. I dieci minuti sono passati.» Concluse velocemente, dandogli le spalle e dandosi mentalmente dell'idiota.

«Manuel. - lo richiamò, e questa volta non si girò, non finché non concluse. - Per cena mi libero. Questa sera.» Lo guardò di nuovo, forse troppo euforico. E poi, repentinamente, il suo umore cambiò in risposta al ricordo che fosse sabato.

Quel sabato.

«Cazzo, no. Non posso. - si lamentò a voce alta e Simone lo ascoltò in silenzio. Oddio stava davvero rifiutando Simone Balestra...? - Ho una cena, è il compleanno della mia migliore amica. E per come sta nell'ultimo periodo, se non vado - me lo taglia. - me toglie il saluto.» disse di getto, addentandosi il labbro inferiore per aver esplicitato la cadenza. Non che l'avesse mai reputata un problema, solo che Simone parlava in maniera talmente tanto pulita da farlo sentire in dovere di ricambiare nei limiti delle proprie possibilità.

«Non è un problema.»

«No! Cioè, nel senso. Devo andare. Ma in un modo o nell'altro mi libero. Cioè, vedo di andar via prima e... - sollevò le spalle. - Posso cenare due volte.» Simone lo guardo stranito e Manuel sentì improvvisamente caldo nel rendersi conto di aver affermato che, pur di vederlo e stare con lui per più di una scarsa e controllata mezz'ora, avrebbe fatto la qualunque. E quello non era per niente una comportamento da lui. L'attore si schiarì la voce e Manuel puntò gli occhi sulle tende chiuse dell'unica finestra presente in quella stanza.

«Intendo che non è un problema mangiare con i tuoi amici. Se ti va, posso accompagnarti.» Ci mise qualche istante per prender coscienza di quanto gli fosse appena stato proposto e quando realizzò a pieno tornò a guardarlo.

«Tu vuoi accompagnarmi. - Non fu una vera domanda, ma Simone sollevò comunque le spalle e annuì serenamente facendo perdere a Manuel un battito. - Al compleanno della mia migliore amica. - continuò a voce alta, per accertarsi del fatto che avesse davvero proposto una cosa de genere. - Con i miei amici.» Scandì, neanche si stesse interfacciando con qualcuno che non parlava la sua stessa lingua.

«A che ora?» Gli chiese, confermando che Manuel non se lo stesse immaginando.

«Alle otto e mezza. Se ti prendo per le otto ti va bene?» Simone sollevò le spalle ancora una volta. Sembrava così disinteressato, eppure era stato lui a proporlo, quindi doveva andargli bene per davvero. No?

«Posso venire anche da solo, basta che mi passi l'indirizzo.»

«Puoi, ma non voglio che tu venga da solo. O con il rottweiler.» Simone annuì, gli occhi appena più luminosi e le labbra ridotte ad una linea dritta.

«Alle otto, allora.»



-angolo autrice:

lo so pubblico lentamente.

approfitto per augurarvi un buon giovedì, che la #simuelcanon sia con voi (chi c'è in biblioteca?)

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