Capitolo 47


Alle otto Massimo è tornato insieme con Rosaria e Riccardo. Mi sono affacciata dal terrazzo e l'ho chiamato.

«Massimo! Vengo con te».

Si è voltato sorpreso.

Prima di uscire ho abbracciato Francesco. «Sono stata bene».

«Aspetto te», ha sussurrato sulle mie labbra.

Quando ho raggiunto mio fratello, lui subito mi ha chiesto: «Che ci fai qui?»

«Tu, che ci fai qui» ho risposto con prontezza.

In auto, nonostante mi sentissi avvolta dalle sensazioni estatiche per la proposta di Francesco, non ho potuto fare a meno di investirlo di parole. «Che stai facendo con Rosaria? Ne ha già passate tante, ora non ti ci mettere pure tu».

«Perché devi pensare che io possa essere un suo problema?»

«Perché lei ha una situazione ingarbugliata col suo ex marito, perché ha un bambino e perché tu vivi a Livorno dove tornerai tra pochi giorni».

«Ci siamo ritrovati. Stiamo bene. Per ora va bene così».

«Ma...»

«A proposito... Perché tu e Francesco non state un po' con Riccardo una volta? Non possiamo mai stare da soli».

Davvero me lo sta chiedendo? Adesso devo fargli pure il servizio di baby-sitter?


A casa troviamo finalmente anche nostra madre.

«Ciao, mamma».

«Ciao». Mi saluta senza guardarmi, poi si dirige verso la scala per andare su. Papà sta in cucina. Mentre chiama Massimo per chiedergli spiegazioni sulla sua sparizione e sul fatto che siamo ritornati insieme, io raggiungo mia madre su in camera.

«Mamma...»

Sta occupata a sistemare della biancheria. «Dimmi».

«Perché mi eviti?»

«Non ti evito».

«E invece sì, stamattina non hai neanche detto dove andavi».

«Ed è un problema? Non mi sembra che vi sia mancata».

Corro ad abbracciarla. «Dai, mamma, ti prego». Ci stringiamo forte. Mi sento in balia degli eventi: entusiasta per la proposta di Francesco, angosciata per la situazione tra i miei, in pena per mia madre, in ansia per l'imminente ritorno di Bruno.

Bruno.

Perché non ho pensato a lui mentre esultavo all'idea della vacanza con Francesco? Bruno telefona circa ogni due o tre giorni. Non posso mentire ancora.

Guardo mia madre negli occhi. «Dove sei stata?»

«In giro, qua e là». Si scosta, riprende a maneggiare alcuni indumenti. «Sono passata in segreteria...» mormora senza guardarmi. Mi assale un'ondata di terrore. Appoggio la schiena addosso alla porta chiusa. Lei alza il viso verso me.

«A me non pensi?» Sussurro.

«Ho pensato tanto, Alba. Non posso restare qui per una tua ipotetica storia d'amore».

La guardo scandalizzata. «Ipotetica? Ho tutto qui, l'università, le mie amiche... e con Francesco...»

Si avvicina. «Alba... Io penso che sia meglio andarcene da qui. Un giorno mi ringrazierai. Se con Francesco è una cosa seria non saranno pochi chilometri a ostacolarvi».

Cosa intende per pochi chilometri? Come faccio a spiegargli che non è così semplice, che con Francesco le cose procedono con instabilità, che ho bisogno di presenza, che lui non è un soggetto ordinario... come Bruno.

Lascio la camera di mia madre e vado a chiudermi nella mia, dove posso lasciarmi andare in un pianto che smorza tutto l'entusiasmo di poco prima.

Ho bisogno di sentirlo, di parlare con lui.

Il cordless è rimasto sul letto da stamattina. Compongo il suo numero: uno squillo, due squilli...cinque squilli.

Non è in casa.

Beh, potevo pretendere che lo fosse? Però, ci rimango male.

Qualcuno bussa alla porta. «Alba... » È Massimo.

«Vieni, entra».

«Vuoi scendere a cenare?» Mi chiede, con la testa dentro e il corpo fuori.

«Non ho fame».

Entra e si siede sul letto accanto a me. «Che succede?»

Mi guardo le mani nervose sulle ginocchia. «Mamma è passata in segreteria».

Sospira. «Dai, non farne un pensiero fisso adesso».

«Francesco non è a casa... Ho provato a chiamarlo...»

«Alba, sono appena le nove passate, è agosto, perché uno come lui dovrebbe stare in casa?»

Uno come lui.

«Vai, tra poco vi raggiungo» gli dico, ma poi chiamo Livia che risponde dopo due squilli.

«Ehi...»

«Alba, ciao».

«Che fai?»

«Sto finendo di cenare... Tra poco esco».

«Ah... Dove vai?»

«Ci incontriamo con le altre vicino alla spiaggia, vorremmo andare in quel localino che ha aperto quest'anno... Sai, quello proprio vicino alla spiaggia, con quel terrazzino in legno».

«Ah, sì... Chi ci sarà?»

«Il solito gruppo, credo... Tu che fai?»

«Niente... Sto qui a casa e non ho voglia di cenare in questa atmosfera tetra...»

Per qualche secondo nessuna delle due parla. «Vuoi venire con noi?»

Non speravo me lo chiedesse. «Sì, mi piacerebbe».

Mi cambio, mi trucco, spazzolo i capelli e scendo. Papà e Massimo stanno cenando, mamma è rimasta in camera. Alzano la testa a osservarmi, curiosi.

«Dove vai? Non ceni?» Chiede mio padre. Massimo rimane immobile, in attesa di sentire la mia risposta.

«Non ho fame, sta passando Livia a prendermi».

«E dove andate?» Ancora mio padre.

«A fare un giro. Incontriamo anche le altre».

Colgo per un attimo un accennato dissenso sul suo viso, forse sta per dire qualcosa, ma rinuncia. In fondo, finora ce la siamo sempre gestita io e mamma la nostra vita e di certo non può intromettersi lui, ora. Deve essere passato questo pensiero nella sua testa.

«Massimo, puoi venire un attimo?» Lo chiamo dopo aver aperto la porta.

Quando mi raggiunge sono già fuori. Gli riferisco in che locale andremo e, nel caso volessi venire via prima o Livia non fosse disponibile a riportarmi, gli chiedo se avesse voglia di venire a riprendermi. Ci pensa su qualche secondo. «Va bene» dice poi. Del resto, lui mi ha chiesto un favore, no?

Appena salgo nell'auto di Livia ci abbracciamo forte prima di ripartire.

«Le altre sanno che verrò anch'io?»

«No, non ci siamo sentite dopo la telefonata con te... Perché me lo chiedi?»

«Non so... Mi sento come se non facessi più parte di voi».

«Ma che dici, non è così. Ti vedo tesa, è successo qualcosa?»

«Più di quello che sai già?» Le domando con una punta di ironia. «Questa cosa del trasferimento ormai è reale, poco fa mamma mi ha detto di essere passata in segreteria, oggi».

Livia non parla. Immagino che quanto le ho appena riferito turbi anche lei. Allunga una mano sulla mia. «Mi dispiace, Alba, mi dispiace tanto... Se fossi indipendente ti inviterei a stare da me».

Questa sua affermazione mi intenerisce tanto. Appoggio la testa sulla sua spalla. «Lo so, Livia, lo so. Ti voglio bene».

«C'è altro? Con Francesco come va?»

Rifletto qualche secondo per trovare le parole giuste. «A volte è come stare in paradiso, altre, in un caleidoscopio di riflessi confusi. Francesco è così, non è come Bruno, stabile, certo, presente».

«Ma che intendi... Vuoi dire che non c'è niente di sicuro tra voi?»

«Sono io che devo capire cosa aspettarmi da lui. Devo smetterla di fare confronti. Lui non è Bruno e questo lo sapevo fin dall'inizio e d'altra parte mi piace proprio perché è diverso da Bruno... Ma quando non sono con lui non mi sento mai tranquilla».

Forse Livia vorrebbe aggiungere qualcosa, ma resta in silenzio.

Quando arriviamo al locale e intravedo Clara e Anna sono presa da una certa agitazione. Tutto è cambiato, una volta ero io a organizzare le uscite, a coinvolgerle, io e anche Livia. Adesso mi sento quasi a disagio.

«Guardate chi c'è». Livia mi annuncia piena di entusiasmo.

«Ciao, Alba» mi saluta piatta, Clara.

«Ci eravamo quasi dimenticate di te» dice Anna.

Ma che bella accoglienza

Non riesco a tenere la lingua a freno. «Ti dimentichi in fretta delle amiche, se di amiche si tratta».

«Dai, ragazze, dobbiamo essere contente di ritrovarci tutte qui insieme» ammonisce Livia.

Prendiamo posto a un tavolo. Loro ordinano da bere, io sono un po' riluttante, sono a stomaco vuoto, ma poi mi associo e prendo qualcosa di leggero.

Sto in silenzio ad ascoltare le loro conversazioni fatte di argomenti sui quali mi sento estranea. Mi sembra di capire che verranno raggiunte da Giuseppe e qualcun altro. Spero solo che non venga anche il fratello di Clara. A tratti mi assento con la mente. Alcuni pensieri diventano ossessivi anche se cerco di respingerli. Mia madre, le sue parole. La partenza di mio padre tra tre giorni e poi... Lui, che a casa non c'è.

Devo smetterla. In questo modo finirò solo per rovinare ogni cosa. È tutto così prematuro tra noi e la mia è una situazione ancora così appesa. Lui non ha dichiarato niente a me, ma neanche io a lui.

E poi, il ritorno di Bruno è così imminente da mettermi un'angoscia palpabile addosso.

«Alba!»

«Cosa?» Ero così assorta che non ho sentito cosa mi stavano dicendo.

«Come hai trascorso il Ferragosto?»

Non sono certa di volerglielo raccontare. «Siamo stati al mare con mio fratello e i miei genitori».

«Massimo è qui? Non l'ho visto per niente in questi giorni» dice Clara.

Guardo Livia e capisco che non ha riferito niente a loro e gliene sono grata. «Sta cercando di stare con papà il più possibile, sabato ripartirà e chissà quando sarà possibile rivederlo».

E a un tratto è Anna a parlare, ed è come se quelle parole le avesse trattenute in gola dall'inizio della serata. «Comunque, Alba, io te lo devo dire. Non sono per niente d'accordo che tu ti frequenti con quel tipo e non mi è piaciuto per niente come ci hai mollato quella sera in discoteca».

La sua accusa mi mette in imbarazzo. Sulla serata in discoteca non posso darle torto, ma sul resto, chi le dà il permesso di giudicare?

«Ti chiedo scusa», mormoro. Questo mio atteggiamento deve farla sentire più forte perché a quel punto rincara la dose. «Bruno non merita questo da te», sentenzia.

«Un ragazzo come lui non lo troverai più. Ti sei fatta abbagliare da quel poco di buono», rinforza Clara.

Sto per replicare con una certa stizza, ma la discussione viene interrotta dall'arrivo di Giuseppe insieme ad altri ragazzi.

«Ciao, ragazze! Alba, ci sei anche tu!» Saluta con un certo trasporto. Ma quando gliel'ho data tutta questa confidenza?

Prendono altre sedie e si uniscono al nostro tavolo. Ordinano da bere. Io prendo un altro cocktail. Quando faccio scorrere gli occhi sui nuovi arrivati, oltre a Giuseppe e un altro volto mai visto, riconosco il biondo che ballava accanto a me la sera in cui eravamo andate all'Omnia io, Livia e Anna. Ci fissiamo per qualche secondo, poi distolgo lo sguardo da lui e lo poso su Livia che ricambia con un certo impaccio.

Lui allunga una mano per presentarsi. «Luigi» dice.

Riluttante gli porgo la mia, che trattiene più del dovuto. «Alba».

«Alba... Non è un nome di qua, giusto?»

«Giusto».

La musica aumenta di volume. Alcuni tavoli vengono spostati per fare spazio e qualcuno inizia a ballare. Non si può ascoltare quel falso raggae degli Ace of Base, un oltraggio nei confronti dell'unico vero artista del genere.

Intanto le altre si alzano. «Balliamo?» cinguetta Anna. Da quando è diventata così?

Quello nuovo avvicina il viso al mio per far sentire la sua voce sopra al frastuono. «Comunque, io sono Lino, visto che non ci hanno presentati...»

«Alba» grido in risposta.

«Balliamo, Alba? Mi ricordo quella sera, sei molto brava». La voce del biondo, ovvero Luigi. Ecco il momento che temevo.

«No, grazie, non ballo questo genere di musica». Oddio, devo sembrare di un'antipatia unica.

Livia lo afferra per un braccio e vanno a ballare insieme. Ordino un altro cocktail. La testa inizia a girare. Che ci faccio lì?

E poi, eccolo il tormentone del momento: The rhythm of the night. Per non sembrare asociale mi alzo e li raggiungo barcollante.

Luigi mi viene subito incontro e, come quella sera, mi si attacca come una patella. Provo a improvvisare qualche movimento degno di questa definizione, ma lo trovo impossibile con questa musica. Invece la vedo adatta per i movimenti rozzi e scoordinati di lui. Inciampo con un piede sull'altro, lui prontamente mi sostiene. Lo allontano con educazione. «Vado a sedermi, mi gira la testa». E mentre sto per raggiungere il tavolo, lo vedo, là sulla soglia dell'entrata, appoggiato mollemente alla parete, che mi guarda con espressione di scherno sulle labbra.

È come se all'improvviso il sole fosse entrato nel locale e avesse messo tutto il resto in ombra, e io mi vergogno da morire.

Prendo la borsetta e con passi incerti lo raggiungo.

«Che stai facendo?» Non è una domanda, piuttosto una piccola predica e la fa senza modificare quel sorrisetto sulle labbra.

«Niente. Portami via da qui».

E nel momento in cui varco la porta senza voltarmi so che non me la perdoneranno una seconda volta.

Mi tiene stretta. I sandali affondano nella sabbia, la sento graffiante e fredda tra le dita. Il mare scuro accompagna il nostro cammino col suo moto placido. La testa rimbomba e le percezioni intorno sono tutte rallentate.

Arriviamo all'auto, mi aiuta a salire.

«Che ci fai qua?»

«Ti cercavo».

«Mi cercavi?»

«Ho chiamato a casa tua, mi ha risposto Massimo e mi ha detto dov'eri, poi ha aggiunto, Se vuoi andare tu a riprenderla, altrimenti dovrei andare io».

Distendo le labbra.

Massimo.

«Ti porto a casa?»

«Non voglio andare a casa» biascico.

Mi stringo a lui, infilo una mano sotto alla sua maglietta, mi piace tanto toccarlo. Lui mette un cd nel lettore. Chiudo gli occhi, non so dove stia andando, non mi interessa, adesso posso rilassarmi.

«Alba» lo sento sussurrare sul collo. Siamo fermi. Apro gli occhi e mi guardo intorno, poi guardo lui. «Dove siamo?

«Vieni». Scende dall'auto e gira intorno per aprire lo sportello dalla mia parte. Ho capito dove siamo: è il Castello Utveggio e da qui, a quest'ora, con lui accanto, la città al di sotto, silenziosa e illuminata, mi sembra meravigliosa e il desiderio di non lasciarla preme forte nelle viscere.

Forse è per i postumi dell'alcol che mi esce: «Stai diventando romantico, Francesco Pasanisi?»

Lui ride di cuore ed è così bello il suono della sua voce. «Ero indeciso se gettarti in mare per farti riprendere, ma poi ho pensato che l'aria, quassù, in qualche modo avrebbe fatto lo stesso effetto».

«Sei tu che fai effetto» mi esce ancora.

Mi prende il viso tra le mani, accarezza la gola, sa che mi piace quando lo fa, indugia con le dita intorno alla bocca. E io fremo, e quando mi bacia, la materia del mio corpo si trasforma in brezza gentile.

«Vuoi guidare?» Mi chiede a un tratto.

«Cosa? Ma se non ho la patente».

«Appunto, ci divertiamo di più. Vieni, dai».

Sale al posto di guida e mi fa cenno di sedermi davanti a lui.

«Tu guidi l'auto e io guido te» sussurra tra i miei capelli, malizioso. «Qualcosa di base la sai?»

«Sì, qualcosa. Papà mi ha fatto guidare a volte e anche mamma».

«Bene, allora iniziamo. Sai accendere il motore?»

Rido. «Ma si!»

«E le marce le sai mettere?»

«Se sono normali, sì».

Ride. «Normali, sono».

Avvio il motore, inserisco la prima marcia e parto piano, poi passo alla seconda marcia.

«Brava».

«Facciamo dei giri qui intorno?»

«Va bene».

Le sue mani le sento sui fianchi, morbide si allungano a tratti fino alle gambe, le scoprono. Percorro per due volte il giro del parco, poi mi indica di uscire da lì e prendere la strada principale.

«No, dai, mi fa paura».

«Ti aiuto io» insiste.

Avanzo timorosa. La lancetta del contachilometri segna 20. Il buio, le curve e la strada in discesa mi mettono ansia.

«Dai, stai andando bene» soffia vicino al mio orecchio. Sento una sua mano accarezzarmi davanti e le labbra sfiorare un braccio.

«Così andiamo fuori strada, però».

«Ferma l'auto.»

«Come?»

«Parcheggia. Lo sai fare?»

La prendo come una sfida. Individuo una zona appena più larga; avvicino l'auto quasi sull'erba secca. Spengo il motore e tiro il freno a mano.

«Molto brava, meriti un premio» dice, mentre si avventa sul collo.

Le sue mani si insinuano sotto la mia maglietta, la sfilano. Rabbrividisco al suo tocco. Mi agito, vorrei voltarmi e mettermi comoda, ma lui mormora: «Rimani così, sei perfetta così».

                                                                                       ***

«Te l'ho detto che non ho mai conosciuto una forte come te».

Siamo passati al sedile posteriore, sono quasi nuda del tutto, sdraiata sopra di lui. Le sue braccia mi avvolgono e mi regalano quella particolare sensazione di benessere che riesco a provare solo con lui.

«È un complimento?» chiedo con voce impastata di stanchezza e piacere.

«Lo è».

Infilo il viso dentro al suo collo, ne aspiro l'odore, gli lascio tanti piccoli baci sotto l'orecchio. Adoro stare così. Lui mi stringe più forte.

«Mi piaci tanto» sussurra.

Il mio cuore zampilla di felicità.

«Perché mi avevi chiamata?»

«Ho visto il tuo numero tra le telefonate ricevute».

E tu dov'eri? Quanto vorrei chiederglielo

«Massimo mi ha chiesto un favore».

«Che favore?»

«Vorrebbe che ci occupassimo di Riccardo per trascorrere un po' di tempo con Rosaria, da soli... Prima che riparta».

Lo sento esitare. Continuo a baciarlo.

«Per quanto tempo?» domanda.

«Non so... Mezza giornata, almeno».

Soffia fuori l'aria. «Tante ore con Riccardo...» mormora, poco convinto.

Passo la mano lungo il suo braccio, la intreccio alle sue dita. «Voglio fare questa cosa per Massimo, e anche per Rosaria. Poi chiederò a mio fratello un controfavore».

«Che controfavore?»

Alzo la testa, appoggio le braccia sul suo torace. Lo guardo negli occhi, anche se col buio vedo poco, ma so che li tiene aperti davanti ai miei.

«Bruno chiamerà domani. Lui chiama sempre ogni due giorni, a volte tre. Gli dirò che vado qualche giorno con mio fratello, altrimenti non sarà possibile per noi stare fuori un poco più a lungo».

Sbuffa. «Ancora bugie, Alba?» dice, contrariato.

«Ne abbiamo già parlato, quando tornerà gli parlerò».

Mi prende il viso tra le mani. «Io non ti ho chiesto niente».

Questa sua frase mi smuove un certo risentimento. «E allora chiedimelo!» Gli dico aspra, mentre cerco di divincolarmi dalla sua stretta.

Lui non mi lascia andare. «Ma dai, stai calma, subito ca t'incagni».


Siamo di nuovo viso contro viso. Io in silenzio.

«Cosa ti devo chiedere?»

«Tu lo sai».

«Adesso così fai la siciliana, però».

E da siciliana rimango muta.

«Io non te lo chiederò, Alba, di parlare con lui per scegliere me, ne abbiamo già parlato. La scelta è tua e devi essere libera da condizionamenti. Avevi già preso una decisione, no? Perché adesso vuoi che sia io a chiedertelo?»

Ho paura a dirglielo quello che penso. «Perché vorrei sapere quanto ci tieni a me» dico in un soffio.

Mi accarezza i capelli, il viso. «E se io ti dicessi che non ci tengo a te, cosa faresti? Resteresti con lui?»

Spalanco gli occhi nella speranza di dilatare le pupille al massimo perché la voglio vedere la sua espressione. È davvero così? Non conto niente per lui?

«Non fare quella faccia. Non l'ho detto, ma non devi prendere le decisioni in base a quello che voglio io, ma a quello che vuoi tu. Avevi le idee chiare poche settimane fa, mi pare».

Sono di nuovo col naso nel suo collo. Lui non ha mollato la stretta. «Sei tu che mi confondi» sussurro, debole. Lui non parla più e io sento che sto per addormentarmi.

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