1. La Forza Dell'acqua

Era la mattina del ventidue marzo e Lidia stava mangiando una fetta di torta seduta sul tavolo della cucina, come la tradizione familiare comandava. Tre giorni all'anno, la ragazza si svegliava grazie al profumo intenso della cioccolata. E quel giorno, quel profumo era per lei. La cucina abbastanza ampia con quasi tutti i mobili fatti in legno d'acero, dava alla quindicenne la piacevole sensazione di trovarsi in prossimità di un albero. L'odore del legno nuovo si mischiava al profumino invitante che ancora usciva dal forno. Se chiudeva gli occhi, le sembrava di essere nel suo più grande sogno: passare il giorno del suo compleanno in una casa sull'albero. Divenne improvvisamente triste.

Non avrebbe potuto festeggiare quel giorno in qualche posto, insieme ai suoi genitori, tutti e tre assieme. Di lì a pochi minuti, si sarebbe incontrata alla stazione con suo padre per andare a Milano. Nel pomeriggio, avrebbe raggiunto i suoi compagni di squadra in una pista all'aperto davanti al Duomo che avevano creato durante l'inverno e che sarebbe stata disinstallata a breve. Infine la sera, l'avrebbe passata con sua madre. Sospirò.

Appena ebbe finito di fare colazione, andò in camera sua a prendere lo zaino dentro il quale aveva messo tutto ciò che poteva servirle durante quella giornata. La camera di Lidia era al piano di sopra, esattamente in corrispondenza della cucina. Il parquet in legno d'ebano scricchiolò sotto i suoi piedi appena varcò la soglia, per darle il benvenuto. Andò vicino all'armadio, aprì la finestra, mise la testa fuori e prese un bel respiro. Quella mattina l'aria aveva il dolce aroma dell'erba appena tagliata.

Aprì l'armadio e tirò fuori il suo zainetto preferito, quello celeste con le orecchie da gatto. Lo aveva già preparato la sera prima, mancava solo una bottiglietta di acqua fredda da frigo. Andò a svegliare il suo gattino, Nevino, che era nella cuccia sotto la sua scrivania. Decise di portarlo con sé, in fondo era ancora di una taglia molto piccola e poteva stare comodamente nello zaino. La palla di pelo, bianca come la neve in montagna, le diede il buongiorno leccando la mano che lo stava accarezzando.

«Sveglia dormiglione. Oggi ti porto a vedere una bellissima città. È un po' lontana da qui, ma sono sicura che ti piacerà. Si chiama Milano. È dove abita il mio papà.» Disse mentre si metteva lo zaino sulle spalle e prendeva il micetto.

Gli fece un po' di coccole, mentre scendeva nuovamente in cucina per prendere l'acqua. Si mise le scarpe, che erano vicine alla porta, e poi uscì di casa, avviandosi alla stazione per la prima tappa della giornata.

Mentre percorreva le strade della sua città natale, la mente di Lidia fu sopraffatta da diversi pensieri e ricordi.

La ragazza viveva in Liguria, precisamente ad Albissola Marina, famosa per la lavorazione della ceramica. A lei piaceva il posto dove viveva, ma il suo sogno era quello di vivere in un'isoletta in mezzo all'acqua. Nonostante fosse una ragazza molto vivace, le era sempre piaciuta la tranquillità. E quale posto migliore, se non un'isola abbracciata dal mare?

I suoi genitori erano separati sin dalla sua nascita, da ben quindici anni. Lei viveva con sua madre, Viola, in Liguria e ogni tanto andava da suo padre, Davide, a Milano. Ma la cosa più strana è che si volevano ancora tanto bene. Infatti erano proprio loro che organizzavano degli incontri tra tutti e tre. Quando si vedevano si comportavano come se fossero fratello e sorella. Erano evidentemente molto legati tra loro e Lidia non capiva il motivo della loro separazione.

Le avevano regalato Nevino da un paio di giorni, in occasione del suo quindicesimo compleanno. Lei aveva promesso che se ne sarebbe presa cura come fosse suo figlio. Quando vide per la prima volta gli occhi del nuovo arrivato ebbe un colpo al cuore: aveva i suoi stessi occhi, color azzurro ghiaccio. A differenza degli altri gatti, adorava giocare nell'acqua.

Cosa molto strana. Ma ancora più strano era il fatto che quella mattina lo aveva sentito parlare. Ne era assolutamente certa. Aveva detto qualcosa di strano, molto strano. Ma di curioso, soprattutto per Lidia. Non solo perché la curiosità era una delle sue qualità, o difetto in base al punto di vista. Ma soprattutto perché riguardava lei. Oggi saprà tutta la verità. Questo aveva sentito.

Immersa nei suoi pensieri, non si accorse che era quasi arrivata in stazione. Nonostante fosse sopra pensiero lo capì per l'odore pungente dei gelsomini, la specialità di una fioraia che aveva il negozio lì vicino. Stava per liberare la mente quando pensò al motivo per cui il padre le avesse chiesto di incontrarla proprio lì. Di solito lei faceva il viaggio da sola e lui la veniva a prendere alla stazione di Milano.

Entrò e mentre si dirigeva verso la banchina per aspettare il treno stava per chiamare il padre quando lo vide. Era seduto su una panchina, che controllava il telefono, mentre i suoi folti capelli marroni gli scendevano sugli occhi..

«Ehy papà! Pensavo che saresti venuto a prendermi alla stazione di Milano. Che cosa ci fai qui?» Disse Lidia avvicinandosi.

Sentita la voce della figlia, Davide si avvicinò per abbracciarla. L'uomo aveva una corporatura robusta, che fece sentire la ragazza molto piccola. Sciolto l'abbraccio le porse una rosa blu con sfumature azzurre, mentre le sorrideva con dei dolcissimi occhi color nocciola. Lidia era così vicina da poter cogliere le sfumature verdi, che amava tanto negli occhi del padre.

«Questo è per il mio piccolo fiore anche se so che nessuno di essi potrà mai eguagliare la tua bellezza.» La ragazza prese la rosa che sembrava fatta di ghiaccio. La riconobbe subito: le vendeva la fioraia dei gelsomini.

«Mi trovavo qui per motivi di lavoro e ho pensato di farti una sorpresa. Abbiamo ancora cinque minuti prima che arrivi il treno. A Milano andremo al tuo sushi preferito e a fare shopping. Sono perdonato per non essermi fatto vivo per due mesi?» Chiese mentre Lidia si sedette vicino al padre.

«È il più bel regalo che mi abbiano mai fatto. La rosa è stupenda. Certo che sei perdonato.» Disse lei mentre un fischio segnò l'arrivo del treno.

Durante il viaggio, la giovane parlò con il padre di diversi argomenti, aggiornandolo su quello che succedeva a scuola e agli allenamenti di pattinaggio. In risposta, il padre le raccontava del suo lavoro. La strada da fare era molta e infatti dopo circa tre ore arrivarono a Milano. Scesero dal treno e camminarono fino a raggiungere il ristorante di sushi che per fortuna era solo a un minuto di distanza dalla stazione centrale. Lidia ogni tanto si perdeva nell'ammirare le fantastiche vetrine di Milano, facendo talvolta delle facce talmente buffe che Davide doveva trattenere le risate limitandosi a sorridere.

Entrarono e una parete fatta di rampicanti li accolse. Dopo che un cameriere li accompagnò al loro tavolo, Lidia decise di raccontare al padre del sogno fatto quella notte. Era lo stesso che faceva tutti gli anni al giorno del suo compleanno. Così, dopo aver cambiato idea molte volte, abbassò il menù per guardarlo negli occhi. Lui la stava già fissando ma lei non rimase sorpresa: suo padre non aveva bisogno del menù per sapere cosa ordinare.

«Papà posso raccontarti una cosa?» Chiese guardandolo seria in viso.

«Certo tesoro, dimmi. Di che si tratta? Altre lamentele sul prof di matematica?» Rispose Davide con un piccolo sorriso.

«Non proprio.» Rispose mentre scuoteva leggermente la testa e accennava un sorriso. Poi tornò subito seria. «Si tratta di un sogno. Un sogno speciale, che faccio sin da quando ho memoria, il giorno del mio compleanno. L'unico sogno che non vi ho mai raccontato.» Ammise Lidia abbassando leggermente lo sguardo.

Davide diventò improvvisamente serio e si avvertiva nell'aria la tensione. «Ti ascolto.» Rispose e la figlia iniziò a raccontare.

«Nel sogno sono in un bosco. Non è nessuno di quelli in cui mi hai portato da piccola, questo è diverso. Non ci sono montagne attorno e gli alberi sembrano quasi messi in file. Le foglie con i colori autunnali sono stesi sul terreno e gli alberi sono spogli. È notte e sarebbe completamente buio se in cielo non splendessero la luna e le stelle. Ho un bellissimo abito bianco corto davanti e lungo dietro con un lunghissimo velo azzurro ghiaccio che parte dalle spalle. È tempestato di pietre preziose che hanno tutte le sfumature dal blu intenso all'azzurro ghiaccio. I miei capelli sono raccolti in una coda alta e sopra di essi c'è una tiara che sembrava fatta di puro ghiaccio. Infine ho delle scarpe di cristallo uguali a quelle di Cenerentola.

C'è una voce che mi chiama. Penso e spero sempre che sia solo il vento ma alla fine decido di seguirla. La voce mi porta in un luogo che sembra abbia la forma di un fiocco di neve. Questa volta il terreno è libero e gli alberi hanno le foglie con colori diversi, sfumati come le pietre sul mio velo. Appena metto un piede sul terreno, esso si ricopre di ghiaccio e le scarpe diventano dei pattini bianchi. Papà, mi sembra sempre di essere in una di quelle fiabe che mi raccontavi da piccola. Ad un certo punto vedo una figura muoversi velocemente tra gli alberi. Di solito mi diceva che a tempo debito avrei saputo tutto. Ma stanotte ha detto che era il momento della verità. E come tutti gli anni, quando sta per iniziare a parlare, mi sveglio.» Tornò a fissarlo negli occhi, mentre staccava le bacchette.

Davide era senza parole, non aveva mai ascoltato un racconto così magico. Mentre la sua bambina raccontava del sogno, lui aveva compilato l'ordine e lo aveva consegnato al cameriere. Le prime portate stavano iniziando ad arrivare. La ragazza si aspettava una spiegazione da suo padre, ma non arrivò. Divagò un po' sull'argomento e si misero a parlare di altro. Mentre mangiavano, Davide era diventato più nervoso e Lidia lo aveva capito bene: di solito accompagnava il sushi con della salsa di soia, ma quel giorno lui non l'aveva neanche sfiorata.

Usciti dal sushi andarono a fare shopping, come da programma. Lidia sapeva benissimo in quale negozio andare. Aveva visto su Internet un vestito che le interessava moltissimo. Il negozio era pieno di lucine colorate e una vasta varietà di capi di abbigliamento. Dopo qualche minuto, la ragazza trovò quello che cercava e si diresse verso i camerini per provare l'abito.

Era un bellissimo vestito blu notte a pallini bianchi con una luna argentata nel petto. Aveva intenzione di metterlo durante gli allenamenti. Mentre se lo provava, Davide stava fuori dal camerino pensando al sogno della figlia. Era il momento di dirle la verità. Quando Lidia uscì dal camerino sembrava uscita da una fiaba. Era stupenda. Il padre era sbigottito e le fece vari complimenti; Lidia tornò nel camerino per togliersi il vestito. In quei minuti Davide chiamò Viola.

«Viola, ho deciso di dire la verità a Lidia. So che da programma glielo avresti detto tu questa sera. Ma prima, a pranzo, mi ha raccontato del sogno che fa tutti gli anni al suo compleanno. Quel sogno. Il sogno premonitore. E mi è sembrata molto turbata.»

«Tranquillo, diglielo pure. Sappiamo bene che questo compito spettava a solo uno dei due. Meglio che glielo dica tu, prima lo sa meglio è. Soprattutto se ha tirato fuori lei l'argomento. Se avrà qualche domanda potrò rispondere io. Mi raccomando, non essere troppo frettoloso e non tralasciare niente.»

Usciti dal negozio, Lidia si sarebbe dovuta incontrare con gli amici alla pista di pattinaggio e Davide si offrì di accompagnarla.

«Sai, non è strano che tu faccia sempre quel sogno. C'è una cosa che devi sapere.» Incominciò il discorso. Lidia fremeva di eccitazione e curiosità. Lo sapeva, aveva sempre saputo che si nascondeva un segreto dietro al sogno.

«Lidia, tu in realtà sei la figlia di una Ninfa che vive in fondo all'oceano. La Ninfa ti ha donato dei poteri magici che si sono evoluti nel tuo corpo fino ad oggi. Oggi, nel giorno del tuo quindicesimo compleanno, uno dei tuoi custodi, o io o Viola, ha il compito di dirti tutto. Prima ne ho parlato con lei e ha acconsentito che fossi io a svelarti tutto. Mentre il tuo protettore deve istruirti, mettersi in contatto con gli altri protettori, formare una squadra e aiutarti a controllare il tuo potere durante la tua prima battaglia.» Quando il padre terminò Lidia pensò fosse uno scherzo, ma la faccia di Davide non dava proprio l'idea di scherzare.

Il panico l'assalì. Non si sarebbe mai immaginata nulla di simile. Lei aveva dei poteri? Quali? E come mai non si erano mai manifestati, neanche in piccola parte? I suoi genitori non erano i suoi genitori, erano solo custodi. E allora chi erano? Da dove venivano? E soprattutto, perché tutto questo a lei, una semplice ragazzina sconosciuta al mondo.

«Quindi io sono la figlia di una Ninfa, ho due custodi, un protettore e dei poteri magici? Ma se tu e Viola siete i miei custodi, chi dovrebbe essere il mio protettore?» Chiese mentre si guardava in giro, alla ricerca di qualcuno che magari la stava osservando.

In quel momento Nevino sbucò dal suo zaino e disse con un tono esaltato «Sono io! Sono io il tuo protettore!» Lidia per poco non si mise a urlare. «T-tu parli!? Allora questa mattina non mi sono sbagliata!»

«No Lidia, non ti sei sbagliata. Io e Viola ti abbiamo consegnato il tuo protettore tre giorni prima del tuo compleanno come dicevano le regole. È per conoscervi meglio.» disse Davide calmo e felice per aver finalmente detto tutta la verità. Il Duomo si stagliò imponente davanti a loro. «Ecco, ora sei arrivata alla pista, porta sempre con te Nevino e fai attenzione. Ti voglio bene.» Le diede un bacio fra i capelli e poi Davide si allontanò fino a sparire tra la folla.

«Aspetta! Qual è il mio potere?» Chiese urlando Lidia, per poi tapparsi subito la bocca con una mano. Si guardò intorno ma per fortuna nessuno si era accorto di lei. Non riteneva saggio far sapere a tutti quel segreto. «Hai il potere di controllare l'acqua in tutte le sue forme. E ora sbrigati, i tuoi amici ti stanno aspettando. Non ti preoccupare, ne parleremo più tardi. E mi raccomando, acqua in bocca!» Disse Nevino mentre rientrava nello zaino. Lidia mise via tutti i pensieri e raggiunse gli amici sorridente.

Noleggiarono tutti un paio di pattini e si lanciarono in pista. Era diversa da quella della scuola: questa era più piccola e quadrata rispetto a quella grande e rettangolare a cui erano tutti abituati.

Quando Lidia pattinava sul ghiaccio nulla la fermava se non il ghiaccio stesso. Amava pattinare: sentiva di poter comunicare col ghiaccio come fosse un vecchio amico e ora aveva capito il perchè. Le altre persone che erano lì, guardavano ammirati le complicate coreografie di quel gruppo. Verso le quattro e mezza iniziò a fare buio.

«Che strano, così presto? Ieri è iniziata la primavera, le giornate dovrebbero allungarsi.» Esclamò Gioele, uno dei quattro ragazzi che facevano parte della squadra. Ad ogni modo, decisero di tornare tutti a casa e di vedersi al prossimo allenamento che era due giorni dopo.

Lidia si era messa d'accordo con la madre che la sarebbe andata a prendere in stazione ad Albissola verso le otto. Era ancora presto così decise di passare a prendere il suo gelato preferito. Dopo poco, mentre reggeva un cono a due gusti, la ragazza si avviò alla stazione. Il padre le aveva insegnato una scorciatoia per arrivare al binario con almeno mezz'ora d'anticipo. Imboccata la strada, mentre assaporava il dolce sapore del Bacio misto a quello acidulo dello Yogurt, alzò lo sguardo al cielo.

Vide un puntino luminoso in cielo e pensò fosse una stella. Ma era ancora troppo presto e infatti il puntino iniziò a muoversi: era solo un aereo. Pensò alle stelle. Aveva studiato da poco che le stelle erano fatte principalmente da idrogeno, sotto forma di plasma, mentre sulla Terra quest'ultimo è scarsamente presente. Il suo nome significava "generatore d'acqua"... Generatore d'acqua.

Nella mente di Lidia scattò qualcosa: improvvisamente volle provare il suo potere. Così, dopo aver dato l'ultimo morso al cono gelato, tirò fuori Nevino dallo zaino e gli chiese se per lui andava bene.

«Ma certo! Anzi prima iniziamo meglio è! Allora prova a fare un piccolo movimento con le mani. Vedi quel vaso di fiori lì?» Chiese il protettore. La ragazza annuì, sorridendo leggermente nel vedere che erano rose. «Bene. Prova a creare una piccola bolla d'acqua e trasportala fino al vaso.» Lidia non sapeva cosa fare, soprattutto come mettere le mani, così seguì l'istinto.

Congiunse le mani come se stesse pregando all'altezza della testa china con gli occhi chiusi per concentrarsi. Si fermò in mezzo alla strada, che per sua fortuna era vuota. Nevino le stava appoggiato sulla spalla e la fissava. Quando si sentì sicura alzò lentamente la testa ed aprì gli occhi. In quel momento chiunque l'avesse vista in faccia si sarebbe spaventato perché nelle sue iridi si vedeva l'acqua scorrere. Allargò piano piano le mani, cercando di modellare una sfera. Sentì le mani diventare fredde e qualcosa formarsi tra loro ma si sforzò di non guardare per non deconcentrarsi.

Dopo poco si fermò e guardò la sfera che aveva creato: era molto più grande di quello che pensava. Riusciva quasi a specchiarsi nell'acqua lucente, mentre con un lento gesto delle mani portò la sfera verso il vaso di fiori. Lidia guardò Nevino e in quel momento i suoi occhi tornarono color azzurro ghiaccio.

«Wow, sono senza parole... Si vede che ti sei concentrata molto. Non male come primo allenamento!» Lidia sorrise compiaciuta ma non ebbe neanche il tempo di fare una domanda che un tuono la fece sobbalzare.

La pioggia iniziò a cadere, prima piano e poi sempre più forte. Lidia mise subito il suo protettore nello zaino, per non farlo bagnare, mentre coprendosi un po' la faccia con le mani, voltò lo sguardo verso il cielo nero. Un rumore sconosciuto e improvviso la fece girare. Era spuntata una macchina nera dal nulla, con i fari abbaglianti accesi. Scesero due uomini vestiti in un modo molto strano. Avevano delle toghe nere con uno strano simbolo viola al centro. La guardarono e iniziarono a correre minacciosamente nella sua direzione. Ma la mente della giovane, abituata agli imprevisti, fu più rapida. Scattò nella direzione opposta, verso la stazione, e iniziò a correre più veloce che poteva. Per farsi forza e non fermarsi, si immaginò di avere i pattini ai piedi e la strada fatta di ghiaccio: per lei quello era solo un allenamento di pattinaggio, non c'era nessun assassino sconosciuto che voleva freddarla.

Un fulmine davanti a lei la costrinse a fermarsi. Si girò completamente bagnata, con l'orrore negli occhi, mentre rimpiangeva il momento in cui aveva deciso di prendere quella maledetta scorciatoia da sola. L'aveva presa sempre e solo con suo padre. O meglio, con Davide, il suo custode. Quel pensiero le sbatté la verità in faccia come un secchio d'acqua ghiacciata. E proprio come l'acqua ghiacciata quando stai dormendo, si risvegliò e si ricordò del suo immenso potere. Ebbe un'idea folle.

Mise le mani avanti e raccolse davanti a sé quanta più acqua poteva: la pioggia, l'acqua sui suoi vestiti, nei vasi e nelle fognature della strada. Si raccoglieva tutta davanti a sé, a creare un muro d'acqua che, fungendo come uno scudo, riuscì a proteggerla dalle altre saette che gli inseguitori le lanciarono contro. Questi ultimi, spaventati dall'inaspettato potere, si misero a correre verso l'automobile. Con le ultime ma potenti energie che aveva in corpo, Lidia scagliò il muro d'acqua contro le figure che vennero sommerse e scomparvero nel nulla.

La quindicenne,sconvolta e spaventata, fece dei respiri profondi per rallentare il battito cardiaco. Funzionò ma improvvisamente si sentì cadere. «Sono come l'idrogeno. Sono una generatrice d'acqua.» Sussurrò poco prima di svenire. «Oh Lidia mia. Sempre alla scuola pensi.» Disse una figura, che la prese prima che la sua testa sbattesse per terra e la portò a casa.

Lidia si svegliò nel suo letto, con Nevino che le dormiva accanto. In quel momento entrò la sua custode, Viola, che, sedendosi sul letto accanto a lei, svegliò involontariamente il protettore. I due le ricordarono l'accaduto successo due giorni prima. «Due giorni... Ho dormito due giorni? Ma chi mi ha portato a casa?»

«Io. Noi custodi non abbiamo poteri ma abbiamo dispositivi per capire dove sei e se sei in pericolo. Nel secondo caso possiamo chiedere di essere teletrasportati in quel luogo. L'altro giorno ti ho presa e portata qui. Sono molto fiera di te e-» In quel momento suonò il telefono e Viola andò a rispondere chiedendo al gattino di continuare a spiegare.

«Lidia, sono molto fiero di te! Io non ti ho aiutato ma sei riuscita a risolvere la situazione brillantemente Non mi stupisco che tu abbia dormito per così tanto, stanchezza e sorpresa insieme sono una combo sonnifera micidiale, ne so qualcosa. E non ti preoccupare per la scuola e gli allenamenti: abbiamo detto che sei malata ma rientrerai domani. Ora non fare troppi sforzi. Questa sera finirò di raccontarti la tua storia e ci saranno delle sorprese.» Detto ciò, Nevino saltò giù dal letto e si andò a stendere nella sua cuccia.

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