42. Niente paura, è tutta scena
"Colora la mia vita con il caos dell'inquietudine."
500 giorni insieme (2009)
L'essere umano è una creatura molto strana. Da osservare, studiare, da vicino e con minuzia se necessario.
Ha a disposizione praticamente e totalmente il mondo intero: strade, città, palazzi, mari, montagne, case, persone uguali a lui, qualsivoglia diversivo, musica, film, libri, bicchieri di alcol, sigarette, il sadomaso – volendo –, macchine e la lista potrebbe continuare all'infinito. Eppure, nonostante questo, riuscirà in qualche modo ad annoiarsi, a provare insoddisfazione, tedio, monotonia.
L'essere umano si annoia.
Quello che ha intorno pare non bastargli mai, pare che non sia mai abbastanza, pare che voglia sempre di più, ancora, ancora e ancora. E più quell'"ancora" andrà a ripetersi, peggio sarà, niente si evolverà in positivo. È evidente che quello che la sua esistenza gli dà, a Claudio Patriarchi non basta, non gli è sufficiente. Sicché il risultato è stato non troppo difficile da raggiungere.
Per noia, Claudio istigava Leonardo a prendere per il culo Olivia – anche se Leonardo mi ha confermato che una ragazza valeva l'altra siccome le catalogava come mero diversivo al fine di... mettere una toppa sul suo pensiero incentrato sulla sottoscritta, teoricamente dava al suo amico l'impressione di essere manipolato da lui –, addirittura appoggiando la sua relazione con Viola Angeloni, una delle sue migliori amiche.
Per noia, Claudio ha soggiogato una ragazzina di diciassette anni soltanto per farsi passare delle informazioni con lo scopo di poterle usare quando meglio era il momento, e infatti ora mi è chiara la frase che mi ripeteva Laira mentre l'accompagnavo a scuola; ovvero che Gioia era piena di baci pur tuttavia non voleva dire a chi appartenessero, neanche a lei.
Per noia, ha tecnicamente manipolato Olivia facendola drogare e accompagnandola persino sino a casa di Leonardo. Per noia, ha abbindolato un'altra ragazzina di diciassette anni, Celeste, ostentando una finta e sporca empatia nei suoi confronti, finendo per farle assumere della droga allo stesso modo di Olivia.
Per noia, Claudio muoveva i fili dietro le quinte cercando di dare man forte a quella maledetta faida fra Classico e Artistico, alimentando il suo fuoco, facendolo ardere con calore intenso.
In nome della misera, dannata e fottuta noia! C'è dell'assurdo in tutto ciò, ecco perché ritengo che Claudio Patriarchi sia una creatura che andrebbe studiata da vicino, scoprire quale parassita si annidi all'interno del proprio cervello tanto da fargli venire certe idee malsane, immorali e cancerogene!
Ad ogni modo, ora si spiega del perché lui abbia rivolto quell'affermazione piuttosto adirata verso Olivia.
"Quella puttana di Gioia non mi ha detto che Celeste avesse cantato, aveva giurato di raccontarmi tutto!".
Già, come avrebbe potuto dirglielo la sua dolce Gioia, un altro uccelletto che vive all'interno della gabbia del Caravaggio?
Chiaramente Gioia non è venuta a sapere dei rapporti che ho intenzionalmente tagliato con Laira, di conseguenza non è venuta nemmeno a sapere degli ultimi avvenimenti riguardanti me e il mio gruppo di amici. Evidentemente questo Laira non deve averglielo detto... in qualche modo mi sento come se fossi stata quasi protetta dal mio fidato uccelletto.
Ha tenuto la bocca sigillata in questo frangente, mi vedo in dovere di rendergliene merito.
Tutto sommato, forse, comincio un po' a capire l'ottica di Laira. Ha voluto proteggere la sua amica del cuore, esattamente come avrei fatto io con DarthMart, nulla di più, nulla di meno. In fin dei conti aveva le mani legate.
Oltretutto, si spiega anche – e finalmente, oserei dire! – il motivo della presenza del gruppo di Leonardo al Maverick durante la notte di Halloween. Avevo rivelato quel piccolo segreto solo e soltanto a Laira, a nessun'altro, ed evidentemente lei deve averlo rivelato a Gioia, seppure inconsciamente.
Si spiega il perché Laira mi avesse trovato subito Olivia come colpevole della fotografia infamante che mi è stata scattata, si spiega dell'informazione del fumo nei bagni, si spiega peraltro il come sapesse che Olivia stava arrivando a casa di Leonardo, lo scorso sabato.
Molte cose ora vengono illuminate dai caldi raggi della verità, molti dettagli vengono a galla.
Dietro a tutta questa fuga di notizie, in realtà, c'era esattamente Gioia Marnissi del terzo F, e ancor più dietro, ancor più nell'ombra, Claudio Patriarchi del quinto A, etichettabile – tuttavia ora non più – come membro e amico della cerchia dell'Apollo del Classico, il più celebre e conosciuto di tutto l'istituto, oltre che il più gettonato e desiderato.
Per tutto l'Inferno di Dante! Qua c'è da uscirci completamente pazzi! E io sarei già sulla buona via, a proposito... A furia di dover tenere sotto controllo ogni singolo particolare ci sta che io vada fuori di testa.
I miei capelli rosa pallido ondeggiano sinuosi e in disordine mentre sfreccio nel bel mezzo della notte fiorentina, ogni qual tanto mi solleticano il volto, come se delicate ali di farfalla si posassero sopra di esso, per poi ritornarsene veloci all'indietro, oltre le mie spalle scoperte. Dopotutto ho addosso soltanto un top con il laccio intorno al collo, in pieno stile anni Ottanta, e un paio di shorts in pelle a vita alta, rigorosamente vintage, rigorosamente in pieno stile rocker.
Anche gli altri, come me, corrono, muovono velocemente le proprie gambe. Fuggiamo come se non avessimo più tempo, come se quest'ultimo fosse scaduto. E forse è proprio così; dopo l'intervento di Ludovico al Circolo degli Illuminati siamo stati costretti a battercela in ritirata, effettivamente di tempo non ne avevamo più, altrimenti Ludovico se la sarebbe dovuta vedere con la sicurezza del locale. I minuti erano più che contati.
Comunque abbiamo messo su proprio una bella scena, non c'è che dire! Soprattutto adesso che corriamo come dei forsennati in questo marciapiede, attenti a non finire addosso agli specchietti delle auto parcheggiate in fila o a non inciampare in una qualche radice di qualche albero fuoriuscita dal cemento.
Altroché la corsa che abbiamo inscenato io, Ludovico, mia zia Angelica e il suo amichetto francese! Altroché The Dreamers! Qua stiamo letteralmente correndo la maratona più pazza del mondo!
Non vado a soffermarmi più di quel tanto sulla presenza di Marta e Alberto, entrambi dietro di me. Preferisco non farci troppo caso, meglio che non alimenti l'irritazione della mia amica con inutili e palesi occhiate. Bensì ho ben più da riflettere sulla mano di Leonardo che era avvolta intorno al braccio di Ludovico, pochi istanti fa, esattamente come la mia.
Sono rimasta letteralmente basita di quel lavoro di squadra inaspettato, dal momento che Apollo mal vede il secondo Ares, dal momento che – stando ai fatti – vorrebbe tanto staccargli la testa dal collo, è un evento che non posso assolutamente ignorare.
A un certo punto tutti e cinque ci fermiamo nei pressi di una piccola piazzetta, non molto lontano dall'entrata di un minuscolo e raccolto parco cittadino.
Il quartiere Gavinana è molto silenzioso in questo sabato sera; c'è sicuramente qualche vecchio bar ancora aperto e popolato da ometti avanti con l'età che si possono contare sulle dita di una mano, ma per il resto – le luci delle case e dei negozi, il trafficare delle automobili – è tutta una quiete alquanto tombale. Sembra che questo piccolo pezzetto di città si sia addormentato magicamente, tralasciando il fatto che sia il fine settimana, tralasciando il fatto che un gruppo di adolescenti appena maggiorenni, mal assortiti, svalvolati e a corto di fiato l'avessero raggiunto a un certo punto della notte.
Nessuno di noi osa proferire parola tanto i respironi sono lunghi e profondi, perfettamente udibili. Abbiamo percorso una bella distanza correndo a perdifiato, lasciandoci alle spalle la discoteca piena di studenti del nostro liceo, di quell'Ade di Claudio accompagnato dalla sua nuova ancella, Olivia.
Ludovico fa qualche passo in avanti, superando di buon grado sia me che Leonardo. Senza tanti complimenti si lascia cadere per terra, mettendosi seduto sul bordo erboso e rialzato della piazzetta, pochi centimetri lo dividono dal piccolo parco. Lentamente si esamina la mano con cui ha preso a cazzotti il labbro e il naso di Claudio, spaccandoglieli, stringendosela a pugno.
Qualche goccia di sangue ricopre le sue nocche ben tese e bianchissime. Dai suoi capelli riccioluti e scompigliati scendono con pigrizia minuscole perle di sudore; sudore che imperla la sua fronte, le sue labbra piegate sotto il morso dei suoi denti, i suoi zigomi e il contorno dei suoi occhi.
Leonardo, accanto alla sottoscritta, nel frattempo, si è portato entrambi i palmi dietro il capo, congiungendo le dita e premendoli contro i capelli biondi. Scorgo le sue narici allargarsi e rimpicciolirsi con ritmo preciso, a differenza di Ludovico non si morde il labbro inferiore.
Io invece mi poggio le mani sui fianchi, sopra l'aderente stoffa in pelle, inclinando la testa verso il basso, lasciando che le ciocche mi sfuggano oltre le orecchie, finendomi sugli occhi ridotti a due fessure.
Dettata dalla curiosità, senza poterne fare a meno, mi volto appena nella direzione opposta alla mia, tanto per verificare che Marta e Alberto siano vivi, perlomeno quest'ultimo! Non mi sorprenderebbe se Marta gli abbia amputato qualche arto con una spada laser durante la fuga. Un po' sorpresa rimango appena constato che il ragazzo sia tutto intero, ogni arto al suo posto. Nessuna lesione, nessuna cicatrice.
Tuttavia l'espressione di DarthMart è tutta un dire!
La mia amica si poggia con le mani tenendole premute sulle ginocchia, quest'ultime piegate appena al fine di riprendersi dalla fatica della corsetta senza preavviso. Ha il viso completamente girato dalla parte opposta a quella di Alberto; facilmente scorgo il suo sopracciglio inarcato, l'esatto risultato di un qualcosa che la sta irritando, e facilmente vedo la sua bocca arricciata in una smorfia di sdegno.
Dubito fortemente che abbia voglia anche solo di parlare, di sicuro non sarà colei che pronuncerà la prima parola dopo questo breve seppur intenso silenzio.
Ma questo mio dubbio rimane tale per poco, siccome Alberto è esploso a ridere con spiccata genuinità e con gusto. Tanto che, noi tutti focalizziamo la nostra attenzione su di lui, ha catturato le nostre occhiate, persino quelle... meno gioiose.
«Ma che cazzo avete combinato?» domanda sghignazzando a crepapelle, passandosi le dita fra i capelli che fino a pochi minuti fa erano impeccabilmente in ordine. Fa gonfiare le guance in un gesto che suggerisce un lungo respiro da parte sua, una lunga ripresa di ossigeno.
«Domanda intelligente la tua» asserisco alzando entrambe le sopracciglia, corrugando di conseguenza la fronte ed allargando gli occhi.
Faccio uno sforzo per rimanere seria e composta dopo l'evolversi della situazione al Circolo degli Illuminati, dovrebbe perfino venirmi naturale dopo tutto quello che ha causato Claudio e il risvolto con Costanza e Ludovico.
Però la risata di Alberto è talmente autentica e coinvolgente che soltanto per pochi istanti mi è permesso di rimanere con questa faccia sconvolta. Senza rendermene conto mi ritrovo a ridere assieme a lui, nemmeno tento di mordermi il labbro o di darmi un pizzico al fine di farmelo evitare.
Il ragazzo dalle iridi blu allunga un braccio con tanto di dito indice ben teso verso la direzione di un Ludovico non troppo divertito. «Cioè, guardate quello! Ha del sangue sulla mano» sogghigna Alberto senza tentare di trattenersi almeno un pochino, sceglie di rimanere preda totale di quall'attacco di ridarella, «avete deciso di fare come in uno di quei film americani? Scazzottate e poi fuga?».
«Magari, almeno a quest'ora ci sarebbe stato il tipico "stop" di fine ciak» sbuffa Leonardo roteando gli occhi e lasciandosi cadere le braccia lungo i fianchi, dondolandosi sulle gambe, «e adesso che fai? Ti metti a ridere pure tu?» aggiunge rivolgendosi a me.
«A chi l'hai date di santa ragione, eh?» tuttavia s'intromette ancora Alberto, cercando di strappare qualche parola dalla bocca del secondo Ares.
«A quel testa di cazzo coglione dell'amico tuo» ringhia Ludovico sinistramente, contraendo la mascella e lanciandogli un'occhiata piuttosto torva, «ma sono sicuro che non gli siano bastate!».
Gli occhi di Alberto si allargano maggiormente appena sente la frase, la risata si alza di qualche nota, persino si aggrappa alla stoffa all'altezza dello stomaco con le dita.
«Hai preso a botte Claudio?» esclama piacevolmente sorpreso all'ennesima potenza dalla notizia, «È il suo sangue quello?» e indica il suo pugno dannatamente stretto.
Come Alberto osserva attentamente la figura di Ludovico, chiedendo conferma dell'eventuale scena di quest'ultimo che spacca la faccia a quell'ignobile, mi ritorna in mente una canzone vecchissima che appartiene a tempi andati, a tempi avvenuti e che mai più faranno ritorno.
"È tutta scena" di J-Ax.
Lo ammetto, è un secolo che non ascolto più questo determinato genere di musica, però non nascondo che le sue canzoni di quando ancora era membro degli Articolo 31 me le iniettavo direttamente nei timpani, e costantemente aggiungerei.
Ero fissata con "Gente che spera", "Spirale ovale", "Domani smetto" e "La mia ragazza mena", potrei pure elencarne mille altre!
Ad ogni modo, ora Alberto mi ha fatto venire in mente proprio quella canzone. È tutta scena, e devi fare scena, e soprattutto la vita a volte ti restituisce. Non è forse ciò che è successo stasera?
Sicché allargo le braccia in un tipico gesto teatrale, senza smettere di ridacchiare, riportando la sua attenzione su di me, oltre che quella di DarthMart, Leonardo e Ludovico. «Niente paura, è tutta scena» proferisco canticchiando persino la melodia sperando di non risultare stonata o chissà cos'altro.
«Tutta scena?» mi fa eco Marta perplessa.
«Sì, tutta scena! Dico, ma l'hai visto come l'ha afferrato per il colletto della camicia? Sembrava lo avesse trasformato in una bambola di pezza» annuisco continuando a sghignazzare, portandomi la mano sopra la fronte coperta dalla frangetta.
«Effettivamente aveva tutta l'aria di essere un sacco di patate» ammette la mia amica cominciando a ridacchiare sotto i baffi, al ripensare a quella scena così epica.
«Segnati questa data sul calendario, caro Auditore, perché oggi io ti ringrazio per aver fatto quello che avrei voluto fare io» sentenzia Leonardo unendosi alla risatina di Marta.
«Io non voglio alcun ringraziamento, quello ha drogato mia sorella, lo rifarei altre cento volte e rincarerei la dose. Perché state ridendo?» domanda lugubre Ludovico, spostando i suoi occhi in ognuno di noi. Lo vedo un pelino confuso.
«Perché siete assurdi, ragazzi miei» gli toglie immediatamente il dubbio Alberto, «siamo assurdi. Prima ci sputiamo veleno a vicenda e dopo facciamo lavoro di squadra. Dimmi tu se non è esilarante».
«Io ho solo spaccato il naso a quel merdoso» puntualizza Ludovico aggrottando la fronte.
Dopodiché, insoddisfatto della sua risposta, Alberto avanza fino a raggiungere esattamente la sua figura, seduto con nonchalance sopra quel muretto rialzato. Senza mostrare timore o qualsivoglia tipo di repulsione – come sicuramente avrebbe fatto in passato –, poggia i palmi sulle spalle di Ludovico per poi fissarlo dritto in volto, abbassandosi in ginocchio. Poca è la distanza a separarli.
«Amico, dovresti ridere ogni tanto, fa bene alla salute. Hai rischiato grosso a picchiare qualcuno dentro un locale controllato dai buttafuori, sei dannatamente uno con le palle, te lo concedo. Ma ora che sei tecnicamente con il culo salvo, io una sana risata me la farei» gli spiega con quella sottile vena di ironia tipica di un Perfettino.
«Avrei voglia di urlare» è ciò che dice di rimando Ludovico, ricambiando lo sguardo di Del Bianco.
«È un osso duro questo qui, eh?» si rivolge a me e a Marta adesso, ritornando a sorridere come se la felicità l'avesse di colpo contagiato.
«Abbastanza...» gli dà ragione la mia amica, ricambiando sorprendentemente e senza volerlo il suo sorriso.
Per qualche secondo Alberto si zittisce, serrando le labbra e facendo svanire quella sensazione di giubilo dalla sua espressione. Diviene improvvisamente serio e formale. Successivamente abbandona la presa dalle spalle di Ludovico e si rimette in piedi, con la dovuta lentezza, non mancando di smettere di guardarla con intensità.
Sia io che Leonardo rimaniamo a osservare presi e rapiti da quella curiosa visuale.
«Sei l'ottava meraviglia del mondo quando ridi o sorridi, oppure entrambe le cose» dichiara Alberto senza la minima vergogna, fregandosene di avere pubblico intorno a sé.
DarthMart si blocca in uno schiocco di dita, come se Alberto avesse appena pronunciato l'incantesimo petrificus totalus di Harry Potter anziché quel complimento così maledettamente sincero e trasparente. Dolcissimo senza ombra di dubbio.
«Per favore, non sentirti in dovere di sparare stronzate», ma Marta si ricompone alla velocità della luce, elargendo lui una delle frecciatine tipiche della sua faretra intrisa di sarcasmo acido e beffardo. Deglutisce persino, deglutisce il niente, segno palese che è un po' in difficoltà.
«Una delle mie caratteristiche più comuni è che tendo a dire sempre quello che penso, Signora dei Sith. Non turbarti più di quel che serve» le fa presente il ragazzo infilando le mani dentro le tasche dei pantaloni e azzardando un passo verso la sua direzione.
«È vero, confermo personalmente. Qualsiasi cosa gli passa nel mezzo di quella sua testa bacata lo dice e basta, anche se si tratta della cazzata più epocale di sempre» gli viene incontro Leonardo, prendendolo anche in giro.
Ciò gli fa beccare un'occhiataccia da parte mia e per tutta risposta si limita a scrollare le spalle con tanto di piccola smorfia a mo' di scherno.
"Lasciali stare, Leonardo, non mettere il dito nella piaga!", penso fra me e me, pregando anche in aramaico affinché non continui con il suo tentativo di fare... be', qualsiasi cosa stia facendo!
«Io ti ho forse chiesto delle conferme, Aspromonte?» ribatte gelida Marta, tagliente come una lama in acciaio di Valyria, inclinando appena il capo. I ciuffi argentati vanno a sfiorarle la clavicola, fasciata da una camicetta a maniche corte tipica degli anni settanta.
«Tu e Matilde non vi smentite mai, eh?» la rimbecca Leonardo studiandola di sottecchi, le parole cariche di ironia, «Sempre dirette e velenose come poche».
Non posso fare a meno di alzare le iridi al cielo dopo aver sentito tale affermazione. Ma parla proprio lui che ha fin da quando ho memoria utilizzato parole ben peggiori del solito sarcasmo a cui solitamente ci appelliamo io e Marta! Sono quasi tentata di strozzarlo! Oppure, visto che ormai già ci siamo, potrei delegarlo a Ludovico.
«Tranquillo, Leo, la Signora dei Sith è di continuo pungente e glaciale. Non rappresenta una novità per me e, tecnicamente, non dovrebbe rappresentarla nemmeno per te» lo ragguaglia esibendo un occhiolino di fraterna intesa, alludendo palesemente a me.
«Io mi sto già annoiando» sbuffa Marta seccata, incrociando le braccia al petto. Il sorrisino di poco fa smorzato totalmente, lasciando spazio a una smorfia insoddisfatta e frustrata.
«Perché prima ci stavamo divertendo, forse?» interviene Ludovico monocorde, allargando e chiudendo con perfetta alternanza le dita con cui ha colpito Claudio.
«Dovresti spiegarmi qual è la tua definizione per "divertimento", Golia» gli fa Leonardo in un atto che io interpreto per provocazione vera e propria.
«Leonardo!» lo richiamo severa, lanciandogli la seconda occhiataccia nel giro di pochi minuti.
«Che c'è?».
«Non cominciare» taglio corto con un tono che non fa intendere un'accettazione di replica.
«Io non comincio, io continuo» sottolinea egli con un bel ghigno sghembo, dopodiché estrae dalla tasca posteriore dei calzoni – rigorosamente non in denim – un pacchetto di Marlboro rosse, portandosene una alla bocca e dandole vita con la fiamma dell'accendino.
Il fumare una sigaretta: l'atto più sensuale e impudico nell'ordinario per eccellenza. Poiché è vero, fumare è un'azione di routine eseguibile da chiunque; tuttavia pochi sanno esternarlo come un qualcosa di provocante e lascivo e voluttuoso. E a Leonardo questo gli riesce divinamente. Quanto gli riesce bene a provocare le persone, è un vero asso, un maestro con la "m" maiuscola.
«Ti faccio vedere come ti continuo io, se non la smetti» sibilo cercando di mantenere il controllo, guardando da un'altra parte che non siano le sue labbra intente a tenere stretta quella maledetta Marlboro.
«Uhm, a proposito di minacce, io e te dobbiamo fare un discorsetto» mi mette al corrente con aria lievemente altezzosa, poco dopo aver gettato all'infuori il fumo inspirato.
«Ullallà, qua la cosa si fa alquanto seria» ironizza Alberto, punzecchiando sia me sia che il proprio amico.
«Discorsetto per cosa, di grazia?» replico ignorando di proposito l'affermazione di quest'ultimo, osservando Leonardo di traverso colta da un'improvvisa ondata di ansia.
«Oh, dovresti saperlo benissimo, in realtà. A proposito del tuo ignorarmi volutamente in questi ultimi giorni. Non te la farò passare liscia, dolce Atena» spiega lui muovendo il dito indice in segno di diniego verso la fine della frase.
«Per parlare di cose sconce e quant'altro, la gentile clientela è invitata a recarsi dentro quel parco decadente e infestato, per cortesia» parlotta Alberto con voce robotica, imitando l'altoparlante di un super-mercato. Infine fa cenno a me e Leonardo di superare l'entrata di quella microscopica – dall'aria abbandonata per giunta – area verde.
«Vuoi farli andare là dentro da soli?» esclama Ludovico esterrefatto, preoccupato, per non dire, forse, geloso, per me. Si permette di folgorare Alberto con lo sguardo, mostrando una volta tanto qualcosa di emotivo.
«Sì, e quindi? Non ci sarà di certo il lupo cattivo pronto a mangiarli... anzi, sicuramente si mangeranno loro a vicenda» asserisce con aria provocatoria, facendo scattare le folte sopracciglia verso l'alto.
«Che cazzo significa?» ripete l'altro in segno di protesta.
«Significa che devi farti da parte, Auditore, e che non sempre le cose vanno come vorremmo noi. Sarebbe troppo facile e idilliaco, non trovi?» espone in breve, stringendosi nelle spalle e mimando automaticamente il gesto a Leonardo di passargli una sigaretta.
Okay, ora Marta la sto vedendo giunta al culmine dell'esasperazione e dello spazientimento. Ora potrei mettere la mano sul fuoco che esplode come una dinamite degna dei Looney Tunes. Sta persino agitando nervosamente il ginocchio sinistro, cattivo segno.
«Fanculo, adesso chiamo Diego e gli dico di riportarmi a casa! È il colmo, dico davvero, che in una città grande e trafficata come Firenze io debba ritrovarmi in situazioni come questa, che io non riesca a godermi un fottuto sabato sera!» sbotta come avevo predetto slacciando le braccia dal proprio petto, agitandole in maniera forsennata, a tratti buffa, «È veramente il colmo!».
Mi pento amaramente di essere venuta al Circolo degli Illuminati in macchina con Thalìa, così facendo ho costretto Marta a venire in moto con Diego, per cui ecco che deve dipendere per forza da qualcuno per ritornarsene a casa. Io non posso fare niente di niente.
Nell'esatto istante in cui la mia amica tira fuori il cellulare, Leonardo mi afferra per il gomito, prendendomi contropiede, e, a quanto pare, sembra effettivamente intenzionato a seguire il consiglio dell'amico. Di parlare dei fatti nostri in santa pace, senza che rendiamo partecipi per forza tutti dei nostri diverbi. Cerca di ritagliare della privacy per noi.
«So camminare da sola, sai com'è» gli ricordo beffarda, lasciandomi comunque trascinare senza urlare ai quattro venti chissà quale obiezione.
«Sa camminare da sola!» tuttavia non manca l'obiezione da parte di Ludovico, scattato subito in piedi dopo avermi visto agguantata dalla presa del dio del Classico.
«Poco fa andavamo d'amore e d'accordo, non rovinare la magia» gli consiglia Leonardo con voce amorevole, naturalmente fasulla.
«Io non sono mai andato d'amore e d'accordo con nessuno, soltanto con Matilde» dice Ludovico piatto.
Sento tutto il corpo di Leonardo irrigidirsi dopo ciò che ha detto il mio compagno di classe, perfino la presa attorno al mio braccio. «Sì, ne sono perfettamente al corrente di questo. Tu vai d'amore e d'accordo solamente con lei» ribatte senza traccia di emozioni.
Al che faccio per sottrarmi dall'appiglio di Leonardo, avvicinandomi a Ludovico con un sospiro e lo sguardo chino verso il basso.
«Ludovico, va tutto bene, dico davvero, però adesso ascoltami. Adesso è importante che io parli con lui, ma è altrettanto importante che io parli anche con te, okay? Lo faremo, è una promessa, ma ora ti imploro di non fare gesti avventati e scellerati. Ti prego» proferisco a bassa voce, quasi in un sussurro per farmi udire solo da lui, «è giusto che io ti spieghi come stanno realmente i fatti, lo farò, lo giuro. Saprai aspettarmi? Sei mio amico, giusto? Gli amici sanno mettersi da parte ad attendere, sanno essere leali».
«Io sì, sono tuo amico» mi dà conferma Ludovico, ma non senza prima aver lanciato un'occhiata non troppo amichevole verso Leonardo. Non mi stupisco. «Però mi piaci anche, ci siamo baciati» continua inespressivo, atono, rinfrescandomi la memoria sul mio gesto avventato quella notte al Blue Velvet.
E persino lì era tutta scena... proprio così, già. Una patetica sceneggiata messa in piedi dalla sottoscritta, in un involontario atto di cercare di far provare gelosia a chi ancora non sapevo potessi tenerci così tanto. Attualmente inizio a prenderci consapevolezza.
«Parleremo anche di questo, Ludovico» abbozzo un sorriso soffocando un flebile senso di colpa per averlo illuso a quella maniera, «te lo ripeto un'ultima volta. Mi aspetterai?».
«Lo farò, ti aspetterò» risponde lasciandosi sfuggire un piccolo sospiro, «ma se questo signorino del cazzo osa darti fastidio non esiterò a spezzargli le gambe».
Sento Leonardo sbuffare alle mie spalle, tuttavia non posso fare a meno di ridacchiare della sua minaccia.
«In quel caso saprò cavarmela da sola, okay?» lo rassicuro con dolcezza, «Adesso sarebbe cosa buona e saggia ritornare a casa, senza disintegrare alcun oggetto di mobilio magari, e abbracciare Celeste, confortandola che suo fratello sarà sempre dalla sua parte».
«Ehi! Ma si può sapere che cazzo fai, razza di inetto?» la voce super-incazzata di Marta mi costringe a voltarmi verso di lei e Alberto, lasciandomi sorpresa dello spettacolo che ho dinanzi.
«Ti impedisco di chiamare Falco e di fartela svignare, è molto semplice» le spiega in quattro e quattr'otto Alberto, esibendo il ghigno di chi la sa lunga, il cellulare della mia amica ben stretto sulla sua mano destra e issato perfettamente in alto, verso il cielo, a un'altezza irraggiungibile per lei.
«Ridammelo immediatamente, te lo ordino, Alberto!» urla l'altra senza preoccuparsi di svegliare il dormiente vicinato, fulminandolo con quei suoi occhioni verdi, pestando persino un piede per terra.
Perfetto, ora sì che è inguastita all'ennesima potenza. Complimenti, Alberto Del Bianco.
«Altrimenti? Aspetta, provo a indovinare. Mi affetti con la spada laser oppure mi fai schiantare contro un muro usando la Forza!» la scimmiotta senza ritegno, senza abbassare minimamente il braccio.
«No, coglione! Ti fracasso i genitali, ti piace come idea?» ribatte contraria DarthMart, agitando le mani alla maniera "italianissima".
«Per favore, leviamo le tende» mormoro a Leonardo, stavolta afferrandolo io per il braccio e alzando le iridi al cielo per tutto il casino che quei due stanno causando.
«Decisione più che approvata» mi da il suo appoggio, seguendomi senza opporsi.
«Tutto questo odio non ti porterà dritta dritta nelle spire del Lato Oscuro?» le domanda Alberto non dando troppo peso alla sua intimidazione.
«Ridammelo!» insiste DarthMart ignorando la battuta, la mano col palmo spalancato ben tesa.
«Darti cosa, esattamente? Uhm, come siamo maliziose stasera, signora dei Sith», e dopo quella frase, seppure senza aver assistito, l'unica cosa che odo è il suono di un ceffone come si deve.
Infine, io e Leonardo entriamo nel perimetro di quella piccola area verde, illuminata dalla luce fioca dei lampioni, consapevoli che in un modo o nell'altro avremmo chiarito.
Punto di vista iper-inviperito di Marta.
«Altrimenti? Aspetta, provo a indovinare. Mi affetti con la spada laser oppure mi fai schiantare contro un muro usando la Forza!» osa prendermi per il culo quello spregevole di Alberto Del Bianco.
Oh sì, esattamente, adesso per me, d'ora in avanti, lui sarà Alberto Lo Spregevole!
E pensare che avevo provato anche un moto di tenerezza quella notte durante la festa a casa di Aspromonte, quando mi ha confessato senza tanti giri di parole che io gli piaccio.
"Che povera scema che sei, non ti smentisci mai", la vocina interiore mi dà il colpo di grazia, senza tenere conto della mia attuale e non indifferente arrabbiatura verso il sottoscritto.
«No, coglione! Ti fracasso i genitali, ti piace come idea?» sibilo fra i denti immedesimandomi nel più velenoso dei serpenti, mi aiuto persino con le mani, dimenandole come a far meglio comprendere la mia ira.
«Tutto questo odio non ti porterà dritta dritta nelle spire del Lato Oscuro?» Alberto ritorna alla carica senza togliersi quel fottuto ghigno soddisfatto dalla faccia, dalla sua faccia da schiaffi! Nemmeno si fa scalfire dal mio avvertimento tutt'altro che bonario.
«Ridammelo!» insisto evitando di dare il dovuto peso alla sua frasuccia da quattro lire, aprendo la mano e distendendola verso di lui.
«Darti cosa, esattamente? Uhm, come siamo maliziose stasera, Signora dei Sith», si lecca il labbro superiore avvicinandosi pericolosamente e spudoratamente.
No, dico... era una battutina a sfondo sessuale quella? Ma che cazzo! Ma come si permette?
Se prima ero timorosa addirittura di vederlo per terrore di potergli causare del male a livello di cuore, ora come ora vorrei disintegrarlo, ridurlo in polvere, cancellarlo dalla faccia della Terra; altro che la Forza!
Mi è talmente vicino che percepisco l'odore del suo profumo, messo qualche ora prima di entrare al Circolo degli Illuminati, e l'odore della Marlboro che sta fumando gentilmente offerta dal suo migliore amico.
Le sue iridi blu scuro, ancor più profonde data la poca luce attorno a noi, mi scrutano quasi con pesante veemenza. E le sue labbra distese in un sorriso sardonico unite con quel sopracciglio inarcato, proprio quella combo infallibile, scatenano in me una reazione quantomeno immediata di pura collera e di puro disappunto.
Non ci penso due volte ad alzare il braccio, caricandolo all'indietro come si deve, e a far collidere la mia mano bene aperta contro la sua guancia. Gli rifilo un ceffone senza preavviso, cancellando finalmente quel ghigno del cazzo dalla sua faccia fin troppo sicura di sé. Lo colpisco con potenza, senza importarmene di lasciargli il segno subito dopo.
Un suono non troppo positivo riecheggia in quel silenzio e scommetto che persino Matilde sia riuscita a sentirlo.
Alberto rimane di stucco dopo aver incassato il colpo, tanto che fa per abbassare il braccio mentre con l'altro si occupa di andarsi a massaggiare il punto esatto dove ho sferrato l'attacco. Si sfiora la pelle leggermente arrossata con la punta dei polpastrelli, guardando in basso.
Dal canto mio, per niente pentita, incrocio per l'ennesima volta le braccia al petto e alzo il mento a mo' di sfida, senza smettere di fissarlo. Non intendo mollare di certo adesso. Magari la smetterà di comportarsi da pagliaccio cialtrone, la sua non è nient'altro che scena!
Ma dov'è finito quel lato che mi ha mostrato quella fantomatica sera? Dove?
«Devi darmi il cellulare, tranquillo che da te altro non voglio» dico priva di sentimento, percependo per un attimo un lampo di superiorità.
«Oh, dopo ciò che hai appena fatto non lo riavrai tanto facilmente» replica Alberto ritornando a fissarmi con il sorriso, ritornando alla stessa carica di poco fa. Ciò riesce a farmi accigliare di brutto.
«Scusami?». Devo aver capito male.
«Negativo, signorina, te lo confisco ufficialmente. Niente telefono per te» m'informa al contempo che esibisce l'apparecchio proprio sotto il mio naso, sfidandomi a rubarglielo.
«Ti denuncio alla polizia, Alberto, se non mi restituisci quel fottuto cellulare» tento di parlare con voce calma e tranquilla, evitando di sbottare nuovamente.
«Diamine, come sei vendicativa» sogghigna muovendo qualche passo verso il mio lato sinistro.
«Non sono vendicativa, sono orribilmente spazientita!» gli faccio notare diretta.
«C'è un solo modo per far sì che io te lo restituisca...» inizia a dire abbassando pian piano il tono vocale. Muove ancora due passi, scomparendo dal mio raggio visivo.
«E sarebbe?» domando come se davvero m'interessasse venire a conoscenza di un ovvio e sporco ricatto.
La risposta di Alberto non mi arriva subito come mi sarei aspettata, anzi, quasi che mi fa preoccupare. Ciò che arriva, invece, è ancor peggio!
Il ragazzo sfiora con le dita della mano, dove rimane incastrata la sigaretta quasi finita, una ciocca dei miei capelli, delicatamente la sposta all'indietro, scostandola dietro l'orecchio e lasciandolo scoperto. Percepisco il tocco del suo petto contro la mia schiena, sfrontato come pochi. Infine con il polpastrello dell'indice e del mio prende a lasciarmi morbide scie carezzevole lungo la mandibola fino a risalire all'orecchio, totalmente alla sua mercé.
Con molta calma accosta le labbra contro quest'ultimo, sempre facendo particolare attenzione, dandomi l'impressione di essere una bambola di porcellana. Questo contatto mi causa immediatamente la pelle d'oca oltre che un'infinità di brividi lungo la spina dorsale.
"Calma, devo rimanere calma", rifletto in automatico mentre che socchiudo le palpebre, "il segreto è il contegno, nient'altro".
Rilevo la sua bocca piegarsi nell'ennesimo sorriso; incredibile, cioè, Alberto avrà sorriso più di dieci volte questa sera! Manca poco e si trasforma nel Jack Torrance di Shining! Il suo respiro mi arriva dritto sulla pelle del collo, bollente e saturo di nicotina.
«Dovrai venire a casa mia, adesso», ecco che mi espone con sicurezza e veramente con nonchalance immane il presunto ricatto.
A basso tono, con voce volutamente roca e profonda, intenzionato ad andarmi a graffiare le pareti della psiche.
Tuttavia adesso sono io a mettermi a sogghignare di gusto, sommessamente.
«Vedere Matilde e Leonardo insieme deve averti dato alla testa, povero Albi. Si vede che non mi conosci affatto». Ancora tengo le palpebre ben serrate.
«Uhm, io non credo, anzi, mi stimolano a non mollare e a voler fare di più» sussura contro il mio orecchio e, in cuor mio, spero per lui che non si azzardi a lasciarvici sopra un morso. Seriamente poi dovrà dire addio alla possibilità di avere figli in futuro, gli faccio abbracciare la sterilità.
«Ridammi il mio telefono, Alberto, non verrò a casa tua» replico freddamente e categorica, spalancando gli occhi.
«Vieni con me a casa mia, non farti strani film mentali, non voglio farti niente. Voglio solo parlare con te, da soli. L'hai detta giusta, non ti conosco affatto e vorrei rimediare» mi spiega andando a sfiorare stavolta il lobo trapassato da un orecchino a cerchietto.
«Voglio solo il mio cazzo di telefono! È troppo complicato per te?» mi volto verso di lui con uno scatto e ovviamente me lo ritrovo quasi incollato, pochi centimetri ci dividono, «Non hai alcun diritto su di me, nessuna pretesa».
«Potresti darmi il beneficio del dubbio, Signora dei Sith?» chiede esibendo una smorfia piuttosto scettica.
«Il problema è che non hai mai fatto niente per meritartelo questo beneficio...» lo correggo scuotendo il capo, «e poi te l'ho già detto, io ho già il cuore occ...».
«... sì, lo so. Hai il cuore già occupato, non ricordarmelo» ammette tagliando la mia frase con un po' di sincero rammarico, guardando altrove, «io, comunque, non cambierò idea. Se rivorrai il tuo amato cellulare dovrai farmi contento e venire a casa mia. Prendere o lasciare, Brunori».
Detto questo, Alberto fa tre passi indietro, mettendo in bella vista il mio cellulare, agitandolo come una piuma con un gatto.
«Restituiscimelo» borbotto provando ad azzerare di nuovo la nostra distanza.
«Vieni con me» ripete lui mentre prende a camminare nella direzione opposta a dove siamo venuti, dandomi le spalle.
«Alberto, no!» grido allibita, ovviamente rimanendo immobile nella mia posizione. Col cavolo che lo seguo.
«Mi sà che qualcuno qui ha bisogno di ricomprarsi un nuovo cellulare, oppure ha voglia di ritornare ai piccioni viaggiatori per scambiarsi i messaggi» annuncia ad alta voce, facendolo di proposito, allontanandosi maggiormente.
«Alberto, ritorna qua!» lo imploro, azzardo a farlo ragionare.
«Tu che implori me? Wow, in un altro contesto avrei colto la palla al balzo, ma non stavolta» asserisce lui sarcastico, «la macchina per casa Del Bianco partirà tra poco, i fortunati passeggeri farebbero bene a seguire l'autista per poi salire a bordo».
Sicché, volente o nolente, mi ritrovo a mettere in moto il movimento delle mie gambe fasciate da calze vintage colorate. Mi faccio stampare in volto un'espressione tutt'altro che rosea e gioiosa, un trionfo della disperazione.
«Ma perché i casi umani tutti a me, perché? Ho fatto per caso qualcosa di sbagliato a Nostro Signore, ammesso che esista? Ero una spietata dittatrice nella mia vita precedente? Qualcosa devo pur aver combinato, altrimenti non si spiega!» piagnucolo mentre mi metto in coda al passo di Alberto.
«Quanto sei drastica! E polemica! Te l'hai mai detto nessuno che sei polemica da morire?» mi fa notare il ragazzo rallentando per aspettarmi.
«Io sono l'asso delle polemiche! Ecco un qualcosa che devi sapere di me!» ringhio irritata, «E comunque no, non sei il primo che me lo dice!».
Già, non è affatto il primo... anche Emilio mi ha fatto notare di quanto io sia propensa al lamento di morte, sono molto difficile da accontentare. Effettivamente è una delle mie specialità.
«Posso sopportare».
«Certo che ti piace proprio parlare di cazzate. Eccellente, è appagante conversare di stronzate ed affini, è un argomento sul quale sono molto preparata, ti tengo testa, fa' attenzione» borbotto incrociando le braccia.
«Parla di quello che ti pare, mi piace ascoltare la tua voce anche se intrisa di incazzatura».
Oh, ma insomma!
«Hai preferenza su qualche bevanda quando arriveremo a casa? Tè, cioccolata, tisana, camomilla... valeriana?» si premura di chiedermi lasciando che raggiunga il suo fianco.
«Te la tiro in testa la valeriana!» sbuffo per tutta risposta.
«Vada per la valeriana».
Ma si può sapere che cazzo sto facendo?
Devo essermi rincoglionita del tutto, non c'è altra spiegazione. Ma perché ho accettato di venire fino a casa di Alberto Del Bianco? Perché mi sono piegata al suo volere così facilmente? Perché non ho aperto la mia boccaccia per freddarlo come si deve? Perché non ho chiesto a quella povera anima pia di Ludovico di riprendere il telefono al posto mio, prima che se ne ritornasse sui propri passi? Mi domando ancora, perché sono venuta qui insieme ad Alberto, uno dei Perfettini del Classico?
E per la cronaca, nemmeno mi ha ridato il telefono ancora... è tutt'ora dentro la tasca del suo giacchetto, bellamente indossato da lui e col cavolo che mi ci getto sopra, toccandolo ovunque al fine di riprendermelo.
A differenza di Leonardo che abita sulle colline di Firenze, la casa di Alberto è situata a Oltrarno – che in fiorentino è simpaticamente chiamato anche Diladdarno, poiché è la zona di Firenze che sta sulla sponda sinistra dell'Arno –, a pochissimi metri dalla chiesa San Frediano in Cestello.
Vive in un palazzo che potrebbe essere facilmente riconducibile al mio, se non per il piccolo dettaglio che appartiene tutto alla sua famiglia e se non per il piccolo dettaglio che ha l'aria decisamente migliore, oltre che più antica seppur tenuto in ottimo stato. Così mi ha spiegato durante il tragitto in auto; praticamente ha parlato soltanto lui, io mi sono limitata a starmene zitta e con tanto di broncio.
Mentre lo aspetto aprire il portone blindato, mi guardo furtivamente intorno e, inesorabilmente, finisco con il posare i miei occhi sulle sue spalle. Noto con sorpresa solo in questo preciso momento che non è vestito a tema della serata organizzata da noi Rappresentanti: oltre alla giacca di pelle imbottita di Marc Jacobs, indossa una semplice camicia dal colore scuro e un paio di calzoni neri a sigaretta, per poi finire su delle scarpe stringate che io definisco, ironicamente, altresì le "scarpe dei becchini".
È vestito in maniera piuttosto sobria, convengo silenziosamente, ciononostante lo stile rimane comunque elegante e ricercato. Ha buon gusto nel vestire, esattamente come quel manichino impagliato del suo amichetto del cuore.
Alberto è piuttosto alto, anche se non come Diego o Ludovico – e nemmeno come Emilio –, ma sono più che certa che superi il metro e ottanta. I capelli, che all'inizio della serata saranno stati oltremodo fissati impeccabilmente con un pizzico di brillantina, adesso sono tutti spettinati soprattutto per via di quella corsa fuori programma, per di più per tutta quella cappa di fumo e sudore dentro un locale affollato quale la discoteca.
Ad ogni modo, questa cosa che tutti mi vogliono portare a casa loro deve finire. Che sta diventando una moda?
«Vieni, dopo di te» mi riporta alla realtà la voce beffarda e profonda di Alberto, accorgendomi che il maneggiare metallico delle chiavi è finito e che la porta è stata aperta. Il ragazzo attende che passi prima io.
Dio... ancora sono indecisa se entrare o meno là dentro. Non che sia l'Inferno, intendiamoci, però lo vedo come un qualcosa di dannatamente sbagliato e inverosimile.
«I tuoi genitori non ci sono?» domando un pelino preoccupata, mordendomi il labbro.
«Sì, certo che ci sono. A quest'ora dove vuoi che siano? Stanno dormendo e le camere da letto sono tutte all'ultimo piano, non ci sentiranno nemmeno salire le scale» mi espone Alberto in breve, scoccandomi un'occhiata allusiva.
«E non s'incazzano se dovessero trovarti, per mera ipotesi, con me in casa loro?» azzardo a chiedere riducendo gli occhi in due fessure.
«Perché dovrebbero? Non stiamo facendo nulla di male, o sbaglio? Tu cosa stavi pensando di fare di diverso, Signora dei Sith?» replica lui con voce alquanto... equivoca.
«Vaffanculo! Stavo pensando a come ammazzarti senza che i tuoi ci potessero sentire» dichiaro sprezzante, superandolo di buona lena e a passo spedito, entrando finalmente in casa Del Bianco. Una dimora alquanto sfarzosa, esageratamente in ordine, senza un pelo fuori posto, e dal forte profumo di gelsomino. «So anche quali sono le basi per occultare un cadavere» continuo velenosa e al contempo mi lascio un attimo soggiogare dalla bellezza dell'arredamento.
Un ampio salone ci dà il benvenuto, molto arioso e molto luminoso. Due grandi archi rotondi permettono di accedervi, e, prima di superarli, accanto al portone, vi sono un'angoliera veneziana dalle tonalità dorate con esposti ben quattro servizi da tè e una piccola ribaltina intarsiata con motivi floreali dove vi è riposto un telefono cordless, un blocchetto per gli appunti e numerosi ninnoli dall'aspetto prezioso e antico. Molteplici piante curate e fiorite sono riposte sopra il parquet cosparso di cera e ben lucidato.
«Come sempre rispondi alle mie velate battutine con delle minacce di morte. Anche questo è un tuo tratto distintivo?» proferisce Alberto dietro di me, togliendosi il giacchetto e appendendolo all'enorme gancio attaccato al muro.
«Già, facci l'abitudine» gli tolgo la curiosità con un sorrisetto satanico.
«Gradisci qualcosa, allora?» mi fa, poggiandosi alla parete con solo le spalle.
«Gradirei recuperare il mio cellulare, dal momento che ho esaudito la tua folle richiesta, e andarmene via da qui» espongo senza tanti giri di parole.
«Vacci piano, Brunori, stai serena, siamo appena arrivati. Avrei piacere a offrirti qualcosa e a scambiare quattro chiacchiere, magari. Niente di più, niente di meno».
«Gradirei dell'Arsenico... ne hai nella tua dispensa?» pronuncio cercando di mostrare quanta più dolcezza possibile.
«Mi spiace, ti deludo. Però potrei prepararti una cioccolata calda», Alberto scuote il capo divertito.
«No, niente cioccolata. Vorrei del tè, bollentissimo» dico con fatica, ovviamente senza mancare di sbuffare.
«Cos'è, sei a dieta?» m'interroga Alberto stranito, la fronte corrugata. Dopodiché, abbandona la sua postazione e si dirige oltre i due archi, alla volta della cucina. Mi fa cenno di seguirlo.
«La dieta non c'entra. Mi fa schifo la cioccolata calda, in realtà le cose troppo dolci mi stancano facilmente. Il tè è il mio preferito» gli spiego chiedendomi mentalmente se un dettaglio del genere seriamente possa interessargli.
«Sei fredda e aspra di nome e di fatto, Signora dei Sith» non manca di prendermi in giro.
«Alla lunga ci si stufa di essere dolci, amabili e affettuosi, sai...» mormoro sperando di non essermi fatta udire, ma era un qualcosa che mi sentivo di dire.
Seguo Alberto fino al locale della cucina, un luogo del tutto diverso dal salone che ha in tutto e per tutto l'aspetto degli alloggi della reggia di Versailles. Supera di buon grado l'arredamento della villa di Aspromonte, tanto per fare un esempio.
Il bianco impera in questo ambiente: bianco il tavolo rotondo di grandi dimensioni in mezzo alla cucina, bianco il lampadario che pende dal soffitto – e, a parer mio, composto interamente da gemme di cristallo –, bianca la vetrinetta dove sono riposti piatti, bicchieri e quant'altro, bianche le seggiole stile "Luigi Filippo", bianco il freddo pavimento sotto le nostre scarpe.
Gli unici colori diversi non sono altro che il nero del forno e del marmo dietro al lavello e ai fornelli, e il dorato che decora il restante mobilio, sempre su quello sfondo immacolato.
«Capisco cosa intendi, soprattutto dopo quello che hai passato» mi arriva la sua risposta come una freccia in pieno cuore.
Alberto tira fuori dalla vetrina due tazze da tè dall'aria inglese e con sopra dipinte delle viole in stile signorile e morbido. Le poggia senza far rumore sopra la superficie della tavola, talmente lucente che ci si potrebbe specchiare; successivamente, si occupa di riempire fino all'orlo d'acqua un bricco d'acciaio, per poi metterlo a scaldare in attesa dell'ebollizione.
«Siediti, starai scomoda lì in piedi» mi suggerisce abbozzando un sorriso diverso da quelli di prima, più... armonioso e gentile.
Obbedisco, ma giusto perché in piedi sto effettivamente scomoda!
«Cosa ne sai tu di quello che ho passato?» dico con espressione guardinga. Sa che sono andata a letto con una miriade di ragazzi, facendomi guadagnare i simpatici epiteti di puttanella del Moulin Rouge e sgualdrinella fattoncella?
Oh be', al Caravaggio è una notizia che sanno tutti, niente di nuovo, nessuna novità. Praticamente ero sulla bocca di ogni studente.
«So che quel coglioncello ti ha usata solamente per scopare, solamente per aggiungere un altro nome alla sua lista. Le voci girano anche fra noi maschi del Classico. Com'è che si chiamava? Diomede? No, forse Domenico? Anzi no, aspetta, era Danilo...». E poggia sopra la tavola, accanto alle tazze, un generoso contenitore verde scuro intarsiato colmo di bustine da tè di qualsivoglia gusto.
«Damiano. Si chiamava Damiano» lo correggo, devo confessarlo, divertita dal suo sparare a random quei nomi.
«È per colpa sua se tu hai deciso di...».
«Deciso di scoparmi qualsiasi ragazzo io volessi? Sì, diciamo che la colpa è stata al novanta per cento sua» lo interrompo andando dritta al sodo, senza provare alcun moto di vergogna, «e al dieci per cento mia, che al tempo non sapevo come gestire una delusione d'amore di dimensioni grandi come quella. Ho scelto la via peggiore».
«Perché peggiore? Fare sesso non è mica un reato» sentenzia Alberto per niente d'accordo con la mia affermazione.
«Non è un reato, tutti fanno sesso. È un reato, però, ritrovarsi alla fine dei giochi con un tale casino dentro la mente, avere la psiche ridotta a uno straccio, idem per la dignità, e non ricordarsi nemmeno la metà dei nomi di quelli con cui ho condiviso il letto, o il divano, o la macchina, o addirittura il cesso di una qualche discoteca. È quello che fa più male, il sapere di essermi buttata via per persone che non rappresentavano niente per me, di avergli dato quel lato così intimo della mia persona senza risparmiarmi. Arrivavo in certi momenti che mi accovacciavo in bagno, con il trucco colato lungo le guance per colpa del pianto, e mi chiedevo "Che cosa farò quando arriverà quello giusto per me? Non avrò uno straccio di niente da dargli perché il meglio di me è ormai andato". E poi, quando finalmente mi decidevo a smetterla con quel circolo vizioso, ecco che puntuale come un orologio arrivava qualcuno a ricordarmi con educazione chi veramente ero. Una sgualdrinella fattoncella» racconto senza cedere nemmeno per un secondo, rimango con lo stesso tono di voce per tutta la durata del mio discorso. Imperturbabile, costante, quieta.
«Se ti fai un giro negli spogliatoi femminili della palestra troverai sicuramente ancora qualche scritta fatta con l'uniposca, indelebile a vita. È tutta scena, no?» sottolineo beffarda, inarcando un sopracciglio.
«Me lo sono fatto un giro negli spogliatoi femminili, credimi, ma non ci ho fatto proprio caso» enuncia Alberto con una punta di malizia, sperando di confortarmi, «comunque, beati quelli che hanno avuto l'opportunità con te».
Scoppio a ridere, rimembrando troppo tardi che i genitori di Alberto sono a letto sotto lo stesso tetto dove ci troviamo noi, quindi mi tappo immediatamente la bocca con la mano, soffocando ogni tentativo di ilarità.
«Vaffanculo» lo cantileno per niente offesa attraverso il palmo.
«Peccato non essere arrivato in tempo» mi insiste con la sfrontatezza medesima del gran cialtrone cantato da Fabrizio De André in "Carlo Martello".
«Sai com'è, mi odiavi da fare schifo, esattamente come io odiavo te. Odiavo tutti voi del Classico, nessuna eccezione. Vi avrei volentieri cosparso di benzina per poi darvi fuoco. Per la cronaca, non ti avrei mai steso» gli rammento ostentando menefreghismo e quel suo stesso pizzico di malizia, «ehm, l'acqua starebbe bollendo» e indico verso il bricco con dell'acqua che appunto fuoriesce dal bordo.
«E adesso non ci odi più?» Alberto mi rivolge la domanda da un milione di euro, scattando verso la manopola del fornello per spegnere il fuoco.
«Adesso provo indifferenza».
Ed è fondamentalmente la verità. Arrivati a una certa, uno si stufa pure di tutto questo dramma, di tutta questa tragedia, di tutto questo odio gratuito... per che cosa poi? Per del potere dentro una patetica scuola superiore? Per ottenere il posto fisso sul Banco del Re? Per essere in vetta alla classifica della popolarità? E una volta superata la maturità che cosa ce ne facciamo di tutto ciò? Mi viene naturale ora definire questa faida penosa come inutile e contro producente.
Le tragedie greche preferisco lasciarle ai libri per poi essere studiate.
«Quindi, tecnicamente, non mi odieresti più» dichiara Alberto, andando a versare l'acqua in entrambe le tazze, riempiendole generosamente.
«No, non ti odio. È che non ti sopporto, non riesco a tollerarti» ribatto allegramente, tutta pimpante.
«Se non mi sopportassi non ti saresti presa la briga di seguirmi, di salire in macchina con me e di entrare in casa mia» mi dà il colpo basso, offrendomi con galanteria la scelta della bustina del tè.
«Io sono qui solo per riavere il mio telefono» gli sbatto in faccia la realtà e indico con il dito la bustina del tè verde.
«Ne sei sicura?».
«Mai stata più sicura di così».
Entrambi ci fissiamo negli occhi con intensità. Neanche ho badato alla bustina che Alberto mi ha immerso nell'acqua bollente. Siamo troppo impegnati a sorreggere l'uno lo sguardo dell'altro. Verde il mio, blu il suo. Più scuro del blu di Emilio.
«Chi è stato a rubarti il cuore? Deve essere stato un vero mago dal momento che tu eri il ghiaccio fatto persona. Non ho mai visto una ragazza più stronza di te, Marta Brunori, eccetto Costanza... però con lei ormai ci ho preso l'abitudine» m'interpella ancora in piedi davanti a me.
«Non ti deve interessare» borbotto roteando gli occhi infastidita.
«M'interessa eccome. Nessuno più di me ci tiene a saperlo» replica con velocità, lasciandomi un po' esitante.
«Non insistere, non te lo dirò». Prendo a girare il tè con il cucchiaio nonostante non ci abbia messo neppure una zolletta di zucchero.
«È il giovane professore, vero? Quello che l'altro giorno, dopo l'Assemblea, ti ha convocato da lui. Ho visto come i tuoi occhi sono rapidamente cambiati appena ha pronunciato il tuo cognome» proferisce con voce intrisa di dolore, nessuna traccia di spavalderia.
«Smettila...» mormoro sentendomi tesa e sotto pressione.
«Perché lui? Perché non io? Cos'ho che non va? Piaccio praticamente a ogni singola ragazza dentro quella scuola, perché non a te?». Alberto si morde con forza il labbro inferiore, stringendo la mascella con la mano in un gesto di afflizione. «E poi, come fai a dire che un qualcosa o un qualcuno non ti piace se nemmeno hai provato?» continua.
«Per provare l'ebbrezza del volare di certo non mi getto dalla montagna più alta» butto là senza sapere cos'altro poter aggiungere, senza incrociare i suoi occhi. Stranamente non riesco più a sostenere la loro pesantezza.
«Provaci con me. Soltanto una volta, non chiedo altro. Dammi una possibilità, Marta» richiede accostandosi a me e abbassandosi in ginocchio tanto per arrivare all'altezza esatta del mio viso.
«Io non posso...» deglutisco rannicchiandomi sopra quella sedia, sentendomi maledettamente indifesa.
«Non è un reato, lo hai detto tu stessa» dice Alberto come se mi stesse implorando, ed effettivamente nelle sue iridi vedo con chiarezza disegnata la perfetta forma d'invocazione ardente, «prima di prendere la tua decisione, voglio farti chiarezza su che cosa puoi scegliere. Voglio dimostrarti di quanto mi hai fuso il cervello, di quanto mi hai inebriato i sensi, di quanto mi hai fottuto la ragione. Se è tutta scena, allora voglio giocarmela bene».
«Alberto» lo richiamo in un gesto involontario, il suo profumo mi arriva dritto alle narici. Senza chiedere il mio permesso mi accarezza con delicatezza la mano, sporgendosi in avanti lentamente.
«Ti prego, una sola possibilità» mi giunge alle orecchie il suo sussurro tormentato, «un bacio non ha mai rovinato nessuno».
Non riapro bocca per ripetere il suo nome, non ridò fiato alle corde vocali, non rimuovo la lingua al fine di formulare una frase con del senso compiuto. Anzi, il senso, la logica, il raziocinio, la coerenza, sembrano essere andati a farsi benedire direttamente in Vaticano dal papa.
Se ne sono andati nel momento in cui ho deciso di seguire Alberto dopo che Matilde e Leonardo se ne sono andati a discutere delle loro cose nel buio di quell'area verde.
Potrei scansarmi, potrei riversare la testa un po' all'indietro, potrei premere le mie mani contro il suo torace, potrei rifiutarlo in mille modi diversi. Tuttavia non lo faccio, rimango immobile, inerme, senza una risposta a popolarmi la mente, quando in compenso di domande ne abbonda in quantità.
E se questo potesse davvero servirmi per capire quello che realmente sento? Io ho sempre fatto a botte, a morsi, a calci con i miei sentimenti più profondi. Non mi sono mai innamorata di nessuno, non ho mai perso la testa per qualcuno. Sono sempre stata sola e indipendente.
Per me è tutto nuovo; con Emilio, con Alberto, un'esperienza mai provata prima.
Un bacio... è questo ciò che chiede Alberto. Un bacio per stipulare quale dei due è in grado di farmi battere il cuore. Un bacio per risolvere il dilemma.
Lascio che Alberto avvicini pericolosamente – roba da "allarme rosso" – il proprio viso al mio, le proprie labbra alle mie. I nostri nasi si vanno a sfiorare quasi con timidezza, esattamente come le nostre bocche. Timide, impacciate, spaventate.
«Non sta succedendo davvero...» mormora allontanandosi di qualche millimetro, la voce gli trema dall'emozione, «ancora non ci credo...».
«Sta succedendo, invece. E non siamo nemmeno ubriachi» tento di smorzare la tensione, appellandomi alla mia rinomata ironia.
«Se questo è un sogno vorrei non aprire mai più gli occhi...» conclude per poi ritornare a me, alle mie labbra.
Avido, affamato del mio sapore e carico di desiderio.
Mi afferra per la nuca, infilando le dita in mezzo ai miei capelli. Non osa essere brusco, non gli viene dal cuore di essere sbrigativo. Preferisce godersi l'attimo, che sa benissimo essere fuggente. Dapprima mi lascia una scia di baci casti sul bordo del mento per poi arrivare sul contorno delle labbra. Lascia quest'ultime per la parte finale, per concludere in bellezza.
L'ultimo atto.
Con spiccata maestria schiude le sue labbra, solleticando le mie con la sua lingua morbida, istigandomi a imitarlo.
Lo imito.
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