41. Che lo spettacolo abbia inizio






"Non serve che tutto il mondo ti ami. Bastano poche persone buone."

The Greatest Showman (2017)










Un sottile spiraglio di vento si insinua fra le pieghe del gilet scarlatto della mia divisa. Mi fa rabbrividire siccome sono uscita fuori dall'Arcadium senza indossare il giacchetto, tuttavia sopporto senza battere i denti e senza lasciarmi sfuggire qualche strano lamento.

Siccome sto spazzando il marciapiede davanti all'entrata, togliendo cartacce e resti di sigarette varie lasciati da persone ben poco educate, accetto la consapevolezza che posso resistere finché non porto a termine il mio compito. Ho sopportato il freddo in situazioni ben peggiori, come, ad esempio, dopo la serata trascorsa al Blue Velvet — ero persino a gambe nude in quel frangente.

Nell'attimo che raccolgo due mozziconi scostandoli con la scopa, Jevanni apre la porta d'ingresso del cinema, facendo fuoriuscire per pochi attimi la canzone della Perla Nera di Pirati dei Caraibi, ed esce all'esterno, avvicinandosi a me. Con quella canzone il suo aspetto da pirata non fa che aumentare, gli manca soltanto il cappello da Capitano e poi è pronto a salpare insieme a Jack Sparrow.

Il giovane esegue una breve piroetta sulle proprie gambe, piegandosi sulle ginocchia, e allunga le braccia verso l'alto in un gesto di sgranchirsi le ossa. Al momento due sale sono in modalità proiezione e la terza è chiusa fino alle nove, per cui sia io che lui ci prendiamo qualche minuto di pace e rilassamento. Jevanni si va ad arricciare con le dita la barba annodata nelle sue due famose treccine prima di iniziare a parlare.

«Come va la tua mano? È ancora viva?» mi chiede lanciandomi una finta occhiata guardinga, degna del suo spirito costantemente festoso. Forse è proprio per quello che la somiglianza con Jack Sparrow è veramente tanta, oltre che per la barba e per il mento affilato.

Sposto la scopa nell'altra mano, quindi, osservando quella cui ora vi è attaccato sopra un cerotto di piccole dimensioni. La fasciatura avorio ormai è sparita da un pezzo. La faccio piroettare di fronte agli occhi attenti di Giovanni e poi sorrido alquanto felice, «Come vedi si è ripresa del tutto».

Stringo persino le dita tanto per dar lui la prova ferrea.

Dopodiché Jevanni, abbandonando quel suo lato gioviale e adottando maggiore compostezza, fa un passo al fine di avvicinarsi di più verso la sottoscritta.

«Ora lo domando a te, tu stai realmente bene? Sai, dopo averti vista scoppiare a piangere per via del litigio con la tua amica mi sono preoccupato un bel po' anche se non l'ho dato a vedere» proferisce assottigliando le palpebre, esternando elevata cautela nel modo in cui me lo domanda.

Penso abbia una leggera paura che io prenda male questa sua preoccupazione, questo suo interesse, e gli risponda in malo modo. Ma, al contrario, mi sento veramente lieta del suo interrogativo nei miei confronti. Non mi sento affatto piccata o quantomeno irritata. Poi Jevanni non se lo merita, non ha mai fatto niente per meritarselo.

E io ho finito con il comportarmi da perfetta acida e ostentare quella che è magistrale sufficienza verso di lui.

«Attualmente, mai stata meglio. Per una volta, dopo tanto tempo, mi sento serena e in pace con me stessa, addirittura con gli altri che mi stanno intorno. Il che è fantastico» affermo con un che di eccitato nella mia voce, provo seri brividi di gioia pervadermi braccia, gambe, mani, collo e spina dorsale.

Perché sì, è davvero bello e liberatorio non avere drammi a popolarti l'esistenza, nemmeno pensieri astiosi e vendicativi per qualcuno. Il peso dell'essere si è alleggerito un sacco da qualche giorno a questa parte, mi sento leggera come un pezzetto di zucchero filato. Claudio e Olivia a parte – ma non è che mi turbino più di quel tanto –, posso realmente affermare di aver trovato un equilibrio quantomeno decente e decoroso.

Finalmente non sono più in bilico su quell'asticella da trapezista sopra il baratro oscuro e profondo.

Jevanni mi posa la mano sulla mia spalla, con tocco delicato e attento, e sorridendo nuovamente, ritornando il solito proprietario di un cinema fantasmagorico con la mente sempre in movimento, dice, «Finalmente sul tuo viso spicca di nuovo un sorriso luminoso e pulito. Sono contento di riaverti così, Mats».

Rimango colpita dalla sua gentilezza così spontanea, così naturale, tanto che neanche tento di sottrarmi via al suo tocco; è troppo sincera e pura la sua preoccupazione, so per certa che non c'è nessun doppio fine dietro di essa. Sicché, senza volerlo minimamente e senza poterne fare a meno, vengo mossa da un lampo di senso di colpa.

Sì, be', era inevitabile, prima o poi sarebbe accaduto comunque! Mi sono sempre fatta beffe dei suoi sentimenti, a essere onesti, comportandomi con superficialità.

Perché – come sempre – io vengo circondata da persone che fondamentalmente, alla fine dei giochi, non mi merito? Amici, famiglia, di nuovo amici, datore di lavoro, professori a tratti, nemici che si sono rivelati potenziali alleati e sinceri compagni, vicini di casa – e non quelli con l'appendice nasale lunga quanto la Divina Commedia! –,... un ragazzo cui doveva rimanere fino alla fine il mio antagonista per eccellenza.

Abbasso lo sguardo per un attimo mentre faccio un sospiro, «Mi dispiace per non essere stata ciò che volevi io fossi per te. Ti meriti veramente qualcuno di speciale al tuo fianco, qualcuno che sappia riconoscere la persona meravigliosa che tu sei, Jev» confesso cercando di adottare un tono dolce, oltretutto riconoscendo quanto sia una bella persona.

«Sicuramente un giorno arriverà, lo sento. Ho uno di quei presagi da "film horror"» ridacchia Giovanni dandomi un giocoso buffetto sul naso, «comunque non serve che ti scusi, alla fine l'infatuazione era solo da parte mia, tu sei sempre stata chiara e schietta al riguardo. Non mi hai illuso».

«A me piaci, Jev, mi piace la tua persona. Volevo solo dirti grazie per tutto quello che fai» ammetto con sincerità, aumentando la presa sulla scopa.

E lui non sembra essere tremendamente dispiaciuto o scosso dalle mie parole; poiché sapeva, che prima o poi – sempre prima o poi –, un momento come questo sarebbe arrivato.

A dispetto delle mie ipotesi, però, si è svolto nel migliore dei modi; io credevo che sarei arrivata all'orlo della sopportazione e avrei sbottato come una pazza in preda alla follia. Invece... tutto si è risolto per il meglio e soprattutto in maniera civile e amichevole. Come è giusto che sia.

«Allora io dico che dovremmo andare una volta per tutte a una qualche mostra o evento cinematografico. Inauguriamo la nostra... amicizia appena coltivata! Che a lungo possa prosperare» propone euforico il proprietario dell'Arcadium, lasciandomi stupita. Non avrei mai pensato che Giovanni sarebbe mai arrivato a chiedermi di essere soltanto amici, seppur con un certo sforzo, forse.

«E io accetterò stavolta, te lo giuro su Stanley Kubrick!» esclamo facendo un saltello, in questo caso mi sento più che motivata ad accettare un suo invito.

Prima, ahimé, sarebbe stato fin troppo strano dal momento che sperava sempre quel qualcosa di più da parte mia. Ma adesso mi sento meno bloccata, meno vincolata.

«Un giuramento così non lo puoi più spezzare, signorinella» mi avvisa puntandomi il dito contro lanciandomi una finta occhiata di sbieco con tanto di smorfia alla Davy Jones.

«Te lo prometto» asserisco ancora, annuendo.

«Ti credo sulla parola. Adesso rientriamo, forza, qua fuori si gela e il marciapiede tra poco risplende, Matilde!» mi ordina Jevanni strofinandosi i palmi delle mani al fine di riscaldarle.

Senza aggiungere altro mi appresto a obbedire a quanto ha detto il mio capo, inforcando la scopa e oltrepassando la soglia dell'Arcadium. Appena entrambi varchiamo l'ingresso, il mio cellulare vibra dalla tasca posteriore dei calzoni della divisa, segno che ho appena ricevuto un messaggio. Con movimento ormai diventato meccanico vado a sbloccare il display, non si tratta di uno ma di ben due messaggi.

Il primo evidentemente deve essermi sfuggito siccome non l'ho sentito arrivare e appartiene a nientepopodimeno che a Costanza; mentre il secondo, invece, è di DarthMart.

Nel pomeriggio, dopo aver concluso quella sorta di riunione improvvisata paragonabile quasi a un'Assemblea, io e Diego ci siamo offerti di riportarla a casa dal momento che si era fatta accompagnare da sua mamma. Tuttavia Marta ha spiegato che non c'era bisogno alcuno, che Lunanuova voleva parlare con lei e che un qualche modo per ritornare l'avrebbe senz'altro trovato.

Inutile dire che Marta era letteralmente elettrizzata, letteralmente entusiasta a quell'idea anche se non lo dava a vedere, troppo impegnata nell'abile arte del nascondere le emozioni. Inutile dire che Alberto li ha seguiti con lo sguardo finché ha potuto, finché gli è stato permesso, in silenzio e senza osare espressioni o smorfie compromettenti.

"Il tormento silente, taciturno, è quello più assordante tanto da frantumare vetri e cristalli. È maestro nel rovinare l'inconscio, lentamente e dolorosamente, nel distruggere l'alto baluardo che funge da scudo issato dalla psiche grazie all'esperienza e all'accortezza", ho pensato in quell'istante, provando a entrare nell'ottica di Alberto per qualche secondo.

Ho voluto provare. Provare a sentire ciò che poteva percepire.

Dolore, è la prima cosa che ho sentito.

Proibizione, è stata subito la seconda.

Afflizione, è stata infine l'ultima.

E, forse, anche un pizzico di rassegnazione poiché le sue erano mani legate.

Mi passo la mano con fare nervoso sopra la frangetta al fine di ravvivarla e, andando ad occupare la postazione che mi spetta dietro il registro di cassa, mi preparo a leggere i due messaggi, sforzandomi di smettere di pensare ai sentimenti di Alberto Del Bianco. Per quanto mi duole, non rappresentano affar mio, per quanto posso dispiacermi per lui, io non posso fare altro che niente.

Devo stare buona e ferma, soprattutto sapendo ciò che alberga nella mente della mia amica, ancor più nel suo cuore che lentamente sta subendo il disgelo.
Per una volta intendo adottare la sua tattica: farmi i cavoli miei con nonchalance.

Procedendo in direzione ostinata e contraria.

Sicché decido di andare per ordine e per primo apro il messaggio inviatomi da Costanza, seppur con una certa ansia ad attanagliarmi le viscere dello stomaco. Quella ragazza è una fucina di idee assurde e infinite, diaboliche e sicuramente di gran classe, non c'è che dire, logico percepire un filo di tensione, specialmente dopo quello che è stata in grado di combinare lunedì scorso!

Anche se... tuttavia... ridendo e scherzando... bisogna dire che è stato grazie a quella sua improvvisa genialata se sono riuscita a ottenere numerosi e inaspettati risultati, sommandoli alle dubbie informazioni che sono venuta a sapere.

Ho scoperto che Adele ha conosciuto Furio in giovane età e non solo per via della sua ampia fama a Firenze, come tecnicamente lei mi ha fatto credere! Ho scoperto che Furio è molto più sensibile di quel che vuole dimostrare al prossimo, persino al proprio figlio; la sua notorietà l'avrà anche trasformato nell'uomo di classe, composto e rigido che è tutt'oggi, ma sotto sotto, oltre la sua dura e spessa scorza che compone la superficie, si cela un animo del tutto candido e sognatore.

Ho presentato Leonardo a mia madre nonostante ancora non abbiamo dato una definizione ben precisa al nostro rapporto, chissà quando mai gliela daremo. Ho saputo di più su Ariadne Ardinghelli, riuscendo a dosare con estrema facilità la mia gelosia verso di lei e ad accettare, in qualche modo, qualsiasi legame abbia con lui.

Che io lo voglia o meno, Ariadne lo ha conosciuto prima di me, è arrivata prima di me, qualunque cosa abbiano in comune loro due io non posso metterci bocca, non sarebbe giusto. Ciononostante, provo meno gelosia di prima, questo è l'importante.

E per ultimo, ma non meno importante, ho fatto una figura di merda biblica sempre con la mamma. Se lei non fosse arrivata a interrompere le nostre... emissioni d'affetto – o come le ha definite lei, "mangiare, divorare il figlio di Furio" –, nessuno può affermare dove saremmo potuti andare a parare!

Ora che penso alle figure di merda bibliche degne del Jim Levenstein di American Pie, mi sovviene in mente pure mio padre!

In quale dannata e assurda maniera potrò mai anche solo accennargli il minimo suggerimento di presentazione di Leonardo?

Dio... mio padre è fortemente contro alle armi, confermo io stessa, però sa maneggiare con elevata maestria un coltello da cucina quanto una mannaia da carne! Mi vengono brividi di gelo perenne al sol pensiero di Leonardo e Fabrizio nello stesso ambiente sacro quale la cucina, soprattutto dopo che mi ha caldamente intimato di pensare ai ragazzi unicamente quando lui sarà morto.

Mi porto le dita sopra le palpebre in un gesto di rassegnazione, premendo con forza al fine di scacciare quell'infausto e, forse, non troppo lontano futuro. Una volta riaperte all'insù, finalmente leggo il messaggio di colei che ha architettato praticamente la rovina della mia vita e, mi pesa doverlo ammettere, quasi che mi tocca doverla ringraziare per questo.


Costanza, 18:32

- Mi è scoppiata la scintilla! Ho avuto l'illuminazione sul come farla pagare a Claudio, esattamente al veglione di questo sabato come già ti avevo accennato... mi basta solo sapere che sei con me, Atena (non dimenticarti che il tema è Old School, ti voglio impeccabile!).


L'ansia del venire a conoscenza del contenuto del messaggio è svanita in un batti baleno dopo aver letto le semplici righe scritte da Costanza.

Un'espressione di immenso disprezzo e livore appare nella mia faccia veloce come lo sferzare di una tempesta in pieno inverno, tanto che, quando mi vado a riflettere sullo specchio appeso al muro accanto all'ingresso del cinema, quasi ne rimango spaventata e allo stesso tempo colpita di tutta quell'intensità al di sopra le righe di quel sentimento così negativo.

Pazzesco di come basti leggere il solo nome di Claudio Patriarchi per ottenere una reazione del genere. Prima lo detestavo perché semplicemente meschino, subdolo e gran bastardo, ora l'odio si è rincarato per via di ciò che ha fatto a Celeste e, anche se me il fregarmene è veramente poco, a Olivia! Celeste è minorenne, peraltro!

Mi tremano le mani mentre vado a digitare una risposta più che positiva alla Queen Bee del Classico, chiaro che sono con lei, qualsiasi cosa scelga di fare.

Non m'importa se spregevole e non ortodossa, sento il bisogno di vendicare la sorella di Ludovico, ne ho necessità.

Al diavolo i pensieri di pace, di indifferenza, di riconciliazione, di quiete e di tregua. Al diavolo i sensi di colpa, per quelli c'è sempre tempo ammesso che essi osino presentarsi alla mia porta.

"Mio dio, Matilde, come sei crudele, non è da te essere così vendicativa...", appunto mi sibila la vocina sarcastica alle orecchie della mia psiche.

Oh, che si fottano le cose che non sono da me! Come ho già ripetuto a Costanza, ultimamente faccio un sacco di azioni che non sono per niente nelle mie corde, totalmente in contrasto con Matilde Castellani.

Magari sto cambiando, chi lo sa? O magari sono solamente stufa e basta, rimanendo sempre me stessa.

Claudio si annoia? È costantemente con il girarsi i pollici? Molto bene, allora vorrà dire che gli daremo qualcosa con cui divertirsi e per cui avrà lunga memoria per ricordarsene a dovere. Si diletterà come mai prima d'ora.

In questo momento vorrei volentieri avere fra le grinfie una spada ben affilata di Hattori Hanzo per tagliargli via la testa, di netto.

Ed è per questo che preferisco che sia Costanza a gestire la situazione, probabilmente lei è abbastanza lucida e non troppo coinvolta per riflettere a un qualcosa di sadico ma non troppo eccessivo. La cara Cost ne ha proprio la stoffa e soprattutto ha il controllo che non ho io, la pazienza che in me scarseggia.

Infine arrivo a leggere il messaggio di Marta, con la speranza che mi faccia perlomeno ritornare uno straccio di buon umore.


DarthMart, 19:26

- Mats, sono ritornata a casa da poco, Emilio mi ha riaccompagnata! Io devo assolutamente raccontarti, non ti puoi minimamente immaginare cosa è accaduto...



Deglutisco l'aria dopo aver letto il contenuto e alzo per un attimo le iridi cercando di riflettere un momento. Marta è stata con Lunanuova per un nutrito lasso di tempo, certo che avranno avuto di che parlare, un bel po' oserei dire.

Mi gratto velocemente il mento e poi procedo a digitare la risposta. La curiosità di sapere, adesso, è impellente. Non mi posso minimamente immaginare... diamine, la odio quando fa così la vaga.

Ah, se avessi in mano quella famosa spada di Hattori Hanzo... non la scamperebbe nemmeno Marta.


Io, 19:45

- Ebbene? Parla! Intendi prolungare oltre la mia sofferenza?



Ripongo il telefono sopra il bancone, assicurandomi di lasciare il display bene in vista, mettendomi in attesa di un responso, sperando il più veloce possibile.

Mi metto persino a giocherellare con il Funko Pop di Frida Kahlo elegantemente esposto accanto al registro di cassa, vicino a quello di Hannibal Lecter.

Quest'ultimo mi riporta alla mente il vestito di Halloween che ha indossato Leonardo alla notte del Maverick, con tanto di maschera e capelli tirati all'indietro esattamente come l'Anthony Hopkins del film.

Diavolo... ora che ci pondero bene devo ammettere che, be'... era sorprendentemente sexy.

Durante quella serata poco ci avevo prestato attenzione siccome ero infuriata come la Medusa della mitologia.

«Mati, ti va qualcosa da bere? Una Coca Cola con ghiaccio? Qualcosa da sgranocchiare come dei pop corn al miele oppure come i tuoi amati M&M's?» mi chiede Jevanni dall'altro lato del cinema, sporgendosi dal bancone illuminato delle vivande.

«Ti ringrazio, Jev, ma sto bene così. Magari richiedimelo fra qualche ora, ti spiace?» proferisco esibendo un gesto di diniego con la mano.

«Vada fra qualche ora. Nel frattempo spulcio il programma degli eventi cinematografici fiorentini, che dici?» replica mostrando bene in vista il proprio cellulare.

«Fai pure. Che sia un evento leggendario, mi raccomando!» esclamo facendogli l'occhiolino.

Il display del telefono si illumina nuovamente. Marta ha risposto.


DarthMart, 19:47

- Ti racconto domani a scuola!



Oddio, quanto la odio, continua a fare la vaga. Incredibile. È disarmante questa ragazza, ti porta all'esasperazione!

Un po' come Lunanuova, effettivamente.


Io, 19:47

- NO, ORA, MARTA! NIENTE "DOMANI A SCUOLA". N O W!



Lancio letteralmente l'apparecchio contro la superficie liscia e con un tonfo non troppo delicato atterra vicino al bordo. Qualche millimetro e sarebbe caduto per terra.

«Ti senti bene, Matilde?» fa nuovamente capolino Jevanni, stavolta mostra un sopracciglio inarcato. Mi osserva leggermente stranito visto che mi sono persino alzata in piedi.

«Divinamente. Ho aperto una di quelle pagine fasulle che dicono che hai vinto millemila iPhone e ventordicimila Ferrari» blatero una sfilza di parole senza senso tanto per dare logica al mio gesto un tantino avventato.

Come sempre dimostro di avere scarso autocontrollo.

«Me ne compiaccio! Qualora dovessi vincere una Ferrari ricordati che ora siamo grandi amici e che ti voglio un mondo di bene» dice con palese ironia.

«Saresti il primo della lista» lo rassicuro assumendo un bel ghigno alla Sheldon Cooper.

Il display s'illumina per l'ennesima volta, un'altra notifica di WhatsApp.


DarthMart, 19:50

- Okay... te lo dico... però i dettagli tutti domattina! Ho baciato Emilio, ci siamo baciati, lui ha ricambiato. Perfetto, adesso buon lavoro e ci vediamo a scuola.



Ah, molto bene. Benissimo. Figurati se dovevano solo parlare.

Oddio, Marta ha baciato il nostro professore di storia dell'arte.

L'avvenente e dannatamente bello da far male professore di storia dell'arte.

Marta ha baciato Emilio Lunanuova.

Finalmente il suo cuore di ghiaccio ha cominciato a sciogliersi realmente, finalmente è riuscita ad aprirsi con un qualcuno di sesso maschile senza doverlo per forza offendere pesantemente oppure senza doverlo trattare con sufficienza facendolo sentire inferiore e complessato.

Un vero traguardo per DarthMart, paragonabile al mio non aver strangolato Olivia quando si è attaccata come una piovra alla bocca di Leonardo la sera della festa. Lì per me sì che è stato un vero trionfo personale.

Ma adesso non stiamo parlando di me, stiamo parlando della mia migliore amica. E del mio professore di storia dell'arte, dello stronzo che cronometra le interrogazioni e che ti annusa quando ritorni dalla capatina al bagno.

Non so come prenderla, sinceramente. Per metà sono la persona più felice sulla faccia della Terra, per l'altra metà sono alquanto perplessa.

Quale immane lotta interiore...

«Jevanni» chiamo ad alta voce il nomignolo del mio capo, avverto persino una nota isterica.

«Sì? Che c'è?» immediatamente arriva la sua risposta, facendo capolino per la millesima volta in questa serata.

«Ci ho ripensato. Vorrei una Coca Cola con ghiaccio. Bella fredda. Anzi, se possibile togli la Coca Cola e versaci della Tequila, lasciaci il ghiaccio. Il ghiaccio è perfetto, grazie» faccio richiesta scoppiando in una folle risatina.











«E va bene! Adesso canti come quegli uccellini primaverili allo scadere di marzo» esclamo categorica, puntando con forza il dito indice contro la fronte di DarthMart, picchiettando più e più volte.

Nel mattino di questo venerdì di fine novembre mi sono offerta con la migliore delle intenzioni di passare a prendere la mia amica, accompagnandola al Caravaggio insieme a me.

Durante il tragitto verso la scuola ho tenuto la bocca cucita, ho perfino imitato il gesto dell'ago e del filo, nemmeno ho imprecato contro gli automobilisti incapaci delle sette e quaranta, dico seriamente, neanche la minima parolaccia ha lasciato le mie labbra. Anzi, ho alzato il volume della radio che – grazie al cavetto usb collegato – stava passando "A cosa ci serve" dei Fast Animals and Slow Kids.

Mi sono persino trattenuta dal cantare talmente le note erano a volume elevato, troppo motivata ad attenermi alla promessa fatta a Marta: avrei ascoltato il suo racconto a scuola, e così ho fatto.

Mentre guidavo, però, non mi sono risparmiata dal lanciarle qualche occhiata senza farmi scoprire. Anche avessi voluto, penso che non ci sarei riuscita ugualmente.

Gli occhi di Marta, la sua espressione, erano dannatamente rilassati, limpidi e illuminati di un luccichio che da tanto non vedevo in lei. Ha scostato dietro l'orecchio un ciuffo dei suoi capelli argentati e in quel frangente ho potuto scorgere il tipico sorriso da ebete che spunta appena ti metti a pensare a quel qualcuno in particolare, di importante.

È andata, c'è poco da dire e poco da fare.

Ho aspettato di varcare il cancello del nostro liceo, ho aspettato di aver smontato dalla macchina, ho aspettato quei brevi istanti spesi a raggiungere le nostre amate scale anti-incendio, ho aspettato che sia che lei ci accendessimo una sigaretta, nello stesso momento.

Però adesso la pazienza è sfumata, non ce la faccio a resistere ancora, esigo di sapere.

Ecco perché la sto picchiettando ripetutamente con il polpastrello e in modo non troppo delicato.

Getto il fumo all'infuori della bocca dopo aver parlato, tentando di non strozzarmi.

«Mi fai male, cretina!» esclama lei scostando via la mia mano, massaggiandosi subito con l'altra libera.

«Devi stare zitta e subire» le riferisco assottigliando le palpebre, «come hai potuto mandarmi un messaggio simile e poi non aggiungere altro? Lasciandomi penare a quel modo!».

«Ti ricordo che tu hai fatto ben peggio! Tu nemmeno me l'hai detto subito di Leonardo, ho dovuto aspettare, anzi, ho dovuto vedere con i miei stessi occhi. Non puoi permetterti di lamentarti» sentenzia l'altra lanciandomi un'occhiata piuttosto severa, prendendo un tiro dal drum.

Touché. «E poi quella che fa polemica sono io, non rubarmi la scena» aggiunge scostandosi i capelli con fare teatrale.

Scuoto il capo sfoggiando un ghigno alquanto strafottente, «Vaffanculo, da quando sei diventata così stronza?» ribatto prendendo un altro tiro anche io, imitandola.

«Teoricamente lo sono da sempre, solo che a volte tendo a dimostrarlo di più» m'illumina sorridendo a mo' di candida e innocente bambina.

«Avanti, dimmi un po', come bacia il nostro caro professore? Limona bene? La sua età è terribilmente un pro o terribilmente un contro?» la punzecchio muovendomi di qualche passo sopra il pavimento in ferro decisamente scurito.

«Se non la smetti di prendermi in giro vado nel mezzo del cortile del Caravaggio, riprendo il megafono del giorno di quella specie di manifestazione politica e urlo a squarciagola di te e Leonardo» risponde per le rime al mio tentativo di sfotterla un po', e anche con una bella artiglieria!

«E io andrò a spiattellarlo a Gandolfo. "Preside, una sua alunna e un suo professore se la fanno sotto i suoi occhi, faccia qualcosa, la prego"» imito una voce fintamente inorridita, coprendomi la bocca con il palmo.

«Per l'amor del cielo, Matilde, diamoci un taglio. È decisamente imbarazzante» sbuffa roteando gli occhi, cercando di non mettersi a ridere.

«Quoto, è imbarazzante davvero» sghignazzo afferrando il parapetto e dondolandomi con esso, «avanti, faccio la persona seria e ti ascolto. Voglio sapere tutto quanto».

DarthMart si avvicina a un gradino e si mette a sedere con delicatezza, bagnandosi il labbro inferiore con la lingua e guardandosi intorno con i suoi occhioni verdi. Si stringe a sé un braccio e l'altro lo tiene ben teso, il drum semi-smorzato all'apice. Increspa appena la bocca prima di parlare, la increspa in un modo di piena e totale ammirazione.

Come se stesse per esordire di un argomento vitale ed eccezionale.

«Emilio è una persona straordinaria» inizia con voce incantata, «del professore stronzo, severo e intransigente, ieri pomeriggio, io non vi ho visto la benché minima traccia. È stato come aprire finalmente uno scrigno dall'aspetto austero, sobrio, e scoprirne un meraviglioso contenuto. Ricco e prezioso».

Vado a sedermi accanto alla mia amica nel frattempo, sento il bisogno di starle vicina mentre è alle prese con il narrarmi di questa vicenda così fantastica.

Marta mi spiega tante cose, mi espone tanti dettagli, mi descrive tante piccolezze. Mi dice che hanno parlato dentro quel piccolo caffé a pochi passi dal Caravaggio, in quel luogo così familiare e accogliente per lui, ed è proprio lì che Lunanuova le ha dato per la prima volta del "tu".

Poi continua dicendo che sono saliti nella sua auto e che il prof. ha dei gusti sopraffini in fatto di musica, quasi voleva derubarlo di tutti quei cd trovati all'interno.

Mi dice che si sono recati a casa sua, una casa troppo grande per una persona soltanto, infatti vive da solo, senza genitori e senza – a quanto pare – le sue due sorelle gemelle. Si è sentita così felice di trovarsi nel suo ambiente quotidiano, di poterlo ammirare in prima persona, di poter vedere dove il suo Emilio inizia e finisce le proprie giornate.

Emilio ha un nipote di nome Edoardo e lo adora con tutto se stesso, lo considera al pari di un figlio tanto che lo vizia oltremisura, scatenando la disapprovazione di Lucia.

Marta mi dice una cosa che non mi sarei mai aspettata di sentire, un qualcosa che mai avrei potuto immaginare.

Davo per scontato che il rifiuto del genere femminile da parte del professore fosse stato per una grave scottatura avvenuta in passato per causa di una ragazza. Oppure, davo per scontato che la sua dolce metà fosse passata a miglior vita per colpa di uno sventurato incidente o per colpa di un'orribile malattia.

Ipotesi più che banali le mie, ponderate lì per lì in seguito a quelle scarne informazioni che avevamo su di lui. Veramente con superficialità sono balenate fra le pareti della mia mente.

No. Niente di tutto ciò. A una circostanza simile neanche fra cento anni ci sarei arrivata.

Emilio stava per diventare padre di un bambino datogli dalla ragazza che amava di più al mondo. Tuttavia il destino ha voluto il peggio per lui, ha fatto sì che colei che più aveva importanza prendesse una decisione troppo rilevante senza interpellarlo.

Abortì senza chiedere uno straccio di consenso da parte sua; non che glielo avesse impedito, chiaramente avrebbe tentato di convincerla a fare il contrario, avrebbe tentanto di convincerla che la loro sarebbe stata una famiglia splendida e soprattutto felice, ma mai l'avrebbe costretta a prendere una decisione divergente dalla sua. Se lei non voleva avere un bambino, se reputava che fosse troppo presto, lui non ne avrebbe fatto un dramma: l'avrebbe comunque accompagnata in clinica, le avrebbe tenuto la mano nel dopo rassicurandola che ci avrebbero riprovato in un tempo più opportuno, avrebbe premuto le sue labbra contro la sua fronte, dimostrando al mondo di quando potente potesse essere il loro amore.

Ma così non è stato.

L'amore non sempre è solido e forte come appare; deve essere sorretto da due pilastri, da due colonne incarnate da persone. Se crolla una allora la distruzione è inevitabile.

Come ho detto, il destino a volte può essere talmente crudele che nemmeno ne prendiamo consapevolezza lì per lì. Ce ne rendiamo conto sempre più tardi, quando abbiamo iniziato ad essere più indifferenti, più impassibili, più aridi.

Sempre troppo tardi.

E poi Marta è intervenuta, raccontandogli della sua esperienza con quel testa di cazzo di Damiano Corbaccio, che ha osato usarla soltanto per una misera scopata, spezzandole il cuore e la dignità. In quell'attimo, entrambi sono stati in incredibile sintonia, niente avrebbe potuto interrompere la loro connessione.

Lui si è aperto a lei, lei si è aperta a lui.

È scattato il bacio, dapprima Emilio molto titubante e tirato, infine coinvolto fino al midollo. Tanto che, siccome Marta le si era andata a sedere sopra le ginocchia, ha dovuto alzarsi all'improvviso per riprendere fiato e soprattutto il controllo delle proprie azioni.

Era un po' arrugginito con quelle effusioni, deve riprendere un po' il via.

Per concludere hanno parlato un po', di discorsi stupidi e da idioti, di discorsi intelligenti e da intellettuali.

Marta gli ha fatto presente che sì, lei è pro aborto, sostenendo che è un diritto di ogni donna, ma che quella Nora è stata spregevole, miserabile e senza cuore. Ed Emilio non si meritava quel finale.

Emilio ha scherzato sul fatto di come si sarebbero ritrovati a scuola e in classe, e Marta ha sottolineato categoricamente che per lei, dentro il Caravaggio, lui non è altro che il suo professore di storia dell'arte ed ella una sua studentessa. Fuori da quelle mura, possono essere chiunque loro vogliono.

Infine sua madre l'ha chiamata riportandola alla realtà e dicendole che ovviamente suo padre voleva cenare.

Il prof. naturalmente l'ha riaccompagnata a casa, da vero cavaliere, e soprattutto Marta ha preferito non baciarlo un'altra volta siccome aveva la sua solita sensazione di gelo ad artigliarle i movimenti. Ha scelto di salutarlo con un timido "ciao" e abbassando gli occhi, dimostrando ancora una volta di quanto possa essere sensibile nonostante voglia far sembrare il contrario.

«Mi sento una cogliona adesso» recita Marta arcuando gli angoli delle labbra, il drum ormai consumato.

«Perché?» le domando aggrottando la fronte confusa e con il cuore che mi martella all'impazzata nel petto per via di quello che ha raccontato.

«Perché io mi sono finta Maria Antonietta, sua cugina, e sono andata a teatro con la scusa di tirargli addosso delle uova... pensi che stia bene a livello mentale, io?» dichiara con una smorfia piena di vergogna.

«Oh, ma mia cara DarthMart, nemmeno io sto bene a livello mentale, qua al Caravaggio siamo tutti pazzi, svitati, fuori di zucca. Non c'è nessuno sano di mente, qua siamo nel Paese delle Meraviglie» la rassicuro assumendo uno sguardo assorto e distratto come si addice alla Luna Lovegood di Harry Potter.

«Infatti qua dentro il termine "salute mentale" nessuno sa quale reale significato abbia» arriva una voce maschile alquanto sarcastica, esattamente nella direzione davanti a noi, interrompendo la nostra chiacchierata.

Un ciuffo di dreadlocks rossi spiccano in quel della nebbiolina mattutina; dietro di loro, invece, spiccano una massa indistinta di capelli castani, un vero nido di merli.

«Hai dato voce ai miei pensieri» sorrido amichevole a Diego, seguendolo finché non si siede su un gradino sotto di noi.

Marco lo imita, lasciandosi cadere sbadigliando senza nemmeno mettersi la mano davanti. La pigrizia va di pari passo con la sua attuale voglia di vivere.

«Marco, sembri uno di quei zombie cui Rick Grimes da la caccia» nota DarthMart alzando entrambe le sopracciglia.

In effetti l'aspetto di Marco è veramente orribile. Pallido come uno straccio, occhiaie e impressione che voglia addormentarsi da un momento all'altro.

«Abbiamo fatto tardi ieri sera con la band a provare. Ho dormito pochissimo, mi sento talmente rincoglionito...» spiega lui sbadigliando di nuovo.

«Tu sei rincoglionito anche se dormi troppo o troppo poco, tranquillo» osserva Diego sghignazzando e rifilandogli una pacca sulla spalla del tutto priva di morbidezza.

Una sberla con la "s"maiuscola, una di quelle alla Diego Guevara, alias dio Ares, una di quelle che suggeriscono che il buon umore probabilmente è ritornato a popolare l'interno della sua persona.

Marco sobbalza appena incassa il colpo, si morde persino il labbro inferiore anche se evitando di gridare.

«Porca puttana, Diego!» sibila a basso tono, la sua irritazione è palpabile, lo dimostra la mano che va a posarsi sopra la spalla colpita a tradimento, «Io sarò anche rincoglionito, ma tu rimani comunque un bel testa di cazzo».

«Nah, il titolo di "testa di cazzo" appartiene soltanto a Leonardo Aspromonte. Io non posso bearmi di un simile epiteto, ser» Diego si porta le mani al petto con finto rammarico, senza rimanere minimamente offeso dalla reazione di Marco.

Più che giustificata.

«Faccia da cazzo» preciso io scuotendo il capo, non potendo evitare di riderci sopra.

«Faccia da cazzo, pardon» ripete l'altro piegando la testa in quel che sembra essere un inchino.

Marco gli lancia un minacciosa occhiataccia in tralice, «Sai, mi ricordi tanto il mio film preferito...» fa mentre lo squadra dall'alto verso il basso.

«Davvero? E quale?» pronuncia Diego interessato, accendendosi la sigaretta mattutina.

«L'Esorcista» lo illumina Marco con occhi tetri e funerei.

«Vaffanculo, non è il tuo film preferito!» obietta affatto convinto della sua risposta.

«Lo è da adesso» insiste il ragazzo dai capelli disordinati con indifferenza.

«Ogni giorno ce n'è sempre una...» s'intromette Marta sorridendo loro senza speranza.

«E meno male, sennò sai che dannata noia» fa presente Diego lanciando uno sguardo verso il sole coperto dalle nuvole.

«Come stai, Diego?» al che gli chiedo vedendolo felice, fin troppo felice.

«Bene, ma non benissimo. Male, ma non malissimo. Insomma, sono vivo, in salute, al pieno delle forze e giovane. Vado meravigliosamente a scuola, ho una famiglia unita e degli amici che spaccano il culo. Va tutto alla grande, devo solo farci più caso» spiega lui tornando con i suoi occhi grigi verso di me, «sabato sera ci sarà quel cazzo di veglione. Ci andremo noi tutti e ci divertiremo come si deve. Basta darsi pena per amore, diamine! Ho solo diciotto anni, porca troia, voglio godermela questa vita. Magari domattina mi risveglio sotto un cipresso, chi lo sa».

«Ti divertirai anche se metteranno quella musica latino-americana che tu adori con tutto il tuo esimio cuoricino?» lo punzecchia Marco mettendo un piede sopra le sue ginocchia, tanto per mettersi più comodo.

È risaputo che Diego Falco detesti in maniera eccessiva tutto il genere latino, pop latino e raggaeton. Sarebbe in grado di strapparsi dreadlock per dreadlock qualora dovesse essere sottoposto all'ascolto di una canzone di quella categoria.

«A costo di mettermi i tappi nelle orecchie, sì, mi divertirò! E comunque non mettono la musica raggaeton al Circolo degli Illuminati, mi sono occupato di domandarglielo quando io, Elettra e Ang Louis siamo andati di persona per parlare con i gestori» conviene Diego battendo un pugno sul ferro delle scale.

«Mi divertirò insieme a te, puoi starne certo» lo rassicuro andandogli ad afferrare la mano libera dalla sigaretta, «ci saranno un sacco di ragazze e sono più che sicura che faranno la fila per avere anche un briciolo della tua attenzione».

«Nessuna ragazza potrà mai rimpiazzarla, lo sai...» ammette amaro, alludendo a Thalìa, «la mia testa è troppo coinvolta, capisci? Potrei avere davanti anche quella bomba di Lauryn Hill o di Miriam Leone, non sarebbero in grado di farmi cambiare idea».

«Vedete? Il vantaggio di non perdere tempo con le ragazze è questo, stare in pace con se stessi» dichiara Marco spalancando le braccia, orgoglioso.

«Fa' silenzio, segaiolo. Dicevo la stessa cosa anche io prima di aver scambiato solo due parole con Thalìa. Il colpo di fulmine, la condanna a morte, arriva quando meno te lo aspetti e soprattutto quando sei fin troppo consapevole di essere inattaccabile».

«Be', in caso dovesse arrivare per me, vi chiedo gentilmente di ammazzarmi seduta stante, grazie. O seppellitemi vivo, decidete voi» borbotta l'altro sembrando un orso brontolone.

«Preferisci un calcio dritto in culo, oppure?» propone Diego con lo sguardo illuminato solamente all'idea.

«Sarebbe gradito, sì» annuisce incredibilmente il diretto interessato.

«Testimoni voi tutti. Quando il nostro Marco Esposito perderà la capoccia per una donzella, verrò a tenere fede alla mia promessa» ci indica Diego uno per uno, Marco compreso.

Dopodiché suona la campanella della prima ora, è arrivato il momento di entrare per la lezione di italiano con la prof. Monteluce.

«Fa' come ti pare» bofonchia Marco con l'ennesimo sbadiglio, alzandosi dal gradino di ferro e stiracchiandosi, «non rimanerci male quando accadrà fra... massimo dieci anni».

«Ah, perché fra dieci anni tu ti vedi ancora vivo? Io mi vedo splendidamente morto, magari farò delega a qualcun altro» sogghigna Diego imitando il movimento dell'amico, e anche io e Marta ci mettiamo in piedi, l'ora dell'ozio e dei racconti è giunta al termine così come le nostre sigarette.

«Bello essere spensierati come loro, eh?» sussurro all'orecchio di DarthMart mentre ci accingiamo a percorrere le scale.

«È più facile di quello che sembra a volte, siamo noi che adoriamo farci delle seghe mentali a non finire. Quando impareremo a essere più tipe "scialla" come Marco e piene di filosofia alla Diego, be', probabilmente ci si aprirà un mondo e sarà bellissimo» sentenzia lei con il suo tono ironico.

«Verrai al veglione di domani sera, vero? Costanza ha già un'idea su come farla scontare a quel bastardo di Claudio» dico con aria sinistra, sperando in una risposta positiva.

«Certo che verrò. Dopotutto, l'abbiamo organizzato noi Rappresentanti in grande stile, dobbiamo goderci il frutto del nostro lavoro. Che ha in mente Costanza?» annuisce con sicurezza e tendendo al massimo l'udito.

Gli archi d'ingresso del Caravaggio si presentano davanti a noi, non troppi studenti sono fuori all'esterno, difatti siamo noi che siamo un pelino in ritardo.

Faccio spallucce, tentando di soffocare quell'immane curiosità che a stento ieri sera sono riuscita a placare, destata di nuovo in uno schiocco di dita. Un sorrisetto sinistro però quello non lo soffoco, anzi!

«È stata piuttosto vaga al riguardo. Ha semplicemente avuto l'illuminazione e ha voluto la mia benedizione, volendomi dalla sua parte qualsiasi cosa le venga in mente» espongo in breve.

«E tu? Tu sarai dalla sua parte?» è ciò che mi chiede Marta, per di più con un'inequivocabile autorevolezza.

«Che domande fai? Ovvio che sì. Prima mi scatta una fotografia senza il mio consenso e in una situazione abbastanza equivoca, mettendomi in ridicolo con tutta la scuola. Incarna lo spirito di un lurido e viscido Giuda. Poi soggioga Olivia. E infine fa drogare una minorenne. Mi pare che non siano necessari altri capri espiatori, altri che debbano scontare le colpe per lui».

«Non vedo l'ora di vederla all'opera. Anche io sarò con lei, con Costanza» interviene Diego con tono minaccioso e sguardo bieco, evidentemente deve aver ascoltato il nostro discorso fin dall'inizio, «per la prima volta della mia vita da liceale, mi sento di fare fronte comune con una del Classico».

«Io continuo a essere contro le vendette e le ripicche varie, sono un qualcosa di ingiusto e di inopportuno. Però ciò che ha fatto alla sorella di Ludovico è veramente imperdonabile. Una lezione se la meriterebbe» sentenzia Marco rallentando il passo, lasciandosi sfuggire un sospiro.

«Vendette giuste non esistono» replico io duramente, «Roberto Gervaso, tuttavia, afferma una cosa: un torto si perdona, i torti si vendicano. Che poi, andiamo, sarà un qualcosa più nelle corde di Costanza! Niente ruote della macchina bucate o botte da orbi! A Claudio non verrà torto un capello».












Lancio per la millesima volta un'occhiata rivolta allo specchio ovale che ho dinanzi a me.

Il riflesso obbedisce a ogni mio movimento. Sbatto lentamente le palpebre e lui mi imita, mi mordo il labbro inferiore e lui mi imita, mi scompiglio distrattamente un ciuffo rosa e lui mi imita nuovamente, inclino appena il mio volto e lui mi imita ancora. Potrei perderci tutta la serata qua, a guardarmi in quella superficie fredda tanto sono soddisfatta del risultato.

Dopo un lasso di tempo che pare interminabile, scostando una ciocca dietro l'orecchio privo della mia costellazione di orecchini e con solo un cerchietto dorato sul lobo, sposto i miei occhi sul viso di Thalìa, interamente agghindato in maniera perfetta come quello della celebre Sandy Olsson di Grease.

Eccetto per i capelli, be', quelli sono come sempre legati in una spessa coda alta di dreadlocks, con tanto di fiocchetto di stoffa.

La ragazza afro-americana mi sorride dolcemente nel contempo che rimane in attesa di una qualsiasi parola da parte mia, rimanendo a gambe accavallate e con la matita nera incastrata fra il medio e l'indice. Attende pazientemente, senza mettermi fretta o senza interrompere il mio pavoneggiarmi allo specchio.

Ma cosa ci posso fare? Ha ricreato sulla mia pelle uno dei make-up più belli che potessi mai desiderare. La tentazione di andare a sfiorare con il polpastrello quella saetta color rosso e blu è insopportabile, ma resisto, non mi va di rovinare quel capolavoro.

Thalìa è proprio una maga con il trucco a tema, devo riconoscerlo. Dal momento che la serata al Circolo degli Illuminati richiama lo stile vintage, lo stile quello eclettico dei ruggenti anni Sessanta, Settanta e Ottanta, decisione migliore di questa non potevo prenderla.

Ho scelto di farmi disegnare in faccia la favolosa e immortale saetta di David Bowie, elemento focale e di spicco dell'album "Aladdin Sane".

«Io sono senza parole» sussurro quasi senza voce, gonfiando il petto sotto la stoffa della mia camicia a spalle larghe e piena di colori.

Seriamente sono a corto di complimenti, soprattutto se, in cuor mio, so che non basterebbero nemmeno un pizzico.

A Thalìa spunta un ghigno compiaciuto a fior di labbra, niente a che vedere con il tenero sorriso di poco fa. Sa di aver contribuito a dar vita a un'opera d'arte degna del Duca Bianco e si bea della mia gratificazione.

«La tua espressione mi basta, dico sul serio» afferma inclinando il capo verso il basso, osservandosi con indifferenza il sandalo con il tacco identico a quello del personaggio del film.

Si passa una mano con fare adagio sopra la pelle nera e liscia dei pantaloni.

«È un'opera d'arte, Thalìa. Penso che mi ci farò un set fotografico quando arriveremo alla discoteca» sentenzio trattenendo la mia frenesia, ovviamente non mi permetto di mangiucchiarmi le unghie siccome dipinte di uno smalto arancione acceso, pendant con il mio abbigliamento in tema per la serata.

«Te ne sono enormemente grata, sei sempre gentile con me, Mats» Thalìa piega l'angolo della bocca in una smorfia contratta; non tanto un sorriso, non tanto un ghigno altezzoso, è un'espressione che non sono in grado di decifrare.

Leggo sicuramente della frustrazione, per il resto buio completo. Thalìa non è mai stata una ragazza semplice da capire, non permette quasi a nessuno di entrare al cento per cento nella sua ottica. «Anche se ultimamente non mi sono comportata bene per meritarmelo» aggiunge poi inarcando un sopracciglio.

«Spero tu non ti stia riferendo a Diego...» dico a basso tono di proposito, dopo aver sentito una tale assurdità preferisco non alzare chissà quanto la voce.

«È proprio così, invece. Lui si è dichiarato a me, mi ha aperto il suo cuore e io, con superficialità, gliel'ho spaccato in due. Gli ho persino sorriso con la mia tipica affabilità, ci credi?» ammette Thalìa alzandosi in piedi, ancor più alta grazie a quel tacco vertiginoso, e andando a rimettere in ordini i trucchi con cui mi ha dipinto metà della faccia, «Tu lo sapevi, vero? Di quello che Diego provava per me?».

Faccio passare qualche secondo prima di darle una risposta sincera, questo argomento lo reputo un tantino spinoso, mi duole ammetterlo. Dopotutto, Diego è il mio migliore amico e per lui nutro molto rispetto.

«Sì, lo sapevo, naturale» le tolgo il dubbio, sospirando.

«Impossibile del contrario» recita Thalìa con dolcezza.

«Se solo avessi saputo che tu eri già impegnata, te lo giuro, Thalìa, lo avrei convinto a non venire da te. Lo avrei fatto desistere» la informo cambiando posizione sopra la sedia in pelle girevole della sua scrivania.

«Oh, e come avresti potuto sapere che avessi già un ragazzo? Nessuno mi ha mai vista con qualcuno, nessuno che abbia visto una fotografia, nessuno lo sa, eccetto Roona ovviamente» mi rammenta mentre si passa distrattamente una nuova mano di rossetto sulle labbra piene.

«Avresti potuto dirmelo, magari, cosicché avrei fermato la missione di Diego sul nascere. Fin dal principio, forse» spiego facendo spallucce.

«Impossibile una cosa del genere» ribatte la Sandy Olsson dalla pelle tonalità cioccolato, per niente scocciata dalla mia confidenza, «devi sapere, Matilde, che io sono persona estremamente riservata, un tratto caratteriale che ben fa a cazzotti con la notorietà non indifferente che mi porto dietro dentro il Caravaggio. Una notorietà che io stessa non ho mai cercato e che gli altri hanno deciso di darmi comunque. Hanno deciso al posto mio. Non che mi sia mai lamentata di questo, intendiamoci, ho sfruttato quel vantaggio per il bene comune della scuola senza mai beneficiarne io come prima persona. Ho colto la palla al balzo, se vogliamo essere pignoli».

«Come darti torto, la riservatezza piace anche a me e parecchie volte alcuni se ne sono fregati di questo».

«Esattamente, meglio di te nessuno può comprendermi. Come dicevo, io sono assai gelosa della mia vita privata, della mia riservatezza. Citando uno degli idoli di Diego, facendo un esempio, sono un po' come Caparezza. Caparezza è un artista, un cantante decisamente talentuoso e un vero genio. Caparezza fa concerti, compone musica, fa video musicali, viene passato alla radio e sui canali della tv, in Italia ha una bella fetta di fan. Però, di Caparezza, non vieni mai a sapere niente della sua vita dopo la facciata da artista, non si sa nulla di quello che c'è oltre la sua musica. Trascorre la sua esistenza senza urlarlo ai quattro venti al contrario di come fanno la maggioranza delle celebrità. Chiudendo un occhio, io potrei compararmi a Caparezza, con la differenza che io non faccio musica» dichiara pacatamente, senza mai perdersi in scatti di inutile nervosismo o rabbia non necessaria, «non che non mi sia fidata di te, Mati, però dal mio mediocre punto di vista non vedevo il bisogno di darti un dettaglio simile della mia esistenza. Ho dovuto, bensì, darlo a Diego poiché una spiegazione se l'è meritata tutta».

«Thalìa, perché ti giustifichi con me?» le domando di punto in bianco dopo aver ascoltato con attenzione la sua versione.

«Perché mi sono sentita un po' in colpa. Verso di Diego, verso di te, verso di Marta, verso di Marco... scommetto che Marta un po' ce l'ha con me, ho visto come mi guardava a scuola, di sfuggita» fa presente Thalìa senza la minima traccia di rancore.

«Io e Marta non sempre abbiamo la visione uguale delle cose, delle situazioni. Mi dispiace», è tutto ciò che posso dirle, ignorando l'opprimente groppo in gola.

«Non provo astio verso di lei, riesco a capirla persino. Ed è per questo che ho voluto farti questo sermone, perché mai sei stata scorretta, mai rancorosa, mai incazzata con me» mi confessa con schietta gratitudine.

«Thalìa, non c'è bisogno che mi racconti delle tue cose personali, se sono personali c'è un motivo preciso. Io continuerò a nutrire per te la stessa stima di prima, non è cambiato nulla!» esclamo con sicurezza, mettendomi finalmente in piedi, «Addirittura mi hai fatto venire a casa tua, ti sei offerta di truccarmi e di accompagnarmi al veglione. Non potrei mai avercela con te. Dovrei infuriarmi solamente perché Diego è arrivato troppo tardi e perché il tuo misterioso ragazzo è riuscito a conquistarti prima? Giammai».

«Il misterioso ragazzo si chiama Italo» commenta Thalìa ridacchiando e scuotendo la testa, «risiede tutt'ora a Londra, sta cercando di farsi strada con la sua band emergente di cui è il frontman, lo vedo due volte all'anno, in estate e durante le vacanze di Natale, senza contare le videochiamate su Skype, ed è uno dei migliori amici di mio fratello maggiore Taye, che anche lui vive e lavora a Londra. L'ho conosciuto grazie a lui Italo».

«Non sapevo avessi un fratello» dico pervasa dalla curiosità.

La ragazza scoppia a ridere di gusto appena mi sente dire ciò. «Io ne ho tre di fratelli, ne scambierei uno volentieri con un cane. Mi accontenterei persino di una tartaruga o un camaleonte».

«Almeno non soffri la solitudine, a me sarebbe piaciuto avere una sorella o un fratello. Peccato che i miei si siano arresi al matrimonio prima del previsto», allargo le braccia in segno di resa.

«Ognuno fa quello che può» mi consola Thalìa andandosi a infilare il giubbottino di pelle tipico di Sandy.

Non sono nemmeno le undici della sera, però è di rito che i Rappresentanti organizzatori dell'evento in discoteca si rechino sul posto prima di tutti. C'è sempre qualcosa fuori posto da controllare e da aggiustare. Un'ultima occhiata prima... dell'inferno.

«Dov'è il resto della tua famiglia?» le chiedo mentre ci avviamo verso l'uscita del suo appartamento, notando il silenzio assordante che regna all'interno.

All'inizio, dopo che siamo entrate, ero talmente contenta che avesse accettato di truccarmi che la domanda non mi ha sfiorata per niente.

«Mamma e papà sono al cinema con Alessandro, il mio fratellino minore. Braxton è fuori chissà dove con i suoi compagni d'università, rincaserà sicuramente più tardi di me» proferisce agguantando le chiavi della sua macchina.

«Mi avrebbe fatto piacere conoscerli» dico con una nota di delusione per il fatto di non essere stata fortunata nel beccarli in casa.

«Ci sarà occasione, Atena. Potrai venire da me quando vorrai, mi piace la tua compagnia» asserisce Thalìa esibendosi in una piroetta, un miracolo visti quei tacchi vertiginosi. Mi sento persino più tappetta del normale al suo cospetto, le sue gambe adesso sono il triplo da fenicottero.

«Hai ragione, ci sarà occasione. Per ora limitiamoci a superare questa serata, eh?», le rifilo una giocosa gomitata all'altezza delle sue costole in rilievo.

«Già. Chissà se i Rappresentanti del Classico sono già arrivati... chissà se il tuo acerrimo nemico ti farà dannare anche questa notte» cantilena Thalìa con un che di... strano, riferendosi indubbiamente a Leonardo.

Leonardo, colui che ho di proposito evitato sia ieri che oggi.

Da quando Costanza mi ha scritto quel messaggio ho preferito stare lontana da quelli dell'altro indirizzo, ho scelto di volare basso tenendo un profilo del medesimo livello al fine di non destare il minimo sospetto: e ciò ha implicato anche stare il più lontana possibile dal signor Perfettino.

All'entrata, durante la ricreazione, all'uscita e ai cambi dell'ora l'ho bellamente evitato muovendomi furtivamente all'interno dell'istituto, nascondendomi dietro figure imponenti e massicce come quelle di Ludovico e di Tommaso Cavallacci, svignandomela appena vedevo la sua chioma bionda spuntare in cima al suo fedele gruppetto di adepti oppure, semplicemente, nascondendomi nei bagni.

E per i messaggi ho adottato la stessa tattica, ho rifilato lui una caterva di scuse: che stavo troppo male a causa dei crampi del ciclo – anche se in parte era vero, avevo dolori lancinanti siccome ieri ero al secondo giorno – anche solamente per mettere il naso fuori dalla porta di casa, che dovevo portare Marsellus a tagliare le unghie e Vivaldi a lucidare il becco dal veterinario, che dovevo entrare con anticipo al lavoro, che c'era poi una svendita di vinili e di VHS a un mercatino, che dovevo partire insieme a Bilbo Baggins per un'avventura, che dovevo fare una seduta spiritica insieme a Marta per provare a incontrare Sir Arthur Conan Doyle.

Scuse credibili o meno, ho fatto il possibile per non averlo faccia a faccia come l'ultima volta. Però, tra poco – questione di pochi minuti – me lo sarei ritrovato davanti e, probabilmente, anche un tantinello incazzato.

«Mi auguro proprio di no» rido come un'isterica, guardando in ogni direzione meno che negli occhi della semi-sosia di Angelina Jolie, «dovevi travestirti da gufo, non da Sandy Olsson, Thalìa!».

«Non è Carnevale, è un veglione a tema, Matilde. Non avrei potuto vestirmi da gufo» mi fa notare Thalìa chiudendo la porta dell'appartamento alle nostre spalle, «e comunque, fa' attenzione, cara la mia Atena... litigando e litigando, sai com'è, finirete per...».

«Litigando e litigando finiremo per ucciderci!» taglio corto zittendola agitando il dito indice, interrompendo la sua frase.

«Se non vi siete uccisi lo scorso sabato alla sua festa dubito che lo farete in futuro. A proposito, bella festa, vero? Mi sono divertita parecchio, vive proprio in una bella casa Leonardo. A proposito ancora, tu dov'eri? Ti ho vista di sfuggita e poi sei sparita all'improvviso per tutta la sera» domanda interessata.

«Anche DarthMart era sparita all'improvviso per tutta la sera!» tuono nervosamente, andando inesorabilmente a mangiucchiarmi le unghie.

E solo ora benedico il pesante strato di fondotinta che mi sono applicata sopra le chiazze violacee – in procinto di scomparire –, prove schiaccianti, dei succhiotti lasciati da Leonardo.

«Già» enuncia Thalìa, lanciandomi un'occhiata di traverso, «peccato, però, che DarthMart e Leonardo non provino lo stesso odio, non condividano la stessa battaglia e, soprattutto, non si punzecchino di continuo. Esattamente come ogni giorno fate voi».











Il Circolo degli Illuminati stasera ha fatto il pienone.

Non solo grazie al veglione del Caravaggio, ma anche dalla presenza di studenti esterni, di altre scuole. Come discoteca è molto capiente, tuttavia è stata riempita a dovere e soprattutto con ragazzi che hanno tenuto fede al tema di questa splendida notte. Compresi i Barman e Barlady, compresi i due DJ che si sono divisi le determinate sale, compresi i guardarobieri, compresi – naturalmente – noi Rappresentanti.

Capelli gonfi, chiome tirate all'indietro con la brillantina, ciuffi disordinati, top eclettici, jeans a vita alta, ombretti accesi che spiccano sulle palpebre delle ragazze e anche su quelle di qualche ragazzo, borchie, fronzoli vari, sandali con le zeppe e vecchie Dr. Martens sono ritornati di comune costume, qui dentro.

Quanto alla mia saetta di David Bowie, sono l'unica a poter vantare di un make-up simile, potrei essere considerata quasi la più originale.

La serata si sta svolgendo per il verso giusto, tutto sta andando per il meglio: tutti che ballano, tutti che si divertono, tutti che sembrano felici – un po' di meno i minorenni, visto che è vietato servire alcolici a quest'ultimi –, tutti che si scatenano.

Eccetto noi organizzatori del veglioni, eccetto noi Rappresentanti.

Diciamo che dobbiamo rimanere un po' tirati, dobbiamo tenere sotto controllo in generale il perimetro della discoteca e assicurarci che niente da vada storto; in quel caso, compito nostro è chiamare i buttafuori per far sì che intervengano. Non troppo difficoltoso, a dire il vero, però purtroppo ti porta via metà del godimento.

Unica cosa positiva – mi auguro che sia etichettabile come "positiva" – è che ancora non ho incrociato Leonardo.

Quando sono arrivata insieme a Thalìa, pur non di rimanere al centro della sala ancora deserta, mi sono unita al DJ e mi sono fatta spiegare a tutti i costi come si usa un controller, quale sia la corretta procedura per collegare i numerosi cavi e con quale sceglie e mixa le tracce musicali.

Addirittura, nel momento che Leonardo è entrato insieme a Giulio Viviani, Midorin ed Elettra, ho afferrato per il polso il povero ragazzo incaricato di mettere la musica e l'ho fatto accucciare insieme alla sottoscritta pur di non farmi vedere.

Patetico, vero?

«Ehm, sono curiosa di come si inseriscono i fili... magari tra qualche mese mi prende l'illuminazione e scelgo la carriera della DJ» ho cincischiato come una totale cretina, sembrando oltretutto matta.

«D'accordo...» ha risposto lui guardandomi un po' stranito e alquanto vicino, «bel make-up, comunque. Di classe». E, tutto sommato, sono riuscita a evitarlo.

Adesso che ho la scusa di vagare senza meta all'interno del locale ho meno probabilità di incontrarlo. Meglio così, perlomeno fino alla fine di questa storia.

Ai miei lati, a passeggiare con sguardo attento e indagatorio, ho DarthMart e Costanza, entrambe che sembrano appena uscite dal telefilm di Happy Days.

Ancora poco e la giustizia cadrà sulla testa di Claudio. Ancora poco e l'ora X arriverà implacabile.

«Ci siete, mie care ragazze?» esordisce Costanza, ovviamente urlando e affilando i suoi occhi felini.

"Rage Valley" dei Knife Party è veramente alta, da spaccare i timpani.

«Veramente io non sto più nella pelle!» grida di rimando Marta con tanto di labbro arricciato e schifato.

«Eccellente, che lo spettacolo abbia inizio!» esclama l'altra strofinandosi malvagiamente le mani.

"Esatto, per favore, che questo spettacolo abbia inizio una volta per tutte", penso alzando le iridi al cielo.

Dopo esserci assicurate con un'occhiata veloce della presenza di Claudio sui divanetti della discoteca, accompagnato indubbiamente da Olivia, Costanza sparisce nel nulla per qualche istante lasciandomi sola con Marta. Né io, né lei dobbiamo muoverci da qui, dobbiamo aspettare il suo ritorno.

Per cui, per ammazzare letteralmente il tempo, cominciamo a ballare. Marta mi porge la mano esibendosi in un inchino e io gliela afferro con piacere. La melodia è piuttosto orecchiabile, i movimenti vengono facilmente naturali e spontanei.

La mia amica mi fa roteare su me stessa, pochi sono gli istanti necessari per ritornare con il viso davanti al suo, ancora meno sono quelli che passano quando un qualcuno mi afferra senza vergogna e timore, artigliandomi le spalle con una mano e con l'altra la gola, delicatamente, come una carezza. Segno inconfutabile che ha una certa confidenza con la sottoscritta.

Un paio di labbra premono contro il mio orecchio, facendosi strada oltre i miei capelli, solleticandomi il lobo con il proprio respiro.

«Presa».

Percepisco l'unica parola pronunciata da quella voce che si rivela fin da subito maschile, familiare, profonda, graffiante.

«Finalmente ti ho trovata».

Gli occhi di Marta, già di per sé enormi, si allargano all'ennesima potenza in un'espressione di puro stupore. Smette persino di ballare, s'immobilizza sul posto.

Socchiudo le palpebre, già consapevole a chi appartengano quelle mani e, soprattutto, quella voce.

«Stai cercando di evitarmi oppure ti stai cimentando nel giocare a nascondino?» continua senza ritegno a parlarmi direttamente dentro l'orecchio.

«Mi sto solo godendo la serata!» dico ad alta voce, rimanendo immobile sotto la sua presa, dandogli le spalle, non riuscendo – e non volendo – a sottrarmi, «Magari stavo davvero giocando a nascondino, che ne sai!».

«Be', allora ti ho trovata. Hai perso!» m'informa Leonardo e lo sento sogghignare contro la mia pelle, «Adesso ti potresti voltare, cortesemente? Non sono abituato a essere ignorato, esattamente come hai fatto tu per gli ultimi due giorni».

«Avevo i miei buoni motivi. E adesso, se non ti spiace, starei aspettando Costanza» recito lottando contro l'impulso di obbedire a quella sua splendida richiesta.

«Posso chiedere come mai, di grazia?».

Dio, adesso sta passando le dita sopra la clavicola... nemmeno gli importa di avere Marta davanti a noi ad assistere a questo spettacolino! Come quasi tutto il Caravaggio al completo, del resto.

Se ne frega e basta.

«Perché stiamo attualmente mettendo in atto la vendetta verso Claudio» vuoto il sacco dal momento che ora, fondamentalmente, non c'è più niente da nascondere.

«Che cosa?» ripete Leonardo preso contropiede, abbandonando la morsa e parandosi davanti a me.

Oddio, quanto è dannatamente bello Leonardo in stile anni Ottanta... forse, ipotizzo, potrei facilmente avere un mancamento.

Sto per rispondere alla sua domanda, quando l'esclamazione da parte di Marta me lo impedisce. Anzi, mi manda in allarme.

«Cazzo!» grida portandosi le mani ai capelli e lanciando un'occhiata oltre di me, molto più indietro.

«Ma che...» mormoro confusa, girandomi per vedere a cosa diamine sta assistendo.

Perfino le iridi di Leonardo si sono spostate nella medesima direzione.

Appena mi volto rimango di sasso. Immobile. Il ghiaccio puro si è appropriato delle mie gambe, delle braccia, del mio corpo totalmente.

"Dannazione", è l'unico termine sensato che mi viene in mente.

È questa la vendetta che aveva in mente Costanza? È questo il suo modo di fargliela pagare a Claudio? Questo non è fargliela pagare, questo è condannarlo letteralmente a morte!

Costanza sta ritornando a passo lesto verso di noi, un sorrisetto compiaciuto le costella il volto illuminato dalle luci stroboscopiche della discoteca. Con la sua mano destra tiene ben artigliato il polso di Ludovico, un Ludovico alquanto adirato. Incazzato nero.

Furioso, come l'Orlando quando Angelica sposò Medoro. Con la differenza che lui ha scoperto che quel testa di cazzo di Claudio ha fatto drogare la sua piccola, adorata e indifesa sorellina.

No... oh no. Diamine, no. Celeste mi ha implorata di mantenere il segreto con suo fratello, quasi stava per scoppiare il lacrime, si sarebbe persino inginocchiata se ce ne fosse stato bisogno, avrebbe supplicato. E Costanza ha rovinato tutto. Costanza ha acceso la fiammella di una bomba di dimensioni bibliche. Ha firmato la condanna di Claudio.

«Eccolo là, Ludovico, eccolo lì lo stronzo!» grida Costanza indicando con il dito la direzione di Claudio a Ludovico.

«Costanza! Cosa hai fatto? Ti rendi conto di quello che accadrà adesso?» le urlo in faccia in preda a del serio terrore.

«Me ne rendo conto perfettamente. E ho anche fatto la cosa giusta. Ha drogato una minorenne e io l'ho detto a suo fratello. Più giustizia di così» sibila lei pacata, al contrario mio.

«Gli spaccherà la faccia! Gli spezzerà in due la spina dorsale! Lo renderà in poltiglia, lo ucciderà!» tento di farle capire, anche se non penso che lei abbia voglia di capire, è troppo focalizzata sulla sua decisione oramai.

«Bene» è la sua replica crudele e inumana, infatti.

Ecco che le rispunta in viso quell'espressione tipica di Cersei Lannister, perfetta insofferenza e freddezza allo stato puro. Un mix letale.

Ludovico smette di aspettare, non lascia trascorrere un secondo di più; ci sorpassa andando oltre di noi, in direzione della sua vittima ancora ignara della sua sorte. Sembra inarrestabile. Un Terminator.

«Cazzo, cazzo, cazzo!» esclamo a non finire, correndogli dietro.

Leonardo e Marta, chiaramente, mi seguono a ruota. Stanno incominciando a entrare nell'ottica di quella situazione che, man mano, sta precipitando. Ma Ludovico cammina talmente veloce che faccio fatica a raggiungerlo, niente e nessuno lo può fermare. Non mi ha rivolto neppure uno straccio di parola.

Qua la cosa è più grave del previsto!

Pochi sono i metri che ci separano da Claudio e Olivia, entrambi stravaccati e dall'aria un po' assente, devono aver sicuramente fumato qualche cannetta. Forse anche qualcos'altro, ma non voglio trarre conclusioni affrettate.

A dispetto della circostanza, noto che Claudio ha rispettato il tema della serata, mentre Olivia nemmeno per sogno. Si è infilata un vestitino assai scintillante con le spalline sottili e dei sandali aperti con un tacco molto fine. Il che sarebbe veramente un abbigliamento veramente carino e chic se solo non facesse a scazzottate con questa festa.

Claudio tiene poggiata la mano sinistra sopra la coscia semi-scoperta di Olivia, quasi con fare possessivo, e beve pigramente dalla cannuccia del proprio drink. A Olivia non sembra dar fastidio il tocco del ragazzo.

"Alla faccia del suo essere innamorata di Leonardo. Alla faccia che non me lo voleva cedere neanche morta. Vedo con piacere che la presenza di Claudio la sta confortando al meglio".

Appena egli si accorge della nostra presenza, scorgendoci dalla stretta fessura dei suoi occhi, riacquista lo spirito in uno schiocco di dita, effetto immediato.

Ludovico gli si è letteralmente parato di fronte, con tanto di pugni stretti e respiro accelerato, l'alzarsi e l'abbassarsi delle sue spalle è palese. Io rimango dietro di lui, con una mano timidamente premuta contro la stoffa della t-shirt bucherellata, niente a che vedere con gli anni Sessanta, Settanta e Ottanta.

DarthMart rimane al mio fianco e Leonardo sceglie di affiancare il Ludovico Furioso. Penso che in caso di estrema necessità, sua intenzione è quella di fermarlo senza fargli causare danni.

«Ma guarda un po' chi c'è, guarda chi ha deciso di deliziarci con la loro presenza!» urla Claudio con una risata a metà fra l'esilarato e il ferino, dopodiché dà una scrollata poco raffinata a Olivia e la costringe a voltarsi in nostra direzione. Si rende conto soltanto adesso che siamo dinanzi a lei.

«La traditrice dell'Artistico e il traditore del Classico, coloro che hanno voltato le spalle ai loro indirizzi. Altro che divinità, io li chiamerei impostori» sogghigna Olivia, indicando distrattamente prima me e poi Leonardo, «e ovviamente non poteva mancare la feccia», infine punta verso Marta e Ludovico con smorfia nauseata.

«Cos'è? Siete venuti da me per una dose? Mah, sono colpito, sapete? Dal momento che tu, mio prediletto Leonardo, hai praticamente deciso di fartela con i Fattoni, credevo che ti fossi sistemato... almeno per la roba!» espone Claudio toccandosi il petto fingendo amarezza, successivamente esplodendo a ridere come uno schizzato.

Lo stiamo facendo divertire addirittura stando in silenzio e ciò mi sta causando una seria sensazione di vomito.

Ludovico, tuttavia, non sembra avere voglia di vomitare, affatto. Anzi, unisce le proprie mani al fine di scrocchiare le nocche, piegando il collo prima a destra e poi a sinistra. La catena con il lucchetto attorno a quest'ultimo luccica sotto l'illuminazione della discoteca.

«Io sono venuto qua da te per romperti il culo!» ringhia Ludovico come mai l'avevo sentito fare prima di questo istante.

Olivia inarca un sopracciglio, piuttosto scettica da quella minaccia, «Che?» ridacchia, non facendo altro che tirare la corda ulteriormente.

«Cosa hai detto che vorresti fare, Fattone del cazzo?» replica Claudio guardandolo spavaldo e sprezzante.

Ed è stata nient'altro la mossa più sbagliata che potesse mettere in atto.

Ludovico scatta in avanti come una pantera pronta ad attaccare la preda; stando bene attento a non sfiorare Olivia, va ad afferrare con poca grazia il colletto della camicia floreale di Claudio, strattonandolo all'insù e costringendolo a issarsi in piedi.

Pare di guardare un gigante giocare con una bambola di pezza.

«Hai fatto drogare mia sorella! Una ragazzina di diciassette anni! Te lo ripeto per l'ultima volta, sono venuto qua da te per romperti il culo, piccola fichettina da quattro soldi!» esplode come il rombo di un tuono colui che adesso sta impersonando il secondo Ares, incollando la propria fronte contro quella dell'altro. Mostra persino i denti.

«C-ch... chi te lo ha detto?» balbetta Claudio un po' colto alla sprovvista da quel gesto inaspettato.

Ma Ludovico ignora la sua domanda alquanto banale, strattonandolo bruscamente di nuovo.

«Che altro hai fatto, figlio di puttana? L'hai toccata? Hai abusato di lei? Dimmelo, così comincio a spezzarti le tue insulse ossicine una per una!».

Il ragazzo del Classico volge lo sguardo verso Olivia, che sta assistendo alla scena con la bocca coperta dai palmi.

«Quella puttana di Gioia non mi ha detto che Celeste avesse cantato!» gli grida in un gesto di esasperazione, «Aveva giurato di raccontarmi tutto!».

Olivia allarga le braccia facendo intendere di non sapere nulla.

Cosa? Cosa significa che "quella puttana di Gioia non mi ha ha detto che Celeste avesse cantato"? Di chi sta parlando?

«Chi cazzo è Gioia?» sibila Ludovico, riacquistando la sua attenzione.

Al che, a Claudio – da spaventato che pareva –, ritorna in lui quell'espressione così spavalda e altezzosa di poco fa.

Inclina il capo all'indietro, alzando il mento a mo' di provocazione.

«L'amichetta del cuore di Laira, Gioia Marnissi. Laira è una sorta di puttanella di Atena, le fa da spia, la tiene informata di tutto e di tutti. E poi Laira si confida con Gioia, le rivela ogni suo segreto, ogni mossa che faranno quelli del loro indirizzo. È capitata proprio a fagiolo questa cosa, sapete? Me la porto a letto la piccola Gioia, è cotta di me, e siccome sono uno studente del Classico e lei dell'Artistico non l'ha mai raccontato a nessuno, nemmeno a Laira. Non ne va fiera...» spiega cercando di non mettersi a ridere, «praticamente è una sorta di doppiogiochista quella ragazza. Più furba di tutti voi messi insieme».

«La soffiata del fumo nei bagni...» recita Leonardo con aria vaga, facendo qualche passo indietro nel tempo, «Matilde e Marta già sapevano che sarei andato da Gandolfo a informarlo. Sei stato tu... cazzo, sei stato tu! Tu hai informato Gioia, sapendo che, come una pedina nelle tue sudice mani, sarebbe corsa diretta da Laira a farglielo sapere. Logico che Laira poi glielo avrebbe detto!».

Maledizione! Ora si spiega tutto il discorso sui segreti che mi aveva articolato Laira, si spiega il perché non poteva dirmi nient'altro; stava proteggendo la sua migliore amica, la persona più importante per lei, e non poteva infrangere una promessa così grande, neppure se si è trattato di me, l'Atena dell'Artistico. Certi vincoli sono sacri.

«Questo è veramente troppo...» asserisce Marta allibita.

«Che gran figlio di puttana» m'intrometto dando ragione all'offesa uscita dalla bocca di Ludovico.

«Perché ti sei messo a giocare con delle ragazzine più piccole di te? A che scopo, Claudio? Non dicevi, forse, di essere mio amico?» gli domanda Leonardo mostrando un minuscolo cenno di pietà, tuttavia smorzato dalla sua occhiata di ghiaccio.

«Gli amici sono solo un peso per coloro che aspirano al successo e alla vetta più alta. Sono i nemici che ti danno la forza di dare il massimo, sono loro che ti insegnano a schiacciare chiunque ti stia intorno a metterti i bastoni fra le ruote» spiega con ironia elevata il diretto interessato, «credevi che non sapessi del tuo invaghimento per la Castellani? Della Fattona dell'Artistico? Be', mi hai sottovalutato, Leonardo Aspromonte. A quanto pare Claudio Patriarchi si è rivelato più scaltro di te».

«Tu non sei scaltro, Claudio Patriarchi, tu sei solamente un essere spregevole. E viscido. E miserabile. Volevo difenderti da Ludovico, perlopiù per non far macchiare le sue mani con le tue colpe, ma credo che mi tirerò indietro, a quanto pare. Credo che non mi sentirò troppo in colpa a vederti con il labbro spappolato o il naso rotto. Chissà, magari l'intero volto sfigurato» dichiara Leonardo facendo un passo indietro e tenendo le mani dietro la schiena.

Un silenzioso "via libera" vibra nell'aria satura di fumo e di sudore del Circolo degli Illuminati.

«Aspetta, non...» tento di dire ma Ludovico non aspetta ulteriormente.

Tende all'indietro, al massimo, il braccio destro e gli sferra un bel gancio come si deve, senza timore, senza vergogna.

Lo colpisce all'altezza della mascella, in pieno labbro. La testa di Claudio rimbalza sotto quel potente colpo come la pallina di un flipper.

«Questo è per Celeste!» ringhia spietato.

Poi riparte alla carica, di nuovo tende il braccio e sferra un altro gancio, esattamente sullo stesso punto e con la stessa potenza.

Un fiotto rosso sfugge via dalla bocca di Claudio, uno spacco non indifferente spicca sopra di essa.

«Questo è per Gioia!».

E infine l'ultimo gancio destro. Il terzo e ultimo colpo. Con la mano sinistra lo tiene sotto tiro per il colletto della camicia, con l'altra si occupa di rendergli pan per focaccia.

«E questo è perché sei un merdoso del cazzo!».

Claudio, dopo aver incassato i tre cazzotti con nutrita classe, si porta le dita sopra i rivoli di sangue che gli colano fuori dal naso, finendogli sopra le labbra colme di squarci dall'aspetto doloroso e bruciante. Inzuppa i polpastrelli dell'indice, del medio e dell'anulare sul quel liquido viscoso, portandoseli poi all'altezza degli occhi, leggermente stralunati.

Se li rimira come se fossero imbrattati di oro colato anziché di sangue — il suo sangue.

Si passa la lingua sopra la bocca, succhiando avidamente. Per finire spalanca quest'ultima, come se volesse urlare senza smettere mai, e... scoppia a ridere. A sghignazzare. Si sbellica dalle risate dando l'impressione di essere tanto uno squilibrato affetto da sociopatia.

Ludovico abbandona la presa dalla sua camicia e lo studia in maniera truce, per niente divertita.

«Cazzo! Cazzo, questo sì che è divertimento allo stato platonico e superiore! Colpiscimi ancora, colpiscimi e usa più forza, grande Hulk!» grida gettando il capo all'indietro, il sangue che scorre a non finire.

«Non tentarmi, coglione senza palle che non sei altro» lo avverte Ludovico con sguardo bieco.

«Colpiscimi, o altrimenti sarai tu un senza palle!».

«E va bene, adesso basta. La cosa finisce qui!» intervengo io, tirando fuori le mie di palle!

Strattono Ludovico per la stoffa della sua maglietta e, con un cenno del capo, invito Leonardo ad aiutarmi.

«Usciamo di qui!» sentenzio adirata, «Voglio andarmene e non ritornare mai più, chiaro?».

DarthMart annuisce, senza sapere esattamente cosa dire in una circostanza talmente folle come questa.

Per cui, senza perdere tempo prezioso, io e Leonardo agguantiamo per le braccia Ludovico al fine di portarlo fuori da questa fottuta discoteca.

Come per il Maverick, croce anche sul Circolo degli Illuminati, un locale in meno cui frequentare.

Quasi giunti alla volta dell'ingresso/uscita, Alberto, che proprio nello stesso lasso di tempo sta uscendo dai bagni, ci nota senza neppure farlo apposta. Immediatamente ci raggiunge e con espressione stupita e in parte confusa non può fare a meno di domandare, «Cosa caspita è successo?».

«È successo che ce ne andiamo» do io la risposta piuttosto secca.

«Sì, dobbiamo assolutamente svignarcela» mi dà ragione Leonardo.

«Vengo con voi».

Non mi volto a guardare la faccia di Marta, tanto sarebbe inutile, già so come la pensa riguardo ad Alberto. Mi limito a guardare avanti, mi limito a salvare il culo al mio amico. E la cosa migliore è che Leonardo non solo sta aiutando me, ma anche Ludovico.

Io, Marta, Leonardo, Ludovico e Alberto, tutti e cinque, ce la filiamo nella notte di Firenze. Come se davvero fossimo dentro un film degli anni Ottanta.





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