Capitolo 6
La luce filtra attraverso le tapparelle. Mi giro a guardare la sveglia: sono le sei e trenta. Ho un po' di tempo. Bruno mi dà le spalle, il leggero lenzuolo rosa lo copre fino alla vita; gli passo una mano davanti, sul torace. Mugugna qualcosa di incomprensibile poi, si gira di schiena, ha gli occhi chiusi.
Quando si ferma a casa mia Bruno si rilassa, scioglie tutte le tensioni e si lascia andare. Mi ha sempre detto che in questa casa, con me e mia madre, lui si sente parte della famiglia, come fosse il figlio maggiore, tranne per il fatto che si intrattiene a letto con la "sorella"; e mia madre, dal canto suo, lo ha accolto davvero come fosse un altro figlio, perché quello vero, che sta in giro per il mare, le manca.
Ieri sera non è stato necessario un grande sforzo per persuaderlo a rimanere da me, gli argomenti erano più che convincenti.
Gli accarezzo il collo, il viso; lo giro verso di me e lo bacio, ha una reazione, ma sonnecchia ancora.
«Hai intenzione di divorarmi del tutto e lasciare partire solo un pezzetto di me?» mormora.
Io rido. «È ancora presto, possiamo coccolarci un po'».
Conosco ogni parte del suo corpo, ogni gesto, ogni respiro; riesco a capire quando è preoccupato o teso, offeso o contrariato. In tutti questi anni sono state davvero poche le occasioni per un litigio, un disappunto o una contrarietà. Bruno sa essere accomodante in quasi ogni situazione e sedare ogni mia azione di rivolta. In più occasioni gli ho proposto di stabilirsi qui, con me e mia madre, ma lui non vuole offendere la famiglia, la madre ne soffrirebbe e non sarebbe una situazione opportuna, dice. E poi i nonni che direbbero? Non capirebbero. Bruno si preoccupa per tutti i suoi familiari tranne che per se stesso, e me. La soluzione per lui è andare via: una volta lontani da qui, potremo fare quello che vorremo.
Già, lontano dagli occhi lontano dal cuore, dice mia madre. Gli do un ultimo bacio poi, esco dal letto per andare in bagno, lavarmi e prepararmi. Prima di uscire dalla camera gli chiedo: «Mi accompagni tu?»
«Sì, certo».
Mia madre è già scesa, mi arrivano i suoni noti dalla cucina. Mi lavo velocemente, torno in camera e indosso una delle mie salopette. Bruno si è girato a pancia sotto e occupa tutto il letto, il mio spazio compreso. Lo scopro del tutto e in un gesto dispettoso gli tiro giù gli slip.
«Alba!» protesta.
«Ti aspetto giù».
«Buongiorno mamma» le vado vicino e le poso un bacio su una guancia.
«Buongiorno» sorride. Gonfio un po' il petto sotto al suo naso, finché lei lo vede.
«Carino». Lo accarezza con le dita.
Bruno ci raggiunge. «Buongiorno Paola». Mia madre gli fa una carezza dietro la nuca «Buongiorno. Io devo uscire, fate colazione, capito Alba?» Aumenta il tono di voce prima di aprire la porta all'ingresso.
«Ciao!» Le grido dietro.
Le scuole sono chiuse, ma lei deve lavorare ancora fino a metà Luglio, per gli esami di maturità. Bruno prepara un caffè. Sa esattamente dove è riposta ogni cosa, noi lo lasciamo fare, anche perché è talmente preciso e attento, non ha mai rotto un bicchiere o fatto cadere una posata. Io taglio qualche pezzetto di crostata che ha fatto mamma ieri. Ci sediamo e consumiamo ogni cosa.
Ha quel modo elegante di tenere la tazzina in mano. Mi guarda, senza parlare, verso il cristallo che ho messo di nuovo al collo. È felice che lo indossi. Anche io lo guardo, mentre mastico il dolce e penso che in questo momento potremmo simulare quella, che a breve, sarà la nostra vita, io e lui che facciamo colazione prima di recarci al lavoro. Mancano ancora due anni alla mia laurea e poi, forse lo raggiungerò, se lui avrà trovato una collocazione prima di me, oppure, se starà ancora qui, partiremo insieme.
«Mi lavo i denti e andiamo» gli dico mentre sposto la sedia per alzarmi. Lui mi sfiora una mano con la sua.
Alle otto e trenta arriviamo in Università. Bruno si sporge per darmi un bacio «Ci vediamo più tardi?»
«No, oggi mi fermo da Livia.» Si adombra per un istante. «Te l'ho detto ieri sera, non ricordi?»
«Mmh, non ricordo, però va bene».
«Adesso ci rimani male?»
«No, no...»
«Dai, ci vediamo stasera, se vuoi» Lo bacio al collo. Ha un brivido, si ritrae. Rido, lo so che in quel punto è particolarmente sensibile. Sto per uscire dall'auto. Mi trattiene per una mano, con gentilezza. Mi volto a guardarlo.
«Tu hai qualcosa» mormora.
«Cosa?» chiedo io. Lui ride e mi lascia la mano. Rimango qualche secondo impacciata, curiosa e spaventata, poi, lo saluto e mi avvio verso l'entrata.
Scorgo Livia a qualche passo davanti a me. La raggiungo.
«Ehi, ti ho aspettata ma non arrivavi».
«Mi ha accompagnata Bruno».
Mi tocca il ciondolo al collo. «Di nuovo a casa sua?»
«No, no, questa volta lui da me, molto meglio».
«Quanto ti invidio per la madre che hai! Posso trasferirmi da voi?»
«Se ti fa piacere...»
Ridiamo. Sua madre non glielo permetterebbe mai. È capitato qualche volta che si fermasse da me per una notte al massimo e che siamo rimaste per l'intera giornata da sole. Livia adora mia madre perché dice che non sembra una madre, ma non è così, lo è eccome, solo che mi lascia libera di responsabilizzarmi; d'altronde, lavorando, in qualche modo dobbiamo badare ognuna a se stessa. Se rientro prima di lei preparo il pranzo, se lei è occupata a scuola fino al pomeriggio preparo la cena, molte volte coinvolgo Bruno, ché a lui, sua madre non gli fa fare niente; con la sua auto andiamo a fare la spesa, poi cuciniamo e ceniamo tutti e tre insieme. Non lo fa spesso perché sua madre si ingelosisce e dice che almeno a cena vuole che stiano tutti insieme.
Arriviamo a casa di Livia con la sua auto. Dovremmo studiare per l'ultimo esame dell'anno. Sua madre ci ha lasciato il pranzo nel forno tiepido. Ha fatto la parmigiana. La fa sempre quando sa che c'è un ospite, è il suo piatto forte, come lo è per l'ottanta per cento degli abitanti di quest'isola, penso divertita.
Dopo mangiato impieghiamo del tempo per concentrarci nello studio, ma il caldo, la forte luce, la stanchezza per due notti fatte di poche ore di sonno, non aiutano.
Procediamo così: ognuna di noi legge per conto suo, poi ci confrontiamo sull'argomento, ma tra una lettura e l'altra interrompiamo la concentrazione dando voce ai pensieri che arrivano.
«A che ora partirà, di mattina o pomeriggio?» mi chiede Livia.
«Mattina».
«Quindi, sarà già in viaggio mentre tu darai l'esame?»
«Sì, te lo avevo detto, non ricordi?»
«Non ricordavo... Ci hai abituate talmente alla presenza di Bruno che adesso mi risulta tutto così strano che lui non ci sarà...»
Mi alzo da una delle sedie intorno alla sua scrivania, ho bisogno di muovermi un po'. Mi affaccio alla finestra, c'è un'aria torrida, le strade emanano una calura esagerata, non un albero a rinfrescare intorno, solo asfalto, mattoni e cemento. Un cane pelle e ossa avanza con la lingua a penzoloni lungo il marciapiede di fronte. Povera bestia, avrà sete. Ricordo una volta di tanti anni fa, ero ancora piccola, forse nove o dieci anni. Era una giornata così e dall'auto in cui mi trovavo con la mia famiglia vidi un cane che camminava stanco, come quello che ho visto qui sotto. Costrinsi mio padre a fermarsi e riempimmo un bicchiere di plastica con l'acqua dalla bottiglia che avevamo con noi. Scesi dall'auto e camminai verso la bestiola, mio fratello mi fece compagnia. Feci quel verso con le labbra per richiamarla e lei -- era una femmina -- si fermò, mi guardò con i suoi occhi diffidenti e imploranti allo stesso tempo; mi accovacciai e dissi a Massimo di fare altrettanto e lei si avvicinò e bevve dal bicchiere che tenevo stretto nella mano.
«Livia» mormoro senza voltarmi « secondo te, dovrei sentirmi angosciata per la sua partenza?» Livia mi guarda senza capire. La guardo anch'io. «Perché io non lo sono affatto».
«Che vuoi dire?»
«Non lo so. Mi chiedevo come si può capire quando è amore e quando abitudine». Sto pensando ad alta voce.
«Abitudine?»
«Tu come hai capito che con Enzo era finita?» Livia non risponde subito, mi guarda senza parlare. Forse non dovevo farla questa domanda.
«Alba, che succede?» Livia rimane immobile con un'estremità della matita in bocca.
«Niente... Pensieri».
«Ma stai parlando di te? Hai dubbi su te e Bruno? Non capisco...»
«Tu avevi dubbi su Enzo?»
«Oh sì, tanti, non mi batteva più il cuore quando lo vedevo. Uscivamo e lui preferiva ascoltare la partita e io mi annoiavo da morire. Non mi sembra proprio il tuo caso».
Ritorna il silenzio insieme allo sforzo di concentrarci nel doveroso atto di studiare. Riprendo il mio posto, piego la testa con il viso sulle pagine, ma non leggo.
A volte, anche io mi annoio e se non accade è perché trovo sempre qualcosa da proporre. Capita che le mie idee siano talmente bizzarre che lui mi dice, Alba, ma come ti viene in mente, con quel suo tono da vecchio saggio. Lo scorso anno a Ferragosto, gli avevo detto Dormiamo tutta la notte in spiaggia.
Ma dai, c'è il tuo letto così comodo aveva risposto. Sì, è vero che il mio letto è più comodo, ma trascorrere un'intera notte con lui fino all'alba mi sembrava una cosa bella da provare.
Dopo venti minuti circa sono di nuovo io a rompere il silenzio. «A volte Bruno sembra... trattenuto».
Livia alza di nuovo la testa, mi guarda senza capire, non subito per lo meno. «Intendi, quando siete insieme?» Chissà perché quando si tratta di altre circostanze, Livia non si fa problemi a utilizzare i termini appropriati, ma quando si tratta di me e Bruno, cerca le parole e sceglie quelle indirette.
«A volte io ho dei desideri... Ti ricordi quel libro di mia madre?»
Riflette un po' prima di parlare. «Alba, quel libro è stato scritto in un periodo particolare e per di più in America, qui non stiamo in America».
«È stato scritto quasi vent'anni fa, da donne come noi, forse della stessa età, di fatto, per le donne è cambiato poco».
«Perché non gliene parli? Vi conoscete da così tanto tempo che non credo sia un problema, no?»
«A volte, Bruno ha paura di me».
Mi guarda smarrita. «Alba, ma che dici?»
Piego di nuovo la testa sul libro «Studiamo che si fa tardi».
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