65°capitolo: non tutto è come sembra

Vincent:

Il giorno dopo mi svegliai su una brandina arrugginita, pieno di dolori e fasciato all'addome e alla testa. Faticavo a respirare e non avevo le forze per alzarmi. Mi veniva da piangere, avevo perso per sempre Angelica e per giunta avevo fallito: Alex non era entrato a far parte dei nostri affari e avevo fatto arrabbiare mio padre. Maledetto stronzo, se la mia vita faceva schifo era solo colpa sua, lui aveva avuto quello che io avevo sempre sognato, mio padre lo ha sempre considerato migliore di me in tutto, io per lui ero solo un rimpiazzo, lui era il figlio preferito, mentre io quello che era buono solo a fare il lavoro sporco.

"Giuro che me la pagherai pezzo di merda! " Pensai furioso e tossii tanto forte da strapparmi un verso di dolore.
Mi trovavo in quella che sembrava essere una cella: la stanza era fredda e semibuia, le pareti, piene di reticoli e crepe, erano un indizio del fatto che il posto fosse vecchio e sicuramente in disuso da almeno un paio di anni.
L'odore di muffa era quasi soffocante e cercai di respirare il più lentamente possibile.
La mia attenzione venne attirata dal cigolio della porta in metallo alla mia sinistra e vidi entrare Gas, lo scimmione di mio padre, con delle bende e una bacinella piena d'acqua.

«Buongiorno principino, ha dormito bene? » mi chiese con un insopportabile ghigno sulla faccia.

«Spiegatemi subito per quale motivo sono in questa lurida stanza. » domandai con aria autoritaria.

«Non si ricorda che le ha prese di santa ragione? Le abbiamo fatto solo un favore, se era per vostro padre vi sareste trovato in mezzo a una strada, o meglio, non vi sareste più svegliato. » ghigna con voce stridula e quel suono mi fece venire un gran mal di testa.

«E adesso cosa vuoi? »

«Vi devo cambiare le bende se non volete morire. »

"Che sbruffone, prima mi picchia come se mi volesse ammazzare e poi si preoccupa di curarmi le ferite" pensai infastidito da quella situazione quasi surreale.

«L'hai detto anche tu che per mio padre sarei potuto anche morire, quindi levati dalle palle. » gli ordinai cercando di essere più minaccioso possibile e di nascondere l'immensa paura che stava attanagliando il mio cuore.

«Vorrei tanto esaudire il suo desiderio, ma non posso e ora, se non me lo permetterete con le buone, lo farò con le cattive. »

Sospirai non sapendo cosa fare, così mi feci pulire le ferite e mettere delle nuove bende, dopodiché se ne andò chiudendo dietro di sé l'enorme porta di ferro.

Dopo due giorni ritornai a camminare con qualche acciacco, ma finalmente ero libero di poter uscire da quella lurida prigione.

«Venite, il boss vuole parlare con voi. » mi disse Gas afferrandomi per un braccio e mi trascinò da mio padre.

Durante il tragitto mi guardai intorno in cerca di indizi, e da quel poco che potevo notare: l'assenza di finestre, le basse temperature e luci artificiali, ipotizzai che ci trovavamo sottoterra.
Delle tubature correvano sul soffitto e si diramavano seguendo gli svincoli dei vari corridoi e man mano che li oltrepassavamo, notai con disgusto che la muffa e l'odore stagnante si facevano più intensi.

Arrivai davanti a un immensa porta di metallo, quando lo scimmione l'aprii, cercai di prottegermi le orecchie dall'enorme rumore, ma fu tutto inutile. Il boato fu così forte da confondermi completamente e per poco non cadii a terra svenuto.

Entrai in una stanza enorme, mio padre era seduto di fronte a me su una grande poltrona nera a sorseggiare il suo calice di vino rosso. Aveva sulle labbra un ghigno terrifficante, a volte sembrava un mostro.
Gas mi prese da sotto le ascelle e con forza mi fece sedere su una vecchia sedia di legno scricchiolante. Avevo paura, troppa per i miei gusti. Gli occhi azzurri di mio padre in quel momento avevano una luce rossa, era come se il sangue li avesse tinti del suo colore.

Eravamo immersi nel silenzio già da alcuni minuti e nessuno li dentro osava prendere parola.

Tremavo dalla paura, credevo che quella volta sarebbe stata la mia fine, forse Gas mi avrebbe accoltellato alle spalle, oppure mi avrebbero sciolto nell'acido da un momento all'altro. Non sapevo cosa pensare, ero terrorizzato.

«Vincent hai riflettuto sui tuoi errori? » a un certo punto il silenzio fu interrotto dalla voce tetra di mio padre, mi si congelò il sangue.

Non avevo il coraggio di parlare, era come se la mia voce si rifiutasse di uscire, così annui semplicemente con la testa.

«Bene, allora posso darti un altro incarico finalmente, ma sappi che non accetterò un tuo rifiuto».

Quello che mi disse mi lasciò senza parole, ma avevo capito benissimo dove voleva andare a parare. Di solito diceva che non accettava un fallimento, ma mai aveva dato, prima di allora, quell'avvertimento. Aveva capito perfettamente che anche io tenevo ad Angelica e aveva paura che potessi tradirlo da un momento all'altro, ma si sbagliava, io non ero come mio fratello, non avrei mai avuto la forza di disubbidire a nostro padre.

«Certo, qual è l'incarico?» osai chiedere.

«Devi rapire quella piccola guasta feste e portarla qui da me. » mi ordinò con un ghigno ancora più terrificante di prima. Io non volevo coinvolgerla ancora e lui lo sapeva benissimo. Era come se volesse punire entrambi i suoi figli, io mi guardai intorno, Gas mi guardava minaccioso, era pronto ad attaccarmi nell'eventualità che mi rifiutarsi ad accettare l'incarico, così con le spalle al muro, chiusi i pugni e accettai.

«Sapevo che non mi avresti deluso ancora. Gas, Gianni, andate con lui. »

«Sì signore! » risposerò entrambi.

Con le gambe tremanti mi alzai da quella sedia e uscii dalla stanza deciso a non fermarmi e a non tornare indietro.


«Dove diavolo è finita quella puttana? » gridò Gas dopo aver messo sotto sopra il piano terra della casa di Angelica. Sentendo l'attributo che le diede mi morsi la lingua per non prenderlo a pugni, lei non era quel tipo di ragazza e purtroppo lo avevo capito troppo tardi.

«Non lo so, guardo al piano di sopra» ero disperato lei non c'era e non sapevo come avrebbe reagito mio padre sapendo che avevo fallito un'altra volta. Entrai nella sua stanza e pieno di rabbia distrussi la prima cosa che vidi: una vecchia chitarra con una scritta a dir poco mielosa per i miei gusti.
Ero furioso perché se lei mi avesse obbedito, se lei non si fosse fatta coinvolgere sentimentalmente da mio fratello, io non avrei rovinato in nostro rapporto e saremmo ancora felici.

«Andiamocene prima che i vicini si accorgano di noi, la ragazzina non c'è qui. » buttai fuori un sospiro di sollievo, lei non c'era e quindi non l'avrei vista di nuovo con quell'espressione piena di dolore sul suo bellissimo volto. Però avrei dovuto sopportare la punizione di mio padre per non aver portato al termine la missione e questo mi paralizzava.

Tornammo al covo e mio padre furioso distrusse, per fortuna, solo quattro sedie e ci urlò contro quanto eravamo stati inutili e stupidi a farci scappare una ragazzina. Ovviamente non era disposto a rinunciare ad Angelica e ci ordinò di continuare a provare fino a quando l'avremmo portata qui.

Dopodiché tornai distrutto nella mia stanza e pieno di astio verso mio fratello, spinto dall'istinto gli mandai dei messaggi per fargli sapere quanto lo odiassi e cosa gli volevo fare passare per non aver obbedito a nostro padre. Soddisfatto e svuotato da tutti i pensieri negativi mi addormentai.

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