Capitolo 36


Apre la porta con le chiavi e mi vede subito, ma non dice nulla. Devo avere una risatina ebete sulla bocca.

Richiude la porta. «Da adesso fino a stasera non ci disturberà più nessuno» dice, dopo due mandate.

Suona come una minaccia.

Avanza con la sua solita andatura molle fino a passarmi vicino senza guardarmi, per andare verso il lavello e posare una scodella che tiene in mano. Mi fa impazzire quando finge indifferenza e so che non è così; l'ho vista la luce nei suoi occhi, anche se sono un po' annebbiata. Rido come una cretina mentre ruoto su me stessa per seguire i suoi spostamenti.

«Cosa sono?»

«Fichi d'india, puliti e sbucciati, ne vuoi?»

Rido di nuovo a un ricordo. «Sai, che quando siamo arrivati qua per la prima volta, c'erano i frutti di fico d'India sulle pale delle piante» mi prende a ridere «mio fratello non li aveva mai visti prima... ed è corso... a raccoglierli... con le mani» scoppio in una risata euforica, di nuovo «ha dormito per tutta la notte con le mani alzate... mia madre l'ha trovato la mattina, rigido, come uno stoccafisso». La risata diventa incontenibile, ho le lacrime agli occhi.

I suoi invece, hanno una luce divertita. «Hai fumato, Alba?» mi chiede con la stessa indifferenza con cui dispone i frutti in un piattino. Sa bene che l'ho fatto, l'odore nell'ambiente è inconfondibile.

Si avvicina. «È la mia camicia questa?» E intanto guarda lì, dove è più aperta.

«Sì, ma non ho curiosato tra le tue cose, l'ho presa in bagno, stava buttata da una parte» rispondo con una voce al gusto di miele. Ha un frutto in mano, di colore rosso porpora, lo apre e ne avvicina un pezzo alla mia bocca. «Sembrano buoni, ho fame, tu no?» chiedo con una voce che non è la mia. Poi, lo prendo con le labbra e non stacco gli occhi dai suoi, è dolcissimo e succoso.

«Mmmh, che buono». Qualche gocciolina si ferma agli angoli della bocca. La recupero con la lingua.

Lo leggo il suo desiderio, che è anche il mio. Non vedo l'ora di assaggiare la sua bocca..

«Sai, Alba, che potrei approfittarmi di te?» Mi passa il pollice intorno alle labbra.

«Ma io voglio che approfitti di me» civetto al massimo della provocazione e continuo a ridere come una scema.

Si allontana per andare ad armeggiare non so cosa allo stereo, ah, forse ha cambiato pezzo: Drive.

Si toglie la maglietta.

«Balliamo» dice. Mi porge una mano e mi aiuta a scendere dal piano.

Balliamo?

Mi tira addosso a sé, di schiena, nel modo in cui è solito ballare; la stretta intorno al mio corpo è più forte che in precedenza. Mi fa aderire perfettamente al suo bacino ondulante e mentre ci muoviamo, cullati da queste note strepitose, mi accarezza, lento, su tutto il corpo. Il suo respiro lo avverto sul collo, tra la spalla e l'orecchio.

Mi passa il palmo sul viso con un gesto possessivo, poi mi fa voltare. Appoggio le mani sul suo petto nudo.

Con le sue mi tiene la testa, i pollici sono ai lati della bocca; la piega indietro costringendomi a guardarlo. Non rido più.

Scende con una mano lungo tutta la mia schiena, il palmo aperto la percorre, lento, in ogni sua zona che formicola al suo passaggio; arriva giù, sulle natiche, mi accarezza, mi massaggia e intanto seguo il suo movimento ondulatorio dietro le note musicali.

Ci fissiamo.

Ha quel desiderio negli occhi, ma non morboso o impaziente, mi assaggia, pregustando quello che da qui a poco ha intenzione di godersi. Restiamo così per un po', a ballare, con la testa tra le sue mani, occhi dentro occhi.

A un tratto, con una mano mi afferra i capelli alla base della nuca, si avvicina con la sua bocca lussuriosa, mi sfiora le labbra e io fremo dal desiderio di baciarlo, ma lui non me lo permette, mi tiene ferma, a pochi centimetri di distanza, senza lasciare la presa sui capelli. Lo abbraccio, mi ancoro al suo corpo per sentirlo più vicino e baciarlo, ma lui è più forte. Così impazzisco, lo desidero troppo.

E poi, tira indietro la mia testa e affonda lingua e denti sulla mia gola esposta, procurandomi dolore e piacere. Adesso sì che mi sta sbranando, e mi piace.

Adoro ballare con lui, adoro farlo in questo modo. Arriviamo fino al bordo del letto e mi lascio andare giù. Le sue mani tastano ogni parte del mio corpo e la sua lingua... la sento dappertutto.

Dappertutto.


Sono sveglia, ma non riesco ad alzare le palpebre. Mi sento senza forze, forse ho esagerato, con l'erba e tutto il resto. Da dietro le ciglia scorgo il suo viso, mi sta guardando. Adesso allunga una mano e gioca con una ciocca di capelli. I suoi sono sciolti e umidi, sono sparite tutte le treccine. Provo imbarazzo davanti alla sua bellezza. Essere qui e avere la sua esclusiva attenzione mi fa sentire una dea e ho ancora addosso tutte le sensazioni di poco fa. Un piacere mai conosciuto prima. Avrebbe potuto chiedermi qualsiasi cosa e gli avrei detto di sì.

«Alba...» sussurra

«Mmh...»

«Hai fame?»

«Non riesco a muovermi». La mia voce è un sussurro quasi impercettibile. 

Ride.

«Che cosa mi hai fatto?»

«Io? Niente, hai fatto tutto tu».

Vorrei allungare una mano per infilarla tra i suoi capelli, ma i miei muscoli non rispondono. Si avvicina di più, sento il suo respiro sulla mia bocca. Mi bacia sulle labbra, le lecca. Lo faccio anch'io, questo riesco a farlo.

«Ricomincerei tutto d'accapo, ma mi sembri fuori gioco». Ha un tono divertito.

«Mi hai drogata».

Ride ancora, forte. Si alza e si allontana verso l'angolo cottura. Ritorna con un piatto.

«Ho fatto le omelette, vuoi?» Faccio sì con la testa, cerco di alzarmi un po', lui avvicina la forchetta alla mia bocca.

Mi sento come una bambina coccolata, provo una sensazione di totale benessere. Non lo avrei mai creduto capace di cose del genere, o forse sì ed è per questo che le ragazze impazziscono per lui. Come fa? Forse dipende dal fatto che ha due sorelle? E per questo conosce meglio i desideri femminili?

«Che ore sono?»

«Quasi l'una. Hai telefonato a tua madre?»

«Sì... Le ho detto di venire giù al cantiere, alle otto... Va bene per te? È troppo tardi?» Lo guardo timorosa, non vorrei aver stabilito delle cose senza consultarlo.

«Per me puoi restare anche tutta la notte». Lo dice, come se la cosa non lo riguardasse più di tanto, mentre guarda la forchetta infilzare un altro pezzo di omelette che avvicina di nuovo alla mia bocca, ma io mi sento lusingata da questo suo modo di dichiarare il suo interesse senza fronzoli o smancerie. Di fronte al mio silenzio, continua: «va bene, ti accompagno e poi passo a riprendere mia sorella» riprendendo il filo del discorso senza soffermarsi su quello che mi ha appena proposto.

Stasera, alle nove chiamerà Bruno, non riesco a immaginare come riuscirò a parlargli al telefono.

«Alba, che c'è?» Si è accorto del mio cambiamento di umore. Scuoto la testa senza guardarlo, mi alzo, cerco le mie mutandine finite chissà dove, poi mi chiudo in bagno. Non voglio piangere davanti a lui. Lui non c'entra niente con tutto questo. Il casino l'ho fatto tutto io.

                                                *****

Esco dal bagno a malapena ricomposta. Non riesco a respingere l'angoscia che mi assale, ma non fumerò ancora se lui me lo proporrà.

Sta dietro al piano della penisola con uno spremiagrumi in azione. Alza un attimo il viso nella mia direzione, ma non dice niente.

Mi avvicino allo stereo, metto su un disco. Magari ballare mi distrae un po'.

Lui si avvicina con un bicchiere in mano, pieno di spremuta d'arancia. «Balla per me» mi dice, mentre me lo passa. Si siede sul divano senza staccarmi gli occhi di dosso. Come fa a essere così sensuale?

Quando scorrono le note di Things you said my friends gli dico «Questa mi fa pensare a te».

E ballo, con calma, i movimenti morbidi e intanto, sorseggio la spremuta.

Lui mi guarda dalla sua postazione sul divano. Ha il bicchiere in mano e ne sorseggia il contenuto un po' alla volta.

Finisco di bere, poggio il bicchiere su una mensola, mi lego i lembi della camicia alla vita e inizio a muovermi a tempo.

Ballare unicamente per lui è forse più eccitante che spogliarmi.

Lo vedo sorridere dietro al vetro del bicchiere.

Poi, quando arriva al punto da non riuscire a resistere si alza e si unisce a me.

«Mi fa impazzire il tuo modo di muovere i fianchi» mi dice all'orecchio. A me fa impazzire il suo.


Abbiamo consumato tutto il cibo preparato sia da me la mattina che da lui dopo; ballato, cantato e riso delle nostre performance e poi, ci siamo addormentati esausti.

Sono ancora io a svegliarmi per prima, ma questa volta mi ritrovo allacciata a lui. Mi avvolge con le sue braccia. È una sensazione di totale benessere. Gli accarezzo le spalle, il collo e quelle labbra che quando sorridono si distendono in un'espressione così seducente. Quante volte, in barca, avrei voluto gettarmi su di lui e divorarle.

Alzo il mento per guardarlo in viso.

«Dormi?» sussurro.

«Mmh mmh» mormora a occhi chiusi. Sorrido.

«Dove hai imparato?»

«Cosa?» mi chiede lui.

«A essere così... Hai fatto un corso?» Ride e mi accarezza le gambe. Si sistema con le spalle appoggiate allo schienale e io con la schiena su di lui.

«Sai che adoro le tue gambe? Non sopportavo vedertele sempre coperte».

«Non mi piace esporre il mio corpo».

«... quando tutte non fanno altro che accorciare l'orlo della gonna».

«Io non sono tutte».

«Lo so... Adesso, lo so».

Non so se per lui assuma il significato di un complimento. Per me, sì.

Vorrei chiedergli tante cose in questo preciso momento, con l'atmosfera giusta e questo senso di appartenenza che ci avvolge; questa totale intimità fatta di carezze e confidenze. Vorrei chiedergli se ha portato qui anche Adele, il solo pensiero mi fa contrarre il diaframma. Non la sopporto quell'ipocrita! Vorrei chiedergli se fa tutto questo con Antonella, se l'accarezza allo stesso modo di come accarezza me, se le procura lo stesso piacere, ma preferisco non dire una parola.

«Sento il rumore dei tuoi pensieri da qui». Beccata. Faccio finta di niente, ma quelle sillabe scalpitano, proprio lì, dietro le labbra.

«Hai portato anche Adele qui?» Ecco, bella figura da stupida oca gelosa.

Ride. «Adele? Ma no, come ti viene in mente? È stata una cosa breve, mentre soggiornava dalla sua amica al mare».

Adesso ricordo... lo scorso anno Bruno mi parlò di sua sorella che avrebbe trascorso alcuni giorni con un'amica. al mare, da sole, e che sua madre non sapeva di questo particolare. È una sciocchezza, ma il fatto che i suoi piedi non abbiano calpestato questo pavimento, che non abbia usato il bagno o dormito in questo letto mi alleggerisce un po'.

«Non la sopporti proprio, eh?»

«È una persona falsa, si impiccia della mia vita per trovare una macchia e adesso ho capito perché. Ci ha visti ballare la sera del mio compleanno, sai? E non ha perso tempo a farmelo presente. Non mi meraviglierei se già sapesse che sono partita in barca con te».

«E a te importa?»

Sfilo le mie braccia da sotto le sue e mi sposto per guardarlo in viso. «A Bruno ho raccontato un sacco di balle». Ci guardiamo. Vorrei una sua reazione, di qualsiasi tipo, anche di accusa, invece dal suo viso non traspare nulla, mentre dal mio si legge ogni pensiero.

Dai, dimmelo che non sono migliore di Adele;

dimmelo che sto qui con te mentre il mio ragazzo mi pensa fedele e innamorata;

dimmelo che non sono diversa da tutte le altre.

Non riesco a sostenere quel silenzio, così mi alzo. Vado verso l'angolo cottura, prendo un bicchiere d'acqua; ne sorseggio un poco alla volta. Lo osservo da laggiù, lui sembra riflettere.

«Ti aspetti un mio parere?» dice finalmente.

«Tu hai un parere?»

Scuote la testa. «È la tua vita, Alba». Non distoglie lo sguardo. Ma certo, che mi aspettavo, comprensione? Solidarietà? Condivisione della sofferenza? Perché dovrebbe farlo? È la sua filosofia di vita prendersi quello che gli piace; non mi ha chiesto niente, non mi ha dichiarato niente di più che un interesse fisico. Perché dovrebbe partecipare alla mia crisi sentimentale?

«Giusto, è la mia vita. E siccome non voglio perdere la coerenza che mi distingue, io gli parlerò, appena tornerà. Gli parlerò, non per raccontargli di come mi sia lasciata andare con un altro, ma per la stima che ho di me stessa, quella me che sa di non poter continuare con una persona che sento non essere più quella che voglio». Lo guardo con sfida. È una dichiarazione importante, come la prenderà?

«Sei sicura di quello che dici?»

Ma... Non ci posso credere, adesso si mette pure a rendermi tutto più difficile?

«Vuoi mandare all'aria una relazione che dura da anni, con tutte le implicazioni del caso, per cosa?»

Sono scioccata. Mi avvicino piano al letto, dove è rimasto disteso e impassibile fino a ora.

«Per cosa? Dimmelo tu. Come la chiami tu, questa cosa? Io non lo so. Sono stata solo con Bruno prima di te, e anche se da domani non ci vedremo più, mi basta per capire che lui non è la persona con la quale voglio dividere la mia vita futura». Ha un accenno di sorriso sulle labbra.

Non so cosa mi prende, perdo il controllo mentre gli grido «E tu sei uno stronzo!» e gli lancio in faccia l'acqua rimasta nel bicchiere.

Rimango pietrificata a guardare la sua prima reazione di stupore. Non se l'aspettava proprio. Sono sbigottita anche io del mio gesto. Forse ho esagerato.

Poi, ride e si alza di scatto.

Con altrettanta rapidità lascio il bicchiere sul mobile dello stereo e scappo dietro alla penisola dell'angolo cottura.

Mi insegue.

Mi infilo sotto, nello spazio vuoto, passo di nuovo nella sala e a tutta velocità corro verso il bagno. Lui però, con agilità felina, salta oltre quell'ostacolo e prima che possa mettere la mano sulla maniglia della porta mi sento afferrare per i capelli. Ahi, cavolo!

«Non vanno bene questi capelli durante gli inseguimenti, non lo sai?» dice beffardo, vicino al mio orecchio.

E poi mi bacia.

Con il corpo addossato alla porta, il viso girato in una posizione poco naturale per lasciargli prendere la mia bocca, ci baciamo. È un bacio profondo, mi svuota l'anima; ho una serie di fremiti, non riesco a fargli resistenza, ma ho la pallida illusione che anche per lui sia così.

Ansimiamo. «Come... la chiami... questa cosa?» sussurro sulle sue labbra.

«La chiamo che mi piaci da impazzire», mi lascia una serie di baci sul viso, «e che ti desidero da morire», poi sul collo, «e che non vorrei riportarti da tua madre, stasera» conclude, mentre mi toglie la camicia.



Guardo l'orologio al mio polso: sono le sette. A malincuore esco dal letto e vado a darmi una sistemata.

Lo specchio che mi riflette mi fa notare una serie di segni per tutto il collo. Non voglio che mia madre mi veda così. Un conto è lasciarglielo immaginare e un altro è sbatterglielo in faccia.

«Hai per caso una sciarpa, un foulard, qualcosa da prestarmi?» gli chiedo dal bagno, con qualche tonalità più alta nella voce.

Appare sulla soglia della porta aperta. Ha una lunga sciarpa di colore blu/viola.

«Ricordo del Marocco» dice con espressione maliziosa. La prendo in mano e l'accarezzo. Chiudo gli occhi e provo dei brividi al ricordo di quella notte, nel catamarano, a Casablanca.

«Sembra seta» mormoro mentre l'avvicino al viso.

Si posiziona dietro di me, prende la Tagelmuss e inizia a sistemarla intorno al collo. Sa di lui; parla di lui, di come mi ha guardata quella sera e di come quella sua figura mi ha rubato l'anima. Vedo riflessa allo specchio la sua sagoma, le sue mani delicate che mi alzano il viso, scostano i capelli, intrecciano il tessuto. «Ci sei andato pesante».

«Anche tu» risponde, pronto. Indica un grosso segno rosso sotto la mandibola. Lo guardo, mi viene da ridere.

Prende una penna e un piccolo blocco notes in mano e lo avvicina a me.

«Il tuo numero» dice, dopo aver scrutato la mia espressione confusa. Afferro la penna e scrivo sul foglio, poi, glieli restituisco. «Andiamo?» dico.

Percorriamo la strada verso il cantiere, in silenzio. Sto uscendo dalla bolla e il mondo reale mi ricorda di esistere. Ho vissuto come in un sogno, una sola giornata è sembrata una settimana per quanto è stata intensa. Mi sento le vertigini alla vista del paesaggio intorno. Le strade e i negozi noti; i palazzi storici, i cartelli stradali, i distributori di carburante; perfino le buche sull'asfalto e i cassonetti straripanti mi sembrano lì per la prima volta, come se lo avessi già dimenticato in appena ventiquattro ore.

Bruno.

In tutte queste ore mai una volta il pensiero è andato a lui; una nostalgia, una mancanza. Ma che razza di persona sono?

Guardo, con la coda dell'occhio, Francesco alla guida. È serio. Chissà se ci rivedremo ancora.

Ho la sua sciarpa, dovrò restituirgliela in qualche modo.

Appena svoltiamo per la strada del cantiere noto la Micra parcheggiata.

«È già arrivata. Non ti avvicinare troppo, fermati prima».

«Non la saluto?»

«No, no, non è il caso. Fermati qui».

Ferma l'auto a qualche metro da quella di mia madre. Ci guardiamo per qualche secondo, mette una mano sopra la mia che tengo incollata sulla mia coscia. «Ciao», dico, poco prima di voltarmi e aprire la portiera.

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