L'ora della verità

Nuvole di fumo, soffiate da labbra sporte e solcate da crepe, annebbiano il volto perfetto di Austin, la sigaretta è stretta tra l'indice e il medio, la mano sinistra è infilata nella tasca dei jeans mentre la testa è volta all'insù, i tormenti si posano tra le pieghe delle sue ciglia e stralci di passato raggrinziscono la fronte liscia.

Poco distante, Sean Rogers discute con il suo avvocato di fiducia, Brandon Wardy, un uomo basso dalla fronte ampia e addome pronunciato, la puzza del suo sigaro infastidisce le narici di Trisha. Meredith continua a solcare l'asfalto grigio, allunga il collo per scrutare oltre la strada principale, vaglia con fare attento ogni incrocio, ogni via nascosta, sembra che voglia individuare l'arrivo di qualcuno prima degli altri.

Annie è intenta a rimirare suo figlio, quasi a volerne carpire ogni pensiero, colui le cui guance si gonfiano per rilasciare, poi, sbuffi sonori. Il sole inizia a calare, celandosi dietro gli enormi edifici che circondano la periferia di Augusta, mentre attendono di poter entrare nell'ufficio dell'agente Morris.

La vergogna di dover essere osservata ancora da loro lascia spazio alla preoccupazione di ciò che si appresta a scoprire, la confessione di colui che è riuscito in quei giorni ad ascoltare ogni sua silente parola.

Cauta, come attratta da una forza magnetica, Trisha avanza nella sua direzione. È un leggero fruscio che producono i suoi passi, lui non si volta sebbene abbia avvertito la presenza alle sue spalle. «Ho paura che tu possa odiarmi dopo oggi.»

«Ho paura di non riuscire mai a farlo», una verità scomoda si posa sulla bocca di Trisha e arriva alle orecchie di Austin, che volge mezzo profilo verso lei e agguanta la sua mano, i loro palmi si scontrano, emettendo vibrazioni che fanno tremare i polsi.

L'agente Grey fa capolino dalla porta d'entrata, non prima di aver rimirato il suo corpo attraverso il vetro e aver sistemato con la mano lo chignon,benchè non ve ne sia bisogno, «Signori, potete accomodarvi. Non tutti, solo chi è davvero necessario.»

«Sean, andiamo io e Austin», l'avvocato pronuncia austero la sua decisione.

«Viene anche lei!» per la prima volta durante la sua intera esistenza, è il tremore a scandire ogni lettera pronunciata da Austin e nessuno fiata per contrastarne la volontà.

L'onta accompagna i passi di Trisha, mentre uomini e donne posano la loro curiosità su lei, sguardi malcelati, sopracciglia inarcate e bisbigli incessanti: dinanzi ai loro occhi, sfila la giovane che aveva acconsentito a ogni pena inflitta, ogni tortura meditata, ogni offesa logorante.

Lei avverte ogni loro pensiero colmo di disprezzo, vacilla al rumore dei loro giudizi, un cigolio lento rimbomba tra le costole incrinate, il sangue inonda il suo palato mentre un braccio affonda sulla sua spalla, diventando la corda cui aggrapparsi. Le unghie della mortificata penetrano nella carne delle braccia di Austin. «Portami via!»

I palmi del giovane accolgono le sue guance impallidite, un formicolio investe tutto il volto di Trisha. «Ti porto ovunque tu voglia, ma è tutto nella tua testa, nessuno ti sta giudicando. È l'ora della verità, Trisha, non tiriamoci indietro.»

Baci umidi si posano sulle palpebre chiuse, i petti si sfiorano e battiti tumultuosi spezzano il silenzio intorno a loro.

Le unghie prive di colore tirano con foga i fili del jeans strappato, lì sulla curva del ginocchio, mentre Morris scruta il volto di Austin, seduto accanto a lei, «Non avevi detto di non conoscerlo?» Trisha percepisce lo sguardo del poliziotto inchiodarla, mentre il suo è ancorato su quei fili bianchi, spiegazzati, frastagliati, così simili a lei.

«Agente Morris...»

«Avvocato, la sua assistita ha mentito su una questione di vitale importanza e vorrei capirne il motivo!» Morris zittisce l'intervento dell'avvocato, la cui figura sovrasta alle spalle dei due inquisiti, è un'ombra che si staglia sul legno lucido della scrivania del poliziotto.

«Sono qui per spiegarglielo, agente. Trisha, invece, è qui per ascoltare quello che ho da dire. È vero, ha mentito e l'ha fatto per proteggermi. Non basterebbe una vita per spiegare quello che ci unisce, ciò che siamo disposti a fare l'uno per l'altra. Vuole la verità? Ascolti me, evitando ogni accusa contro Trisha.»

La sedia di Austin si sposta per avvicinarsi a quella di Trisha, i piedi strisciano sul pavimento e la mano blocca il dondolare della sua gamba. Il viso di Morris si muove lento, arriccia le labbra e muove la mano per invitare Austin a parlare, mentre tra le dita una matita danza veloce.

«Il mio nome è Austin Rogers e vivo a Bar Harbor, nella stessa casa di Trisha perché sua madre lavora come governante della mia famiglia da più di quattordici anni. Trisha ed io siamo stati amici sin da bambini, solo l'inizio del liceo ha separato le nostre strade. Ero innamorato di lei e avevo sofferto quando avevo intuito la sua cotta per un ragazzo dell'ultimo anno, lo stesso che, stando al vociferare degli studenti, spacciava droga nel nostro istituto.»

Il fiato trattenuto da Trisha sferza l'aria intorno al suo volto, è un racconto ascoltato osservandolo con la coda dell'occhio fin quando aveva professato il suo amore per lei. Lì, le sue iridi si erano riempite della paura che aveva animato il viso di Austin.

«Vada avanti!» poco incline a sopportare inutili interruzioni, Morris lo esorta a proseguire.

«Ho tormentato tutti i suoi giorni, era l'unico modo che avevo per renderla invisibile a coloro che infestavano la nostra scuola con il loro marciume. Non è bastato, uno di loro, che nel corso degli anni si era susseguito al comando di quel gruppo di delinquenti, aveva notato Trisha, quasi due anni fa. Voleva agganciarla e, per farlo, servirsi della ragazza di chi, all'epoca, era mio amico: Roxane Clarke, sua collaboratrice nello spaccio di droga. Avevo udito una loro conversazione, scoprendo così tutto. Quella sera abbandonai ragazza e amici nel locale per seguire Roxane, volevo capire le loro intenzioni. La sua auto si fermò in una vecchia discarica, restò lì ferma per circa dieci minuti e, quando scese dall'auto traballante, mi fu chiaro il suo stato, era sotto effetto di stupefacenti. Non ebbi modo di parlarle, si accasciò al suolo. Ebbi solo la forza di spostare il suo corpo, le foto in suo possesso mi ritraggono quel momento, prima di andar via per allertare qualcuno. L'ho lasciata per il tempo di arrivare alla prima cabina telefonica poiché il cellulare lo avevo dimenticato al locale, poco più di dieci minuti prima di tornare lì e attendere i soccorsi. Roxane non c'era più, andai via spaventato. Il giorno dopo, i telegiornali mandavano in onda le sue fotografie. La polizia aveva rinvenuto il suo cadavere poco distante dal luogo dove l'avevo spostata, dopo essere stata percossa a morte.»

Una lacrima solca lo zigomo pronunciato, laddove il polpastrello dell'indice di Trisha la raccoglie, permettendole di entrarle nella carne e fondersi con essa.

La testa affonda sul petto di Austin, la mano stringe la camicia immacolata e lascia che il ticchettio accelerato del cuore riecheggi nel suo orecchio. Il viso della ragazza s'innalza lento per consentirgli di leggere due parole mimate appena: «Ti credo».

Spazio autrice
Alcuni capitoli fa, vi avevo chiesto di tenere a mente la scena di Austin, appena quattordicenne, entrare nella camera di Trisha il giorno prima dell'inizio del liceo.

Ora, vi chiedo di ricordare, sempre fino alla fine, l'immagine della ragazza percossa e abbandonata nella discarica.

Anche quando sembrerà tutto finito.

Il capitolo non doveva terminare così ma sarebbe stato troppo lungo. A breve, arriverà il continuo.

Meredith aspettava l'arrivo di qualcuno. Chi?

A presto
Baci
Mariarosaria

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