66° Capitolo: il senso di colpa mi distrugge( prima parte)
Angelica:
Ero nervosa.
Il solo pensiero di rivedere la mia amica distesa in quel letto d'ospedale, immobile e con gli occhi chiusi mi faceva sentire un vero schifo.
Tremavo e mi sentivo schiacciare da un peso enorme. Quasi fosse reale, i miei polmoni non riuscivano ad incanalare abbastanza ossigeno, e il mio respiro affannato era percettibile nel silenzio cupo che permeava l'abitacolo.
Avevo paura che non appena saremmo arrivati, i dottori ci avrebbero detto che purtroppo non l'avremmo più rivista, o peggio, lei si sarebbe svegliata, ma non avrebbe mai più voluto una persona così orribile accanto a lei.
Ero consapevole di essere in uno stato confusionale: avevo il cuore in gola e l'adrenalina in circolo, ma dovevo riprendermi e cercare di essere forte.
Se non lo facevo per me, avrei dovuto farlo almeno per il mio migliore amico che aveva bisogno di un sostegno e di qualcuno abbastanza maturo da riuscire a supportarlo in una situazione come quella in cui ci trovavamo. Era arrivato il momento di lasciarmi alle spalle i panni della solita ragazza infantile e piagnucolona.
A un tratto mi sentii afferrare la mano da Alex, la strinse forte per darmi conforto e io mi stupii nuovamente, perché il ragazzo che fino a qualche mese prima detestavo e reputavo uno stronzo, si era rivelato essere una delle poche persone al mondo di cui ero certa che avrei potuto fidarmi.
Appena il mio ragazzo fermò l'auto in prossimità del pronto soccorso, scese così in fretta che non si preoccupò nemmeno di spegnerla. Un addetto venne a lamentarsi proprio nel momento in cui tutti e tre ci allontanammo dal veicolo e Daniel gli disse in modo sbrigativo di spostarla. Non appena Alex la parcheggiò come quell'uomo ci aveva chiesto, mi prese per mano e iniziò a trascinarmi verso l'entrata.
Oltrepassare le porte e affrontare quello che ci attendeva, però, era qualcosa a cui nessuno di noi era pronto.
Quel luogo era la rappresentazione dell'inferno. Alex lì aveva perso sua madre, io avevo visto andare in fumo il matrimonio dei miei genitori e Daniel... la persona che amava in quel momento era bloccata al confine tra la vita e la morte.
Il primo del gruppo ad avere il coraggio di entrare fu Alex. Serio e con lo sguardo rivolto a terra, si incamminò senza più esitazioni. Io e Daniel seguimmo il suo esempio in silenzio.
Attraversammo il triage a passo svelto e ci spostammo verso gli ascensori per raggiungere il primo piano.
C'era un gran trambusto anche lì; vedevo medici e infermieri entrare e uscire da ogni stanza, sentivo nomi di medicinali impronunciabili e numeri, e ogni porta aperta che superavo faceva da cornice al triste ritratto di famiglie in bilico, in attesa che i propri cari vincessero la loro battaglia.
Odiavo gli ospedali.
La mia attenzione si focalizzò su due figure eleganti alla fine del corridoio.
Già dalla distanza a cui mi trovavo, riuscivo a scorgere gli occhi lucidi di quelli che ormai avevo riconosciuto essere i genitori di Annalisa.
Il senso di colpa mi travolse come un'onda.
«Buonasera signori Ferrari» li salutò Daniel teso, non appena li raggiungemmo.
«Salve ragazzi» ricambiò il padre della mia amica accennando un sorriso forzato. Invece sua moglie ci dedicò, per alcuni secondi, uno sguardo dolce per poi tornare ad ascoltare i dottori che le parlavano. Quell'uomo, che era la copia esatta di Isa, si spostò da lei per rivolgerci per un po' la sua attenzione e allo stesso tempo non disturbarla.
Il suo viso era stanco e addolorato. Mi stringeva il cuore a vederlo così e non poter dire o fare nulla per cambiare quella terribile situazione dove tutti ormai stavamo sprofondando. I suoi occhi azzurri, luminosi come quelli di Annalisa, erano arrossati e preoccupati. Tutti noi sapevamo quanto quel padre di famiglia, adorava la sua unica figlia. La considerava più preziosa di qualsiasi altra gemma e più importante di tutte le sue ricchezze. Potevo solo immaginare il dolore e l'angoscia che stesse provando in quel momento. Se avesse potuto, avrebbe dato in cambio tutto quello che possedeva pur di riabbracciarla.
«Come sta Isa?» Scollegai il cervello e attivai il cuore costringendo la bocca a parlare. Era vero, il rimorso che avevo per quello che avevo fatto alla mia amica si faceva sentire sempre di più, ma non potevo stare ancora in silenzio. Desideravo con tutta l'anima che Annalisa si svegliasse e anche se non sarebbe più stata al mio fianco, non mi importava. Mi bastava anche solo di ammirarla da lontano. Lei era il mio sole nelle giornate di pioggia e lo sarebbe stata per sempre.
L'uomo sentendo quella mia domanda poco delicata, sospirò amareggiato, ma superando ogni mia aspettativa, mi rispose: «Beh ragazzi... ovviamente la nostra Isa non è in ottime condizioni. Da quello che ho capito, al livello celebrare non dovrebbe aver avuto nessun danno, ma i dottori non sono comunque contenti delle sue condizioni». Ascoltandolo mentre ci spiegava cosa aveva compreso dalla breve conversazione con i medici prima di interromperlo, mi si congelò il sangue. Non sapevo più cosa aspettarmi. Ero convinta più che mai che sarebbe uscita dal coma, ma non eravamo più tanto sicuri che sarebbe stata ancora quella di prima. Stavo di nuovo per parlare, ma venni interrotta dal grido di dolore della madre della mia amica.
«Tesoro, che succede?» le domandò il marito abbracciandola forte e lei si lasciò andare in un pianto liberatorio, incurante di chi la stesse guardando. Era proprio vero, quando si soffriva, eravamo tutti uguali. Neanche la classe sociale o i soldi ti salvavano.
Dopo che si fu in parte calmata dall'enorme colpo basso che la vita le aveva inferto, ci rispose: « La nostra bambina... è in coma perché l'hanno dovuta operare urgentemente non appena l'hanno portata in ospedale. Ha delle lesioni gravi alla spina dorsale e noi lo scopriamo solo adesso». E nuovamente scoppiò in lacrime e io con lei. Non ero un medico, non sapevo bene cosa comportasse avere delle lesioni al livello spinale. Avevo solo capito che era una situazione molto grave e il mio stomaco si stava contorcendo per quello.
In quel momento non feci altro che maledirmi per tutto il male che avevo fatto a Isa. Ero una persona orribile. Dovevo esserci io al suo posto, forse sarebbe stato meglio, infondo me lo meritavo.
Spazio autrice:
Salve miei biscottini caramellati! Ok faccio schifo a parlare come una scrittrice snob! Comunque pubblico la prima parte di questo capitolo, come sempre scrivo tutta un'altra cosa da quello che volevo scrivere. Spero comunque che vi piaccia e, ovviamente come sempre, del resto! Ci saranno un sacco di errori. Mi scuso in anticipo per l'obbrobrio che siete costretti a leggere. Ma ehi! Se siete arrivati fin qui vuol dire che vi piace la mia storia no? Oppure avete seri problemi di autolesionismo. Comunque votate e commentate il capitolo e fate passa parola, dobbiamo continuare a crescere mi raccomando! Un bacio dalla vostra sfigata scrittrice, vi amo.
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