Storia II - "Fango sporco d'amore"

Storia scritta il 20 maggio 2017



«Chi è? Nate, sei tu? Cosa...?»

La sua figura, al di là della tenda della doccia, appare e scompare come una medusa; in tutto quel vapore, mi sembra di diventare una particella.
Sono una vita nata morta; qualcosa che non può esistere, quando non c'è lei.
Certo, non me ne sono accorto presto.


Colmo la distanza di pochi passi, apro la tenda, e lei è lì.
Gocce le scivolano lungo il corpo, come rugiada su uno stelo: il ventre piatto, il piccolo seno e qualche foglia ancora nei capelli, briciole di un passato che sento scivolare via anche dalle mie mani, oltre che dalla sua pelle.
«Stai... cosa stai...» balbetta, tentando di coprirsi con le mani. Gli occhi verdi sono colmi di stupore, i capelli castani le muoiono sul corpo in modo disordinato, cadendo sulle sue forme.

Entro nella doccia, poggio le mani sulla sua schiena e la bacio. Le sue labbra sono così calde che una sensazione bollente mi si appiccica addosso come salsedine: e io ho sempre amato il mare.
Lo amavo quando lo vedevo da bambino, da dietro la finestra della piccola baita che noleggiavamo con i miei genitori. Mamma mi diceva sempre che era il nostro piccolo angolo di paradiso: ma non sapeva che, proprio lì, avrei incontrato lei. Che sarebbe diventata lei il mio paradiso... E contemporaneamente l'inferno più terribile. Fuoco e ghiaccio: era capace di farmi venire con uno schiaffo.


La bacio più forte, schiudendo la bocca sulla sua: ho così voglia di lei che a stento respiro. L'acqua della doccia mi corre addosso e mi percorre dalla testa ai piedi, inzuppandomi tutti i vestiti. Le sue mani premono sul mio petto, all'inizio con forza, ma poi cede: si abbandona completamente, smettendo di opporre resistenza. La tiro su per le gambe, lei si appoggia alla parete di piastrelle: un piccolo gemito scappa dalle sue labbra. La superficie dietro di lei è così fredda che anche io, toccandola con la mano, ho un brivido.
Ma forse non è di freddo.


Compongo una linea di baci dal lato destro delle sue labbra fin sotto il collo e la stringo a me con forza. Mi sento come se fossi in una bolla di sapone.

Tutto questo mi ha travolto.
Lei, mi ha travolto.

«Nate... Nate!» mi spinge via, esce dalla doccia e mi lascia solo sotto l'acqua, a fissare la parete in mattonelle azzurre. Ho i vestiti ormai da buttare e le scarpe, piene di fango, hanno macchiato tutto: dal tappeto prima della vasca alla tenda. La terra scorre insieme alle foglie verso lo scarico, come il sangue nei film horror.


«Ti prego, non voglio più...» la sento sussurrare, dietro di me. Mi volto: ha preso un asciugamano e si copre anche il volto.
Le vado vicino, uscendo dal getto d'acqua: mi sento le gambe di piombo. Le levo l'ultima foglia incastrata fra i capelli.


Ci siamo rotolati nel bosco come quando eravamo bambini, durante l'acquazzone di poco fa. E pensare che non ci vedevamo da cinque anni. Sentire i suoi occhi addosso mi ha fatto del male fisico, mi ha impresso a fuoco, marchiato.


«Non vuoi più... me?» le chiedo. Ho bisogno di saperlo. Ho bisogno di sentirlo. Di averne conferma. Forse me ne farò una ragione.
«L'hai uccisa. Davanti a me Nate. Tu l'hai uccisa. Io ancora me lo ricordo, Nate. Lei era... era...»
La sua voce è flebile e piena d'orrore. La stringo forte, ma lei scappa alla presa, sguscia via: l'asciugamano cade a terra e io la trattengo per un braccio. «Per favore.» supplico.
La figura del suo corpo nudo di fronte a me mi fa perdere qualche battito, come sempre.
«No. Non...»


La tiro un poco verso di me e lei si volta di nuovo a guardarmi. I suoi occhi sono lo stesso colore del vapore intorno a noi, nuvole di fumo e nebbia. Allora scollego il cervello alla bocca e faccio parlare il cuore: «Io ti amo. Io ti amo, non mi importa quello che pensi di me. Io ti amo e lo so che è stato tremendo. Ma io non intendevo... Lo sai. Se guardo la mia vita adesso, mi rendo conto di quanto è vuota da quando non ci sei. Mi sento come la baita sulla spiaggia dove andavamo da ragazzi a fare l'amore, ti ricordi? Mi sento come quella in questo momento. Vuoto, Clare. Vuoto. Mi sento fatto di assi di legno marcio che si corrodono a ogni secondo che passa.»
Mi posa un dito sulle labbra. Fa un sospiro tremante e sento la sua schiena vibrare sotto il mio palmo. Si porta una mano dalle dita candide e affusolate sulla bocca. Ha delle lacrime che le solcano le guance e gli occhi impastati di mascara colato. Ma è comunque così bella, da fare evaporare le stelle, sotto il suo cospetto.

«Per favore, Nate. Io devo resistere a tutto questo. Non posso.»
«Perché?» chiedo, esasperato.
«Perché tu mi fai paura!» urla, all'improvviso, scansandosi e scappando. Spalanca la porta del bagno e corre via.


Ma io chi sono per inseguirla? Che diritto ho? Ci ho provato: ho fallito. Non ha più senso continuare. Tutte le realtà che ho dentro sono appena bruciate in un rovo di sterpi e foglie arse; dimenticherò. Dimenticherò l'altalena arrugginita sulla quale la spingevo e la facevo andare in alto quando mi chiedeva di toccare il cielo. Dimenticherò quel giorno che si mise vicino a me di banco, che mi sussurrò all'orecchio che aveva voglia di non lasciarmi mai. Mi dimenticherò di quel giorno in gita sul battello, quando guardava la Statua della Libertà e il sole giocava coi suoi capelli, come avrei voluto fare ogni giorno, facendomeli scivolare fra le dita. Dimenticherò il papavero che raccolsi e le misi fra i capelli, le risate e il sapore della sua figura quando guarda l'oceano: perché lei è sostanza anche quando respira. La sento come un sapore pungente, mi attanaglia lo stomaco e lo chiude a botola: non può entrare altro che lei.


Non so quanto tempo passo fermo lì ad osservare il fango crogiolarsi nell'acqua ormai sparsa sul pavimento, ma lei torna. Torna, si affaccia, mi guarda. E allora mi tiro un po' su per guardarla anche io. Ma non ho il coraggio di fissarla negli occhi.
Le sue gambe lunghe, le ginocchia piene di sbucciature e lividi. La osservo pian piano come si guarda qualcosa di irraggiungibile e mi sento profondamente colpevole di questa impossibilità.
L'ho creata io. Solo io.


«Nate.»
Solo quello. Solo il mio nome, dice. Abbasso ancora la testa. Vorrei sprofondare, parte del fango.
«Sì, ho capito, me ne vado, Clare.»


Mi alzo, mi trascino verso la porta di ingresso, rimasta spalancata da quando la avevo aperta con foga.

Faccio un passo e ne mancherebbe un altro, solo un altro, per essere definitivamente fuori.
Fuori da lei.
Fuori da noi.


Ma una voce mi trattiene: «No, Nate.»
Mi volto.
«Fai l'amore con me.»

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