7
Una leggera pioggerellina autunnale cadeva dal cielo, fitta e fastidiosa: il clima era mutato di colpo e l'estate aveva lasciato il passo ad un settembre che sapeva davvero di autunno, cosa rara e preziosa in una città come la loro dove, le mezze stagioni, sembravano essersi estinte già da qualche anno.
L'aria era carica di umidità e sembrava che questa fosse peggiorata con il sopraggiungere delle pioggie: l'acqua bagnava l'asfalto, le pareti dei palazzi, le automobili facendo evaporare il calore che avevano accumulato nel corso dell'estate cocente che si erano lasciati alle spalle, di conseguenza pioveva, ma restava ancora impossibile fare un minimo sforzo senza vedere la fronte di chicchessia imperlearsi di sudore.
Alessio stava immobile davanti l'ingresso di un edificio dall'aspetto elegante: grandi finestre si aprivano sul prospetto circondate da mattoni grezzi, i cornicioni erano stati dipinti di un intenso colore verde, le mura erano bianche, il portone d'ingresso quasi confuso tra i vetri che fungevano da pareti esterne per tutto il pianterreno.
Il ragazzo deglutì un paio di volte e chiuse l'ombrello apprestandosi a varcare l'ingresso. Rimandare gli sembrava stupido ed abbastanza controproducente: era arrivato sin lì, non poteva tornarsene a casa senza neanche averci provato.
Sentiva la testa pesante... di niente: era una sensazione strana, come se si ritrovasse il cranio pieno di palloncini e quindi impossibilitato a qualsiasi pensiero; però, sentiva anche uno strano peso di fondo che gli rendeva difficile tenere gli occhi aperti, come se fosse fisicamente stanco e forse lo era.
Era riuscito a rincasare solo intorno alle quattro del mattino, nonostante vivesse nei pressi della pizzeria dove lavorava e si era svegliato molto presto proprio per recarsi in quel luogo.
Eppure... aveva quasi paura.
Si avvicinò alla reception ed una giovane donna, che non riconobbe, gli sorrise in modo professionale ed asettico:
-Buongiorno, posso fare qualcosa per lei?- gli domandò.
Alessio rimase a fissarla per qualche secondo: il viso tondo, le labbra lucide di gloss, gli occhi scuri e grandi, la camicetta senza maniche di un colore neutro, il trucco minimale e lo chignon strettissimo che le lasciava il viso libero dai capelli scuri.
E poi c'era lui, con i vestiti quasi fradici nonostante l'ombrello, quest'ultimo a gocciolare al suo fianco, i capelli arruffati dall'umidità ed un'espressione che oscillava tra incredulità ed imbarazzo.
Il ragazzo scosse appena la testa, ma si bloccò subito nel suo movimento affrettandosi a dire:
-Ho un appuntamento con Kalisa Vasilyev- disse tutto d'un fiato e la ragazza sollevò un sopracciglio scettica. Alessio prese un lungo respiro e ripeté le parole con più calma:
-Ho capito- disse la ragazza anche se sembrava non ancora convinta delle parole del giovane: -Il suo nome?-
-Alessio Terranova- rispose il ragazzo con voce resa insicura da quella situazione: sapeva che stava per commettere una stupidata, ma ormai si trovava lì... stupido sino in fondo.
Poco dopo, la giovane tornò a sorridergli e gli fornì le indicazioni per raggiungere la stanza dove si sarebbe dovuto recare per incontrare Kalisa.
Fu così che, Alessio, si trovò davanti l'ennesima porta in vetro, semplice, con un'unica targhetta di colore rosso posta all'altezza degli occhi e su cui era stato inciso, di colore bianco, il nome della donna che stava per incontrare.
Bussò ed entrò senza aspettare che qualcuno, da dentro, lo invitasse a farlo.
Kalisa rimase sbigottita, con le labbra carnose leggermente schiuse a formare una parola che, però, non aveva avuto tempo di dire, l'espressione stupita che si andava allargando sempre più nell'emozione che la travolse non appena incontrò lo sguardo del giovane:
-Alessio!- esclamò e lasciò cadere sul pavimento i fogli che teneva tra le mani correndo nella sua direzione: gli gettò le braccia al collo e lo strinse forte a sé sinceramente felice di averlo lì.
-Ehi... non mi aspettavo questa grande accoglienza- mormorò il giovane in imbarazzo. L'altra sciolse il loro abbraccio:
-Suvvia, caro! Sai bene quanto apprezzi la tua presenza!- esclamò Kalisa con il suo inconfondibile accento russo.
Alessio le sorrise:
-Temevo che fossi arrabbiata con me-
-Arrabbiata?- domandò la donna portandosi una mano davanti la bocca con fare teatrale: -Furiosa, vorrai dire! Ringrazia che non ti ho messo alle calcagna il KGB per riportarti da me!- a quelle parole, la tensione dentro il petto di Alessio si sciolse ed il giovane si concesse finalmente una vera risata.
-E com'è che non l'hai fatto?- domandò e Kalisa si batté elegantemente una mano sullo sterno sollevando un sopracciglio, mentre le sue belle labbra vermiglie si piegavano appena in una piccola smorfia:
-Sapevo saresti tornato, sciocchino! Solo che non immaginavo ci mettessi tanto. Il tempo che passa è come musica che stona, caro, non dimenticarlo mai-
Alessio scosse appena la testa:
-Mi era mancato il tuo mantra- disse e Kalisa arrossì appena sgranando un po' gli occhi:
-Allora, perché sei sparito per tanto?-
-Eh...- mormorò il giovane mentre seguiva l'altra che, con un gesto armonioso della mano, gli indicò le sedie poste davanti la sua scrivania ed i due presero posto per poter continuare la loro conversazione.
Alessio si tolse il giubbotto appallottolandolo sulle gambe e poggiò l'ombrello contro la sedia anche se continuava a sgocciolare acqua sul pavimento. Kalisa sembrò non farci caso e questo lo stupì: forse era davvero talmente presa dal suo "ritorno" da non prestare attenzione ad una cosa, sì, tanto piccola, ma che solitamente l'avrebbe indispettita non poco.
-Dove sei stato tutto questo tempo?- gli domandò qualche secondo dopo ed Alessio trasse un profondo respiro prima di risponderle:
-Ho cambiato vita. Adesso lavoro in una pizzeria...-
-Come, come?- lo interruppe Kalisa: -Ti stai prendendo gioco di me?- gli domandò:
-No, è vero- rispose il ragazzo ritrovandosi ad abbassare gli occhi davanti l'espressione chiaramente delusa dell'altra.
Non credeva ci fosse nulla di male nel lavoro che lui faceva già da un anno e sapeva che, Kalisa, sotto l'aspetto frivolo che mostrava al mondo come una specie di corazza dietro il quale celare il proprio io, nascondeva un animo buono e gentile.
-Mi sento quasi come se dovessi chiederti scusa per questo. È strano... però...- incominciò col dire il giovane, ma l'altra lo interruppe quasi subito:
-Non è a me che devi chiedere scusa, Alessio.- scosse appena la testa e la sua espressione si fece di colpo triste mentre riprendeva a parlare: -Avevi venticinque anni quando sei andato via. È passato un anno. Non hai partecipato al concorso, sapevi che quella poteva rivelarsi la tua ultima possibilità. Ci sarebbero state un sacco di personalità di rilievo, era un grande evento. Avevo organizzato già il tuo viaggio affinché tu potessi recarti lì senza problemi... e sei sparito. Ti sei messo a vendere pizze-
Gli occhi di Alessio si velarono di lacrime e strinse a sé il giubbotto bagnato. Non poteva far nulla per contraddire le parole della sua amica: l'ultima volta che si erano visti aveva persino provato a restituirle i soldi del viaggio che gli aveva organizzato, ma lei aveva ostinatamente rifiutato, ferita e delusa dal suo comportamento.
Conosceva Kalisa sin da quando aveva compiuto i suoi primi passi all'interno di quel mondo, sembrava una donna giovane ed era ancora avvenente come una ventenne, nonostante avesse un'età indefinita che oscillava tra i quaranta ed i cinquant'anni.
L'aveva sempre seguito sin dal primo passo perché in lui aveva intravisto quello che sarebbe potuto diventare prima ancora che Alessio imparasse il senso della parola plié.
E non l'aveva mollato quando dopo, insegnandogli ogni più piccolo segreto di uno degli sport più eleganti al mondo, l'aveva reso il suo pupillo.
Ma Alessio era sempre stato abbastanza pigro da piccolo e sempre più distratto durante l'adolescenza, con grande dispiacere di Kalisa.
Amava ballare, era parte di lui, ma come qualsiasi ragazzino della sua età, non era stato in grado di apprendere, oltre i passi, anche quel senso struggente di ansia, quello che muove un po' tutti i ballerini consapevoli di dover sacrificare così tanto di quella prima parte della propria vita per poter raggiungere i propri obiettivi all'interno di quel mondo.
Gli anni che si andavano aggiungendo rendendo più rigidi i muscoli, accorciando i respiri e diminuendo la resistenza, non erano alleati di un ballerino ed Alessio si era curato poco di questo aspetto nonostante il mantra di Kalisa, nonostante tutte le volte in cui la donna gli aveva urlato contro che il suo tempo stava per scadere.
Alessio, si era reso conto, in quell'anno lontano dalla sbarra e dal palcoscenico, che lui amava la danza, ma non come avrebbe desiderato Kalisa.
Era qualcosa di intrinseco, qualcosa di profondamente radicato in lui, ma non come il desiderio di arrivare a toccare il podio più alto, di vincere ad ogni costo, di lasciare un segno all'interno di quel mondo, un segno che portasse il suo nome.
Per Alessio, ballare era come respirare ed aveva capito che non gli importava che il mondo lo sapesse. Era importante che lo comprendesse lui, che ballasse per non sentire i muscoli intorpidi dalla mancanza di quella sua linfa vitale: era necessario che lo facesse per sentirsi vivo.
Guadagnarci, diventare famoso... caricavano quella sua "vocazione" di un qualcosa che non faceva per lui, qualcosa che lo sviliva, che lo rendeva un peso da portare e sopportare, portandolo a percepirlo come meno sentito, più obbligato.
-Non sono fatto per competere. È stato un anno difficile, Kalisa, ma ho capito tante cose di me- disse il ragazzo senza riuscire a scacciare il senso di colpa che provava nei confronti dell'altra:
-Ho saputo che la tua relazione è terminata- disse lei allungando una mano nella sua direzione. Alessio sobbalzò un po' e strinse nella sua la mano dell'amica:
-È stato sconvolgente e molto doloroso, ma... anche una buona scusa dietro il quale celare un apparente colpo di testa-
Kalisa annuì:
-Da quanto pensavi di lasciare?- gli domandò ed Alessio si concesse un sorriso tirato:
-Credo... da anni. Da quando ho capito che non era più un gioco, da quando il dovere aveva iniziato ad offuscare la mia vocazione-
-Non avevo mai incontrato qualcuno come te, tesoro, e per tanto non l'ho compreso. Non sapevo cosa guardare e quindi, non l'ho visto. Mi dispiace aver insistito tanto-
Alessio scosse la testa:
-Avevo bisogno di capirlo io, prima di poterlo far comprendere ad altri.- Kalisa sorrise e si alzò dalla sedia emettendo un lungo sospiro. Poggiò le mani sui fianchi e rimase a fissarlo dall'alto ponendo istintivamente i piedi in troisième.
Il ragazzo si lasciò scappare un risolino e Kalisa gli lanciò un'occhiataccia non comprendendo il perché di quella sua improvvisa ilarità:
-Quindi, non vuoi neanche più fare in modo di formare qualcuno con più spina dorsale di te? Facciamo estinguere il mondo delle competizioni?-
Alessio alzò gli occhi al cielo:
-Che esagerazione! Io non voglio competere, mi risulta però, che sia ancora una delle cose più sentite da parte di tutti gli altri ballerini professionisti- lo sguardo di Kalisa si fece più minaccioso:
-Tu non vuoi capire quello che sto dicendo-
-Oh, lo capisco benissimo.- ribatté il giovane:
-Ma davvero?- domandò sarcastica la donna:
-Certo. Vuoi che torni ad insegnare ai futuri ballerini professionisti che desiderano competere-
Kalisa sollevò un sopracciglio, mentre la sua espressione si faceva giocosa e meno irata:
-Ma tu sei così impegnato a vendere pizze!- Alessio rise in modo ironico:
-Non è questo che mi tiene lì. -
-E cosa allora?- il ragazzo non rispose e si limitò a stringersi nelle spalle.
Kalisa tornò a sedersi vicino a lui e lo fissò con sguardo scettico:
-Quindi, se ti chiedessi di tornare a lavorare per me...?-
Ma la donna non ebbe tempo di terminare la frase perché qualcuno bussò ed entrò, così come aveva fatto Alessio, senza aspettare di essere invitato a farlo.
Nella stanza calò di colpo un silenzio teso, mentre il nuovo arrivato ed Alessio si scambiavano sguardi increduli ed imbarazzati.
Kalisa captò il chiaro mutamento di atmosfera e si domandò che diavolo stesse succedendo:
-Hai intenzione di dirmi perché ti trovi qui, Javier?- domandò la donna e l'uomo si voltò nella sua direzione lentamente, come se gli fosse difficile distogliere gli occhi da Alessio.
-Ti vedo impegnata, Kalisa. Credo che ripasserò più tardi- si affrettò a dire ed uscì dalla stanza in un battito di ciglia.
Alessio sentì le guance diventare bollenti e deglutì senza riuscire a distogliere gli occhi dal punto in cui, sino a pochi istanti prima, stava Javier.
Non lo vedeva da quella famosa notte in discoteca: era stato sicuro, sino a quel momento, di non aver provato nulla per lui durante... eppure, gli era bastato solo un suo sguardo per sentire il sangue tornare a ribollirgli nelle vene.
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