La cura
Ti guardo e continuo ad assaporare i giorni di un'infanzia spensierata misti a quelli di un'adolescenza mortificata. Ti osservo mentre rubi l'ultimo dei miei respiri, i tuoi pugni stringono il candido lenzuolo come a voler agguantare la vita che ti fugge dalle mani.
Il silenzio della stanza è rotto dagli ansimi e dai singulti dei Rogers, i loro sguardi colmi di speranza si posano dapprima sulla figura composta del dottor Sanchez e, poi, su quella della ragazza. Attendono che lei parli, ma Trisha smarrisce ogni parola che vorrebbe pronunciare nelle iridi di Austin.
La voce di Maggie, la madre di Trisha, spezza l'apparente quiete, giungendo alle orecchie dei presenti incerta e timorosa. «Dottor Sanchez, rispetto la decisione e le scelte di mia figlia. Confido, inoltre, nella sua esperienza in queste situazioni, quindi, se lei mi assicura che non corre alcun pericolo, do il mio consenso».
Annie oltrepassa il medico e raggiunge Trisha, le braccia della donna avvolgono il corpo della sua pupilla in un caldo abbraccio e le labbra soffiano parole colme di gratitudine: «Grazie, tesoro, sei la nostra salvezza!»
«Mi lasciate solo con lei?» Austin fa sentire, per la prima volta, la sua voce, un suono vinto dalla spossatezza, mentre i suoi occhi sono adombrati dal rimpianto.
I Rogers, seguiti da Maggie e dal medico, escono dalla stanza, dopo aver ammiccato in direzione di Trisha cenni d'incoraggiamento, poi tutto scompare intorno a due giovani: esistono solo loro e quello che non è mai stato chiarito.
Trisha è immobile, non muove un solo passo nella direzione di Austin; il ragazzo è inerme, un corpo disteso su un letto che sarà la sua croce nei prossimi giorni.
Le labbra dei due non si muovono, non riescono a smettere di guardarsi e il tempo che sembra arrestarsi, mentre il dolore tatuato sul volto di Austin abbatte le barriere erette da Trisha negli ultimi tempi. «Che cosa volevi dirmi?» è lei a parlare per prima, non sopporta quel silenzio che si annida tra le pareti della sua anima.
L'angolo destro della bocca di Austin s'innalza, sorride mesto e l'indice della sua mano si muove per mostrarle la poltrona posta accanto al letto. «Puoi venire a sederti accanto a me?»
Lei cammina piano, quasi a voler ritardare il momento in cui riuscirà ad avvicinarsi, e, quando arriva alla poltrona, si siede cauta sul bordo, come pronta a fuggire lontana da lui appena le dirà che non vuole niente da lei. «Dimmi.»
«Perché?» Austin abbassa la testa, fissa le sue mani che stringono ancora un pezzo di stoffa del lenzuolo.
«Cosa vuoi sapere, Austin?»
«Perché lo fai?» sulle labbra del ragazzo si posa una preghiera affinché la verità sia pronunciata da quelle della ragazza.
«Cosa ti aspettavi? Avrei dovuto girare la testa dall'altro lato e continuare a vivere la mia vita come ho fatto in questi ultimi anni? Come se tu non fossi mai esistito per me? Non ora, un giorno quando tutto questo sarà finito, quando sarai guarito, potrò tornare a farlo. Non lo faccio per te, ma per quel bambino che eri.»
«Siamo la stessa persona.» la testa di Austin scatta e inchioda le pupille dell'amica d'infanzia, Trisha suppone che lo faccia affinché lei creda alla sua affermazione. Tuttavia, altre sono le sue convinzioni: quel bambino non l'avrebbe mai allontanata!
«Spero non sia così!» la giovane, con tono asciutto e deciso, pone fine a quella discussione che non li porterà da nessuna parte.
Respirando profondamente, Trisha distende i muscoli contratti finora, il corpo sfiora lo schienale della poltrona, mentre gli occhi si chiudono lentamente e lascia che il buio la avvolga in un sonno agitato.
Sì addormenta, sfinita dalla notte insonne, senza accorgersene e sobbalza, intimorita, quando un suono metallico, simile a un beep incessante, perfora i suoi timpani.
«Hai avuto un incubo?» Austin protende il corpo nella direzione di Trisha, i muscoli del volto sono tesi, sembra quasi preoccupato per lei.
«Dove sono mia madre e i tuoi genitori?» Trisha non risponde al suo quesito, cambia discorso per non svelare l'incubo che l'ha turbata: ha rivissuto nel mondo onirico una scena simile a quella della sera precedente, lui che giaceva inerme.
«Li ho mandati via, erano stanchi. Avevano bisogno di riposare e dovresti andare anche tu!» Austin tentenna, la ragazza crede che abbia quasi timore a rimanere solo.
«Vuoi che chiami qualcuno? Caroline oppure i tuoi amici, posso fare in modo di rintracciarli.»
«No, preferisco non averli intorno. Ho bisogno di assorbire il colpo prima di vedere la pietà sui loro volti.»
Trisha vorrebbe rispondergli, fargli capire che nessuno proverebbe pietà, ma solo il desiderio di alleviare le sue pene; è la stessa brama che ha invaso le sue viscere e che le fa anelare di poterlo accarezzare.
Un'infermiera fa capolino dalla porta, trascina una sedia a rotelle e sorride gentile al giovane paziente di cui dovrà occuparsi. «Buongiorno, mi dispiace disturbarvi, ma è necessario iniziare la chemio ora. Il dottore si è raccomandato che non sia sprecato neppure un giorno e ha già dato disposizioni al reparto oncologico.»
La donna dalla divisa immacolata osserva il ragazzo e, come Trisha, nota il viso sbiancare, le iridi ottenebrarsi, il labbro inferiore tremare impercettibilmente: ha paura sebbene non voglia mostrarlo. «Non ci sono i tuoi genitori? Per i primi trattamenti, sentirai il bisogno di avere qualcuno accanto.»
Austin non risponde, fissa le pupille in alto, guarda la plafoniera di vetro e sembra lontano da quel luogo, estraniato da una realtà che lo attende.
«Posso restare io?» Trisha sussurra appena, teme un rifiuto che la annienterebbe, «Se non disturbo, altrimenti potrei chiamare i tuoi oppure qualcun altro».
«Non chiamare nessuno e gradirei tanto la tua presenza!» Austin inclina il capo e posa lo sguardo su Trisha, il suo volto è finalmente disteso e allarga le labbra, soddisfatto.
Nella mente di Trisha sovviene il ricordo dell'appuntamento con Luke, è dispiaciuta di doverlo annullare, ma è sua intenzione farlo poiché non abbandonerà Austin, sentendosi davvero utile per lui. «Faccio una telefonata per disdire un appuntamento e andiamo.»
Trisha esce lesta dalla camera, vuole chiamare Luke subito e poi tornare da chi ha mostrato, dopo tanti anni, di aver bisogno di lei. Eppure, cammina a lungo prima di sfilare il telefono dalla tasca dei jeans e portarlo all'orecchio, credendo di fare un torto al ragazzo che ha iniziato a frequentare. Trova il coraggio nell'urgenza di tornare da chi la sta aspettando e compone il numero. «Luke, ciao. Scusa ma oggi non possiamo vederci. Ho avuto un problema familiare...» non vorrebbe mentirgli, ma è questione delicata difficile da esporre e che non spetta a lei farlo: sarà Austin a decidere a chi dirlo e quando, «... dispiace tantissimo anche a me. Domani mattina, ti aspetterò a casa e andremo insieme a scuola. A presto.»
La ragazza ripone il telefono e corre, sollevata, lungo il corridoio, spalanca la porta e trova Austin e l'infermiera che litigano sull'utilizzo della sedia a rotelle, la donna è irremovibile benché cerchi di spiegare le sue ragioni. «Mi creda, ne avrà bisogno. Dopo la seduta, sarà molto affaticato e non riuscirà a camminare sulle sue gambe.»
«Non ci voglio salire su quell'affare!» Austin urla la mortificazione che avverte, scuote la testa, porta le mani nei capelli e li tira con vigore, le palpebre si chiudono per celare i bulbi inumiditi.
Trisha avanza verso di loro e poggia la mano sul braccio dell'infermeria, è un tocco delicato ma deciso. «Posso portarla io? Se, al ritorno, sarà necessaria, la utilizzerà. D'accordo?»
La donna ondeggia la lunga coda di cavallo ramata, poi muove il capo in cenno di assenso, «Va bene, ora vi accompagno.»
È un labirinto di corridoi quello che percorrono in silenzio, uno accanto all'altro; arrivano davanti a una grande vetrata, oltre la quale intravedono molteplici poltrone, alcune già occupate. «Si può accomodare su questa seduta, vado a chiamare il medico che preparerà tutto. Lei, signorina, può prendere una delle sedie che trova accanto agli armadietti, sono qui apposta per chi tiene compagnia ai pazienti.»
«Grazie.» Trisha esegue le istruzioni impartite dalla donna e avvicina la sedia che ha recuperato alla poltrona dove Austin si è sdraiato; sono raggiunti da un uomo di circa quarant'anni, le iridi smeraldine si posano sui due ragazzi mentre la chioma riccioluta si muove in segno di saluto: è il medico che si occupa di iniziare la procedura e che Austin guarda con rammarico, quasi fosse lui il responsabile di quanto dovrà subire. L'uomo agguanta il braccio di Austin e lo poggia con delicatezza sul bracciolo di cuoio nero; tasta la pelle fin quando trova un'arteria e v'introduce un ago, dando inizio al calvario di Austin.
Trisha nota le prime gocce di sudore imperlare la fronte del ragazzo, mentre il corpo trema e spasmi continui trasfigurano il volto. La giovane desidera alleviare la sua pena, vorrebbe stringerlo a sé e dimezzare il dolore provato prendendone lei la metà. «Ti va di parlare?»
«Che impegno avevi?» Austin si morde il labbro appena la domanda si posa sulla sua bocca.
«Dovevo uscire con Luke. Non preoccuparti, non gli ho spiegato il motivo che mi ha impedito di andare», Trisha guarda le sue scarpe ginniche, incapace di sostenere lo sguardo del giovane amico.
«Mi dispiace aver rovinato il tuo appuntamento. Se vuoi, puoi anche andare. Starò bene.» Austin parla e trema contemporaneamente, il corpo quasi sobbalza dalla poltrona e Trisha si alza per recarsi accanto all'armadio alle loro spalle, dove ha scorto la presenza di una coperta in pile, la afferra e copre con dedizione il suo amico, strofina i palmi sugli arti di Austin per riscaldarlo. «Non ti preoccupare, ci saranno altri appuntamenti.»
«Luke ti piace davvero?»
Austin fissa gli occhi dell'amica fino a penetrare la sua anima, lei annuisce sorridendo; è un sorriso che abbandona le labbra appena vede Austin distogliere lo sguardo. «Ti senti bene?»
Il ragazzo scuote il capo, una smorfia di dolore distorce le labbra che si schiudono in seguito a un conato di vomito: sono i primi
effetti collaterali che si manifestano.
«Ho la nausea.» Austin boccheggia, porta una mano al petto e sfila il bottone del pigiama dall'asola, nell'invano tentativo di riuscire a respirare meglio.
«Posso fare qualcosa? Hai bisogno di qualcuno? Chiamo il medico?» Trisha si agita, non sa come comportarsi e cosa fare per donargli sollievo.
Austin muove la testa ripetutamente a mo' di diniego, alza con sforzo il braccio per raggiungere quello della ragazza. «Dammi la mano!»
Trisha la stringe con ardore, le falangi s'intrecciano con possanza e i due restano così per tutta la durata della terapia; l'altra mano della ragazza trattiene un asciugamano umido che posa sulla fronte di Austin per asciugare il sudore che cola. Si allontana solo per prendere un contenitore dove il suo amico rigetta il veleno che ha in corpo con sguardo mortificato, mentre Trisha accoglie ogni suo turbamento con accortezza.
Appena le condizioni di Austin tornano stabili, Trisha lo riaccompagna nella sua camera spingendo la sedia a rotelle su cui si è seduto senza protestare, «Ti rimetto a letto, appoggiati alle mie spalle.»
Il giovane esegue i comandi impartiti, è privo di ogni forza e la ragazza diventa il suo sostegno: si aggrappa alle sue spalle e si lascia adagiare sul letto, dove lei lo ricopre con lenzuola e coperte prima di sprofondare, affaticata dallo sforzo, sulla poltrona. «Riposati un po'! Io chiamo i tuoi genitori e li tranquillizzo. Magari, riesco a convincerli a venire più tardi, ora resto io con te.»
Austin annuisce mentre crolla nel mondo dei sogni, dove lei lo raggiunge appena interrotta la conversazione telefonica con Annie.
È una voce stridula a destarli dal torpore in cui sono crollati, il tono pregno di fastidio rimarca lo sdegno provato. «Cosa ci fa lei qui?»
Trisha fatica a schiudere le palpebre, tra le ciglia discostate, appaiono due figure che si muovono nella penombra. «Caroline, abbassa la voce! Mi scoppia la testa!»
«Scua, caro, come stai? Ti trovo un po' pallido.» la cheerleader si avvicina al letto e poggia le labbra sulla guancia del suo ragazzo che le risponde scrollando le spalle.
«Ehi, amico, come stai? Stamattina, Caroline ha chiamato casa tua. Tuo padre le ha raccontato cosa è successo, così mi ha telefonato e siamo venuti», Ryan spiega il motivo della loro presenza.
«Quello che non mi spiego è la sua presenza!» Caroline punta l'indice contro Trisha, modula il timbro della voce affinché appaia sprezzante, provocando un ghigno infastidito sulle labbra di Austin.
«Si sta prendendo cura di me, come nessun altro saprebbe fare.»
«Ah, ho capito! Tuo padre l'ha assunta!» Caroline si siede sul bordo del letto e stringe le falangi di Austin, mentre volge uno sguardo pregno di superiorità in direzione di Trisha. «Restiamo noi un po' qui, nel frattempo vacci a prendere qualcosa al bar. Io voglio un the.»
«Alza il culo e vacci da sola al bar!» Austin urla il suo disappunto e riesce a zittire Caroline, «È una mia amica, non la mia badante o la tua cameriera».
«Vado io, prendo qualcosa di caldo per tutti», Ryan interviene per placare l'animo infervorato di Austin.
«Ti accompagno...» Trisha vuole uscire da quella stanza, andare via in punta di piedi, non elemosinare un ruolo che non le spetta.
«Prenditi qualcosa da mangiare. Sei qui da ieri sera, non credo che tu abbia pranzato», un moto di preoccupazione anima la voce di Austin che non bada alle occhiate insospettite della sua ragazza.
Trisha sorride, avverte i battiti aumentare dinanzi all'interesse di Austin, che sembra non vergognarsi più di lei; la ragazza aveva temuto che, alla presenza dei compagni di scuola, le sarebbe spettata l'usuale indifferenza. «Cosa ti porto?»
«Io sto bene così, grazie, Trisha.»
«Ritornate presto, ho poco tempo a disposizione, devo andare agli allenamenti!» Caroline precisa che si fermerà lì per una manciata di minuti, avendo ben altro di cui preoccuparsi.
Trisha si morde la lingua per non risponderle, dirle che è indegna del ruolo ricoperto poiché non vuole impensierire Austin e si avvia all'uscita camminando spedita accanto a Ryan, che cerca il modo di scusarsi con lei. «Scusala, Caroline non sa proprio quando chiudere la bocca.»
«Per come la penso io, dovrebbe chiuderla per sempre!»
Una fragorosa risata erompe dalle labbra del ragazzo, «Mi dispiace, Trisha, per tutto ciò che hai subito per colpa nostra. Sei rimasta tutto il tempo qui? Il signor Rogers ha raccontato a Caroline anche del trapianto, solo una ragazza come te avrebbe fatto un gesto simile per una persona che le ha reso la vita un inferno, ti ammiro.»
«Lo avrebbe fatto chiunque», Trisha giustifica il suo comportamento sminuendolo e Ryan comprende che la ragazza non voglia ricordare né parlare delle umiliazioni subite; arrivano al bar e occupano posto a un tavolo.
«Che cosa vuoi, Trisha?»
«Per me una cioccolata calda. Vorrei portarne una pure ad Austin, la adora.»
«Un caffè e una cioccolata calda al tavolo. Dopo ci prepara una cioccolata e un tè da asporto, grazie», Ryan sorride alla ragazza giunta per prendere le loro ordinazioni.
L'unico argomento di conversazione tra loro, appena rimangono soli, è la malattia di Austin. Un evento a cui Trisha non può smettere di pensare: un batter di ciglia è il rancore verso Austin, amplificatosi nelle ultime settimane, si è dissolto, come se non fosse mai esistito.
«Hai detto a Luke che sei qui?» Ryan le chiede a bruciapelo e nota subito il volto della compagna divenire pensieroso.
«No, è una situazione delicata e non spetta a me diffonderla. Ryan, cosa è successo tra voi? Perché avete smesso di essere amici?»
«Vale lo stesso per me, non posso essere io a palarne. È meglio andare, Trisha.»
I due tornano all'interno dell'ospedale, camminano avvolti in un imbarazzante silenzio, Trisha stringe tra le mani una tazza d'asporto contenente la cioccolata presa per Austin.
«Ce ne avete messo di tempo! Ryan, io ho un impegno, dobbiamo andare!»
Ryan le porge il tè, le rivolge un'occhiata di rammarico e cerca di capire il motivo per cui è uscita dalla camera. «Perché sei fuori?»
Caroline innalza appena i deltoidi e porta il bicchiere alle labbra colorate di rosso. «Era stanco. Non aveva voglia di parlare o ascoltare. Mi ha chiesto di uscire, voleva restare solo.»
«Vado a salutarlo e, poi, ti riaccompagno», Ryan poggia il palmo sulla maniglia e schiude la porta, si fa da parte lasciando che Trisha entri per prima.
«Austin, ti abbiamo portato una cioccolata calda. Spero ti piaccia ancora.»
Austin prova ad alzarsi con il busto, ha lo sguardo fisso sul volto di colei che ha appena varcato la soglia con una tazza tra le mani e portando la luce in quella stanza. «Continua a piacermi tutto quello che ho sempre amato. Se possibile, ancora di più.»
Trisha lo aiuta ad alzarsi, poggiando un altro cuscino dietro le sue spalle. Ryan li osserva con curiosità, scruta i loro gesti fin quando Caroline picchietta sul vetro della porta per sollecitarlo ad andar via. «Ehi amico, adesso accompagno Caroline a casa. Mi dispiace di non esser riuscito a stare un po' con te, ma ci vedremo domani, campione.»
Austin sorride in segno di saluto, «Ti aspetterò».
«Trisha, vuoi un passaggio pure tu?»
«No, aspetterò l'arrivo dei suoi genitori e, poi, andrò via. Se vuole restare solo, attenderò fuori. Grazie, Ryan.»
Austin trattiene il braccio della sua amica e non smette di guardarla, non badando ai saluti di Ryan mentre va via. «No, resta qui con me. Non mi disturbi, anzi, mi fa piacere.»
Trisha porge la cioccolata ad Austin, lui ne beve pochi sorsi prima di rifiutare poiché avverte i primi conati; il giovane torna a tremare, il suo corpo è scosso da brividi persistenti. «Vuoi un'altra coperta?»
Lui scuote la testa, «Ti vieni a stendere accanto a me?»
La ragazza non risponde, lo raggiunge e si sdraia sul letto accanto a lui. Austin poggia il capo sul deltoide di Trisha, le loro braccia s'intrecciano e si lasciano cullare dal silenzio; le palpebre dei due si chiudono lentamente e i respiri diventano regolari quando si addormentano.
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