Capitolo 29
Richiudo la porta dietro di me, la mano sulla serratura esita qualche secondo. Non chiudo a chiave.
Rimango ancora un momento in piedi con le spalle appoggiate.
Devo calmarmi
Poi, appoggio le ginocchia sul letto e, un po' alla volta, mi sdraio a pancia in giù. All'interno è tutto buio, solo un minuscolo fascio di luce debole, proveniente da fuori, si insinua dalla fessura trasparente posta in alto, al lato del mare. Sono le luci gialle che illuminano il porticciolo.
Arrivano confuse e attutite le voci da sopra.
Bruno sembra essere sempre fra noi, avverto il suo sguardo addosso ogni volta che provo sensazioni forti verso Francesco. Stasera era lì, a giudicarmi e condannarmi mentre camminavamo con le mani unite.
Durante le prime settimane, dopo la festa di Clara, io e Bruno eravamo usciti sempre in presenza degli altri. Un cinema o in pizzeria; una passeggiata sul Lungomare e poi in gelateria. Poi, una sera, non so se lo avessero fatto di proposito, all'appuntamento ci eravamo ritrovati da soli. Eravamo andati a passeggiare nella Villa Comunale.
Io ero così emozionata di trovarmi da sola con lui per la prima volta.
Bruno era così dolce, delicato. Mi parlava della sua passione per la fisica e dei suoi progetti futuri. Io capivo poco, però mi piaceva ascoltarlo e mi faceva piacere mostrarmi interessata.
Mi raccontava della sua famiglia al quale era molto legato, i suoi nonni, suo padre, assessore comunale – io non ricordavo il nome di suo padre nelle notizie pubbliche, all'epoca ascoltavo distrattamente quello che riguardava la vita politica locale.
Poi, senza nessun segnale di avvertimento, le nostre mani si erano sfiorate e subito dopo si erano strette l'una all'altra. E per tutta la serata le avevamo tenute così.
Era stato dopo due sere successive che mi aveva abbracciata, al cinema. Proiettavano Il tè nel deserto, Bruno diceva che il regista godeva di una certa fama e che aveva già visto un altro suo film. Io non ne sapevo nulla, non avevo ancora diciotto anni, i miei interessi erano più frivoli, ma quel film... Ero rimasta turbata dalle immagini, non che fossi una puritana, ma certe scene mi avevano provocato un certo subbuglio interiore.
E il braccio di Bruno dietro le mie spalle.
Della storia avevo capito ben poco, i personaggi erano sembrati così assurdi e complicati, ma le immagini, il paesaggio... Chissà se è nata da lì questa mia smania di aggregarmi a questo viaggio.
Credo che anche Bruno ne fosse rimasto un po' sconvolto. Quando eravamo usciti, avevamo percorso il tragitto fino all'auto in silenzio. Poi, una volta dentro, lui aveva emesso uno strano sbuffo prima di parlare, Credo che in futuro mi informerò meglio sul film prima di invitarti al cinema.
Avevo sorriso senza parlare. Forse lui mi aveva creduta imbarazzata e si sentiva in colpa per questo, ma non era imbarazzo, era qualcos'altro che non sapevo decodificare.
Ed era stato in auto, davanti l'ingresso di casa mia, che ci eravamo baciati. Io l'avevo baciato, ma ero sicura che anche lui lo desiderasse. Non avevo mai baciato prima un ragazzo, non in quel modo. Non ci eravamo più fermati.
Forse è meglio che rientri, aveva detto a un certo punto. Mi piaceva la sua timidezza.
Sì, è meglio, avevo commentato io.
Di sopra si sentono i rumori degli altri che rientrano.
C'erano state subito delle cose, in Bruno, poco convincenti, ma ho sempre pensato che non possiamo pretendere di trovare la persona perfetta.
Una di queste è la sua meticolosa pulizia. Non che io sia una persona sporca, ma anche in casa non è che mamma stia lì a spolverare ogni giorno.
Non gradiva che mangiassimo in auto. Io gli dicevo sempre che l'auto si poteva anche ripulire, ma in inverno, con la pioggia, se avevamo fame e volevamo mangiare, quando ci trovavamo fuori, come dovevamo fare? A volte lui stesso si rendeva conto di essere esagerato.
Era Maria, fissata per l'ordine e la pulizia.
Rispettava più queste abitudini Bruno che sua sorella Adele.
Una volta, di sfuggita, attraverso una fessura lasciata aperta della porta, avevo visto la sua camera tutta in disordine. Bruno diceva che sua madre e sua sorella litigavano sempre per questa cosa e che Adele aveva vietato categoricamente a sua madre di entrare nella sua stanza.
Accanto si sentono i rumori. Franca e Mimmo sono entrati nella loro cabina.
Non ho ancora capito bene quando ripartiremo. Ci aspetta ancora un lungo viaggio. Come riuscirò a gestire tutta questa confusione che sento nella testa, ma anche nella pelle. La pelle suggerisce una cosa e la mente un'altra.
La pelle.
Quella mano sua stretta alla mia. E ancora, la sua mano che prende il mio viso.
Desiderio e paura, il mio.
Desiderio e cosa, il suo?
Avrebbe potuto baciarmi senza problemi, perché non l'ha fatto? Ha detto che mi vuole, giusto? Allora perché non ne ha approfittato in quel momento?
Temeva che arrivassero gli altri? Antonella, per esempio? Sta facendo di tutto perché entriamo in sintonia. Vuole che io e lei siamo amiche o lo fa per compiacere lei?
Torniamo giù al porto, ha detto. Perché voleva tornare qui? E se non avessimo trovato Mimmo come sarebbero andate le cose?
Sento altri rumori, deboli. Mi metto seduta per percepire meglio il suono.
Sono passi.
Sono proprio dietro la mia porta.
È lui.
Il cuore è un oceano in tempesta, mi si blocca il respiro, le dita si aggrappano al lenzuolo in preda all'ansia.
I secondi passano interminabili. Poi, percepisco i passi felpati che si allontanano. È tornato indietro.
A che gioco sta giocando?
****
C'è una luce strana nel cielo. Distese di sabbia.
Corpi che rotolano.
Mani.
Mani che toccano, che accarezzano, strofinano, stringono, esplorano ogni parte del corpo.
Bocche che si cercano, si divorano. Mordono, sbranano.
Alba!
Braccia che avvolgono... Quante sono?
Mi stringono da dietro e lei che mi bacia la bocca.
Sussurri e profumo di salsedine. Capelli impastati di sale.
Alba!
Apro gli occhi all'improvviso. Il petto e la schiena sono umidi e caldi.
Una fioca luce entra dalle fessure e dona all'interno un'immagine fiabesca.
E lo vedo.
Sta qui seduto accanto a me.
Mi alzo a sedere. «Che ci fai qui?»
«Ti guardavo dormire, mi piace». Ha un'espressione serena.
«Come sei entrato?»
«La porta non era chiusa».
Vero.
«Hai fatto un brutto sogno».
Era un sogno?
Mi porto le mani al viso, anche la fronte è umida di sudore. Mi sento così frastornata. Torno a posare gli occhi ancora assonnati su di lui.
Quella delicata luminosità schiarisce il suo viso. Ha i capelli tutti sciolti. Sono belli i suoi capelli, chiamano e seducono. Mi guardo le gambe, sono nude. Addosso ho soltanto maglietta e mutande.
Allungo un braccio per prendere un pareo lasciato lì sul letto.
Me lo avvolgo in fretta alla vita.
«Perché ti copri?»
«Mi imbarazza...»
«Ti vergogni per qualcosa di bello da ammirare?»
«A quanto pare faccio un certo effetto... Hai visto con Mimmo...»
«È un cretino... Ti ha baciata?»
«Baciata? Ma no! Non glielo avrei permesso».
«E allora, che ti ha fatto?»
Abbasso gli occhi. «Dai, ormai è andata...» Struscio con le ginocchia fin verso il bordo del letto.
«Ti ha toccata?» domanda ancora.
«No, non proprio». Il suo sguardo è insistente, penetrante. «Oh, dai! Me lo ha fatto sentire, contento?»
I muscoli del viso gli diventano rigidi, «non riproverà a farlo».
«Oh, lo credo. Franca non lo molla un attimo».
«Non è solo per Franca».
Resto in silenzio, lui pure. Le mani stringono nervosamente la stoffa del lenzuolo. Alzo lo sguardo davanti, dove c'è la porta.
«Francesco, io lo so che hai bisogno di lui per questo viaggio...»
«Io adesso ti bacerei».
Mi giro verso di lui, stordita. «Cosa?» balbetto.
«Ma non lo farò, perché ti rispetto». Si alza per uscire.
«Ma perché sei venuto?»
Distende le labbra in un sorriso innocente. «Per dirti che siamo partiti». Esce e io mi guardo intorno, smarrita. Avrebbe voluto baciarmi, perché non l'ha fatto? Era qui, mentre dormivo. Avrebbe potuto fare qualsiasi cosa.
Il suono dell'acqua gorgogliante qui fuori alla parete mi riscuote da quel momento di confusione in cui ero entrata. È vero, siamo in movimento.
Mi vesto con le prime cose che trovo a portata di mano. Vado sopra. Appena lo vedo, mi avvicino.
«Scusa, Francesco, ma non dovevamo andare alla spiaggia stamattina?»
«C'è un cambio di programma. Faremo sosta alle isole Galité»
Le isole Galité? Mai sentite.
****
Si tratta di un piccolo arcipelago verso est da Tunisi. Francesco mi spiega che un tempo queste isole furono abitate da pescatori italiani, infatti si possono ancora trovare sull'isola le abitazioni abbandonate. Attualmente nessuna di queste isole è abitata.
Impieghiamo circa tre ore per raggiungere la costa. In questo tempo ci ritroviamo tutti di sopra a bere caffè, mangiare datteri e altri dolcetti acquistati ieri.
Vorrei parlargli, trovare un momento per stare sola con lui, ma qui sopra è impossibile, inoltre, lui sembra evitarmi.
L'isola si presenta più o meno come Pantelleria, brulla, rocciosa, poca vegetazione verde. Ad ogni modo Franca e Mimmo si occupano dell'ancoraggio. C'è soltanto un'altra imbarcazione, ancorata poco più in là: non è a vela.
Mimmo e Franca rimangono a bordo, noi ci tuffiamo e raggiungiamo la spiaggia sottile costituita per lo più da ciottoli. Però, l'acqua è bellissima come pure i fondali. Con noi la sacca galleggiante, dentro, ho messo le infradito e un pareo.
Gli altri si distendono al sole, lui è in mezzo a loro, io invece m'incammino lungo un sentiero che ho visto inoltrarsi verso alcune abitazioni. Forse, nutro la speranza che possa seguirmi.
Mi inerpico sul sentiero roccioso. Il pareo si impiglia per un paio di volte ad alcune piante spinose. E poi, mi ritrovo davanti alla prima casa. Più in alto ce ne sono altre. Sono tutte bianche in calce e si affacciano sulla baia, dove abbiamo ancorato.
La struttura è rimasta in piedi, ma all'interno è tutto fatiscente, i pavimenti divelti, le finestre mancano. Chissà quante razzie hanno conosciuto, dopo l'abbandono degli abitanti.
Questo pensiero mi provoca un profondo sentimento di perdita. È come vivere senza radici, come è possibile? Come si fa a capire qual è il luogo dove mettere radici? Io pensavo di averlo trovato, con Bruno, ma adesso sono confusa e non ne sono più sicura.
Mi affaccio dal muro del terrazzino coperto. Loro stanno lì dove li ho lasciati. Anche lui, non si è curato per niente di capire dove sono andata.
Sento delle voci, risatine. C'è qualcuno all'interno.
Sull'apertura dell'ingresso, proprio qui davanti a me, appare una ragazza, sorridente e ansimante. Si blocca appena mi vede.
«Hola» mi saluta.
«Hola» rispondo io.
Subito dopo appare un giovane dietro di lei. L'afferra davanti e poggia il viso tra la spalla e il collo. Ha una specie di divisa tutta sgualcita. Quando si accorge di me assume un'espressione tra il sorpreso e il preoccupato. Poi, si avvicina per sporgersi dal terrazzo e guardare di sotto. Io mi schiaccio di più con la schiena contro il muretto.
«Di dove sei?» mi chiede la ragazza in spagnolo.
«Italiana» rispondo io.
«Ah, italiana...»
Lui le dice qualcosa in francese, non capisco le parole, ma capisco che è un'esortazione ad andare via da lì.
Lei non sembra affatto preoccupata, continua a sorridere.
La prende per un braccio e la spinge verso l'uscita, ma prima di allontanarsi mi dice qualcosa con tono autoritario. Io non capisco, la ragazza sembra accorgersene.
«Dice che non potete stare qui», mi spiega in un italiano misto a spagnolo.
«E voi allora?» chiedo con tono spavaldo.
«Ma lui è il guardiano qui», mi spiega ancora.
Subito dopo lui la tira e, mentre spariscono dalla mia vista, mi arriva la voce concitata di lui che le parla in francese.
Il guardiano?
Con calma riprendo il sentiero per scendere. Dopo aver superato un grosso arbusto mi trovo davanti Francesco. Per un attimo il cuore mi arriva in gola. Non mi aspettavo di incontrare nessuno, tanto meno lui.
«Dov'eri?» mi chiede.
«Non siamo soli, ho incontrato-»
«Lo so, ci hanno detto che non possiamo stare qui».
«Chi ve l'ha detto?»
«Un ragazzo tunisino».
«Ah, sì? E allora, l'altra imbarcazione?»
«Andranno via anche loro» risponde, mentre mi precede lungo il sentiero.
«Io non credo proprio», mormoro. Lui si ferma e si gira lentamente. Cerca di capire. Mi avvicino, gli prendo una mano. Lui ne segue con gli occhi il movimento, poi, li alza su di me. Vorrei dirgli tante cose, ma non esce neanche una sillaba.
«Noi siamo turisti o viaggiatori?» Non so perché mi esce quella domanda, non so quali collegamenti abbia fatto il mio cervello.
Lui sorride. «Io sono un viaggiatore, tu non lo so», riprende il cammino senza lasciarmi la mano.
«I viaggiatori non si pongono il problema di ritornare», continuo a riflettere a voce alta.
«Già, tu vuoi tornare?» Si ferma di nuovo, in attesa.
Io resterei qui, in questa isola in mezzo al nulla, a lasciarmi baciare dalla tua bocca e dai raggi solari del primo mattino e dall'acqua salata di questo mare, a raccogliere frutta selvatica, dormire tra queste mura abbandonate. A vivere di niente, solo io e te.
Dietro di lui si apre il panorama dell'insenatura sul mare luccicante sotto i raggi solari e più lontano, il catamarano. Un'immagine che sembrerebbe dare corpo alla mia fantasia. I suoi capelli umidi stanno appiccicati sui lati del viso. Stacco la mia mano dalla sua. Non spiccico una parola.
«Francesco!» È Iano.
«Arriviamo!» risponde lui.
La magia è finita.
Quando raggiungiamo la spiaggetta, il ragazzo tunisino sta lì da solo, in attesa che ce ne andiamo. Potrei sollevare un polverone, mettermi a polemizzare e riferire quello che so. Lui mi guarda con aria severa, ma riesco a notare anche una timida insicurezza. Con atteggiamento provocatorio, mi libero del pareo mentre continuo a fissarlo, poi, ripongo tutto nella sacca e prima di immergermi sorrido, sollevo un braccio per salutarlo e grido «Au revoir!»
Mentre nuotiamo, tutti mi guardano curiosi, ma io avanzo con bracciate decise, fingendo di non accorgermene, fino a raggiungere la nostra imbarcazione.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top