Capitolo 46


Quando apro gli occhi capisco subito, dall'intensità luminosa che filtra attraverso le persiane socchiuse, che è già mattino inoltrato.

Quanto ho dormito?

Ieri sera le parole di mia madre hanno aumentato l'angoscia e la telefonata di Bruno non ha migliorato le cose.

Che hai fatto ieri?

Niente di particolare. Siamo stati al mare con i miei e poi verso sera io e Massimo abbiamo fatto un giro.

Capisco... Sì è scombussolata ogni tradizione a causa della mia assenza

Un po' sì

Ti sento un po' giù, stai bene?

Sì, è che mi dispiace che tra pochissimi giorni papà e Massimo andranno via.

Certo, lo capisco... Dai, poi arriverò io.


Ho impiegato tanto tempo a prendere sonno.

Distendo un braccio verso il comodino per controllare l'ora: le nove e venti!

Mi alzo in fretta, esco dalla camera con addosso la lunga maglietta e le mutande. Nel bagno accanto scorre dell'acqua. Scendo di sotto: non c'è nessuno. Busso alla porta della camera di Massimo: silenzio. Apro e la trovo vuota. In soggiorno mi accorgo che la lucina nella postazione del cordless lampeggia. Prendo l'apparecchio in mano e premo il tasto 'chiamate ricevute'. Tre chiamate perse di Francesco.

Spingo il tasto 'Richiama'. Uno squillo, due squilli.

«Come mai non sei qua?»

A volte mi piacerebbe sentirmi rispondere con un Buongiorno amore, hai dormito bene? Come stai? Cose così, ma lui sembra evitare come la peste simili carinerie.

«Ciao... Come?»

«Quando ho visto tuo fratello arrivare ho pensato ci fossi anche tu».

Sono spiazzata. «Massimo è lì?»

«Sono usciti, lui, Rosaria e Riccardo».

«Ah...»

«Non lo sapevi?»

«No... Mi sono appena svegliata...»

Trascorrono alcuni secondi di silenzio. Prendo atto che il fatto che si fosse aspettato di vedermi insieme a mio fratello è un suo modo di dirmi che gli avrebbe fatto piacere avermi lì.

«Non vuoi venire qui?»

Adesso mi chiede di andare lì? Ieri non mi ha mai cercata. Al mattino mi ha svegliata uno dei cani col suo muso umido e, quando mi sono alzata e ho visto Massimo che usciva dall'appartamento di Rosaria, gli ho posato un bacio leggero sulle labbra e me ne sono andata. Non so neanche se se ne sia accorto. Questo suo modo mi infastidisce.

Con la coda dell'occhio noto la figura di mio padre entrare in soggiorno.

«Senti... Ti richiamo, c'è mio padre qui». Interrompo la comunicazione senza neanche aspettare la sua risposta.

«Chi era?»

«Francesco... Ma dove sono mamma e Massimo?»

«Tua madre è uscita mezz'ora fa, non ha voluto dirmi dove andava. Massimo non lo so, non è in camera?»

«No, non c'è».

Mi accascio sul divano, all'improvviso mi sento esausta. Ho il telefono sulle gambe. E così mio fratello se ne sta in giro con Rosaria e il bambino. Di lei avevo capito fosse interessata, ma lui...

Mio padre si siede accanto. «Che facciamo papà? Siamo senza un'auto».

«Perché, dove volevi andare?»

«Non lo so», sussurro e appoggio la testa alla sua spalla.

Mi stringe col suo braccio forte. «Possiamo andare a fare due passi, arrivare giù in centro».

Ci penso un attimo. «Vado su a vestirmi».

Porto con me il telefono. Appena chiudo la porta lo chiamo.

«Alba», dice questa volta.

«C'è solo mio padre in casa... Mia madre è uscita senza dire dove andasse e Massimo lo sai... Papà ha proposto di andare a fare un giro a piedi... Sabato riparte...»

«Ho capito...» Sembra deluso.

«Magari, se arriviamo fino giù al porto potresti raggiungermi lì».

«Con questo caldo ve ne andate a piedi fino al porto?»

«Papà è abituato al caldo e io... metterò il cappello».

Resta in silenzio per qualche secondo. «Mi sembra che Massimo non si sia fatto tutti questi scrupoli» lo sento dire subito dopo.

«Massimo è Massimo e io sono io».

«Va bene, non ti arrabbiare» dice con voce morbida.

E a quel punto non riesco a trattenermi. «È che ieri non mi hai cercata mai! Quando stai con i tuoi amici diventi un'altra persona».

«Ieri c'è stata una tale confusione... Tutto da riordinare, poi sono tornati i miei».

Sento crescere il mio disappunto. «Già, neanche il tempo per una telefonata a fine giornata? Cos'è, eri troppo preso a conversare con il tuo giro di amichette?»

«Ma di che parli? A una certa ora sono andati tutti via».

Il mio sospiro rimbomba nel silenzio che passa tra la nostra conversazione.

«Ci vediamo giù al porto tra un'ora. Chi arriva prima aspetta» dice asciutto, prima di riattaccare.

                                                                                        ***

Passeggiare con mio padre mi è sempre piaciuto. Quando ero più piccola adoravo fare delle attività con lui, camminare, nuotare, escursioni in montagna; andare in canoa nei torrenti. Papà è sempre stato un uomo molto attivo e le cose che so fare in campo sportivo le devo a lui, non che mamma non abbia tenuto il passo, lei mi ha insegnato a essere la donna che sono.

Camminiamo per un bel pezzo in silenzio, concentrati nei passi e attenti a non surriscaldarci. Itinerari all'ombra qui ce ne sono pochi. Abbiamo portato le borracce con l'acqua.

Gli afferro un braccio, mi stringo a lui. Mi posa un bacio leggero sulla testa.

«Mi sento abbandonata» mi esce dalle labbra.

Si ferma, mi prende per le spalle, mi alza il viso. «Ma che dici? Non lo devi pensare».

«Ma è così» ribatto in lacrime.

«Voi siete i miei figli, voi siete la mia famiglia».

«Ma tu non ci sei, papà! Adesso ne hai un'altra di famiglia!»

Si inalbera. «Quella...» inizia con tono alterato, poi si placa. «Quella è un'altra cosa, una cosa che non doveva succedere, ma è andata così. Sono stato un ingenuo, credevo che una donna della sua età sapesse cosa stava facendo».

Alcune auto ci sfrecciano accanto, qualche passeggero ci osserva curioso.

«Oramai l'hai fatto questo figlio, papà. Lei reclamerà la tua presenza».

«Non sto dicendo che non me ne prenderò cura, ma io tornerò in Italia, appena il lavoro terminerà, io ritornerò».

Lo guardo senza credergli. «E dove tornerai? Hai sentito mamma ieri sera, se ne vuole andare da qui. Io perderò tutto, dovrò interrompere gli studi qui, gli amici... Ricominciare tutto daccapo da un'altra parte», mormoro con tono sommesso.

Mi stringe a sé e riprende a camminare. «Parlerò con tua madre di questa cosa».

Il tono di mamma era perentorio, ieri sera. Ha detto che chiederà il trasferimento.

«Adesso parlami di te, dimmi, hai parlato con Bruno?»

Bruno.

«Non voglio parlarne al telefono, glielo dirò appena tornerà».

Lui rimane in silenzio ancora un po'. Mi faccio coraggio. «Hai consigli?»

Si gira a guardarmi e mi sorride.

«Mamma dice che non dovrei dirgli la verità. Tu?»

«Bruno è un bravo ragazzo. Soffrirà, ma comprenderà».

Non riesco a condividere la sua sicurezza.

«Ma tu, sei innamorata di questo Francesco?»

Oddio, non me la sono mai fatta questa domanda. «Dopo averlo conosciuto non ho più provato alcun interesse per Bruno. Solo un affetto segnato da tutti gli anni che abbiamo trascorso insieme».

Mi passa un braccio intorno alle spalle.

Ho sempre pensato che mio padre mi avesse trasferito il dono della resistenza. Lui è uno che non si arrende mai, gli piace sfidare le situazioni difficili, e io mi sento un po' così, mi vado a cacciare sempre in situazioni che richiedono un gran dispendio di energia, ma so anche di essere coraggiosa e su questo mamma ha avuto un ruolo fondamentale.

Le cicale cantano incessanti sugli alberi scheletrici lungo il marciapiede. Si zittiscono soltanto al nostro passaggio.

L'asfalto caldo sotto i piedi si marchia appena delle suole al nostro passaggio. Cassonetti pieni di spazzatura, odore nauseabondo nell'aria; gazze e gatti che si contendono qualche avanzo. Gas di scarico delle automobili. Passeggiare in questo percorso non è il massimo della salute.

È quasi mezzogiorno quando arriviamo nei pressi del porto. L'aria è caldissima. Mi fermo per prendere la borraccia e sorseggiare dell'acqua; papà fa lo stesso. C'è tanta gente, molto movimento. Diverse specie di gabbiani volteggiano nel cielo, cercano sempre cibo facile dai viaggiatori.

Mi accorgo subito dell'auto di Francesco a un centinaio di metri più avanti. Sta parcheggiata in doppia fila in una zona dove neanche si potrebbe parcheggiare. Ha intuito bene la direzione dalla quale saremmo arrivati.

«Papà...» prendo a parlare con una certa dose di imbarazzo.

Si gira a guardarmi. «Avevo detto a Francesco che forse poteva trovarmi da queste parti».

Non capisce subito, ma Francesco deve avermi vista perché sta scendendo dalla BMW; è allora che papà comprende. Continua a tenermi stretta dalle spalle. «Devi andare con lui?»

«Se a te non dispiace...». Mi sento terribile, è venuto fin qui e noi lo trattiamo così.

Francesco ci viene incontro, deve essere la presenza di mio padre che lo spinge a farlo, altrimenti sarebbe rimasto incollato all'auto in attesa che lo raggiungessi.

«Buongiorno», saluta con cortesia.

Papà fa un cenno col capo, «Ciao».

Lui mi guarda in cerca di risposte, ma è papà a riprendere a parlare. «Non capisco, se dovevate vedervi perché non sei passato a prenderla a casa?» Si rivolge direttamente a lui, ma lui guarda me.

«Mamma ha suggerito di evitare che Francesco venisse fino a casa, sai, la famiglia di Bruno...»

Francesco non emette una sillaba, incrocia le braccia al petto e abbassa il viso in direzione delle sue scarpe.

«Ah, capisco... Tua madre riesce sempre a essere previdente».

«Già» commento.

Con te però non le è riuscito.

Mi tornano in mente i discorsi di lei su papà, i suoi dubbi sulle scelte lavorative, sulla sua assenza. Forse non era arrivata a immaginare tanto, ma qualcosa di preoccupante aveva intuito.

Loro due si guardano per un lungo istante. Sembra una scena isolata da tutto il contorno, a un certo punto non arriva neanche più il chiasso circostante. Io mi trovo ancora al fianco di mio padre e provo imbarazzo nel mezzo di questa tensione che avverto.

Poi, papà, con gesto delicato mi spinge, la sua mano aperta dietro le mie spalle come a consegnarmi a Francesco. «È il fiore più prezioso del mio giardino», gli dice poi.

Io provo un brivido intenso dietro la schiena.

Francesco annuisce, si fissano per qualche secondo ancora, poi, mi prende per mano e ci avviciniamo all'auto.

«A dopo, papà!» Lo saluto col braccio alzato.

Percorriamo la strada fino a casa sua in totale silenzio. Lui ha inserito un cd nel lettore. Guardo fuori, dalla mia parte, sento gli occhi umidi. La camminata con papà ha smosso felicità e nostalgia.

Forse Francesco se ne è accorto perché mi sembra più premuroso del suo solito.

Per la prima volta saliamo la scala insieme, mano nella mano.

«Hai fame?» mi chiede una volta dentro.

«Sto morendo» gli rispondo con le labbra distese.

Mi abbraccia. «Io sto morendo dalla voglia di te», sussurra tra i miei capelli.

Ho le gambe molli e un brivido mi fa arricciare il cuoio capelluto. Quando fa così non capisco più niente.

Le sue mani, prima tra i capelli e poi sulla gola, quando l'afferra per baciarmi. Il bacio che mi dà è diverso da tutti gli altri che ci siamo scambiati finora. C'è desiderio, eccitazione, sì, anche quella, ma c'è altro, una passione che non ho conosciuto prima.

Sono commossa.

Mi aggrappo a lui. Paura che mi sfugga via, come se quel bacio restasse per sempre l'unico.

«Tremi...» mormora sulle mie labbra appena si distacca un po'. Mi tiene la testa con le mani tra i capelli.

«Ancora, non ti fermare» sussurro con gli occhi chiusi. Poi, li riapro. I suoi mi scrutano in profondità. «Fammi dimenticare tutto, spazza via questi pensieri nocivi». È una richiesta la mia, ma anche una supplica. Illusione e speranza insieme, che un bacio così, lo abbia dato solo a me.

Mi prende da sotto le cosce, lo avvolgo con le gambe e finiamo inevitabilmente sul letto. Il mio stomaco non esulta quanto il mio cuore.


Le mani di Francesco sono un'esperienza mistica, non si limitano ad accarezzare. Mentre scorrono sulla pelle io mi sento avvolta, contenuta, forgiata di una nuova anima ed è come tornare neonata tra le braccia materne.

La mia schiena contro il suo corpo, le sue labbra tiepide nel collo. Le gambe aggrovigliate col suo braccio e il palmo della sua mano su, fino a toccarmi il petto.

Non mi sono mai sentita così con Bruno, nemmeno all'inizio. Lui sembrava quasi avesse timore a toccarmi.

«Finalmente soli» mi esce in un sussurro. Gli occhi chiusi, il corpo, senza alcuna tensione muscolare, sembra lievitare.

«Ti danno fastidio i miei amici?»

Fatico perfino ad articolare una sillaba, o forse, è per timore di urtarlo, ma poi glielo dico con tutta franchezza.

«Quando non posso averti tutto per me».

Mi gira il viso verso il suo e mi regala un altro bacio sconvolgente.

«Tu mi rendi debole». Glielo dico con gli occhi nei suoi, ora che siamo una di fronte all'altro. Gli accarezzo il viso, anche lui fa lo stesso sul mio. È un gesto dolce.

Soffia un sorriso. «Io non ho mai conosciuto una più forte di te».

«Ma è vero. Tu mi fai sentire insicura».

Non dice niente.

«Ma tu hai capito che da qui a breve potrei andare via da questa città?» Non lo so perché continuo a rimarcare questo punto con lui. Forse mi aspetto qualcosa, una dichiarazione, una promessa.

«È solo un'ipotesi» dice.

«Non è solo un'ipotesi. Ieri sera mamma ha detto chiaramente che chiederà il trasferimento».

Lo scruto a fondo, cerco di cogliere ogni minima espressione facciale, ma niente.

«Perché non ce ne andiamo qualche giorno via da qui? Io e te...»

Un calore si irradia dal profondo del mio petto. «Dove?» sussurro incerta, quasi come se non lo avessi udito davvero.

«In qualche posto lontano da qui, magari verso Siracusa».

«Ma mio padre...»

«Dopo che sarà partito».

Papà ripartirà sabato e Massimo domenica. Bruno non rientrerà prima del 30 o 31. Potremmo stare via per una settimana

«Ti va?» Richiama l'attenzione con la sua domanda. «Sì, certo che mi va. Mi va tanto...  Mmh...»

«Cos'hai?»

«Sto per svenire».

«Vero! Non hai ancora mangiato niente».

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