Capitolo 37
Entro in auto e saluto mia madre con un timido Ciao.
Lei mi risponde senza guardarmi, impegnata nella manovra a U per tornare indietro sulla strada. Nel farlo incrocia l'auto con Francesco. Non lo guarda, io accenno appena un'occhiata.
Per un po' guida in silenzio. È tesa e non posso darle torto, ma cavolo, sto a pezzi anche io.
«Mamma...»
«Alba, non mi devi dire niente. È tutto chiaro. Mi dici solo come pensi di uscire da tutto questo pasticcio?»
«Così non mi aiuti, non mi aiuti tu, non mi aiuta nessuno. Non mi aiutate!» Esplodo in una sequenza di singhiozzi convulsi.
«Alba...» si volta verso di me con espressione preoccupata. Ferma la macchina in un piccolo slargo. Mi abbraccia. Ci abbracciamo.
«Alba, non voglio vederti così. Adesso calmati, appena ti riprendi affronteremo una cosa per volta. Calmati, dai». Mi accarezza le spalle, i capelli; mi stringe forte a lei, inalo il suo profumo familiare, fatto di sapone al vetivier e deodorante breeze. Appena riprendo a respirare in modo più regolare ci stacchiamo. Mi asciugo gli occhi con un fazzoletto. Mi soffio il naso e poi la guardo, ha gli occhi lucidi, possibile?
Sono quasi le otto e trenta quando entriamo a casa.
«Hai fame? Vuoi mangiare?» mi chiede. Fame? Con questo macigno sullo stomaco? Prendo il cordless dall'ingresso.
«No, no. Vado su, rispondo io quando il telefono squilla».
«Va bene».
In camera tutto mi sembra strano, l'ambiente così piccolo, stretto, dopo aver abitato per una giornata a casa di Francesco qui mi sembra tutto lontano da quella che sono stata oggi. È come se oggi ero donna e adesso sono tornata bambina.
Vado a farmi una doccia, ne ho bisogno, mi rilasserà.
Alle nove in punto squilla il telefono. Ho un sobbalzo, mi tocco i capelli: sono ancora umidi. Il cuore galoppa sotto le costole, faccio un respiro profondo. Uno squillo, due squilli, tre squilli.
«Pronto?» Mi obbligo a un tono leggero.
«Alba, ciao».
Ha la felicità nella voce.
«Ciao, che fai?»
«Niente, guardavo un po' di TV , un canale italiano».
Francesco non ha la TV
«Tu? Esci stasera?»
Perché me lo chiede?
«No, no, appena finisco di parlare con te vado a letto».
«Come mai?»
Ancora?
«Oggi siamo state tutto il giorno al mare, sono a pezzi».
Un'altra serie di bugie
«Sapessi quanto mi manca, qui è sempre nuvoloso e fa anche freddo».
«Immagino, mi dispiace tanto che ti rovini l'estate così, però, può consolarti il fatto che qui fa talmente caldo che di notte non si riesce a dormire.»
«Se tu fossi qui con me sarebbe tutto più accettabile».
Chissà se Francesco è tornato a casa.
«Lo so, in ogni caso vedrai che queste settimane passeranno presto. Luglio è volato».
Purtroppo sì
«Ci rifaremo quando tornerò».
Staranno cenando dalla nonna?
«Sì».
«Hai visto i miei?»
I suoi? «No, solo una mattina, ho incontrato Adele con la tua auto, per un attimo ho creduto che fossi tu».
Quella serpe.
«Dove sei adesso?»
«Nella mia camera».
«Ti manco?»
Mi manca lui
«Sì, un po'...è strano».
Bugiarda
«Cosa?»
«Non siamo mai stati lontani, prima».
E vorrei che il tempo si fermasse
«Non ho portato niente di tuo con me».
«Cioè?»
«Un indumento, qualcosa che sa di te».
Io ho la Tagelmuss di Francesco
Rido. «E cosa ne avresti fatto?»
«Ci avrei dormito insieme».
«Ti senti solo?»
«Tanto. Tu?»
«Io non sono sola».
Sarà andato da Antonella e Giusy?
Ci salutiamo. Dice che richiamerà martedì, stessa ora.
Schiaccio il tasto del telefono. Butto fuori l'aria. Mi sento sfinita. Sostenere tutta la tensione durante la telefonata mi ha risucchiato ogni energia. Mi sento orribile, come posso fargli questo? Si sente solo, è da solo, poverino, e io... non faccio che pensare a lui.
Si sarà accorto del mio tono distratto? Della mia povertà di argomenti? E la fretta di chiudere, quella, l'avrà avvertita? Com'erano prima le nostre conversazioni telefoniche? Non le ricordo.
Bruno è stato il mio primo tutto.
La prima volta che mi sono sentita guardata con interesse vero. Il primo stato d'innamoramento con la testa tra le nuvole. Il primo sentimento di gioia quando lo trovai fuori scuola ad aspettarmi. La prima uscita in auto, io e lui da soli. Le prime carezze audaci, le sue mani delicate, il chiedermi permesso senza parlare, quella sua forma di rispetto antico. La prima volta che ho sbottonato la camicia a un ragazzo – senza chiedere permesso – e che con altrettanta audacia ho aperto la cintura dei pantaloni.
La ricordo quella sera, illuminata solo dalle luci di sotto, sulla distesa d'acqua buia e la temperatura calda di un autunno che tardava ad annunciarsi.
Dal compleanno di Clara, avevamo preso a frequentarci con molta, molta prudenza. Mi piaceva quella sua celata timidezza, quando manifestava il suo desiderio controllato e io mi divertivo a metterlo in imbarazzo. Tempo dopo, mi confidò un giorno, che non davo proprio l'impressione di essere una che non era mai stata con un ragazzo.
Perché?
Sei così, così...
Così come?
Così libera, spontanea, disinibita.
E c'è qualcosa di male in questo?
No, no, certo.
Ti dispiace che io esprima me stessa con te?
No, non è questo.
Non aveva saputo spiegarlo. Io mi comportavo con spontaneità, perché con lui mi sentivo libera, sicura e non trovavo strano prendere l'iniziativa, esprimergli quello che desideravo e che mi piaceva. Forse questo mio modo di essere lo metteva a disagio.
Forse lo attribuiva a come ero stata educata. In quel periodo papà stava ancora qui e in alcune occasioni era capitato che Bruno si intrattenesse a casa nostra. Mamma e papà non si impedivano di scambiarsi gesti d'affetto davanti a noi.
In tutti questi anni io non ho mai visto i genitori di Bruno scambiarsi anche una sola carezza.
L'estate successiva trascorremmo una giornata al mare, io con la mia famiglia e venne anche Bruno. Ricordo come guardava mio padre e mia madre giocare nell'acqua, abbracciarsi, baciarsi.
Bruno è sempre stato combattuto da quello che provava per me. Desiderio per come ero, ma disappunto allo stesso tempo per la dissonanza che rappresentavo con il costume di questo luogo.
Il bussare improvviso alla porta mi distoglie dai pensieri.
«Vieni!» La testa di mia madre si insinua gradualmente tra la fessura della porta socchiusa.
«Hai terminato la telefonata?»
«Sì».
Si avvicina e si siede sul letto. «Com'è andata?»
Sbuffo. «Non lo so... Non sapevo cosa dire».
Lei sospira, guarda davanti, verso la finestra aperta. «Lo sai che voglio bene a Bruno come a un figlio».
«Lo so».
«Ma tu sei mia figlia e sei più importante».
Ci guardiamo. Mi arriva tutto il suo amore.
«Sei giovane, hai diritto a cambiare idea, solo... Io non voglio che soffri, ma qualcuno soffrirà, è inevitabile, ma fra te e Bruno preferisco che soffra lui».
Ci abbracciamo, scoppio a piangere.
«È difficile», dico tra i singhiozzi.
«Lo so», mi arriva la voce soffocata di mia madre dalle labbra nel mio collo. La bagno con le lacrime. La amo così tanto, non so che farei senza di lei in questo momento. Mi calmo un po', lei allenta la stretta e si allontana di poco. Mi prende il viso sotto il mento, lo tira su, mi guarda.
«Hai per caso trascorso la giornata con un vampiro?»
Rido e piango. «Non ti preoccupare, lui non è messo meglio».
Scoppiamo a ridere.
Mi accarezza la testa, il viso. «Domani voglio che ce ne stiamo un po' insieme, d'accordo?» Faccio sì con la testa. «Da quando hai terminato di studiare e io di lavorare non siamo mai state un giorno insieme. Domani ce ne andiamo al mare, io e te». Continua senza ammettere repliche. Annuisco.
«Adesso dormi», mi dice mentre apre la porta e esce.
Ho spento la luce, il buio della stanza viene interrotto solo in alcuni punti da un velato chiarore proveniente dai lampioni della strada. La finestra è aperta. L'aria è tiepida. Il sonno non arriva, sono ancora troppo agitata per la telefonata con Bruno. Come riuscirò a dirglielo al suo ritorno?
E se invece non gli dicessi niente?
Quand'è che sono spariti i brividi con lui? Da prima della sera del mio compleanno... Ci siamo sempre dati per scontati, lui c'era, io c'ero. I nostri progetti, più suoi che miei, io mi sarei adeguata, per lui, perché lui sicuramente avrebbe trovato una concreta collocazione lavorativa, mentre io...
Squilla il telefono.
No, ti prego, fa che non sia di nuovo Bruno.
Appare un numero nuovo sul display. Ne ricordo le prime quattro cifre, è di Francesco. Sono le undici. Sto per schiacciare il tasto, ma il pollice si blocca. Il trillo prosegue, la lucina continua a lampeggiare. No, non rispondo, non stasera. Smette di squillare e l'apparecchio torna al buio. Prendo il telefono in mano e lo stringo al petto, come se qualcosa di lui fosse ancora là dentro. Mi ha chiamata a quest'ora, cosa significherà?
Prendo la sua Tagelmuss, me la stringo addosso e pian piano mi addormento.
****
Alle 8.30 usciamo. Il cielo è terso, l'aria già calda, come se non vi fosse mai stata la pausa della notte. Agosto è ufficialmente dichiarato.
Mamma guida verso la spiaggia di Mondello, dice che forse, più tardi potrebbe raggiungerci Emilia, se troverà posto.
«Ma non avevi detto, io e te?»
«Sì, certo, ma non è sicuro che venga».
Alle 9.10 parcheggiamo. Non c'è molta gente, anche se ormai siamo in agosto è pur sempre lunedì. Prendiamo dall'auto tutte le cose necessarie che abbiamo caricato: ombrellone, teli da mare, borsa frigo.
Sistemiamo i nostri teli sulla sabbia, nello spazio scelto, lontano dalla spiaggia attrezzata.
«Lo so che tu ti sentirai satura di sole, mare, ma per me è praticamente la terza volta». Ed è assurdo considerando che viviamo su un'isola e vediamo il mare dalla finestra praticamente per tutto il giorno e la notte.
«È sempre piacevole per me, mamma, lo sai. E poi, una giornata tutta per noi era quello che ci voleva».
«Ci pensi, è la prima volta che siamo davvero da sole. La scorsa estate c'era Bruno e quella prima tuo padre, Massimo... Tutte e due senza uomini».
Ci spogliamo, mi lego i capelli in alto ed entriamo in acqua. Anche mamma adora il mare ed è per questo che a suo tempo accettò di venire a vivere qua.
«Ti ricordi quando venivamo qui con papà?» mi dice a un tratto.
«Ti manca?»
Ci pensa un po'. «Mi manca quello che eravamo».
Questa frase mi colpisce anche se non la comprendo bene. «Che vuoi dire?».
Vedo che prende tempo, riflette, cerca le parole. «Le cose stanno cambiando, Alba, e non è solo perché lui si trova in un luogo così lontano».
La guardo senza capire. Mi sembra un concetto sconosciuto quello che sento.
«Io penso che lui stia bene lì, lontano da noi, dalla famiglia... È come se dopo un po' di vita stabile lui sentisse la smania di cambiare ancora».
«Ma, è stato per motivi di lavoro...»
«Sì, questa è la spiegazione ufficiale... Avrebbe potuto cercare qui, in Italia, fare altro». Sbuffa.
«Ma perché dici così? Ti ha detto qualcosa o è una tua sensazione?»
«Tuo padre è sempre stato così, con questa smania di cambiamento, mai fisso in un posto, anche quando eravate piccoli, ma in quel caso avevo la mia famiglia vicino. Adesso che siete adulti pensa che sia tutto più semplice, ma non è così... Chi c'è qui con te? Tu hai bisogno ancora di noi due. E io sono stanca di fare Penelope in questo paese che ti considera vedova o puttana se non ti fai vedere con un uomo accanto».
Mi tornano in mente le parole di Bruno, Ho paura che tu possa essere fraintesa... Siete due donne da sole.
«Inizio a sentire un po' freddo, vado a sdraiarmi al sole». Mia madre annuisce e rimane ancora un po' a nuotare, io esco dall'acqua. Le sue parole mi hanno turbata, non voglio pensare a una crisi tra loro, li ho sempre visti uniti e innamorati, che succede?
Mi sdraio al sole, ho davvero bisogno di scaldarmi, sento un gelo dentro.
Risentire la voce di Bruno, dopo aver trascorso un'intera giornata nella dissolutezza con Francesco, mi fa provare un certo disgusto verso me stessa. Bruno merita tutto questo? Ma allo stesso tempo, è giusto che io finga di provare qualcosa per lui che invece non sento più?
Le emozioni che ho vissuto con Francesco mi hanno scaraventata dentro un'altra dimensione; é stato come se avessi sempre cercato quelle sensazioni. Non c'è una spiegazione logica a tutto questo, la logica suggerirebbe che è Bruno quello giusto, quello posato, in grado di garantirmi un futuro, mentre Francesco è l'esatto contrario; non posso neanche immaginare un futuro con lui.
Però, ieri sera mi ha cercata.
Guardo mia madre che si accinge a uscire dall'acqua. I suoi cinquant'anni non li dimostra affatto. È bella, giovanile, piena di energia. Fino a qualche anno fa, quando capitava di passeggiare insieme noi due, ci scambiavano per amiche. E anche adesso, gli uomini la guardano e se non portasse la fede all'anulare, non si farebbero problemi a importunarla.
«Allora? Ti sei scaldata?» Si avvicina grondante di acqua salata.
«Mi sto scaldando».
Mi guarda sospettosa. «Ma come mai questo freddo? Che hai combinato?»
«Niente, che devo avere combinato?»
«Beh, proprio niente non credo».
«Mamma!»
Ride. «Dai! Alleggeriamo questa tensione. Che pensi di fare?»
Lungo silenzio.
«Di preciso ancora non lo so, ma ho intenzione di parlare con Bruno quando ritornerà».
«Parlare per chiarire e recuperare o parlare per chiudere?» Mia madre è sempre diretta e non gira mai troppo intorno a un argomento che le sta a cuore.
«Mamma, cosa dovrei recuperare? Bruno è fatto a modo suo e io ho capito che non è il ragazzo che voglio nella mia vita. Gli sono affezionata, ma desidero altro».
«E l'hai capito in meno di ventiquattro ore?»
La guardo con rimprovero. Ho avuto venti giorni per capirlo.
Lei continua riempiendo il silenzio. «Alba, ci può stare che ti prendi una cotta per un altro. Immagino che Francesco abbia un suo fascino, uno che ti invita a una specie di regata su un'imbarcazione propria, sa di avventura, e le ragazze sono attratte dai tipi avventurosi...»
La guardo con scherno. «Parli per esperienza personale?»
Lei distende le labbra in un sorriso malinconico che si perde lontano, verso l'orizzonte. Devo aver rievocato qualche ricordo.
«Mamma... Tu come hai fatto a sapere che papà era quello giusto?»
Continua a fissare quel punto indefinito. «Frequentavo un ragazzo, all'Università; studiavamo insieme, passeggiavamo qualche volta, ci prendevamo per mano, cose così, senza troppo coinvolgimento fisico. Pensavo di esserne innamorata, lui era così dolce, premuroso. Poi, un giorno è arrivato tuo padre, come un uragano. Feci in tempo a laurearmi che era già nato Massimo».
Non mi ha mai raccontato questa cosa. «Ma sei stata felice, non ti sei pentita».
«Sono stata felice, sì, fino a che voi eravate piccolini, ma col tempo, i continui spostamenti, non poter contare su una presenza costante del proprio compagno, dover affrontare tutto da sola, la scuola, le malattie... Dopo, la felicità lascia il passo all'insoddisfazione. L'avventura va bene per quando si è giovani e spensierati, ma col tempo, cambiano i bisogni». Si gira a guardarmi.
«E quindi, se potessi tornare indietro, non faresti le stesse scelte?»
Sospira. «Non lo so, se penso a quei primi anni rifarei esattamente le stesse cose... Ma dimmi un po', cos'ha di speciale questo Pasanisi? Sembrava così timido a scuola».
«Riservato, mamma, ti ha detto che era riservato». Ridiamo.
«Sono stata bene con lui; abbiamo stessi gusti, stessi desideri. Lo avevo giudicato superficialmente, influenzata da quello che si diceva in giro».
«Ah sì? E cosa si dice in giro?»
Rido. «Che è bello, ricco e viziato. Ma non è così, tranne per la bellezza, devi riconoscere che...»
«Sì, effettivamente ha un suo fascino, ma sono proprio quelli, i più pericolosi...»
«Non ho detto che devo sposarlo... Non so neanche se ci rivedremo».
«Ah, stanno così le cose quindi? Una botta e via?»
«Mamma!». Lei sempre più divertita. «Non lo so, non ho fatto programmi».
«E tutto questo vale lasciare andare Bruno? Ci hai pensato bene?»
«Sì, ci ho pensato bene. Non è Bruno l'uomo della mia vita».
Sospira. «Non dirglielo però, Alba, inventati un'altra motivazione, gli uomini sono permalosi, specialmente quelli di qui».
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top