Capitolo 30
A bordo del catamarano, sulla zona a prua, mi distendo al sole ad asciugarmi. Non l'ho mai fatto prima. Sento loro parlare sui programmi di viaggio. A quanto pare ripartiremo nel pomeriggio. Sto a pancia in giù, il viso è rivolto verso il mare, il dondolio morbido mi culla, oltre al corpo, i pensieri, le sensazioni. L'altra imbarcazione sta ancora lì.
So che Mimmo e Franca mi stanno guardando, li sento i loro occhi addosso e so che lei mi starà giudicando impudente, forse, perché per la prima volta esibisco il mio corpo seminudo davanti a loro. Mi sono scocciata di comportarmi educatamente, di fare attenzione a non infastidire gli altri, di rispettare le loro regole o di non deludere le loro aspettative, se tanto il risultato è che io per prima non vengo rispettata.
A quanto pare non devo passare inosservata. Sento una presenza avvicinarsi, ma non mi muovo.
Un paio di dita scorrono sulla mia schiena. È la sua mano, lo so. La pelle rabbrividisce al suo passaggio.
«Ne vuoi un po'?» La sua voce vellutata.
Mi giro con lentezza felina, mi distendo su un fianco, la testa poggia sul braccio piegato.
«Mela?» chiedo.
Mi fissa negli occhi. «È l'unica frutta rimasta» mormora.
Ne prendo un pezzo dalla sua mano e inizio ad addentarlo. «Grazie» dico con tono gentile.
Ne porta alla bocca un pezzo anche lui, per qualche secondo restiamo così, a osservare le bocche reciproche masticare quel frutto. «Allora, cos'era quella cosa prima?» chiede curioso.
«Cosa?» Faccio finta di non capire.
Lui distende le labbra, divertito. Distoglie lo sguardo e si gira verso il fianco destro del catamarano. «Quella cosa con il tunisino, hai capito».
Io non mi muovo di un millimetro. «Cos'è, non posso essere gentile?»
«Quella non era gentilezza, ma confidenza. Sembrava conoscerti».
«Sì, ci siamo conosciuti» dico con tono candido.
Si volta sorpreso, i suoi occhi fanno mille domande, ma solo una esce dalle sue labbra. «Ma quando?»
«Prima, quando sono salita su, fino alla casa».
Fa un risolino «Mi stai prendendo in giro?»
«Per niente. Se ti fossi accorto di dove andavo lo avresti scoperto anche tu». Lo guardo con sfida.
«A che gioco stai giocando, Alba?»
«Dimmelo tu. Mi sono scoperta, come mi hai consigliato tu», faccio un cenno con la testa per indicare dietro di lui «il tuo comandante fa fatica a guardare altrove. Non va bene?»
Sbuffa fuori l'aria. L'espressione cambia, sembra infastidito. Io finisco il pezzo di mela e mi sdraio di nuovo, ignorandolo.
Dopo qualche secondo se ne va.
Rimango in quella zona per un'altra mezz'ora poi, la voce contrariata di Franca. «Alba, ti devi togliere da lì, dobbiamo ripartire».
Ma non avevano detto nel pomeriggio? Mi infastidisce questo cambio di programma senza che io ne venga informata. Mi infastidisce che debba ricevere quest'ordine da Franca. Mi alzo, prendo il pareo con una mano e mentre mi incammino lo lascio strusciare a terra. Prima di scendere la scaletta per raggiungere la cabina, alzo un attimo gli occhi e incontro quelli di tutti loro addosso a me.
****
La navigazione prosegue per altri tre giorni.
Questo tempo diventa pesante da trascorrere a bordo con tutti loro. Me ne sto per i fatti miei, leggo, ascolto musica, contemplo l'orizzonte infinito. Da due giorni vediamo solo mare, qualche altra imbarcazione, qua e là.
Ricordavo che avremmo dovuto costeggiare la costa africana e che saremmo dovuti arrivare prima.
La notte non chiudo mai la porta a chiave, ma lui non è più venuto a farmi visita.
Franca e Mimmo stanno alla guida incessantemente, giorno e notte, alternandosi ora l'una, ora l'altro.
La notte del secondo giorno di navigazione sono salita sopra.
C'era Franca al timone, ma c'erano anche Iano e Francesco con lei. Il catamarano procedeva a una velocità accettabile, secondo me. Mi sono seduta in fondo, a poppa, nella zona meno illuminata, senza dire nulla.
Il cielo sopra si mostrava più infinito del solito. Non avevo mai visto tutte quelle stelle, sembravano molte di più di quelle che si vedevano da casa mia.
Mentre ero assorta a guardare su, ho sentito Francesco avvicinarsi. Fino a quel momento ci eravamo scambiati solo monosillabi.
«Scusa, ma come mai la costa non si vede e non siamo ancora arrivati in Marocco?» Ho trovato il coraggio di chiedere.
Lui si è seduto accanto. Il tono di voce era morbido. «Ci siamo allontanati per evitare la costa algerina. Non è prudente».
«Ma Franca e Mimmo non si fermano da due giorni, saranno esausti!»
«Ti preoccupi per loro?»
«Mi preoccupo per tutti noi. Abbiamo quasi finito acqua e cibo».
Ho visto la figura di Iano avvicinarsi. In una mano teneva due felpe e nell'altra due sigarette già pronte all'uso.
Non sono riuscita a restare in silenzio. «È così che pensate di aiutare Franca?»
Iano ne ha accesa prima una e l'ha passata a Francesco e poi ha acceso l'altra per sé.
«Alba», Francesco ha pronunciato il mio nome con quel suo tono che non so mai interpretare se ironico o premuroso, «pensi che siamo degli sprovveduti? Abbiamo bisogno di rilassarci e non lasceremo Franca da sola. E penso che avresti bisogno di rilassarti anche tu».
Iano, alla mia destra, si era sdraiato a terra, con le spalle appoggiate al sedile, lui invece, mi stava seduto accanto, dall'altro lato.
«Sei così scostante in questi giorni», ha aggiunto.
«Io sono scostante?»
«Dovresti fumare anche tu, Alba» ho sentito dire da Iano mentre l'altro si è fatto scappare una risatina.
Ma non ci posso credere, ora ci si mette anche lui?
Mi sono mossa per alzarmi e andare via, ma la sua mano ha preso la mia e mi ha trattenuta. «Dove vai? Resta». Quella richiesta mi ha spiazzata. Mi sono seduta di nuovo, in silenzio. Iano si è alzato, l'ho visto andare verso Franca per versarle del caffè dal thermos. Lui mi ha abbracciata dietro le spalle, mi ha stretta forte e a me è mancato il respiro.
«Arriveremo domani mattina. Questa è l'ultima notte di navigazione, poi, potremo riposarci tutti quanti», ha mormorato con la sua voce ammaliatrice.
Io ho deglutito a vuoto, poi, timidamente ho chiesto: «Arriveremo dove?»
«All'alba saremo alle Colonne d'Ercole». Mi ha guardata e mi ha sorriso e io mi sono persa nelle sue labbra distese.
«Mi devi avvertire prima che arriviamo lì», ho detto con un filo di voce.
****
Mi sveglio di soprassalto, guardo l'orologio, sono le sei e trenta. Aveva detto che saremmo passati per lo stretto intorno all'alba.
No, spero proprio che non sia troppo tardi.
Mi butto qualche indumento addosso ed esco di corsa dalla cabina.
«Dove siamo?» chiedo una volta di sopra, presso l'area comandi. Noto Mimmo fermo al timone, Franca vicino a lui e c'è anche Francesco. Che strano, non lo credevo in piedi così presto. Si voltano verso di me, lui e Franca.
«Siamo vicini allo stretto» mi dice Francesco.
«Posso salire di sopra?» gli chiedo con voce implorante. Lui e Franca si guardano. Francesco si rivolge verso Mimmo e anche sua moglie lo imita.
«Può salire su?»
«Solo pochi minuti, e rimani seduta sul pavimento». Ordina Mimmo con voce autoritaria.
«Stai tranquillo, grazie!» cinguetto in preda all'eccitazione.
Scendo di corsa di nuovo in cabina per prendere il mio lettore cd. Qui ci vogliono I Pink Floyd, penso. In tutta fretta mi dirigo verso il piano superiore, con le cuffie inserite. Mentre passo vicina a loro, vedo Francesco gettarmi un'occhiata e fare un mezzo sorriso. Una volta su, mi siedo, come ha ordinato Mimmo.
Accendo la musica.
Il vento è più forte quassù, mi schiaffeggia il volto. È anche freddo, ho addosso solo una maglietta e la gonna.
Si vedono già le rocce della costa spagnola, in lontananza.
Oh, mio Dio, è bellissimo!
Le colonne d'Ercole sono la fine del mio mondo conosciuto, una scossa alla paura e una stretta di mano alla curiosità. È qui, dunque, che finisce il mondo?
Se chiudo gli occhi è come volare, è come far parte di tutto questo. È come aver sempre vissuto in questa dimensione tra la vita e la morte. Tra il desiderio di sconfinare e la paura. Spingersi oltre i limiti del conosciuto e andare verso l'ignoto. Oltre oceano.
Sfidare la sorte.
Shine on you crazy diamond dice la canzone e così mi sento io, come una pietra preziosa che vorrebbe risplendere, ma che fino ad ora è rimasta in penombra.
Non riesco a stare seduta, devo sentirla addosso questa sensazione sconosciuta. Mi alzo, stringo forte il maniglione che ho davanti. Il vento si insinua sotto la stoffa della maglietta, mi frusta la pelle nuda, penetra sotto alla gonna che svolazza con potente energia, si alza e scopre a tratti le gambe nude.
Con gli occhi socchiusi
Alzo le braccia verso il cielo.
Voglio che mi attraversino
bellezza e mistero.
Ed è come poter parlare con Dio.
La spuma delle onde vola fin quassù e bagna la pelle in viso, le braccia e i capelli impastati di vento e salsedine.
E tu risplendi, pazzo diamante.
E desidero risplendere anch'io e ne sono quasi certa, è questa la vita che accenderebbe lo splendore dentro di me.
Affiorano le lacrime.
Cosa devo fare? Cosa voglio fare, davvero?
Mi sento afferrare forte da dietro. Sobbalzo.
«Devi stare giù, ha detto Mimmo». Ha una voce dura. Mi stringe per le braccia e mi porta a terra, seduta tra le sue gambe divaricate. Tengo ferme le cuffie sulle orecchie. Francesco mi tiene stretta con un braccio, con l'altra mano toglie un auricolare e lo porta al suo orecchio.
«Ottima scelta» dice, dopo qualche secondo.
Ho il corpo schiacciato contro il suo e i nostri visi vicini si sfiorano e posso sentire il suo calore in contrasto alla mia pelle raffreddata dal vento.
È tutto possibile qui, ora, in questo confine del mondo dove la vita di ognuno si congiunge a quella di altri infiniti personaggi passati di qui: marinai fenici, greci, romani, arabi. E io chi sono? A chi appartengo? Che cos'è questa smania che non riesco a controllare e che mi fa uscire da questo corpo che stento a riconoscere come mio?
Mia madre, che aspetta a casa; mio fratello lontano, mio padre irraggiungibile... La mia famiglia.
E Bruno...
Bruno... Che ne sarà di noi?
«Le senti? Le senti le anime di tutti quelli che sono passati di qui? Di tutti quelli che non ce l'hanno fatta e ciononostante molti altri non hanno rinunciato alla smania di esplorare, conoscere... rischiare» sussurro con le labbra vicino al suo orecchio. Sento il suo palmo aumentare la pressione sulla mia pancia, con l'altra mano percorre l'interno del mio braccio, con tocco leggero, fino ad ancorarsi alla mia mano.
«È meraviglioso... è meraviglioso» mormoro, quasi in preda a un'estasi sconosciuta. Stringo le sue mani con le mie, mi giro ancora di più e i nostri nasi si sfiorano.
Mi prende forte il viso, si accorge che è bagnato e non solo di acqua marina; mi tira a sé e la mia bocca si schiaccia contro la sua.
«Tu, sei meravigliosa».
Labbra contro labbra; bocca dentro bocca; mani che stringono, cercano e avvolgono allo stesso ritmo e potenza delle onde al di sotto di noi; la pelle nuda sotto la maglietta raggrinzisce al suo tocco. Vento che graffia e accarezza; spruzzi di acqua addosso, sui nostri visi incollati per il timore di perdersi. Gesti selvaggi e disperati e ancora brividi, di freddo e paura, di angoscia per quel senso di perdizione che, lo sento, s'insinua, m'incanta e a poco a poco, mi possiede..
Non sta succedendo davvero, è solo un miraggio, è solo l'effetto di tanta natura selvaggia.
Non voglio staccarmi, non voglio separarmi dalla sua bocca, non desidero altro.
«Francesco!» Sentiamo urlare da sotto.
«Caz...» sussulta. Un alito gentile vicino al mio orecchio «dobbiamo scendere».
«Arriviamo!» grida di rimando.
Mi tira via, ma non mi lascia la mano, mi aiuta a trovare i gradini.
«Alba, stai seduta lì e non ti muovere per nessuna ragione!» La voce di Mimmo è imperiosa, la faccia scura. «Francesco, non far salire nessuno, qui! Non voglio altri in mezzo ai piedi» tuona ancora. C'è tensione nell'aria e sui volti. Franca ha le mascelle tirate. Francesco assume un'aria terribilmente seria e annuisce ai comandi di Mimmo.
Franca mi guarda, i miei occhi seguono la direzione dei suoi e scendono fin lì, nel punto in cui si concentra il suo sguardo: la maglietta che indosso è completamente inzuppata e il seno nudo al di sotto affiora con imbarazzante evidenza. Guardo Francesco per un istante, anche i suoi occhi puntano là.
«Tieni». Con fare sprezzante, Franca mi lancia un giubbotto salvagente. Lo indosso e chiudo le braccia al petto.
Le vele sono tese al massimo sotto la corrente d'aria impetuosa che s'incanala dall'Oceano al Mediterraneo. Mimmo impartisce ordini a Franca e a Francesco, come un vero comandante. Le onde sono più gonfie, adesso. L'imbarcazione si impenna e ridiscende. La tensione taglia l'aria.
C'è un gran traffico tutt'intorno: pescherecci, navi turistiche, petroliere. Noi dobbiamo seguire una rotta ben precisa o rischiamo una collisione. Ecco perché Mimmo è così concentrato.
Il paesaggio intorno sembra dipinto da un paesaggista di fine ottocento.
Sono stordita da tutto quello appena accaduto, non ho più il controllo di me stessa. Francesco è concentrato sugli ordini impartiti da Mimmo, mi guarda appena di sfuggita, ogni tanto.
Ho commesso un errore. Me ne pentirò.
Quando superiamo lo stretto, il catamarano vira in una ampia e impegnativa curva, poi, riprende placido la navigazione.
Ed è in quel momento, mentre la tensione si distende, che gli altri salgono su, forse per aver ballato un po', là sotto.
E quando finalmente vediamo il porto di Casablanca sempre più vicino, l'umore si rilassa del tutto. I lineamenti di Mimmo si distendono; sguardi d'intesa corrono tra lui, Franca e Francesco.
Dopo una mezz'ora circa, quando stiamo per entrare in porto, vedo Francesco con due bottiglie in mano.
Champagne!
«Ma dove lo hai preso?» chiedo curiosa e sorpresa.
«È sempre stato qui, di sotto, al fresco nel mare». Sorride, soddisfatto e rilassato.
Stappano le bottiglie, gli spruzzi mi bagnano il viso, i capelli. Tutti gridano e saltano in preda all'eccitazione per aver raggiunto finalmente la meta.
Ci baciamo. Tutti. Ma è quando incontro la bocca di Francesco, e il bacio che ci scambiamo, che mi sento a casa.
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