Capitolo 40


Stanotte abbiamo deciso che oggi e domani sarei rimasta qui a casa sua per tutto il tempo. Ho chiamato mamma e gliel'ho comunicato al telefono.

Bene, almeno so che non sei stata rapita quando sparisci nel cuore della notte. Oh, cavolo, si è accorta di ieri notte!

Domani è venerdì e arriverà mio padre.

È già Ferragosto.

Tra due settimane rientrerà Bruno.

«Ehi, dove sei?»

Francesco mi riscuote dalla mia assenza. Di solito trovo irresistibili le sue carezze e in poco tempo mi sciolgo come neve al sole. E lui si sta impegnando davvero tanto.

«Scusa» dico in un soffio. Mi giro per abbracciarlo. Restiamo così per qualche secondo. Ho bloccato ogni sua forma di eccitazione.

Si alza. Lo sento muoversi nella stanza. Io rimango rannicchiata nel letto a dargli le spalle.

I pensieri giocano a rincorrersi. Si incrociano, qualcuno gioca a nascondino, qualcun altro grida tana per tutti.

«Tu giochi a tennis?»

Non risponde subito.

«No, non mi piace».

«Come mai avevi una palla da tennis?»

«Riccardo è pieno di palle da tennis. Alba, che hai?»

«C'era anche Corrado al compleanno di Riccardo?»

«No, non viene più qui. Che c'entra adesso?» chiede spazientito.

Mi giro a guardarlo. Sta arrotolando una cartina.

«Tu lo sai che lui e Adele si conoscono?»

Ancora pausa.

«Tu come lo sai?»

«Me lo ha detto la mia amica Livia. Li ha visti parlare seduti a un bar, quando noi stavamo ancora in viaggio».

Lecca la cartina nella sua lunghezza. Finge indifferenza.

«Livia conosce Corrado?»

«Lo ha conosciuto al circolo del tennis». Beh, non è una bugia

Mi metto a sedere. «Lei lo sa!» esclamo concitata.

«Di chi parli?»

«Di Adele. Quella serpe sa più di quanto immaginiamo e sta giocando con me come al gatto col topo!»

«Adesso basta». Accende l'erba avvolta nella cartina. Si siede accanto, me l'avvicina.

«Non voglio fumare! Voglio restare lucida, riflettere, pen-»

«Danneggiarti il sistema nervoso, questo vuoi!»

«Ma come fai a non capire? Non capisci come mi sento? Lo sto ingannando nel peggiore dei modi... Se fossi tu al posto suo non reagiresti così».

«Io non ci starei al posto suo, Alba. Avrei chiuso già da un pezzo perché i segnali si mostrano molto prima delle azioni finali».

«Parli così perché non ti sei mai innamorato...»

Inizia ad aspirare come niente fosse. «Può darsi».

Mi irrita. «E non fumare quando parli con me!»

Ha uno scatto nervoso, lancia all'aria tutto quello che ha in mano. Sussulto. Non fa mai così. Si avvicina rabbioso. Mi afferra dai capelli, dietro la nuca. «Allora tu stai con me!»

Non capisco più niente quando si avventa sulla mia gola.

Credo sia stato in quel momento che ho deciso che volevo tutto da lui, superare ogni confine messo lì, non so come, per tenere a bada un certo concetto di decenza, un limite stabilito per non voler riconoscere che l'altro non condividerebbe mai le tue pulsioni.

È stato in quel momento, con la schiena schiacciata sotto al suo petto, con le sue mani tra le mie cosce e la sua bocca sul collo, a mordermi lì, all'attaccatura dei capelli, che l'ho voluto sentire di più e l'ho pregato di non esitare, che era esattamente quello che desideravo.

«Dimmi se devo fermarmi».

«Non l'ho mai fatto prima, ma non voglio che ti fermi», gli ho sussurrato cercando con le mie labbra frementi le sue.

                                                                                                ****

Il pomeriggio del giorno dopo mi ha proposto di uscire.

«Hai detto che saremmo rimasti sempre qui».

«Non andiamo in città. Ti porto da mia nonna».

«Da tua nonna?» Distendo le labbra in un sorriso lusingato.

Da sua nonna.

La casa di sua nonna si trova a pochi chilometri dalla loro, ma a una quota maggiore. È piccolina, ma circondata da alberi da frutto. C'è un bel fresco qui, grazie a tutto il verde intorno.

Ecco da dove arriva tutta la frutta.

La troviamo seduta sotto a una pergola davanti all'entrata di casa. Mi guarda con circospezione. Francesco mi ha presentata come sua amica.

«È la tua fidanzata?» Glielo chiede in dialetto. Mi viene da ridere.

«Nonna, non si usano più i fidanzamenti». La schernisce lui, mentre stacca dei fichi da un albero lì accanto. Lei lo guarda senza capire.

«È forestiera?» Continua a guardare me, ma fa le domande a lui.

«È italiana, nonna».

«Sì, ma non è di qui» replica, sempre in dialetto.

«Abito qui da dieci anni», rispondo io.

Mi guarda sorpresa. «Capisci il dialetto?»

«Sì», rispondo, «capisco tutto». Mi giro appena a guardare Francesco. Fa un mezzo sorriso con le labbra.

Adesso le domande le fa a me. Vuole sapere di dove siamo, quanti anni ho, che lavoro fanno i miei genitori. Rispondo diligentemente a tutto.

«È finito l'interrogatorio?» La sfotte lui. Lei sembra lasciarglielo fare. Lui si avvicina e mi prende per mano. «Vieni Alba, andiamo nell'orto».

È strano osservarlo qui in mezzo. Si muove con disinvoltura.

«Ma come fa tua nonna a fare tutto da sola?» chiedo curiosa.

«Viene un contadino ad aiutarla, ma fa molto anche da sola. A volte veniamo noi a dare una mano, soprattutto per raccogliere i frutti».

«Ah, ho capito» commento divertita.

Raccogliamo tantissimi pomodori tondi e piccolini; qualche cetriolo, piante di lattuga, qualche fragola ritardataria. Francesco sistema tutto in un grosso contenitore dove stanno già disposti i fichi sopra le loro stesse foglie.

«Non ti facevo contadino».

«Siamo sempre venuti qui, fin da piccoli. Rosaria ci viene spesso con Riccardo».

È così bello e rilassato qui, non sembra neanche il ragazzo che ho incontrato per la prima volta all'Omnia.

Usciamo dall'orto. Mi prende per mano, posa su un vecchio tavolo il contenitore pieno di vegetali. Mi spinge addosso al muro del retro della casa.

«Dai, c'è tua nonna».

«Non c'è». Incolla le sue labbra alle mie. Gli prendo il viso tra le mani.

«Nuddu si pigghia 'si un si assimigghia». La voce di sua nonna ci sorprende dall'angolo estremo della casa. Mi ritraggo subito.

«Nonna...»

Rido. «Beh, ha detto che ci somigliamo. Non so se è un complimento per te o per me».


Rientriamo a casa sua che sono circa le quattro del pomeriggio.

«A che ora arriva tuo padre?» Mi chiede mentre sistema le verdure che abbiamo raccolto. Lo raggiungo alle spalle, infilo le braccia sotto alla maglietta. Lo stringo.

«Alle dieci», sussurro.

Stasera non staremo insieme e non so cosa succederà nei giorni prossimi. Una mano va alla ricerca dei bottoni dei jeans. L'altra solleva la stoffa della T-shirt, bacio la sua schiena. Perché mi fa quest'effetto?

Lo sento accelerare la respirazione. Abbiamo un'intesa perfetta.


Alle dieci siamo davanti a casa mia. L'auto di mamma sta parcheggiata qui fuori.

Sono tornati.

Mi emoziona il pensiero di rivedere mio padre dopo tanto tempo e mi emoziona dover lasciare lui, adesso.

Sembra leggere i miei pensieri. Mi volto a cercare il suo viso, lui afferra all'istante il mio per baciarmi. È la prima volta che ci salutiamo così davanti a casa mia. Un bacio lungo e appassionato.

«Mi fai sapere tu?» soffia sulle mie labbra.

«Sì... Ti faccio sapere».

Esco dall'auto e entro nel cortiletto. Lo saluto con la mano un'ultima volta, poi, apro la porta di casa.

È tutto buio. Non sono qui sotto. Avanzo in silenzio per le scale e mi arrivano le loro voci dalla camera da letto. Sorrido. Non hanno perso tempo.

Vado nel bagno di sotto per non disturbarli. Ormai, ci vedremo domani mattina. Prendo il cordless prima di risalire le scale e chiudermi in camera. La mia camera e quella loro stanno una di fronte all'altra. Le divide un piccolo disimpegno.

Spengo tutte le luci e mi infilo nel letto. Poi, compongo il suo numero.

«Ehi».

«Ehi... Non ho visto papà».

«Come mai?»

Sussurro una lieve risata. «Si sono chiusi in camera, li posso sentire da qui».

Ride anche lui. «Mi piacciono i tuoi... Vuoi che torno a prenderti?»

La tentazione è grande. «No, dai. Ti chiamo domani mattina e ti aggiorno».

Sto per riagganciare, «Fra!»

«Sì?»

«Ma tu che farai per Ferragosto?»

«Non lo so ancora».

«Ciao».

«Ciao».

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