Quel giorno di pioggia...

I corridoi della scuola erano lunghi, grigi e stretti, come sempre, e i tanti ragazzini festosi facevano risuonare nell'aria le loro voci.

Solo i miei alunni stavano seduti immobili davanti a me, attoniti e silenziosi, con lo sguardo preoccupato come quello di bambini che, soli e sperduti in mezzo ad un bosco, aspettano il cenno di richiamo della madre, o anche solo un contatto visivo, che nessuno è capace di dare loro. Anche io non potevo dare ai miei cari studenti quel tanto atteso contatto. La disperazione me lo impediva, una disperazione che mi trafiggeva il cuore in profondità, provocandomi dolore immane, rendendomi difficile soffocare il pianto.

Continuavo a passarmi tra le dita quella lettera che portava la sua firma. Quelle parole terribili, scritte con una disinvoltura che mi disgustava, continuavano a rimbombare nella mia mente come l'eco di un grido straziante:

«Cara Jane, ormai è tanto che ci conosciamo. Avevamo già deciso di sposarci e di costruirci un futuro insieme. Ti ricordi di tutte le volte che siamo andati al mare insieme, a spruzzarci addosso l'acqua a vicenda, ridendo come due bambini? Ricordi di tutte quelle sere passate a contemplare il tramonto mentre colorava di rosse fiamme l'orizzonte, stretti l'uno all'altra? Ricordi le lunghe chiacchierate, durante le quali già pensavamo ai mobili da porre nella nostra casa? Tieni a mente tutti questi momenti felici, e spero che tu potrai comprendere ciò che sto per dirti: non sono pronto per un matrimonio. Non capisco perché, ma ho improvvisamente capito di preferire rimanere solamente tuo amico. Perdonami, mia cara Jane, ma è questa la verità: non posso sposare una ragazza che non amo. Se tu vorrai, continueremo a frequentarci, ma come semplici amici, così che tutto ciò che è successo continui a renderci felici. Ti prego, comprendi queste parole. Michael».

Oh, l'amore! Sentimento traditore che non porta altro che dolore! Per un momento avevo pensato di aver trovato la mia anima gemella, avevo pensato che finalmente la sorte avesse deciso di diventare più favorevole nei miei confronti. Stolta! Che dolorose illusioni! Ora sentivo solo una morsa gelida attorno al cuore. Nessuna fiamma avrebbe potuto sciogliere quella lastra di ghiaccio che mi trafiggeva in profondità come la lama di un coltello.

«Andate ragazzi... andate a fare l'intervallo.» sussurrai quasi impercettibilmente. Una lacrima lentamente mi rigò il volto lasciando dietro di sé una scia perlacea.

I miei studenti mi rivolsero nuovamente uno sguardo perso misto a preoccupazione, per poi uscire e godersi quei brevi istanti di libertà. Il vociare si fece più intenso e confuso, ma giungeva lontano e fioco alle mie orecchie otturate dal dolore. Ovunque si rivolgessero gli occhi, erano visibili fanciulli che correvano, che giocavano, che chiacchieravano. Oh, come li invidiavo! Loro, povere anime innocenti, non sapevano ancora quanto dolore potesse portare il mondo. Il loro cuore non era straziato! Loro potevano ridere, scherzare, divertirsi! Io non sarei mai più stata felice! Quell'uomo mi aveva tolto tutto!

Senza accorgermene, scoppiai in un pianto silenzioso e liberatorio. Magari nelle lacrime avrei trovato un po' di ristoro. Eppure nulla nella mia mente era cambiato: i ricordi continuavano a martellarmi violenti come pioggia acida.

Alzai gli occhi umidi e lucidi e vidi Sandy, la mia alunna prediletta, ancora seduta al suo posto, sola come un esploratore nel mezzo di una foresta. Mi guardava curiosa e un po' tesa: si vedeva che ci teneva a me, e per questo le ero grata. Volevo bene a tutti i miei alunni e loro ne volevano a me, ma lei era speciale: era l'unica persona con cui riuscivo a confidarmi. Nonostante la sua giovane età, era già molto matura e sapeva darmi ottimi consigli.

Sandy si alzò dal suo banco. I suoi biondi riccioli le ricadevano soffici ai lati della testa e i suoi profondi occhi azzurri si posarono immediatamente sul mio viso rigato di lacrime. Alcune efelidi le puntinavano il volto e la rendevano graziosa. Una morbida gonnella azzurra le svolazzava sui fianchi, ed una maglietta bianca le circondava il corpo esile e slanciato.

«Cosa è successo, professoressa? Qualcuno le ha fatto del male?» chiese con la sua vocetta acuta, ancora da bambina. Tirai su col naso e la fissai per alcuni interminabili secondi.

«Sì, piccola mia, è proprio così. Ma il male che mi è stato fatto non si vede. Nessuno mi ha picchiato né ferito. No. La mia cicatrice è nel cuore e non può essere sanata» risposi alla fine.

La fanciulla venne verso di me, trascinando la sedia di lato con un rumore assordante, per poi afferrarla con una mano e posizionarla al mio fianco.

«Stia tranquilla, Miss Johnson. Ci sono io e curerò la sua ferita» sussurrò appoggiando la sua piccola mano di seta sulla mia. La guardai con un piccolo sorriso sulle labbra: la sua ingenuità mi inteneriva. Come tutti i ragazzi, lei credeva di poter risolvere tutti i problemi con un semplice gesto affettuoso. In una situazione normale l'avrei abbracciata e le avrei detto: «Per fortuna che ci sei tu a farmi stare meglio». Ma in quel momento non avevo neanche la forza di mormorare un «grazie».

Sandy se ne accorse e scostò subito la mano, facendosi rossa in volto per l'imbarazzo. «Mi dispiace, professoressa. Non volevo infastidirla» sussurrò rammaricata.

«No, tesoro. Non è colpa tua - esclamai appoggiandole un braccio attorno alla schiena - È un ragazzo ad avermi conficcato nel cuore l'acuminato pugnale della disperazione. Ma tu non potresti capirmi, Sandy. Sei troppo piccola e non sai ancora cos'è l'amore. Sei così fortunata, non puoi neanche immaginare quanto...».

La ragazzina mi guardò con i suoi grandi occhi azzurri, confusa. «Io so cos'è l'amore: è quando due persone si vogliono bene e una è parte dell'altra. I miei genitori si amano, perché insieme sono felici» esclamò poi. La guardai accennando un sorriso: oh, se fosse così semplice amare...

«Hai ragione, cara» mormorai mentre un'altra goccia trasparente e brillante mi bagnava il viso. Lei annuì, ma il suo sguardo curioso non si quietò: voleva sapere di più. Voleva sapere da dove provenissero la mia tristezza, il mio dolore, la mia debolezza. Quella scintilla di curiosità nei suoi occhi languidi continuava ad animarla, e avrebbe continuato finché non le avessi raccontato tutto.

«Perché non mi racconta ciò che le è successo?». Queste parole le uscirono spontaneamente dalla bocca, come se chiedere a qualcuno di rivivere un pezzo della propria vita fosse la cosa più semplice del mondo.

Ci pensai su qualche istante, spostando lo sguardo da un banco all'altro e studiandone il profilo come mai avevo fatto in precedenza. Mi chiesi anche come facessero dei ragazzi così giovani a rimanere per ore soffocati tra quattro mura grigie come la cenere. I banchi risaltavano in mezzo a tutto quel cupo grigio, come fiori bianchi in mezzo a un prato ricoperto di fuliggine, mentre una colorata cartina geografica decorava la parete di sinistra. Un armadietto, anch'esso grigio e con un'anta un po' sporgente, racchiudeva oggetti di ogni tipo.

Posai nuovamente lo sguardo su Sandy, che attendeva speranzosa una mia risposta affermativa. I suoi occhi color zaffiro si fecero supplici, e io non potei dirle di no: «Oh, Sandy... è una storia un po' complicata ma, se vuoi, te la racconto».

Sandy sembrò tirare un sospiro di sollievo e lasciare che tutta l'ansia accumulata in quegli istanti di interminabile attesa scivolasse via da lei come vernice. Divenne attenta, e i suoi occhi si illuminarono ancora di più di quella curiosità tipica dei giovani. Cominciai quindi a raccontare:

«Tutto è cominciato qualche anno fa. Ero così giovane e sola... Nessuno sembrava interessato a me, e io ero triste. Ma un giorno, arrivò lui: l'uomo più bello, più gentile, più simpatico che avessi mai conosciuto. Si chiamava Michael.

Ci incontrammo durante un giorno di pioggia - oh, quel giorno di pioggia che mai potrò dimenticare! Accidenti a me, povera sventurata! - Grosse gocce d'acqua cadevano dal cielo e mi bagnavano il viso, mentre sola, in una corsa sfrenata, cercavo di raggiungere la mia casa. Il crepuscolo anneriva il paesaggio intorno a me, che scorreva così velocemente da non riuscire a studiarlo con precisione: strade, case e lampioni imperlati dalle gocce di pioggia scomparivano alla stessa velocità con cui erano comparsi. I miei bruni capelli fradici ricadevano pesanti ai lati delle tempie, simili alle onde del mare.

Le lacrime delle nuvole coprivano le mie, che copiose scendevano dai miei occhi, a causa della delusione provata un mese prima e che ancora mi tormentava l'animo: l'uomo di cui più mi fidavo, a cui avevo donato tutto il mio cuore e con cui avevo creduto di poter progettare il mio futuro mi aveva abbandonata. E rivederlo in compagnia della sua nuova compagna non aveva fatto altro che peggiorare la situazione.

Mi sentivo come un cucciolo di cane in una scatola: senza nessuno al mondo, senza amore, ignorato da tutti, quasi invisibile. Sapevo che avrei dovuto mostrarmi forte e andarmene via da quell'uomo senza versare una lacrima, ma vederlo nel letto che con lui avevo condiviso fino a poco tempo prima, abbracciato a un'altra donna con cui mi stava tradendo, mi aveva spezzato il cuore in mille pezzi.

Ero fragile come un vaso di cristallo: bastava una spinta troppo forte a distruggermi. La debolezza era una mia caratteristica: nessuno avrebbe potuto restituirmi la perduta felicità. Ormai in me la fiamma della speranza si era spenta, inondata dalle lacrime amare della disperazione.

Correvo sempre più veloce, volevo solo arrivare a casa, coricarmi nel mio letto e piangere, piangere senza sosta. La mia vita non aveva senso, sembrava uno scherzo del destino. "Perché tutte a me? Perché sempre a me deve andare tutto storto?" pensavo in preda alla disperazione.

Ma poi, ecco apparire tra la pioggia una figura nera, che sembrava diffondere intorno a sé un'aura di luce. Mi fermai stupita da quella visione e quella fu la prima volta che il mio sguardo si incrociò con quello di Michael. Mi avvicinai cautamente, un passo alla volta, al misterioso ragazzo dell'ombra. Il cuore cominciò a battermi forte nel petto, così forte che quasi riuscivo a sentirlo.

"Serve aiuto, signorina?" aveva chiesto il ragazzo dell'ombra venendomi incontro. Rimasi incantata: le tenebre avevano svelato un fanciullo ancora più giovane di me, poco più che un ragazzo, con un fisico da atleta, capelli neri come l'ebano che in corrispondenza della fronte gli formavano un corto ciuffo, occhi verdi e preziosi come smeraldi e un grazioso e gioviale sorriso. Era veramente bellissimo.

In quel momento neanche la pioggia mi dava fastidio, e quasi non sentivo le sue gelide carezze. I miei occhi nocciola penetrarono nei suoi verdi, per un istante che sembrò lungo una vita. "No, grazie! Sei molto gentile, ma devo solo raggiungere la mia casa" gli risposi poi con un filo di voce. Non riuscii a dire altro: cominciò a formarmisi un groppo in gola, che mi bloccò le parole in bocca e mi mozzò il respiro.

"D'accordo. Comunque, mi chiamo Michael. Lei come si chiama?" chiese il ragazzo dell'ombra rivolgendomi un sorriso amichevole. Ebbi un tuffo al cuore a sentire quella domanda. "Io... io mi chiamo Jane" avevo balbettato timidamente. Le gambe mi tremavano violentemente e non riuscivo a tenerle ferme, nonostante ci provassi. Sembravo una foglia scossa da un vento gelido. Oh, che figura avrei fatto se lui se ne fosse accorto!

Poi, ad un certo punto, mi sfiorò una mano. La ritrassi con un moto istintivo, percependo un brivido freddo e piacevole allo stesso tempo. Il giovane divenne rosso di vergogna. "Non... non l'ho fatto apposta" mormorò imbarazzato. Non lo sentii neanche: la sensazione che cresceva pian piano dentro di me era così gradevole che sovrastava ogni timore e ogni insicurezza. A quel punto, preso un po' di coraggio, allungai una mano tremante e l'appoggiai sulla sua. "Non preoccuparti, Michael" avevo detto tutto d'un fiato.

In quel momento la luna cominciò a farsi spazio tra le nuvole e ci illuminò con la sua luce lattea. In breve tempo mi sentii come avvolta in un caldo abbraccio, mentre lentamente la gioia tornò a farsi sentire nella mia mente distrutta dalla sofferenza. Nel mio cuore i ricordi di ciò che di brutto avevo visto durante quella giornata, tutta la tristezza, il dolore, l'angoscia provati fino a poco prima scivolarono via come nubi trasportate lontano dal vento. E ciò avvenne anche nel cielo, specchio dei miei sentimenti.

Scambiammo qualche parola, ridendo e provando a conoscerci meglio. Solo grazie a lui ero riuscita a rialzarmi, a dimenticare il mio passato e ad andare avanti a testa alta verso il mio futuro. Con Michael ero a mio agio, mi sentivo me stessa. Nonostante i nostri tre anni di differenza, avevamo molti interessi in comune. Finalmente, dopo tanto tempo, mi sentii felice. Quella notte andai a dormire serena e lui mi accompagnò nei sogni».

Mi fermai un secondo per riprendere fiato e riflettere. A ripensare a tutto ciò le lacrime cominciarono nuovamente a inumidirmi gli occhi, ma le ricacciai dentro con brutalità, sforzandomi in ogni modo di rimanere impassibile, invano. Sandy mi guardava con un sorriso un po' malizioso: «Amore a prima vista, eh?». Arrossii a sentire quelle parole fuoriuscire dalla bocca della mia alunna prediletta. Sandy tornò a guardarmi, mettendomi un po' a disagio. Ricominciai quindi a raccontare:

«Dopo quel giorno, Michael e io cominciammo a vederci sempre più spesso. Divenimmo sempre più legati e tra noi si instaurò un rapporto speciale. All'inizio non sembrò altro se non una semplice amicizia, ma presto capii di provare qualcosa di più per lui. Tutto ciò che desideravo era sentire pronunciate da lui quelle tre parole che avrebbero segnato perennemente il nostro futuro: "Io ti amo". Ma intanto ero già convinta che ciò non sarebbe mai accaduto. La speranza, tuttavia, continuava ad animarmi, e speravo che un giorno i miei sentimenti per lui sarebbero venuti a galla.

Il mio amore per lui aumentava ogni volta che lo vedevo per strada a camminare con la sua andatura un po' sgraziata, ogni volta che ammiccava dal lato opposto del marciapiede, ogni volta che mi guardava con quei due occhi color smeraldo. Con lui passavo intere giornate, e non mi importava quale fosse la meta, che fosse mare o montagna. Bastava la sua presenza a rallegrarmi.

Durante le nostre gite eravamo sempre vicini, mano nella mano. Era così bello osservare il lento incresparsi delle onde cerulee sulla battigia, con i piedi ricoperti di granelli di tiepida sabbia e gli sguardi persi nel vuoto. Ma non mi dimenticherò mai di quella sera così buia, illuminata solo dalla luce della luna.

Eravamo sulla spiaggia, come sempre, abbracciati l'uno all'altra. Lo scrosciare dell'acqua marina e il suono dei nostri respiri erano gli unici rumori che si percepivano. Il silenzio della notte circondava ogni cosa. Gli occhi iniziavano a farsi pesanti, e le palpebre a chiudersi. "Michael, forse è meglio andare a casa. Sono molto stanca" avevo sussurrato lasciando intravedere appena le iridi color castagna.

Lui mi aveva guardato con quei due pezzi di prato che sono i suoi occhi, scostandosi con la mano vigorosa il ciuffo e carezzandomi poi il volto con delicatezza. Aveva poi appoggiato le sue labbra carnose sulle mie. Quell'umido contatto mi fece attraversare l'intero corpo da un brivido, cogliendomi impreparata. Il tempo si fermò, e con lui il lento infrangersi delle onde sulla costa sabbiosa. Chiusi gli occhi e mi lasciai trasportare dalla passione e dalle piacevoli sensazioni che quel bacio inaspettato provocava in me. Un turbinio di emozioni si facevano largo nella mia mente come ragazzi in mezzo a una folla festosa. I nostri respiri erano uniti in uno solo, così come le nostre bocche. Durò tutto alcuni istanti che sembrarono lunghi un'eternità.

"Io ti amo, Jane" aveva esclamato continuando ad accarezzarmi il viso e i capelli con dolcezza. Due macchie rosse iniziarono a formarsi sulle sue guance. I suoi occhi scintillavano e una leggera brezza gli scompigliava i capelli neri e fluenti, portando con sé l'odore di salsedine. "Ti amo anch'io, Michael!" sussurrai a mia volta avvolgendogli le braccia attorno al collo. Per poco non scoppiai a piangere per la gioia immensa che mi ardeva dentro come un fuoco vivo. Ero al settimo cielo: ora sapevo che mi amava per davvero, tanto quanto io amavo lui. Il mio desiderio si era realizzato o, almeno, così credevo...».

«Perché? Cosa è successo?» chiese Sandy con grande partecipazione. Stavo per rimproverarla per la brusca interruzione, ma mi trattenni. Vedevo la sua curiosità aumentare ad ogni mia parola, e questo mi spingeva a continuare il racconto della mia vita. Il vociare dei ragazzi nei corridoi divenne ancora più forte. Sandy, infastidita dalle grida dei suoi compagni, si alzò dalla sua sedia in legno per andare a chiudere la porta. Una volta tornata, riprese a fissarmi interessata. Non potei non sorridere a vedere la sua espressione. Ma quello che mi uscì fu un sorriso triste, perché quella che stavo per raccontare era la parte la cui memoria provocava in me maggior dolore. Presi quindi un respiro profondo e ripresi il mio discorso:

«Dopo quel giorno le nostre uscite aumentarono. Continuarono per mesi, e questi mesi furono i più belli della mia vita. Ci eravamo fidanzati e pensavamo già alla nostra vita insieme. Discutevamo ore e ore sugli invitati al nostro matrimonio, sui mobili da mettere nella nostra nuova casa, sul numero di figli che avremmo avuto e su quali sarebbero stati i loro nomi. Ci divertivamo come due bambini. Ogni giorno che passava non faceva altro che incrementare la mia speranza. Pensavo che finalmente tutto sarebbe andato per il meglio, che il mondo avrebbe smesso di voltarmi le spalle come aveva sempre fatto fin da quando ero piccola. Ma, purtroppo, il destino non aveva previsto per me la felicità.

Due giorni fa, mentre ero nella mia abitazione a riordinare gli abiti che avevo acquistato il giorno prima, il postino mi aveva consegnato una lettera che portava la firma di Michael. Emozionata e preoccupata allo stesso tempo, la scartai e la lessi tutta d'un fiato. Il mio cuore si frantumò in mille pezzi e mi lasciai trafiggere l'animo dalla disperazione: su quel minuscolo, lurido pezzo di carta c'era scritto che... - lacrime amare mi scesero dagli occhi, incontrollabili come una pioggia scrosciante - che non mi voleva più sposare, che non mi amava, che non ero niente di più se non un'amica. Così, all'improvviso, cogliendomi impreparata. Non poteva essere vero. Non potevo essere di nuovo sola. Maledetto! Come aveva potuto farmi questo? Come mi ero potuta illudere di aver trovato finalmente la gioia? Come avevo fatto a essere così stupida?

Tutti i ricordi di quel giorno in cui per la prima volta avevo visto il ragazzo dell'ombra che emanava luce tornarono a farsi sentire come una tempesta di grandine, e la lama della tristezza mi ferì ancor di più. Ero stata tradita e, per la seconda volta, mi trovai da sola ad affrontare il mondo, consapevole che anche l'ultimo briciolo di fede era stato spazzato via dai miei sospiri e dalle mie lacrime».

Chiusi così il racconto della mia vita, mentre sul mio viso si era già formato un fiume scrosciante. Sandy si avvicinò di più a me, commossa. I suoi vispi occhietti celesti mostravano comprensione nei miei confronti, e per questo le ero grata. Ma non fece in tempo ad aprir bocca che una bidella spalancò la porta correndo poi all'interno della classe. Sandy ed io facemmo un salto all'indietro per lo spavento. «C'è una persona che vorrebbe parlarle, Miss Johnson. Dice di chiamarsi Michael» esclamò la donna paffuta dai capelli corti e grigi. "Michael" pensai con il cuore che batteva all'impazzata.

Corsi verso la segreteria a tutta velocità, mettendo nelle gambe tutta la mia forza. Ricacciai indietro le lacrime: non potevo assolutamente mostrarmi debole ai suoi occhi. Ignorai i richiami della bidella e le grida allegre dei ragazzi. Ignorai persino le occhiate stupite di Sandy. Molte erano le domande che volevo rivolgere all'unico uomo che avessi mai realmente amato, e il desiderio che avevo di porgliele era così forte da farmi aumentare ulteriormente la velocità.

Quando giunsi all'uscita, lo vidi: era appoggiato allo stipite della porta, con il sole che gli batteva sulla schiena e il corpo oscurato dalle tenebre. Per un attimo mi sembrò di vedere il ragazzo dell'ombra di cui mi ero innamorata molto tempo prima. «Jane...» sussurrò lui avvicinandosi lentamente a me. Feci un passo indietro e continuai a fissarlo, allibita. I suoi occhi verdi erano tristi. Sembrava pentito, ma non mi convinsi. Cercai in ogni modo di soffocare il pianto, senza riuscirci pienamente. Un paio di singhiozzi mi uscirono dalla gola come suoni rochi. Lui allungò una mano, ma io la rifiutai.

«Posso... posso spiegarti tutto» mormorò abbassando la fronte e lasciando ricadere verso il basso il suo ciuffo nero.

«Tu... tu non hai nulla da spiegare! Sai dirmi solo questo, dopo quello che mi hai fatto passare? Tu non hai idea di quanto ho sofferto a causa tua! Io ti amavo, e tu mi hai illuso facendomi credere che ricambiassi i miei sentimenti! E poi mi mandi questa stupida lettera, credendo poi di poter venire qui a spiegare. Credevo che fossi speciale, ma sei solo un altro idiota egoista che pensa solo a se stesso, proprio come tutti gli altri». Buttai fuori queste parole senza pensarci su, pensando di essermi tolta di dosso un grosso peso. Non mi trattenni più e ricominciai a piangere disperata.

Michael mi guardava, esterrefatto. Lui si aspettava la solita e debole Jane. Lui pensava che sarei tornata subito tra le sue braccia, che l'avrei perdonato con la facilità con la quale si beve un bicchiere d'acqua. Ma ciò non accadde. Finalmente avevo scoperto di essere forte. Non mi sarei più lasciata mettere i piedi in testa in quel modo. Eppure non riuscivo a smettere di lacrimare come una bambina a cui hanno rubato il gelato.

«Oh, Michael, tesoro mio, perché ti disgusto così tanto? Ti ho mai fatto qualcosa di male? Ti ho mai parlato alle spalle? Ti ho mai rattristato? Ti ho mai deluso? Se sì, dimmelo, così che venga a sapere il motivo per cui mi hai provocato una così grande sofferenza» gridai. Le gambe cominciavano a cedermi. Sentii la forza di cui mi ero dotata precedentemente lasciarmi di nuovo, e la debolezza riprendere possesso del mio corpo. Il ragazzo provò nuovamente ad avvicinarsi a me, ed io nuovamente lo respinsi, sdegnata. «Vattene, Michael» riuscii a sussurrare.

I ragazzi avevano interrotto i loro giochi e avevano tutti puntato i loro sguardi su di noi. Sandy stava davanti a tutti e con perplessità assisteva alla scena. Tutte le ragazzine guardavano Michael con occhi sognanti, abbindolate dal suo fascino misterioso, proprio come ne fui io. Persino le bidelle, dalla più giovane alla più anziana, ogni tanto ci rivolgevano occhiate divertite. Arrossii, imbarazzata, e non mi accorsi che nel frattempo Michael si era avvicinato a me. A farmi tornare alla realtà fu il suo tocco delicato. Tremai e cercai di allontanarmi di nuovo da lui, ma le gambe mi tenevano ancorata a terra.

«Jane, ti prego, lasciami almeno la possibilità di spiegare» disse con la voce rotta dal dolore. Sembrava mostrare rincrescimento verso ciò che mi aveva fatto e acconsentii ad ascoltarlo. Lui allora si schiarì la voce e cominciò a dire: «Due giorni fa, mentre tornavo a casa dal lavoro, avevo incontrato un uomo grande e muscoloso, che diceva di conoscerti. Aveva capelli biondi e corti e due occhi azzurri come il ghiaccio. Sul braccio destro portava stampato un grande tatuaggio che riproduceva un falco. Al suo fianco camminava una ragazza dai lunghi capelli castani e ondulati e dagli occhi di un azzurro tendente al viola». Impallidii riconoscendo in quella descrizione il mio ex-ragazzo, colui che mi aveva tradita con quella donna. Capii che ciò che il giovane stava per dirmi non mi sarebbe piaciuto.

Il ragazzo dai capelli corvini riprese a parlare: «Quell'uomo mi aveva salutato cordialmente, per poi chiedermi come stessi tu. Dopo avergli risposto che stavi bene, lui mi raccontò della vostra precedente relazione, delle vostre notti passate ad amoreggiare al chiaro di luna, dei vostri aperitivi al bar, dei vostri balli in discoteca. La ragazza al suo fianco annuiva ridacchiando: sembrava conoscere già tutto. All'inizio pensai fosse tutto falso, ma poi ripensai a quel giorno di pioggia durante il quale ci siamo visti per la prima volta. Avevo visto dai tuoi occhi che era appena accaduto qualcosa di terribile, qualcosa come la fine di una relazione - mi fissò per un istante ed io nascosi il viso con la manica della camicia bianca che portavo addosso - Accecato dall'ira, tornai a casa e scrissi di getto quella lettera. Sono stato un idiota, ma come mai non mi avevi mai parlato di questa tua relazione? Pensavo che tra noi non ci dovessero essere segreti».

Il mio labbro cominciò a tremare violentemente, e per poco non ricominciai il mio pianto isterico. «Io... io non ne ho avuta la forza. Ero così felice con te che avevo pensato di poter ricominciare da capo la mia vita, dimenticando il mio passato. Ma mi rendo conto di aver sbagliato e, per questo, ti chiedo scusa» mormorai chinando il capo.

«Tu non hai nulla di cui scusarti, amore mio. La colpa è stata solo mia. Non dovevo lasciare che la rabbia avesse il sopravvento dentro di me. Dovevo capire quanto quell'uomo ti avesse fatto soffrire e consolarti, non addolorarti ulteriormente. Sono stato un mostro e ora hai tutto il diritto di lasciarmi. Ma voglio che tu sappia che sono venuto fino a qui per dirti che ti amo per davvero, e che voglio sposarti» sussurrò Michael guardandomi.

Spalancai gli occhi mentre tirava fuori dalla tasca della giacca uno splendido anello su cui stava incastonato un grosso diamante. «Jane Johnson, vuoi diventare mia moglie?» chiese Michael porgendomi il prezioso gioiello. I suoi occhi smeraldini erano sinceri e pieni di emozione. Tutto il dolore e la tristezza che avevo accumulato dentro il mio cuore svanirono e tirai fuori dalla mia anima quel terribile coltello che continuava a lacerarmi. Sul mio volto si dipinse il sorriso più grande che avessi mai fatto. Non ci pensai su neanche un istante: ormai l'avevo perdonato e avevo capito che il suo era un amore sincero.

«Sì, lo voglio!» gridai sprizzando gioia da tutti i pori. Michael si rialzò in piedi e mi prese in braccio, per poi appoggiare le sue umide labbra sulle mie. Tornò quel turbinio di sensazioni, ma la gioia dominava su tutte. Brividi di piacere mi attraversarono il corpo dalla fronte fino alla punta dei piedi. Non ero mai stata così felice in tutta la mia vita. I ragazzi, gli insegnanti e le bidelle cominciarono ad applaudire. Sandy, intanto, ci guardava a bocca aperta, e la sua espressione sembrava un po' perplessa, ma non ci feci caso.

«Ti amo, Jane» esclamò Michael, raggiante. Lo scrosciare degli applausi si disperdeva nell'aria, rimbombando in ogni aula, in ogni corridoio, in ogni bagno della scuola.

«Ti amo anch'io, Michael!» risposi stringendolo più forte a me. Questa volta non l'avrei più lasciato scappare da me. Niente e nessuno avrebbe più potuto allontanarmi da lui.

Finalmente ricominciai ad avere fiducia negli altri e ripresi a sorridere alla vita. Ciò che mi basta è l'amore di Michael, ormai mio marito, e quello dei miei due splendidi figli. Durante questa esperienza ho capito che non bisogna mai perdere la speranza, perché anche nell'ombra più oscura è sempre presente un'aura di luce.

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