Quando il mare canta

 « Don't you miss me?
More than you know
Then jump in the water and kiss me
»

[Suffering - EPIC: The Musical]


◈◉◈


L'acqua sembra aggrapparsi alla stiva con soffici mani di spuma. Ricorda i morti – i loro artigli impressi per sempre come glifi maledetti sulla fiancata della nave beccheggiante – ma questa volta le dita, la morte, invece di rifuggirne la cercano voraci.

Sento il mare ribollire piano. È sotto i miei piedi. È dentro il mio cuore. Mi si arrampica addosso, ergendosi lentamente verso di me con la cautela tiepida di un amante tra lenzuola di lino.

Mi entra nelle orecchie nude.

E non posso impedirlo.

Non voglio impedirlo.

Cammino lungo il ponte. Cammino attraverso un viale di uomini muti, in attesa paziente, che mi osservano senza che io trovi il coraggio di incrociare gli occhi di alcuno. Quando ogni mormorio è ridotto al silenzio, quando anche il minimo sussurro è impastato nella cappa di cera, anche un'occhiata distratta diventa esplicita come un grido.

Non li ho più guardati, non da quando il profeta ha parlato. Non da quando gli Inferi hanno iniziato a chiudermisi sulla testa come una cella di presagi spinosi, capaci di sfilacciare i ricordi e le certezze al punto da lasciarmi spogliato di tutto.

Non li ho più guardati.

Perché vedrebbero una persona diversa.

Avanzo, ed è come cadere nel vuoto.

Avanzo, con la lama del fato che scava sempre più a fondo dentro di me, e lascio che il sangue del passato mi coli bollente lungo il petto, finché non ci annegherò del tutto e porterò con me il mondo.

– Capitano... – la voce di Euriloco è incerta quando mi raggiunge, complice il fatto che lui stesso non possa udirla. Rallento il passo. Perché chiama, se la sua stessa voce potrebbe tradirlo? Perché rischiare di pronunciare parole distorte, e lasciare a me solo il peso di possederle?

– Attento – conclude egli dopo un istante, e quel suono, mentre il mare canta, mi raggiunge in volto come uno spruzzo ghiacciato.

Stringo le labbra. Raccolgo muto quella parola, conservandola per entrambi accanto al cuore trafitto da mali impronunciabili; dove non sarà al sicuro, ma la terrò vicino.

Euriloco, c'è di più, non è vero?

Lo capisco avvertendolo tentennare, rilasciando bruscamente il respiro.

Preghiera, mascherata in una solitaria parola formulata nel silenzio opprimente, di migliaia di certezze che non sono capace di dargli. Che non possiedo più nemmeno io.

Gli passo accanto, non alzo la testa.

Lascio scivolare una mano verso la sua e le nostre dita si sfiorano. È un contatto accennato, fragile, gelido, che freme di sguardi trattenuti, di codardia, di paure che non so nominare. E di follia, probabilmente, che mi si imprime gradualmente nella testa mentre il canto del mare di erge sempre più in alto.

È un contatto e nulla più. Perché non ho più niente da dire. Ha già i miei ordini e tanto basta.

Le nostre dita si separano. Non mi trattiene. E io avanzo.

Lo voglio.

E non so nemmeno se è una convinzione mia. Se i pensieri che adesso mi raggiungono in onde man mano più imponenti mi appartengono o si mischiano alle correnti violente di emozioni estranee.

Lo voglio.

Avanzo, sul ponte che freme per ritorcersi nel riverbero del mare e inghiottirmi nelle profondità.

Avanzo, per raggiungere la terra, il confine taciuto del mondo, o anche solo il conforto del buio.

Cos'è che vuoi?

Stringo i pugni.

– Casa.

Lo dico ad alta voce e neanche me ne accorgo. È lì, pronta sulle labbra, la risposta tanto piccola quanto assoluta. Ogni mio respiro è contenuto in un soffio di voce. Ogni battito di quel cuore faticosamente umano è devoto ad un semplice fiato.

Casa.

Racchiude il senso del tempo, il calore di infiniti baci, la carezza del Sole, una mano più piccola nella mia e una risata dispersa nel profumo d'oliva.

Chi vuoi?

Mi si blocca il respiro. Mi aggrappo tremante alla prua. Vento brusco mi investe e i capelli sbattono all'indietro, scoprendo il baluginio disperato dei miei occhi svuotati.

Il mare canta e io voglio solo raggiungerlo.

– Penelope – bisbiglio, debole come una supplica.

È un incantesimo. E le onde rispondono. Colgono quel nome come un fiore prezioso e lo moltiplicano. Petali morbidi mi piovono sulle guance come lacrime mentre l'oceano si fa spaventosamente lontano.

Rimane solo uno sfondo d'acqua spumosa, un sentiero di blu che mi collega, in una catena di gemme, al luccichio di sogni proibiti.

Penelope.

Penelope.

– Ti sono mancata?

Alzo lo sguardo. Metto a fuoco con fatica. E un sorriso incredulo mi si stende in volto prima che possa prevederlo.

Un sorriso vero, singhiozzante, che per un istante cancella dodici anni di orrore e li obnubila in una landa superflua di vapore argentato.

Lei è lì.

Lei è lì e non posso crederci.

Non posso.

Non lo so quando ho iniziato a piangere.

– Non immagini quanto – rispondo, le mani frementi sul parapetto, gli occhi incollati alla figura di lei, stagliata oltre una sottile ed effimera strada d'acqua scura – Non lo sai...

Potrei saltare adesso. Potrei toccarla. Stringerla. Sentirla vicina e piangere sul suo grembo fino a lavare via ogni traccia d'orrore.

E allora perché non lo faccio?

Cosa mi ferma?

Cosa c'è che non ricordo?

Lei ride. È un suono attutito e bellissimo, come mi stesse parlando da una terra dove ogni cosa è più felice. Rimbomba di decine di altre voci, tutte ugualmente felici.

– Allora salta nell'acqua, Odisseo – apre le braccia. È un invito. Stagliata contro la luce, non sembra nemmeno umana – E baciami.

Capitano, attento.

Strizzo gli occhi tra le lacrime. Per un momento la luce di spegne. Sento di nuovo il raschiare agro dell'oceano contro il legno.

Dura il tempo di un singhiozzo, ma dentro di me qualcosa scatta.

La nave. Euriloco...

Era tutto un sogno?

O è questo che lo è?

Il canto si impone di nuovo e mi accarezza con il suo sorriso.

– Penelope... – guardo il tratto d'acqua che ci separa, talmente breve che potrei volarci sopra. Basterebbe il tempo insignificante di un respiro per perdermi nel suo abbraccio.

Attento.

Strizzo febbrilmente gli occhi.

– Te l'ho già detto – esalo, distante, senza staccare le dita dal legno – Lo sai che ho paura dell'acqua.

Lei rafforza il sorriso. Annuisce. La brezza gioca con le ciocche di capelli scuri che danzano quiete davanti al suo viso.

– Mi assicurerò che tu sia al sicuro, amore, non temere – un cenno della sua bella mano, abituata a filare, ad intrecciare i capelli, a stringere la mia, e una piccola sagoma sguscia da dietro la sua gonna bianca.

La piccola figura sta ridendo, mi fa cenno di raggiungerla. Mi sforzo di vederla meglio, ma il suo volto è fumoso, come se la stessi guardando attraverso uno strato di acqua torbida che ne altera i tratti e la congela nel tempo.

– Vieni qui – Penelope carezza la testa minuta, mi guarda, in attesa, tendendomi la mano – Vieni a giocare con tua figlia.

Mia figlia...

Un infante avvolto nella coperte. Un visino rosato dagli occhioni socchiusi. Penelope che mi sorride attraverso gli anni, da una culla di foglie d'ulivo. La felicità che non sta più dentro il petto ed erompe dagli occhi come lacrime silenziose. Stringo il fagotto contro di me, le labbra a sfiorargli religiosamente la fronte.

Sangue del tuo sangue, Odisseo.

Un nome.

Un nome.

Se solo ricordassi quel nome.

– Guardala prendere il volo, Odisseo – la sagoma luminosa di Penelope ammicca da oltre il confine. La bambina le ride accanto, i capelli scuri arruffati dal vento, ma non ha occhi in cui possa vedermi riflesso – Vieni a salutare nostra figlia.

Attento.

Il lamento dei morti. Il pianto di un bambino. Le mura incendiate. Un paio di occhioni socchiusi che trafiggono il tempo.

Fa male.

Una pugnalata proprio nel centro di quel cuore affranto, mentre un pezzo di me sembra riassestarsi con dolore in mezzo alla nebbia.

Telemaco.

Figlio mio.

Alzo il volto rigato di lacrime verso Penelope. Sorride. Sorride. È bella come una dea.

– Oh, Penelope, mi piacerebbe – rispondo ad alta voce, le nocche sbiancate strette al parapetto fino allo spasmo – Ma soffrirei nel nuotare fino a voi. Non mi piace galleggiare, lo sai.

È bella più del sole.

Sto piangendo.

Sorride. Quel sorriso mi si intreccia tra i pensieri e prova a piegarli in un disegno nuovo. È un raggio di sole incandescente. Un filo di desiderio avvampato che si annoda con precisione attorno ai pezzi dispersi di me stesso.

E, dei, quanto vorrei lasciare che mi ricucisca.

– Laverò via la tua sofferenza, amore – mi invita Penelope, allungandosi verso di me, la voce vibrante di speranza viva, il desiderio acceso e infuocato di avermi al suo fianco – Raggiungimi, e non soffrirai più, te lo prometto.

Perché piango?

Penelope.

Vorrei tanto crederti.

– Preferisco i miei piedi sull'asciutto, cara. Non insistere, mi fai solo soffrire.

– Non soffrirai più, Odisseo! Ti basta raggiungermi. Vieni qui, baciami, dimentica il resto.

Sorrido tra le lacrime. La risata della bambina senza volto si mischia sinistra agli echi del mare. Un canto ammaliante, come la promessa di pace in un mondo che dispensa nient'altro che morte.

Dei, se sarebbe bello.

Cedere.

Abbandonarsi.

Raggiungere casa. O soltanto il silenzio.

– D'accordo, amore – urlo, oltre il mare, mentre i suoi occhi si illuminano – Ma prima rispondi a qualche domanda, te ne prego.

– Ma certo! – esclama lei.

– Facciamo un gioco, d'accordo? – dico, senza smettere di sorridere a mia volta, gli occhi incastrati nel luccichio impaziente dei suoi – Mi sto nascondendo da qualcuno. Non lo so... mettiamo Poseidone. Mettiamo che lui abbia bloccato la mia via verso casa con orribili tempeste impenetrabili.

– Caro, è terribile!

– Lo so, Penelope. È solo un gioco – allento appena le mani dalla prua. Fatico a respirare, c'è una musica che piega il corso del mio fiato. Si alza e si abbassa. Mi scrolla da capo a piedi con mani impietose, ma io continuo a sorridere. Deglutisco. Prendo un breve respiro, che ha il sapore del sangue – Come posso evadergli? Come torno a casa? Che strada devo prendere per tornare da te?

Penelope oscilla sul posto. Inclina il capo con fare divertito.

La bambina al suo fianco ride, ma è un suono sempre più sbagliato.

– Poseidone ti inseguirà dovunque tu vada, devi trovare una via che anche un dio teme di percorrere – annuisce piano – È attraverso la tana di Scilla.

Per un istante, anche il canto del mare sembra interrompersi del tutto.

Me stesso e il mondo perdono concretezza.

Il significato del mio battito si spegne e cade sempre più giù, nei meandri della terra, dove le profezie riecheggiano, dove gli uomini perdono se stessi.

Sto precipitando.

Il respiro mi si ghiaccia nei polmoni. Il silenzio mi assale con la violenza di un dio in cerca di vendetta. Un uragano scagliato tra i flutti irosi per fare una flotta in pezzi. Centinaia di grida ridotte all'oblio di abissi insondabili.

Ero stato inerme, quando era successo. Avevo osservato la vita spegnersi nei loro occhi, l'orrore che mi imbottiva l'anima come pece abbastanza densa da ingoiare anche le lacrime, le orecchie sature delle mie stesse urla.

– Ma Scilla ha un costo – lo sussurro lentamente, mentre il canto riprende e mi stringe in spire fredde, sempre più serrate. Non so più come si respira.

Ero stato inerme.

Inerme.

Avevo creduto fosse la cosa peggiore. L'impotenza. L'impossibilità di scegliere mentre divinità crudeli piegavano a loro stesse l'interezza fragile del mio destino.

Adesso posso impedire l'orrore. Ho la scelta. Ho il potere.

Quando la fiamma di una candela diventa un incendio?

Quando la ragione diventa una colpa?

Quand'è che devo fermarmi?

Posso decidere di donare l'aria in viso, la risata di un amico, il profumo del mare. Posso permettere loro di stringersi il fiato in corpo per giorni, mesi... o soltanto per un ultimo, terribile istante.

Posso decidere di salvarli.

È questo che fa tanta paura.

– Adesso salta, Odisseo! – alzo la testa verso di lei. Sto piangendo. Non credo che smetterò mai. Ma non riesco a sorridere. Non riesco a mentire mentre il mondo mi si sgretola tra le dita – Ti ho risposto, ora salta in acqua! Andiamo, amore – ride, ma adesso è un suono stridente, mi gratta addosso come sabbia umida.

– Penelope, perché? – le mie labbra si curvano verso l'alto, ma è più una smorfia che un sorriso vero. Mi sembra di stare già annegando – Sono terrorizzato, non posso farlo.

– Ma qui non soffrirai più, Odisseo – insiste lei, accarezzando dolcemente la testa della bambina – Raggiungici.

– Morirei per te, Penelope – e quelle parole le sento tanto vere da stringere il cuore, tanto da stillare veleno e sangue da quello che ne rimane. Parlo a mia moglie, allontanata da me dal mare e dalla crudeltà indicibile della guerra, alla quale dedicherei la mia morte senza un solo lamento o minimo rimpianto; parlo alla visione abbagliante con cui discuto ora, pronta a uccidermi se solo fossi così sciocco da stendere una mano oltre il parapetto – Ma ho troppa paura. Lasciami qui.

– Amore, salta!

Salta!

Salta!

Salta!

La voce riecheggia. Si intromette nella mia mente. Stritola il poco che resta.

Arretro. Mi premo le mani sulle orecchie.

Arretro. Ansimo.

La bambina sta ridendo e la nebbia si alza.

Adesso, Euriloco.

Non so perché lo penso. È un pensiero a metà strada tra una speranza e un ordine, rigettato con furia dalla mia ragione morente mentre mi imprimo le unghie nella testa, per sopprimere la necessità di raggiungere la morte travestita.

ADESSO!

Mi si oscura la vista. Inchiostro viscido mi gronda sullo sguardo mentre sento dita e capelli imbrattarsi di sangue. Fa male, ma c'è di più di questo. C'è vittoria, nascosta dietro alle lacrime, dietro il sacrificio di un uomo portato ad affrontare la sua debolezza più grande conscio che ne sarebbe stato tradito.

La sirena canta.

Canta.

Ma ora è da sola.

Sola mentre orde di uomini ghermivano le sue sorelle distratte dal mio pianto.

Sarà sola mentre annegherà, smarrita e morta nello stesso abisso in cui avrebbe strappato la vita dai miei occhi.

Rido. Con le guance striate di lacrime e le dita ricoperte di sangue.

Rido. Perché soffrirà.

Oggi saltiamo insieme, Penelope.

Abbi paura dell'acqua.


◈◉◈

Cover credits: @ / imlouise_art su ig

NdA:

Ho finito la maturità da due settimane ma questa è prima cosa seria che riesco a scrivere senza odiarla con ogni fibra del mio essere.
Amo questo musical più di quanto sia possibile e quest'ultima saga mi ha devastato in modi inconcepibili, abbastanza da riaccendere in me l'anima da drogata di angst che mi indentifica qq
Chi l'ha ascoltata e vuole sclerare male, può contattarmi su Instagram (link in bio) <3

Scrivere di Odisseo è sempre un salto nel buio. C'è tantissimo su cui lavorare e troppo da poter rovinare al minimo passo falso. L'Odisseo di EPIC è diverso da quello omerico, e quello che dipingo io è uno strano mix tra i due, unito a mie magiche interpretazioni che devo ancora decidere se hanno senso.

Se ci sono scivoloni mitologici troppo grandi che trascendono gli eventi del mito (per quelli potete sporgere reclamo al caro Herrans ahah) fatemelo sapere, vi prego!! La mia conoscenza mitologica è una presa in giro, abbiate pazienza qq

Grazie infinite a chiunque sia qui <3
Voti e commenti sono accolti con amore <3

Coss

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