Capitolo 39
Fa molto caldo stanotte e faccio fatica ad addormentarmi. Le finestre sono aperte nella sciocca illusione che l'aria notturna possa rinfrescare l'interno.
Ieri, quando mi ha riaccompagnata a casa erano le otto e trenta. Ha aspettato che entrassi prima di ripartire. Poi, avrebbe raggiunto il cantiere. Ha detto che in questi giorni, prima delle ferie, è impegnato a ultimare delle cose.
Quando ha fermato l'auto davanti a casa mia ho subito aperto lo sportello per scendere. Ciao, l'ho salutato frettolosamente, ma lui mi ha preso una mano. Aspetta... Con una gamba già fuori ho girato piano la testa per guardarlo con aria interrogativa.
Non vuoi che ci accordiamo per rivederci? Io per le sei dovrei tornare a casa, posso passare qui, prima.
Va bene, sì. Ho risposto col tono più neutro che potessi interpretare. Non volevo apparire scostante né provocargli quella sensazione di ossessivo bisogno di stare insieme.
Voglio che sia lui a decidere. A me sta bene, basta poterlo rivedere.
Ha trattenuto la sua mano nella mia e mi ha guardata con una luce divertita negli occhi.
Allora, ci vediamo dopo... Ha accarezzato le dita prima di lasciarla.
Sì, a dopo.
In casa ho trovato mamma in piena attività in cucina.
L'ho salutata e poi le ho chiesto Esci?
Stava aspettando Emilia per andare al mare.
Non ho replicato. Lei non mi ha invitata e io non mi sono proposta. Ho provato un forte conflitto tra il desiderio di stare con lui e il piacere di trascorrere del tempo anche con mia madre.
C'è stata una sola giornata per noi due, insieme.
Rimasta sola, dopo che lei è uscita, ho provato un senso di smarrimento. Sta succedendo troppo e sta succedendo troppo in fretta. La mia vita ha subito un totale scompiglio, non per forza in negativo, anzi, ma non so come gestirlo.
Sono entrata in bagno e, dopo un'ora di cure personali, ho chiamato Livia e l'ho invitata a pranzare insieme, da me.
Alle sei ci siamo salutate e alle sei e trenta lui ha citofonato.
Mamma dice che dobbiamo allentare un po' io e Francesco, che non è prudente farci vedere in giro ogni giorno, almeno finché Bruno non faccia ritorno.
Finché Bruno non faccia ritorno
Questo pensiero mi inquieta ogni volta.
Così, ci siamo organizzati per vederci nelle ore notturne. Francesco non è contento di questa decisione, più mia che sua; dice che ci stiamo bruciando i più bei giorni dell'estate, che è adesso il momento di goderci la nostra felicità, di prenderci quello che più ci fa piacere, come dice sempre lui. Non posso dargli torto. È la sua filosofia di vita, una filosofia che sto cominciando a fare anche mia.
Ieri sera ero a casa sua, come accade ormai ogni giorno. Per tutto questo tempo i suoi non si sono mai affacciati, mai intromessi. Francesco gode di una privacy totale, credo che ciò sia dovuto soprattutto al fatto che sia l'unico figlio maschio.
Abbiamo cucinato, poi mangiato; era come se lo avessimo fatto da sempre, il suo modo di mettermi a mio agio a volte mi destabilizza, ma in positivo. Non abbiamo bisogno di accordarci su quello che desideriamo fare, lo facciamo, in totale intesa, in condivisione più profonda. Dopo cena ha messo su un disco, poi, ha preparato uno spinello. Lui dice che lo rilassa e gli fa affrontare ogni cosa con maggior obiettività senza andare in ansia. Non mi obbliga mai, me lo propone ogni volta e io sono libera di fumare oppure no, ma ho notato che l'effetto che mi produce è positivo, riesco a vivermi tutto con maggior leggerezza senza cadere nell'angoscia di quello che potrà essere.
Anche con lui, non so quanto durerà, ma non cado nell'ansia per questo.
Adoro i suoi gesti lenti, misurati quando mi accarezza e mi fa rabbrividire sotto le sue mani vellutate. La sua voce ammaliante, quando dice l'essenziale e come un rumore bianco fa evaporare tutti i miei pensieri negativi.
Quando mi ha riaccompagnata a casa era quasi l'alba, gli ho chiesto di lasciarmi a una certa distanza, per evitare che qualcuno ci vedesse, anche se era abbastanza improbabile vista l'ora; abbiamo deciso che ci saremmo dati tregua per almeno ventiquattr'ore, – sono sfinita, non dormo per più di quattro ore consecutive da giorni.
Mentre aprivo il cancelletto ho visto l'auto di Bruno, e ho quasi sfiorato un arresto cardiaco. Adele era alla guida.
Mi ha guardata con quella sua solita aria diffidente. «Alba, che fai in giro così presto?»
«Ho fatto un giro per rinfrescarmi, fa troppo caldo di notte, non si riesce a dormire. Tu invece, dove vai?»
«Giù al porto. Facciamo una gita alle isole».
Alle isole...
«Non ti ho vista in giro, ultimamente».
Perché questa osservazione?
«Sono stata fuori con una mia amica...e sua zia. Non te l'ha detto Bruno?»
«Di solito quando telefona parla con mia madre, io mi limito a mandargli i saluti».
«Ah, a me invece fa sempre piacere conversare con mio fratello, quando chiama».
«Ma Bruno tornerà tra poco, non è andato via per sempre». Le pupille le sono diventate sottili, come quelle di un rettile.
«Certo...» ho commentato.
Mi ha salutata con la mano, ed è ripartita.
Mi sembra di udire un motore che si avvicina. Si ferma proprio qui sotto. Rimango concentrata ad ascoltare. Lo sportello si apre, qualcuno è sceso.
Ma...
Qualcosa di forte e duro sbatte addosso a una delle persiane della finestra. Poi, sento un lieve rimbalzo. Mi alzo, accendo la luce, è una palla da tennis!
Distendo le labbra in un sorriso divertito. Avevamo detto tregua e non sono passate ancora ventiquattr' ore.
Mi affaccio, lui è lì sotto, con la schiena appoggiata all'auto furgonata, la stessa sulla quale caricammo il mio Scarabeo; sorride, «vieni giù, dai».
Mi metto qualcosa di confuso addosso e facendo attenzione a non svegliare mia madre, raggiungo il portoncino all'entrata e poi il cancelletto.
«È quasi l'una, che ci fai qui?»
Indica dietro di lui. Metto a fuoco e li vedo: i maremmani stanno accovacciati nel cassone dell'auto.
«Ma dove stai andando?»
«Dove stiamo andando; dai, vieni. Li porto a fare due passi al mare».
«A quest'ora?»
«È questa l'ora giusta, Alba». Sale di nuovo in auto al posto di guida.
Lui non è quel tipo di ragazzo che ti soffoca di smancerie, ti prega di seguirlo, ti stritola di abbracci appena ti vede. Però è qui, nel cuore della notte, a organizzare un'uscita notturna senza avermelo chiesto prima, perché forse, intuisce che è proprio quello che più mi piace. E sta in auto ad aspettare.
Esito per qualche secondo, se mia madre si accorge che sono uscita è la volta buona che mi caccia di casa. Guardo su la volta scura e stellata. Stanotte c'è luna piena, la principessa della notte diffonde il suo raggio argenteo sul mare. Speriamo che mamma non si svegli, penso ancora, prima di aprire la portiera e sistemarmi accanto a lui.
«Ti sei decisa finalmente». Posa un bacio leggero sulle mie labbra e mette in moto. Appoggio la testa alla sua spalla, infilo la mano sotto la sua maglietta e lo accarezzo, un'ondata di benessere mi pervade.
Parcheggia nei pressi di una radura. Scendiamo dall'auto, apre il rialzo dietro e fa scendere i cani. Felici e festosi spiccano salti intorno a noi. Li accarezzo, ormai ci conosciamo; uno dei cuccioli mi lecca il viso. Lui prende uno zaino, poi, mi dà la mano e camminiamo lungo il sentiero che ci porta alla spiaggia.
Il silenzio ci rivela complici di un momento in cui parlare non è il bisogno di nessuno.
L'immagine che si apre davanti a noi è spettacolare. L'enorme distesa di acqua è silenziosa e invitante, ammaliante sotto i lunari riflessi. Francesco si spoglia, mi guarda, ormai non ha più bisogno di chiedermi niente, sa che quello che mi propone ogni volta è un desiderio che custodisco nel mio intimo più profondo, che ho sempre tenuto lì, in attesa. E adesso, quel desiderio può essere esaudito. Con lui accanto posso osare qualsiasi cosa.
Avanziamo nudi nell'acqua tiepida, lì pronta ad abbracciarci.
I cani si rincorrono tra di loro, giocano rumorosamente. I cuccioli tentano esitanti di entrare, ma poi rinunciano e rimangono lì sulla riva a guardarci, curiosi. Francesco mi prende in braccio, avvolgo le gambe intorno a lui. È tutto così perfetto che mi fa paura. I miei sensi di colpa mi fanno paura, li scaccio via abbandonandomi ai suoi baci audaci.
«Non l'ho mai fatto prima» mormora con voce tremante sulle mie labbra. Questa dichiarazione mi commuove. Realizzo, con dolore, che quello che ci stiamo donando assume un significato più grande. Vorrei fermare il tempo, restare così per sempre.
Quando usciamo dall'acqua prende dallo zaino un grosso telo. Lo avvolgiamo intorno a noi e restiamo lì dentro abbracciati. Un corpo dentro l'altro, a goderci lo spettacolo di quegli orsi bianchi che si rincorrono sulla sabbia, ruzzolano fino a bagnarsi, poi si scrollano e gli schizzi arrivano fino a noi. Sono felici, come lo siamo noi in questo momento.
Quando si ferma di nuovo davanti a casa mia ha lo sguardo fisso davanti a sé, non mi trattiene, ma sono io che prima di scendere mi giro ad abbracciarlo e a baciarlo.
«Potremmo stare tra le mie lenzuola in pochi minuti... Mi sembra tutta una gran minchiata » dice, sempre senza guardarmi. Mi passa per un attimo il pensiero che possa stancarsi di tutto questo, lui è abituato a prendersi quello che vuole e potrebbe non reggere a questa dinamica da ragazzini. Poi, non riesco a trattenermi. «Prima, intendevi che non li hai mai portati lì, in quella spiaggia?»
Silenzio.
Si gira lentamente; adesso mi guarda, serio. «Lo sai quello che intendevo, Alba».
Abbasso le ciglia, mi sento così in colpa; gli poso un leggero bacio sulle labbra poi, apro la portiera dell'auto.
«Ci vediamo domani» sussurro, prima di girarmi ad aprire il cancelletto; lui riparte appena lo richiudo dietro di me.
Salgo la scala lievitando per quanto mi sento leggera, con uno sciocco sorriso sulle labbra. Un'incontenibile gioia mi scorre nelle vene a quella conferma.
Grazie al cielo, mamma non si è accorta di niente.
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