Capitolo Ventisei
Pov. Jessica
Il lunedì è arrivato fin troppo in fretta, ed io non sono pronta ad affrontarlo.
O meglio, non sono pronta ad affrontare lei.
Vorrei davvero capire cosa le succeda, ma forse non sono pronta a scoprire la verità che si nasconde dietro alla piccola ragazza dai grandi occhi scuri che occupa la mia mente.
Vorrei capire cosa mi stia succedendo, non mi sentivo così coinvolta da mesi, ed ora mi sembra di essere tornata indietro nel tempo.
Tornata ai tempi in cui ero ancora una.. Persona.
Sento nuovamente il potere di un'altra persona su di me, ma mi rassicura il fatto che questa persona sia lei.
Lei è così.. buona, non si approfitterebbe mai del potere che ha su di me.
Per la prima volta dopo mesi ho voglia di conoscere qualcuno che però mi odia.
Perché sicuramente mi odierà ora.
Finisco di contornarmi gli occhi di nero, faccio un lungo respiro ed apro la porta.
Sussulto quando vedo una figura davanti alla porta di Sarah ma rimango delusa quando scopro che è la sua coinquilina.
Sta uscendo, ma è sola. Raggiunge il suo solito gruppo di amici, nel quale c'è anche Joe, e lasciano il dormitorio.
Lei non c'è. Sarà già uscita?
Guardo l'ora: 07.25.
Raggiungo la sua porta e rimango in silenzio. Non sento rumori provenire dall'interno della stanza.
Rimango qualche secondo ferma ad ascoltare ma soprattutto a prendere coraggio per bussare.
Quando mi decido a farlo, però, non ricevo risposta.
"È tornata a casa" La sua irritante coinquilina è con le braccia incrociate dietro di me
"Che cosa?" sgrano gli occhi
"Tranquilla, solo fino a stasera" tiro un sospiro di sollievo
"Quando?" le chiedo
"Ieri mattina. Potresti cortesemente spostarti da davanti alla mia porta così posso entrare?" mi guarda storto
"Prego" alzo le mani in segno di scuse "Sai perché l'abbia fatto?"
"Non mi ha detto molto, ha solo detto che aveva bisogno di tornare a casa" alza le spalle
"Grazie" la saluto e torno in camera mia
Ho come il presentimento che ciò che è successo l'altra sera sia il motivo che l'abbia spinta a tornare a casa.
Mi sento terribilmente in colpa.
Raggiungo la classe, osservando il suo banco vuoto.
A causa mia è tornata a casa.
Sento il cuore pesante mentre ascolto la professoressa davanti a me parlare.
Vorrei solo sapere come sta, se sta soffrendo.
Vorrei potermi assicurare che lei stia bene, ma non ho nemmeno il suo numero di telefono.
Non riesco a concentrarmi, sento il petto pesante mentre immagino la piccola Sarah rannicchiata nella sua sua stanza.
Non si merita di soffrire, come non si meritava nemmeno che io mi scopassi quelle ragazze.
Ho sbagliato molte cose, ma mi sono ritrovata catapultata in questa cosa senza nemmeno rendermene conto e fare i conti con un nuovo sentimento non è sempre facile.
Anzi, non lo è mai.
Soprattutto quando la tua ex è una fottuta stronza.
Comunque lei stasera tornerà, così potremo parlare.
Potrei chiederle scusa, anche se non so per cosa, ma sono disposta a farlo.
Sospiro, in attesa che queste ore passino veloci.
Pov. Sarah
È sempre bello tornare a casa.
Mia madre era così felice di vedermi - soprattutto che fossi ancora viva - che non ha fatto domande.
Ho passato la domenica pomeriggio con lei e il lunedì dal dott. McHellen.
Avevo bisogno di parlare con lui di Jess e di quello che era successo sabato sera.
Come al solito mi ha pazientemente ascoltato, mi ha asciugato le lacrime e cantato con me.
È sempre bello vederlo, perché riesce a farmi stare meglio. Lui sa come guarirmi.
È stato il mio punto riferimento da sempre, anche se devo dire l'inizio non è stato per niente facile.
Stare sola in una camera con un uomo mi mandava fuori di testa. Però è riuscito, seduta dopo seduta, a conquistare la mia fiducia.
Abbiamo cominciato le nostre sedute in un piccolo caffè, ogni lunedì per sei mesi.
Poi, dopo lunghe è difficili trattative, è riuscito a convincermi a raggiungerlo nel suo studio.
Ricordo perfettamente la prima seduta nel suo grazioso studio dall'arredamento minimal.
Mi sedetti sulla grossa poltrona giallo pastello, rigida e tesa come non lo ero da tempo.
Mi guardavo intorno vigile, mentre Il Dott. McHellen si muoveva lento per recuperare tutto il necessario.
Mi sporse una ciotola colma di cioccolatini
"Ne vuoi uno?" mi sorrise teneramente.
All'inizio titubai, ma poi mi convinsi.
Lui mi guardò un attimo prima di iniziare, probabilmente cercando di analizzare il mio stato d'animo.
Notò subito che fossi tesa.
Cominciò semplicemente a parlarmi, a chiedermi come fosse stata la settimana appena passata.
Fu difficile per me rilassarmi, quello studio così piccolo mi faceva mancare l'aria, eppure il Dott. McHellen con le sue parole riuscì a calmarmi.
Passai così un'ora a parlare con lui di tutti i miei piccoli progressi, che all'epoca mi sembravano enormi.
Lui pazientemente mi ha ascoltata, supportata.
Dal quel giorno è stato tutto un po' più in discesa.
È stato un lungo percorso, tutt'ora lo è, ma grazie a lui riesco ad andare avanti.
Osservo il paesaggio scorrere veloce intorno a me, sotto la luce aranciata del tramonto mentre mia madre mi riporta al campus.
Ora sto meglio, non so più così scossa da ciò che è successo con Jess, perché so bene che non è stato fatto per.. farmi del male.
È stato difficile aprirmi con il dott. McHellen sulla questione Jess, raccontargli i dubbi sulla persona che sto scoprendo di essere. Mi ci è voluta più di un'ora affinché riuscissi ad aprirmi completamente a lui e quando è successo, ho ricevuto il suo solito caloroso sorriso.
Sono più tranquilla, anche se sono sicura che non appena la vedrò il mio cuore impazzirà.
So bene che devo darle delle spiegazioni, perché una reazione del genere non è normale.
Ci ho pensato, e pensato, e pensato ma nessuna scusa mi è venuta in mente.
Cosa posso raccontarle per giustificare il mio assurdo comportamento?
Sospiro.
Sento il cuore battermi forte nel petto, mano a mano che ci avviciniamo al campus.
Chissà se si è accorta della mia partenza, ma soprattutto, starà bene?
Nemmeno per lei dev'essere stato facile.
Sicuramente è stato inusuale. Sono sicura che nessun'altra ragazza che ha frequentato abbia mai reagito in quel modo.
Macchè. Ha la fila di ragazze che vorrebbero essere sbattute al muro da lei, e poi ci sono io. La pazza psicopatica che passa subito al contrattacco quando vede il suo spazio personale invaso.
Mi sento così mortificata ed imbarazzata.
Andrà tutto bene, mi ripeto nella mente per cercare di tranquillizzarmi, ma so per certo che queste parole non basteranno a calmare tutto il casino che ho dentro.
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