Capitolo 43

Per un po' di tempo siamo rimasti così, accoccolati, a donarci conforto, ma a un certo punto mi ha chiesto Torniamo su?

Quella proposta ha generato in me una certa tensione. Nel mio profondo avrei desiderato che lui scegliesse me, ma razionalmente lo capisco. È passata più di un'ora da quando sono arrivata qui; Antonella era venuta per stare con lui ed è rimasta su da sola per tutto questo tempo.

Ho risposto che desideravo rimanere ancora un po' lì. Non ha commentato, ha solo approvato con Ti aspetto, poi è uscito.

Lui è così, non mi forza, non mi prega, rispetta le mie richieste.

Non mi ha più chiesto niente dei miei perché gli avevo mostrato riluttanza a parlarne.

Sembra tutto coerente.

Ma allora, perché sento questa inquietudine?

Perché provo questo desiderio che lui avesse scelto di rimanere qui, con me?

Antonella c'era da prima

Sono nervosa, insicura, contrariata; non riesco a immaginarmi di sopra con loro due.

Devo ancora riflettere su quello che è accaduto tra i miei, parlare con mio fratello. Capire che cosa faremo.

Dei passi che si avvicinano mi riscuotono dal vortice di pensieri. La voce di Rosaria.

Mi alzo appena entra. «Scusa, adesso vado». 

«Alba, ti credevo di sopra. Puoi restare se vuoi».

«Non voglio disturbare...»

«Non disturbi».

Riccardo scorrazza per le stanze, lei lo segue con gli occhi e ogni tanto si gira verso di me.

«È davvero bella questa casa».

«Vuoi vedere di sopra?»

Annuisco.

Prende per mano Riccardo, si sfila i sandali e fa lo stesso con il piccolo. Mi guarda. «Di sopra andiamo senza le scarpe che usiamo per fuori».

Giusto. Mi sfilo i sandali anche io. Il pavimento è tutto in legno, lo stesso dell'appartamento di Francesco.

«Mi piace la balconata che si affaccia di sotto».

«Sì, è sempre piaciuta anche a noi da piccoli».

Entriamo nella sua camera: è spaziosa, luminosa, molto femminile. Accanto al letto a due piazze è affiancato un lettino più piccolo. Riccardo si tuffa subito verso il lettone, si aggrappa alle lenzuola, cerca di arrampicarsi su. 

«Questa era la tua stanza?»

«No, era dei miei. Poi, quando mi sono trasferita qui con Riccardo l'hanno lasciata a noi, perché è la più grande e loro hanno preso quella che era mia».

«Sono stati gentili».

«Sì, sono stati gentili... Ma me lo fanno pesare, specialmente mia madre».

Si avvicina al piccolo, lo accompagna nell'impresa con le sue mani.

«Tua madre ha una mentalità un po' all'antica?»

«Più che altro non mi ha perdonata di essermi lasciata mettere incinta, poi, il matrimonio... Un fallimento fin dall'inizio».

«Ma tu come potevi saperlo...»

Riccardo inizia a saltare sul materasso, ride divertito. Lei non lo perde di vista neanche un attimo. Tra una frase e l'altra mette lunghe pause perché presa da suo figlio.

«Ho visto che c'è Antonella su» dice a un tratto.

Mi irrigidisco per un momento.

«È per questo che te ne stavi andando e che ora non sali?» Prende Riccardo in braccio e lo deposita all'angolo del grande tappeto che sta al centro della camera, dove una grande cesta straripante di giocattoli attira la sua attenzione. Il bambino inizia a prendere ogni gioco e me lo porta. Mi siedo a terra anch'io, sul tappeto.

Non riesco a trovare una risposta adeguata. Mentre rifletto continuo a intrattenere Riccardo con la quantità di giochi che sta tirando fuori dal contenitore.

«Non devi temere Antonella, Francesco non-»

«Lo so, mi ha raccontato tutto... È che non lo sapevo. Mi aspettavo di trovarlo da solo».

«Ah...»

Rosaria saprà della strana relazione che lega Antonella e Francesco? Non credo.

«Anche tu la pensi come tua madre nei suoi confronti?»

Ci pensa qualche secondo. «Lo so che Antonella non è responsabile di quello che è accaduto, ma devi capire che per mia madre vedersela davanti è come sentirsi sbattere in faccia la verità ogni volta».

Il pensiero va alla mia di madre e al pasticcio che ha combinato mio padre. Non riesco a capire se sua madre è più forte o più codarda.

A un certo punto Riccardo viene a sedersi sopra di me. Rido e guardo Rosaria.

«Gli piaci», dice lei.

È dolce questo bambino, tranquillo. Forse perché ha comunque una famiglia intorno che gli trasmette sicurezza e protezione.

Mi assale una certa curiosità. «Eri innamorata di tuo marito?»

Lei ci pensa un attimo, gli occhi si posano sul bambino addosso a me, ma vicino a sua madre. «All'inizio sì, tanto. Dopo è stato un inferno. Corrado sa essere spietato».

Qualcosa la so, da quello che mi ha raccontato Francesco. Altro posso immaginarlo. Vorrei chiederle di più, ma ho paura di tradirmi. Lei non sa niente di me e Bruno.

Restiamo in silenzio, in sottofondo solo la vocina del bambino che fantastica su un mondo tutto suo dove protagonisti sono i pupazzi sparsi sul tappeto.

Mi alzo. «Forse è meglio che vada».

Rosaria mi accompagna giù. Riccardo mi da la manina mentre scendiamo la scala.

«A dopo», le dico mentre esco.

Procedo a passi lenti. Provo una grande resistenza a salire. L'impulso è quello di prendere il motorino e andarmene, ma segnerei la fine di tutto. Francesco non mi correrebbe dietro ancora una volta.

E io non voglio perderlo.

Dagli ultimi gradini si sente una musica provenire dall'interno: è dei Pearl Jam.

Per una seconda volta busso con timidezza al portoncino. Sembra una pellicola riavvolta il proporsi della stessa scena.

Questa volta però apre lui. E mi basta la luce nei suoi occhi a spegnere tutte le incertezze di poco prima. È contento di vedermi lì.

«Abbiamo preparato la colazione. Ci sistemiamo in terrazzo, il sole non scotta ancora». Mi prende per mano, come prima, e adesso io gliela lascio prendere.

Mi accompagna in terrazzo. Hanno organizzato un tavolino basso, delle sedie, il solito materasso ricoperto da teli da mare.

Antonella sta impegnata a disporre le cose sul tavolino. Alza il viso per un attimo. Mi guarda. Leggo una specie di solidarietà nella sua espressione. Francesco deve averla informata.

Nessuno di noi tre parla. La musica aiuta a riempire quel silenzio o forse non ne sentiamo la necessità. Mi metto seduta e inizio ad assaggiare qualcosa. Hanno preparato del caffè, spremuta d'arancia, frutta, pezzi di pane con cioccolata e marmellata.

A un tratto lei si volta a guardarmi. «Se vuoi, dopo ti sistemo i capelli», mi dice.

«titti...» la ammonisce lui.

Ancora quel nomignolo

«Che c'è? Voglio solo pettinarle i capelli... Guarda come son ridotti!»

«Va bene» dico io.

Lei fa una faccia felice; lui è piacevolmente sorpreso.

Condividiamo la colazione. A poco a poco supero il disagio e mi rilasso. Mi lascio spazzolare i capelli. Conosce i miei desideri, li pettina con delicatezza e li acconcia come quella volta sul catamarano. Dal punto in cui siamo sedute vediamo il retro della casa. C'è un vialetto che porta all'abitazione adiacente. Tutto intorno, sul terreno inclinato stanno sparsi alberi di ulivo. Non so fin dove arrivi la loro proprietà. Quando notiamo passare un'auto diretta alla casa accanto, Antonella ha uno scatto e si allontana verso il lato opposto del terrazzo.

Francesco è dentro. Resto sorpresa.

«Chi è?» le chiedo. Lei finge noncuranza, si toglie la maglietta e i pantaloncini e, rimasta in costume, si avvicina e riprende quello che ha interrotto. «Suo zio» risponde con un cenno del capo verso l'interno.

Appena Antonella finisce di pettinarmi la ringrazio, mi alzo ed entro anche io. Lei si sdraia sul materasso, al sole.

Francesco è affaccendato nella zona della cucina. «Mi posso sdraiare un po'?» gli chiedo mentre indico il letto.

«Certo».

Forse è perché ho abbassato le difese e abbiamo condiviso quel momento pacifico a tavola, che mi sento assalire da una stanchezza totale. Mi sento sfibrata e non è soltanto per le poche ore di sonno, ma allo stesso tempo, mi rendo conto che questo non parlare, il non stare lì a ricercare risposte agli infiniti perché è molto più efficace di fiumi di parole, intrecci di pensieri.

Forse, era proprio questo ciò di cui avevo bisogno.

Provo un profondo piacere quando mi stendo sul letto.

Lo sento smanettare intorno allo stereo, interrompe la musica di prima e nella stanza si diffonde Goodbye blue sky. Chiudo gli occhi. Lui si avvicina poco dopo. Avverto il suo respiro caldo dietro al collo. «Va bene così?» mormora.

Non ho neanche la forza di parlare, ma le labbra si rilassano in un dolce sorriso intanto che muovo la testa per dirgli di sì. Mi sfiora il collo con le sue, morbide, poi si allontana.

Lo vorrei qui, vorrei stare intrecciata a lui, ma non oso chiederglielo.

La musica mi scatena un sentimento di nostalgia, per quel cielo che, come il mio, non vedrà più l'azzurro di un tempo. Due lacrime scendono silenziose mentre mi abbandono al sonno rigenerante.
                                                                                                            ***

Non sono abituata a sentire odore di cucinato nel luogo dove dormo. Mi sveglio con questo aroma pungente di sugo. Guardo l'orologio: le 12.30. Ho dormito tanto.

Stanno fuori, sento le voci. Mi alzo e sbircio verso il terrazzo. Li vedo distesi entrambi sul materasso.  Fumano, chiacchierano, ridono. Lui ha di nuovo i capelli intrecciati. A me piace di più quando li porta sciolti, ma capisco che per cucinare sia più prudente legarli.

Sono proprio affini.

Con lei qui, io perdo identità e mi percepisco più come un'ospite occasionale.

Mi avvicino ai fornelli.

Sugo in preparazione, come ti puoi sbagliare?

Lui entra e mi vede. «Ti piace?»

«Zuppa di pesce? Buona».

Faccio il giro della penisola, mi muovo verso di lui, mi avvicino e sussurro, come a non voler che qualcun altro possa sentire. «Posso fare una doccia?»

«Certo, non devi chiedermelo. Cosa sono tutti questi posso?» La sua espressione è di dolce rimprovero.

Io invece distolgo lo sguardo. «Non siamo da soli». La mia voce è un soffio impercettibile. Abbasso gli occhi e mi giro.

«E allora? Per me non cambia niente» mi parla dietro, mentre mi dirigo alla porta del bagno. «Puoi continuare a fare come hai sempre fatto», dice con voce più morbida.

Come sempre? Vorrei dirgli che non è così, che se fossimo da soli, adesso noi staremmo a rotolarci tra le lenzuola o sotto la doccia insieme; che la musica l'avremmo ascoltata vicini, con le sue labbra sulle mie e le mani a regalarci carezze sconce.

Invece, siamo qui a parlarci come due conoscenti gentili e rispettosi. L'unico bacio che ci siamo scambiati è stato di sotto, nell'appartamento dei suoi.

Perciò, no, non è vero che per lui non cambia niente.

Entro e chiudo la porta.

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