VIII. Il metro del cuore

La stagione di scavi s'avvia al suo termine, baciata dal tiepido sole settembrino. La domus ha ormai preso forma; sono stati rinvenuti ampi locali con sezioni di pavimentazione e muratura ben conservate, una quantità di vasellame ed oggetti d'uso quotidiano, qualche pezzo monetario del periodo imperiale, opere d'arte scultorea e orafa e, soprattutto, altri frammenti. Ne ero stato già il traduttore nei mesi estivi, ma adesso sono riuscito ad ottenere tutto il materiale per proseguirne gli studi durante le stagioni più fredde.

È stato rinvenuto anche un piccolo frammento di una celebre poesia di Archiloco di Paro, che riporterò nella mia versione:

"Ma godi delle gioie e sdegnati per i mali, non troppo però:

conosci il ritmo che governa gli uomini."

Parole che si sposano alla perfezione con quanto detto in precedenza, ma ciò che mi interessa maggiormente è il ritmo. Nella poesia il suo potere, imbrigliato dalle leggi metriche, gioca un ruolo fondamentale e gli antichi lo sapevano: non di rado il canto poetico era scandito a ritmo dalla musica e persino oggi la cadenza di una lettura metrica ben fatta pare fluida e naturale alle nostre orecchie. Lo stesso accade, in misura minore nella nostra lingua:

"Un cane latra, inascoltato.
Un bambino piange, maledetto.
Una radio gracchia le sue note, rauche.
Una lampada s'illumina, a mezzanotte"

"Un cane latra  inascoltato
Piange d'un pianto infame un bimbo.
Rauche le note d'una radio.
È accesa una luce, di notte."

È timido, appena accennato, ma chiaramente percepibile un ritmo in novenari nella seconda composizione. Mi pare troppo bistrattata la metrica italiana, un mero retaggio del passato, che non può più insegnare nulla. Eppure, giocando con rime e assonanze, uscendo dai vecchi, rigidi schemi, è ancora una cadenza piacevole da ascoltare, una musica che suona a ritmo coi nostri cuori.

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