Quel che manca

Buonanotte, amore mio. Ti abbraccio.

Il tuo ultimo messaggio, e il telefono si spegne. Tutto cambia in un istante.

Eri accanto a me, fino a pochi attimi fa. Eri un presenza vaga, senza carne, ma non per questo meno vera. Ti sentivo alitarmi sul volto col tuo fiato leggero: bastava quello a tener viva la fiamma che mi bruciava dentro.

Tante cose cambiano in un minuto. Ora sono sola. Per quel che ne so, potresti esser divenuto altro: una manciata di polvere, un fumo che si espande e si dissolve... Qualunque cosa che non sia quel corpo e quello spirito a me tanto cari. E se anche fossi certa che ci fossi, quella tua esistenza sarebbe ora ancor più fulgida e immensa di quanto ricordi, e il non poterla contemplare mi addolora più di tutto.

Resto qui, come un feto rannicchiato sotto le coperte fredde, cercando invano di scaldarmi. Sono pietra le spalle, le ciglia mi pizzicano.

Mi ritorna alla mente la strofa di una vecchia canzone: "Quando ami, ridoni al tuo corpo quel che manca per riempire un abbraccio". Vorrei sentirlo davvero, quell'abbraccio che mi mandi. Vorrei abbandonarmi al suo tepore, vorrei che non fosse solo una parola. Vorrei liberarmi da questa gelida assenza e spiccare il volo, come una colomba in primavera, verso te.

Purtroppo, però, quest'amore ci condanna alla mancanza. Vuol dire forse che è meno amore di tanti altri amori ricolmi?

No, mi dico, non è così. Per protesta a quel pensiero sacrilego, la fiamma sopita si riaccende. I miei occhi esplodono, e violenti annegano nel pianto, cercando di placare con il loro maremoto questo fuoco. Mi stringo forte, mi accarezzo le braccia. È come se, abbracciando me stessa, potessi arrivare da te e cingerti con tutto il mio amore. È come se io fossi tu.

Resto così, avvinghiata alla tua essenza, per un tempo che mi trascina al cospetto di Morfeo. Il sonno è più oscuro della notte, ma all'improvviso s'irradia di luce.

M'invadono il profumo del verde e dell'azzurro. Sono su un prato sconfinato, baciato da un sole che ravviva il silenzio.

Sul cuore di questo mondo solitario, si erge una grande quercia. Le sue foglie, vive e fruscianti, ricreano la cupola di un padiglione.

Riconosco quella lignea colonna, quasi che l'avessi vista già, in un tempo ormai sfumato. La folta chioma è adorna di ghiande, simili a vezzi di perle. I rami, spessi e massicci, sono braccia irrorate da vene pulsanti; laddove questi arti confluiscono nel tronco, riconosco gli incavi di due ascelle, coperte di muschio. La corteccia è pelle scolpita da cicatrici.

Nel verde brillante delle foglie, scorgo il fondo di un paio di iridi. È solo allora che capisco di averti innanzi a me.

Ti stringo. Le mie braccia sono troppo corte per cingere quel tuo corpo massiccio. Un dolce tepore mi irrora a quel contatto; è come rinascere dopo aver galleggiato per tutta la vita nella morte.

Il fruscio del vento si fa intenso. Ti sento parlare in una lingua senza grammatica e piena di sospiri. È una melodia delicata, di quelle che ti camminano sulla pelle. Sotto i miei piedi, le tue radici fremono e rimbombano come un cuore pulsante. Sento il sangue fluirmi in corpo, caldo e vigoroso: una linfa che ricolma il vuoto, un tripudio di stelle che mi accendono come un universo sconfinato.

Sono felice di poterti abbracciare, almeno nei sogni. Sono felice di poter avvolgere la tua fisicità, seppur trasfigurata. Sono felice di sapere che, anche se non mi sei accanto, non mancherai mai.

Buongiorno, amore mio. Ti abbraccio.

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