39. Futuro imperfetto
"In questo momento potrei morire Clem, io mi sento...così felice, non avevo mai provato cosa fosse la felicità, sono esattamente... dove voglio essere!"
Eternal Sunshine of the Spotless Mind (2004)
Tengo le mie dita assurdamente strette sulla stoffa del colletto di Leonardo; stringo come se avessi la paura immane che lui possa sfuggirmi via, sparendo in una coltre di fumo, oppure, che possa semplicemente svignarsela attraverso la porta di casa in una mossa di puro dispetto. Ne sono più che consapevole, sono pensieri piuttosto illogici visto l'attuale stato delle cose, tuttavia mi spuntano fuori e basta, fanno capolino e immediatamente mi fanno venire in testa strane idee.
Un gesto proprio tipico di me.
Leonardo, intanto che mi crogiolo in sciocche riflessioni, non può fare a meno di sogghignare, decisamente divertito dalla mia ultima e inaspettata mossa.
Praticamente si fa guidare da me senza ribellarsi in alcun modo, mi lascia strada spianata, in tutto e per tutto alla mercé della mia volontà. Un po' come lo scorso sabato sera, quando l'ho spintonato sopra il cuscino del divano.
Anche in quel frangente si è fatto manovrare da me senza fiatare, una novità più che gradita.
«Che hai in mente di fare, cattiva Atena?» mi domanda Leonardo con tono carico di malizia e deliziosamente roco.
Già, che cosa ho in mente di fare?
Uhm, le opzioni sono veramente tante, infinite, quasi come le storie de Le mille e una notte.
Ho talmente una vasta gamma di scelte che mi è quasi impossibile optare a bruciapelo. La parte tentatrice e seducente di me, che lentamente sta venendo alla luce, comincia a prenderci gusto. Che sia un bene?
«Non è ovvio?» replico sostenendo il suo sguardo alquanto immorale e alquanto lascivo, alzando un angolo della bocca in un sorriso sghembo.
Il suo profumo inebriante giunge alle mie narici e mi travolge senza lasciarmi scampo. Roba che Leonardo potrebbe tranquillamente ribaltare la situazione per quanto abbia la guardia temporaneamente abbassata.
«E se io non te lo permettessi? Ci hai pensato?» mi chiede con della mera provocazione, conscio che mi avrebbe stuzzicata all'ennesima potenza.
Splendida mossa la negazione, o meglio, fingere di negarsi.
«Sei a casa mia, comando io» faccio per tutta risposta, spintonandolo e facendolo finire con le spalle contro la porta chiusa della mia stanza.
Inizio a essere carica di adrenalina, la percepisco salire dalle viscere esattamente come farebbe un orribile attacco di rabbia.
"Costanza, che cosa sei andata a combinare?", penso socchiudendo con grazia le palpebre.
«L'ospite è sacro, da quello che so» mi fa presente Leonardo, passandosi la mano fra i capelli spettinati.
Da un po' in quei ciuffi è assente ogni traccia di brillantina e la cosa non è che mi dispiaccia. Apprezzo quando un qualcosa è fuori controllo, diciamo così.
«Non bisogna mai abusare dell'ospitalità. Sai anche questo?» lo informo più sfrontata che mai, con tanto di sopracciglio inarcato tanto per fargli velatamente dispetto.
«Mi hai fatto entrare tu, mi hai spinto dentro casa con la forza» sottolinea il ragazzo, muovendo in un soffio silenzioso le braccia e portando le mani sopra i miei fianchi rivestiti di quella maglietta arcobaleno.
I suoi palmi bollenti, mi duole ammetterlo, mi procurano una scarica elettrica senza che me lo aspettassi, lasciandomi spaesata per pochi istanti. Qua urge l'immediato controllo a cooperare altrimenti è la fine. Intendo mantenere la posizione di supremazia ancora per un po'.
«È stata una scia degli eventi del tutto imprevista» dico andando a solleticare il suo mento con la punta dell'indice, uno sfiorarsi perlopiù.
Voglio crogiolarmi anche io delle sue reazioni esattamente come sta facendo lui. Sicuramente.
«Non sarebbe stata imprevista se avessi chiamato me fin dal principio anziché Costanza» mi redarguisce esibendo una finta occhiata offesa.
«Ma io avrei voluto Costanza» specifico con facile indifferenza, sorridendo per giunta, «tutto qua».
In fin dei conti, volente o nolente, è la verità. I miei piani prevedevano lei, non lui.
Leonardo poggia la nuca contro la porta dove tutt'ora vi è incollato con tutta la schiena, mi osserva dall'alto della sua statura con un che di altezzosità. La sua tipica espressione da signorino insolente e superbo.
«A Costanza l'avresti afferrata per il colletto, spintonata verso la camera e le avresti fatto intendere di mostrarle quanto tu sia... cattiva?» riflette Leonardo avvicinando di poco il suo viso al mio; letteralmente pochi millimetri ci separano, riesco a percepire il suo flebile respiro contro la punta del mio naso, ancor di più il suo delizioso profumo.
Vorrei asserire il contrario, ma i miei battiti cardiaci sono considerevolmente aumentati, per non parlare delle mie guance sicuramente ora tinte di rosso. La spavalderia in me ancora c'è, però fisicamente do l'impressione di star quasi per cedere.
Cedere a cosa, poi! È lui che dovrebbe cedere, non il contrario!
Faccio spallucce nonostante sappia quanto possa essere scontata una risposta del genere: chiaro che non avrei scambiato Costanza per un appetibile quanto splendido ragazzo di un metro e novantuno, nonostante neanche un mese fa l'avessi in cima della mia lista nera.
Tuttavia sono intenzionata a tenerlo ancora un po' sulle spine, non voglio fargli cantar vittoria troppo facilmente.
«Perché no?» ammetto mordendomi il labbro inferiore, posando gli occhi sulla sua bocca così dannatamente vicina, senza volerlo.
Leonardo percorre il mio fianco destro con le dita, fino a sfiorare i miei capelli colorati di rosa pallido, e portandomi una ciocca dietro all'orecchio. Altro gesto che ha del serio potenziale su di me.
«Ti credo sulla parola» mormora con un tono alquanto scettico.
Osa forse prendersi gioco di me?
«È senza dubbio molto attraente, ha carisma che trapela da ogni dove, ha un solido senso di giustizia, un carattere veramente forte, per di più le piaccio» recito mentre arriccio a non finire il povero colletto della sua camicia, «e poi mi ha già una volta baciata» aggiungo ben consapevole di scatenare una sana smorfia di sorpresa.
Dopotutto, nessuno dei miei amici sa del bacio che Costanza mi ha dato, men che meno lui!
Infatti Leonardo spalanca appena le palpebre, quello che serve, e inarca un sopracciglio allontanando il viso dal mio, giusto per guardarmi meglio.
«Ti ha baciata?» ripete colpito e un po' incredulo. Splendido.
«Proprio così» replico slacciando le mie mani dal colletto e facendo un passo indietro, mi permetto persino di fare una lenta piroetta.
Di proposito scelgo di rivelare quanti meno dettagli possibile, voglio che sia lui a chiedermeli.
«Quando esattamente?» ecco che arriva la domanda che aspettavo con impazienza. E a quanto sembra di impaziente c'è anche qualcun'altro...
«Uhm, alla festa a casa tua, se non erro» spiego poggiandomi con la spalla contro la porta e posando la mano sopra alla maniglia con l'intenzione di aprirla, «sai com'è... ti stavo cercando e tu non c'eri».
«E me lo dici così? A mo' di bomba sganciata?» asserisce lui evidentemente meravigliato.
«Volevi una lettera scritta a mano con tanto di sigillo? Te l'ho detto, questo è l'importante» ribatto senza poter fare a meno di sorridere, aprendo la porta ed entrando all'interno.
Marsellus, appena nota la nuova presenza nell'ambiente di casa, si desta immediatamente e prende a esibirsi in quello che dovrebbe essere un abbaiare piuttosto minaccioso.
"Marsellus, ti prego, ne va della tua reputazione... smetti di abbaiare", penso con ironico rammarico.
«No, volevo un annuncio in latino e con te vestita come Dante Alighieri, Matilde. Andiamo!» arriva la sua risposta alle mie spalle, segno che è entrato nella mia camera anch'egli.
Cammino con espressione compiaciuta fino alla mia sedia a dondolo in legno, sedendomici sopra come se fosse il mio Trono di Spade e come se avessi una corona in testa. Studio Leonardo dal basso verso l'alto, dalle scarpe stringate perfettamente legate fino a soffermarmi sulla sua montatura dorata.
«Tu hai baciato Olivia quella sera, azzarderei a dire che siamo pari» convengo congiungendo le mie dita sopra lo stomaco.
«È lei che ha baciato me» mi fa notare come se fosse una cosa ovvia, avanzando e superando il mio bulldog, impegnato a dargli il benvenuto a modo suo.
«Infatti anche Costanza ha baciato me, non viceversa» continuo con la mia tesi senza cedere di un millimetro, «ripeto, siamo pari. Anche se non del tutto, in tutta sincerità, dopotutto lei è la tua ex ragazza».
«Dove vuoi arrivare, Matilde?» arriva a dire Leonardo corrugando di poco la fronte.
«Esattamente qui, in camera mia. E per la cronaca ci sono già arrivata» gli faccio l'occhiolino, «ci siamo già arrivati».
A quel punto Leonardo si arresta sul posto e assottiglia lo sguardo, dando una rapida occhiata a ciò che è intorno a lui.
Ha ogni mia cosa sott'occhio: il mio letto, la mia scrivania piena di libri, matite, pantoni, fogli da disegno, piantine, fumetti, posacenere, i miei poster dei film appesi al muro, il mio armadio semi aperto, la sedia a dondolo dove sono seduta piena di vestiti stropicciati, il tappeto dove vi è gettato il mio zaino di scuola, in poche parole il mio angolino privato e segreto.
Forse ha capito qual è il mio intento.
«Vuoi farmela pagare, dico bene?» dichiara infilando le mani dentro le tasche del lungo giaccone.
«Ti ho detto che volevo farti vedere quanto io sia cattiva» gli ricordo inclinando il capo, «dovresti accettare il tuo destino».
«Come se avessi paura... dovrei avere paura?» chiede lui azzardando qualche passo in mia direzione, lento e sfrontato.
«Dovresti proprio» annuisco incrociando le braccia al petto, senza perdermi il minimo movimento da parte sua.
«Allora, mettiamola così, cattiva Atena, in primo luogo non ho paura per niente, ho il pregio di avere i nervi largamente saldi» comincia a dire Leonardo sfilando di nuovo le mani dalle tasche per poi poggiarle sui braccioli in legno ai miei lati, chinandosi appena tanto da avere i nostri visi a pochi centimetri, «per secondo, stando alla tua descrizione di Costanza, anche io sono senza dubbio molto attraente, ho carisma che trapela da ogni dove, ho un solido senso di giustizia, quando voglio, per di più ti piaccio. E ora Costanza non è qui» continua a sostenere emanando un non so che mi fa distrarre, il suo famoso fascino che ammalia ogni singolo essere umano, indistintamente, «infine dovresti smettere di essere gelosa. Non ne hai motivo».
«Gelosa di chi? Di quella formichina priva di carattere quale Olivia? Non credo proprio, caro Apollo!» esclamo piccata, alzando gli occhi al cielo siccome non posso alzarmi, le sue braccia e il suo petto me lo impediscono.
Già una volta ho ammesso la mia gelosia, non ce ne sarà persino una seconda! Soprattutto se si tratta di Olivia Valorosi, giammai!
«Di Olivia, di Ariadne, di quella sconosciuta al Madama Butterfly, di qualsiasi ragazza in generale. Non ne hai motivo» insiste egli assolutamente peccaminoso.
Oddio, quanto lo detesto quando fa in questa maniera!
«Parlando di Ariadne» esordisco alzando il mento tanto per provocazione, «frequenta equitazione con te e il tuo stesso maneggio, so soltanto questo. Che altro dovrei sapere di lei?».
«Ariadne... proprio non ti è andata giù quella ragazza» sogghigna Leonardo scuotendo la testa.
«Cosa dovrei sapere di lei?» evito di buona lena la sua affermazione, poiché mi pare che abbia già spiegato alla perfezione la mia veduta.
Prendendosi qualche secondo di tempo, Leonardo si lascia cadere seduto sopra il tappeto, poggiando i palmi delle mani sopra le mie ginocchia; preferisce starmi vicino, preferisce avere comunque una sorta di contatto. Non posso che esserne lieta di ciò. Sono la prima a bramare il contatto fisico con lui nonostante io non abbia sempre l'iniziativa.
«Ti tolgo questa tua spina nel fianco, una volta per tutte, in modo da farti sparire ogni dubbio al riguardo» si schiarisce la voce per poi guardarmi dritta negli occhi, la sua voce è parecchio morbida per cui ha tutta la mia attenzione, «Ariadne Ardinghelli viene a equitazione con me, condividiamo questa passione da quando eravamo due bambini. Lei è di un anno più grande di me, è nata nel 1995, quindi è al primo anno di Università di fisica e astronomia. Oltre che i cavalli, condividiamo la stessa identica pressione familiare, soprattutto da parte dei nostri padri. Le uniche due differenze sono che lei è figlia unica e che ha già preso la sua strada in ambito di studi, l'esatto contrario di quello che suo padre voleva per lei, ossia farle intraprendere un percorso dedito alla giurisprudenza. Non per niente la sua è una rinomata famiglia di avvocati ed è parecchio in rapporti di amicizia con la mia. Tuttavia non mancano le occasioni in cui suo padre le fa pesare questa sua scelta, esattamente come farà il mio in caso dovessi decidere di testa mia».
«Ariadne Ardinghelli la conosci da quando era una bambina» dico in un soffio, rapita dal racconto di Leonardo nemmeno stesse narrando dell'Iliade, «siete cresciuti insieme?».
«A quanto pare. Succede quando due famiglie passano tanto tempo insieme, i figli finiscono per conoscersi automaticamente» annuisce Leonardo stringendosi nelle spalle.
«Suppongo che i tuoi genitori la vedono di buon occhio accanto a te...» realizzo con un mezzo sorriso amaro.
«Che tu ci creda o no, i miei non mi hanno mai fatto pressioni di questo tipo. Be', c'è mio padre che mi sta sul fiato sul collo per quanto riguarda il mio futuro, ma altrimenti sulle questioni amorose non ha mai osato metterci naso. Anche se, bisogna ammettere, che mia madre la adora particolarmente quella ragazza, le vuole molto bene» mi spiega il ragazzo togliendomi immediatamente un peso dal cuore. Se avessi saputo che i suoi genitori lo avevano già "promesso" a qualcuno probabilmente sarei esplosa, non sarei stata in grado di reggere alla notizia.
«Fondamentalmente, quella Ariadne, ti conosce meglio di chiunque altro, forse anche più di Alberto» enuncio guardandolo di sottecchi.
«Diciamo che è sullo stesso piano di Alberto, mi conoscono bene entrambi».
«Ci ha mai provato con te?» gli domando di punto in bianco, a bruciapelo, senza nemmeno rifletterci.
La curiosità è troppo ardente. Insomma, ho bisogno di sapere, che diamine!
Appena Leonardo mi sente dire una domanda simile si mette a ridacchiare seriamente esilarato, glielo leggo in quei suoi occhioni azzurri dietro quelle maledette lenti!
Per tutta risposta gli afferro bruscamente la bocca con una sola mano, facendogli arricciare le labbra e trasformandolo in un pesce palla umano. Mentre lo carbonizzo con le iridi do fiato alle corde vocali, «Mi trovi divertente?».
«Non shai quanto» borbotta per colpa delle mie dita premute contro la sua pelle, senza smettere di sogghignare, «shei shplendida quando ti incazzi per delle shtronzate».
Infine Leonardo mi afferra il polso e distoglie la mia presa delicatamente, senza lasciarmi. Dopodiché si sporge in avanti e si avvicina al mio orecchio, solleticandolo.
«Ti svelo un segreto. Ariadne ha sempre stravisto per Michelangelo, era lui il suo preferito» sussurra preoccupandosi di non omettere quel tono lascivo.
Tutto ciò che mi fa deglutire un groppo invisibile.
«Vattene affanculo» sussurro imitandolo ed esibendo un largo sorriso appena ho di nuovo il suo ghigno strafottente davanti.
«E ultimamente ha persino asserito che i ragazzi non le interessano, sta bene da sola» conclude Leonardo dandomi un buffetto sul naso; involontariamente me lo vado subito a strofinare.
«E quindi io che cosa dovrei fare adesso?» domando mettendomi in modalità "gufo" orribilmente gonfio, la stessa modalità che usa spesso Marta. Somiglio a Vivaldi quando si fa la pulizia delle piume.
Dentro di me sono esplosa in urla di giubilo e pura soddisfazione al sentire questa notizia, all'esterno do l'impressione dell'esatto contrario. Tutta questione di tattica.
«Uhm, non saprei... non avevi detto che mi avresti dato dimostrazione di quanto tu sia la persona più cattiva che esista? O te lo sei già rimangiato?» mi suggerisce con un'occhiata allusiva, «I giuramenti vanno mantenuti».
Oh, dunque non vede proprio l'ora di vedermi all'opera.
«Quanta impazienza, che forza d'animo e... quanta insolenza!» recito assumendo le fattezze del serpente che tentò Eva, mettendomi in piedi e sovrastandolo.
Leonardo, senza perdere altro tempo, si alza a sua volta, superandomi velocemente in fattore d'altezza, non un dilemma per lui. Ne rimane oltremodo compiaciuto per ciò, glielo si legge benissimo negli occhi.
«Hai appena descritto la mia persona, complimenti vivissimi» dichiara portandosi le braccia dietro le schiena, ricordando una delle guardie di Buckingham Palace.
Santo cielo, quanta compostezza!
«Sii più spontaneo, andiamo» gli dico mentre prendo a girargli intorno lentamente, come l'ape fa con il fiore.
«La spontaneità è un po' difficile di questi tempi» afferma sarcastico, però io le interpreto come parole puramente intrise di cinismo.
«Prendi il presente per come viene, il futuro è imperfetto. Lascialo stare» proferisco poggiando le mani sopra il suo petto ancora coperto dal morbido giaccone, guidandolo alla volta del letto. Stavolta con meno aggressività di prima.
«Tu sì che sei la spontaneità fatta persona» mi arriva la voce di Leonardo direttamente all'orecchio, con tanto di labbra premute sopra di esso.
Egli si lascia cadere seduto sopra le coperte e io rimango in silenzio, beandomi di quel complimento involontario che mi appaga nell'esatto modo di una visita alla Galleria degli Uffizi. Sono questi i complimenti per cui probabilmente ucciderei.
«Matilde?» mi chiama Leonardo nel momento in cui gli vado a circondare il collo con le braccia, socchiudendo le palpebre e assaporando il suo odore.
Nella mia mente una melodia comincia a suonare senza che io possa controllarla.
Mugugno un qualcosa di incomprensibile come risposta.
«A cosa stai pensando?» chiede lui carezzandomi il labbro inferiore con estrema delicatezza. Mi sento una bambola di porcellana sotto il suo tocco.
«A "Teardrop" dei Massive Attack. La conosci?» replico in un sussurro, riaprendo adagio gli occhi e imbattendomi prontamente nei suoi, più luminosi dei miei.
«No, ti deludo» ammette con una mezza e flebile risatina, «è importante che la conosca?».
«Parla di fiori neri che sbocciano, del verbo dell'amore, di un impulso gentile che rende più leggeri, di fuoco e di acqua» racconto spingendolo ancor più indietro, di modo che possa accomodarmi io stessa sulle sue gambe, esattamente come quel sabato sera a casa sua.
Mi sistemo con morbidezza intrecciando i miei arti inferiori attorno al suo busto, attorno ai suoi fianchi. Mi aggrappo a lui letteralmente per sciocco seppur limpido timore che vada via.
«A quanto pare non sei cattiva come alludi di essere...» mormora Leonardo scostandomi ciuffi di capelli dietro entrambe le orecchie.
«Lo sono solo con me stessa, ricordi? Pian piano imparerai a conoscermi. Imparerai lentamente, ma imparerai» emetto una risatina di gusto di fronte alla sua insinuazione veritiera, «e comunque, non ho ancora iniziato».
«A fare cosa...?» domanda appena confuso, ma prontamente lo illumino con le mie sincere intenzioni.
Piego il capo verso destra, inclinandolo non troppo, faccio schioccare la lingua e mordo il mio labbro inferiore al solo pensiero. La gola bianca e candida di Leonardo è un delizioso invito ad avvicinarmi sempre di più. È lì l'apice da cui proviene il suo profumo e io mi ci sto avventando famelica.
Con le dita della mano sinistra gli artiglio con poca cortesia i corti ciuffi dei suoi capelli biondi – come tenero grano erto verso l'incanto del sole –, faccio piegare la sua nuca all'indietro, di modo di avere totale campo libero.
Ora rappresento io il vampiro e lui la vittima.
È bellissimo indossare le vesti del "carnefice" per una volta; e, a quanto pare, a lui fa piacere indossare le vesti della preda indifesa visto che lo sento mugugnare, e penso proprio che sia di beatitudine.
Poso la punta della lingua sopra la pelle nivea del suo collo, lambisco con essa quel tanto che par necessario e, infine, addento quel ben di dio con un finto morso, utilizzando unicamente le labbra. Lungi da me fargli del male.
«Questa è pura vendetta» asserisce Leonardo con il pomo di Adamo che trema sotto il mio "bacio".
«Questo è inteso come puro scambio di favori, oserei dire » lo correggo distaccando la bocca di pochi millimetri, ritornando rapidamente a dove ero rimasta.
«Intenderai riempirmi di succhiotti?», e lo sento stringermi con fare possessivo una natica, «In fondo non sei così cattiva come pensavo».
«Tempo al tempo, Apollo, dovrai sudartele le grazie di Atena...» lo cantileno con un sorriso a fior di labbra.
Intanto continuo a lavorare su quel segno di suggellazione, baciando e succhiando. L'uno ha lasciato un marchio sull'altra. Così facendo dimostriamo un vero segno di appartenenza, un potente inizio di qualcosa.
«Le sfide sono il mio pane quotidiano, dovresti saperlo ormai» dice Leonardo più che propenso ad accettare il mio volere.
«Come anche il mio» gli faccio presente, allontanandomi dalla sua gola e pulendomi con la manica della maglietta.
Rimango ad ammirare la mia opera d'arte, sola e unica, a differenza delle sue costellazioni violacee che ha avuto la premura di soffiare sulla mia pelle.
La mia appare come una larga macchia piuttosto rossastra destinata a diventare della stessa tonalità di quelle che ho io impresse. Molto estesa, che si propaga obbedendo al mio volere.
Mi sono piuttosto impegnata, non per niente...
«Hai fatto un capolavoro a regola d'arte?» si preoccupa di sapere Leonardo quando vede che sono alle prese con lo studiare la sua gola.
«Tu che dici?» dico per tutta risposta sporgendomi spaventosamente verso la sua bocca. Ne percorro le linee con il polpastrello, in un gesto delicato d'adorazione, in un gesto che vorrei imprimere nell'infinito.
"Santo cielo, che labbra oltremodo morbide, viene voglia di riempirle di morsi!", penso inconsciamente, senza controllo.
Addio proprio al controllo! Chissà dove si è andato a cacciare...
Sto quasi per adempiere alla volontà dei miei pensieri oltre il limite, quando dalla porta della mia camera che avevo intenzionalmente socchiuso spunta fuori Adele. Mia madre.
Adele mia madre.
Adele Del Gaudio, colei che mi ha messa al mondo. Porco mondo!
«Matilde, tesoro, sono tornata. Hai in mente qualcosa per la cena...», entra dentro la mia stanza con la frase che le muore esattamente in gola appena un'assurda, quanto folle e stramba, visione le si para dinanzi agli occhi.
Rimango letteralmente attaccata con i denti al labbro inferiore di Leonardo, le palpebre sbarrate dal serio infarto che sta per prendermi. Leonardo, esattamente con la mia stessa espressione, osserva con genuino terrore la figura della mamma, le mani ancora sul mio sedere.
Non osa muovere un singolo muscolo. Si è trasformato in una statua.
"Marsellus, sei proprio un cane inutile...", penso amaramente; avrebbe almeno potuto abbaiare quel botolo lardoso!
Di colpo è come se a Firenze fosse piombato il Lungo Inverno; sprofonda in un tombale e serio silenzio.
«Allora» esordisce Adele mettendosi i palmi su entrambi i fianchi e inarcando un sopracciglio, «hai in mente qualcosa per la cena oppure preferisci mangiare direttamente quel ragazzo, Matilde?».
Mia madre ha invitato Leonardo a rimanere a cena da noi.
Dopo averci visto entrambi alle prese con una conoscenza piuttosto intima e approfondita ha chiuso gentilmente la porta della mia camera, specificando testualmente pochi istanti dopo tali parole, «Vi do esattamente un minuto per staccarvi e riassettarvi. Vi cronometro!». Ha addirittura impostato l'orologio che porta sempre al polso.
Sicché io ho spinto via Leonardo non nel migliore dei modi, rimanendo comunque in braccio a lui in maniera poco consona e portandomi le mani alla bocca, tanto lo sbalordimento era evidente. Sono rimasta a fissarlo con gli occhi spalancati per qualche secondo, cercando di metabolizzare il fatto che una figura quale mia madre ci avesse visti e avesse preso atto di noi due, qualsiasi cosa stessimo facendo.
"Destino infausto, Adele ci ha visti! Ha visto sua figlia quasi divorare il figlio di Furio Aspromonte! Che disagio infinito... forse è meglio che vada a seppellirmi", ho pensato fra me e me senza batter ciglio.
Nel frattempo, Leonardo è rimasto riverso sul letto con i gomiti puntati sulla trapunta, intento a fissarmi nemmeno avesse dovuto farmi i raggi. Le sue iridi azzurre parevano fuoriuscire da un momento all'altro; il suo viso era talmente contratto da una smorfia di terrore misto a stupore che sembrava avesse visto il fantasma ghigliottinato di Luigi XVI di Borbone con tanto di testa in mano, per di più il labbro arrossato dovuto al mio morso contribuiva e pure tanto.
Be', come poter sperare in una reazione differente data la situazione?
Mia madre ha rappresentato ben peggio di fantasma di un re decapitato. È l'Apocalisse.
Successivamente ci siamo finalmente alzati, sicura che mamma non stava scherzando con il fatto del voler cronometrare il minuto spaccato. Ha suonato come una minaccia alla Emilio Lunanuova... mai scherzare con Lunanuova e il suo contare i secondi.
Mi sono infilata le dita in mezzo ai capelli, arruffandomeli con fare maniacale. Dire che l'ansia mi aveva artigliata totalmente è dire poco.
«Aiuto» ho borbottato con un fil di voce verso Leonardo.
«Perché "aiuto"?» mi ha risposto lui con un tono apparentemente calmo, ma il ripetuto deglutire lo ha colto in flagrante, «Ci ucciderà? Anzi, mi ucciderà?».
«Onestamente non saprei!» ho esclamato camminando avanti e indietro, stando ben attenta a non inciampare su Marsellus, «Probabilmente per mia madre vale la regola del plurale, ci ucciderà. Fosse stato mio padre avrebbe invece valso la regola del singolare, avrebbe ucciso solo te».
«Mi conforti dicendomi così...» ha dichiarato Leonardo alzandosi a sua volta dal letto, mettendosi in piedi.
«Almeno dico la verità, signor Dorian Gray!».
Alla fine dei giochi, Adele, dopo lo scoccare del minuto, è ritornata nuovamente nella mia camera e incrociando le braccia per poi guardarci da capo a piedi neanche fosse la Miranda Priestly de Il diavolo veste Prada ha detto, «Matilde, vieni in cucina con me. Mettiamo a bollire l'acqua per la pasta, il figlio di Furio sarà ben contento di rimanere a cena da noi».
Mi pare sia chiaro il fatto che io non abbia osato obiettare niente al riguardo. Ho annuito senza fiatare e, con il figlio di Furio alle mie spalle, ho seguito mia madre alla volta della cucina.
Per cui, mentre lei sta mettendo su una padella con un soffrittino per un sughetto con i fiocchi, io mi occupo di apparecchiare la tavola e di ascoltare le scrupolose domande che sta riversando su Leonardo, seduto a capotavola.
Mi viene quasi da provare compassione per lui, ma uno dei suoi pregi che sono riuscita a scorgere durante questi anni di guerra fredda è che sa mantenere alla perfezione il controllo della situazione. Qualunque essa sia. Dalla più scomoda e impervia alla più conforme.
Una di queste è senz'altro il saper reggere il confronto con Adele Del Gaudio.
Ogni tanto lancio qualche occhiata celata verso di egli e lo scopro rilassato, a suo agio. Si è tolto il lungo giacchetto e tiene le mani unite sopra il morbido gilet in un gesto di semplice eleganza e compostezza.
«Spero di non dare un dispiacere alla tua famiglia per l'averti rapito per cena» dice la mamma andando direttamente a infilarsi nelle spire del sarcasmo mentre tagliuzza un cipollotto a rondelle; uno degli ingredienti principali per un ottimo piatto di pennette ai gamberetti e zucchine.
«Per una sera sono sicuro che sopravvivranno. Non è un problema» replica educatamente Leonardo, ammiccando un sorriso.
«Bene, mi fa piacere» constata l'altra annuendo.
«Uhm, mamma? Perché non mi hai chiamato per avvertirmi che saresti arrivata? Avrei potuto accoglierti diversamente, almeno!» m'intrometto dopo aver letteralmente lanciato la presina per la padella in mezzo alla tavola. Sono un fascio di nervi tesi.
«E perdermi il gusto di trovarti in una circostanza ambigua per poi metterti in imbarazzo? Giammai, cara» recita Adele sogghignando malefica.
Con quei capelli corti più la risata somiglia davvero a un folletto sadico e infausto.
«È colpa mia» interviene Leonardo facendosi carico di ogni responsabilità, «mi sono presentato io a casa vostra, per di più senza preavviso. Sono stato imperdonabile. Un increscioso errore».
Appena la mamma sente una frase del genere uscire dalla bocca di Leonardo si volta di scatto verso di lui, gli occhi ridotti a due fessure. Non tanto a mo' di minaccia, bensì di curiosità.
«Wow, il tuo linguaggio è veramente sorprendente per uno di questa età. Tuo padre ha fatto proprio un bel lavoro con te» riconosce senza secondi fini.
«Accidenti, mamma! Da come ne parli sembra che tu conosca suo padre da anni» le faccio notare provando un pizzico di vergogna.
«E così è. Altrimenti non mi sarei mai permessa, lo sai bene» ribatte lanciandomi un'occhiata di chi la sa lunga.
«Che cosa?», sbatto velocemente le palpebre presa contro piede.
«Ai tempi dell'Università, è ovvio» precisa roteando gli occhi davanti alla mia espressione, «io studiavo architettura e lui economia. Avevamo, a grandi linee, lo stesso gruppo di amici per uscire il fine settimana».
«O mio dio...» mormoro con la vista improvvisamente incrociata.
Sono allibita! La mamma non me lo aveva mai detto. Eppure quella volta che abbiamo intrattenuto quel discorso a dir poco imbarazzante su Furio e Leonardo – avvenuto per causa di forza maggiore, vale a dire per via di mademoiselle Rossini! – lei non si è azzardata a dire una parola al riguardo!
Oh, a volte riesce a essere proprio subdola e cospiratrice, la cara Adele Del Gaudio!
«Non farti strane idee, scema, ce ne hai fin troppe in quella testona!» esclama immediatamente, «"Stesso gruppo di amici" non equivale automaticamente a "coppia segreta" e poi ti ricordo che ho conosciuto Fabrizio proprio nel periodo universitario. Diciamo che Furio apparteneva a quella fetta di studenti sempre con la camicia ordinata, i capelli pettinati a dovere e il portamento troppo tronfio, soprattutto per il cognome che si ritrovava. Lo prendevo in giro spesso, mi ci divertivo come una matta, ero piuttosto ribelle e stronzetta all'epoca. E poi non era proprio il mio tipo, senza offesa, Leonardo» si mette a sogghignare al ricordo di quei tempi remoti e sicuramente significativi.
E per fortuna dopo questa affermazione riesco a calmarmi e a riprendere a respirare normalmente. Già stavo andando nel panico.
«Nessuna offesa, non si preoccupi. E comunque non posso certo prendermela per la gioventù che avete avuto» risponde Leonardo senza scomporsi, tuttavia non può fare a meno di abbozzare un sorriso divertito.
Forse il pensiero di vedere un giovane Furio scimmiottato da una giovane Adele non è poi così male. Potrei riderci anche io.
«Avanti, solo perché ti ho beccato a sbaciucchiarti con Matilde non sei obbligato a darmi del "lei"» lo riprende la mamma ritornando ad abbracciare il suo solito carattere brioso, allegro e amichevole, «insomma, la sorpresa c'è stata, credimi, ma le cose che mi scandalizzano sono ben altre. Come le persone omofobiche, per esempio. O anche quelle tutt'oggi ostinate a manifestare razzismo senza preamboli».
«Ti darò del "tu", allora. Così sia» accetta l'altro collaborativo, «e comunque, sì, hai ragione. Le cose per cui scandalizzarsi sono ben altre».
«Eri sorpresa, mà?» domando ironica, «Sembrava tu ci volessi ammazzare!».
«Ero sorpresa da morire! Dal momento che tu ti lamenti di questo Leonardo Aspromonte da quando hai messo piede al Caravaggio permetti che non reagisca nel migliore dei modi se per caso dovessi ritrovarti insieme a lui nella tua stanza! Inoltre sopra il letto» asserisce Adele quasi melodrammatica quanto me, ma io faccio di gran lunga di meglio.
A Leonardo sfugge una risata, immediatamente va a premersi il palmo contro le labbra.
«Smettila di farmi notare che eravamo sul letto!» ringhio guardandola di traverso, «Eravamo più che vestiti, Leonardo aveva persino addosso il giacchetto».
«Anche quando Diego ha dormito con te era vestito, tuttavia la preoccupazione non viene e non se ne va a comando» mi rimbecca mentre sistema i gamberetti sgusciati all'interno della padella decorata da un filo d'olio e il cipollotto.
«Diego Falco ha dormito insieme a te?» fa eco Leonardo un tantino colto alla sprovvista.
Una piccola crepa in quella sua armatura dorata, scintillante e oltremodo inattaccabile.
«Seriamente, Leonardo? Ora ti vai a preoccupare di Diego?» bofonchio osservandolo di sbieco.
«Non saprei, ma sicuramente ora posso dedurre tranquillamente che la vostra amicizia abbia importanti radici profonde» dichiara con la fronte increspata.
Ops, cos'è quello? Un tenero, carino e coccoloso labbro superiore arricciato?
«Già, lo puoi dedurre» gli do ragione incrociando le braccia al petto e sorridendo angelicamente.
«Puoi stare sereno, Leonardo. Matilde conosce Diego ormai da troppo tempo, avranno avuto svariate occasioni per dichiararsi amore reciproco, non trovi?» corre in mia difesa la mamma, sorprendentemente, «E per quanto siano simili sia in fatto di idee e di carattere, non potrebbero essere più incompatibili per stare insieme. Dico bene?» e sposta la sua attenzione su di me.
«Dici più che bene, benissimo» do la mia conferma ufficiale, «e comunque non è la prima volta che Diego dorme da me. Dorme persino da Marta, idem da Marco. Sai com'è, fra amici queste cose sono normali. Per cui non fare il geloso».
«Non sono geloso», è immediata la sua risposta. Soprattutto secca e soprattutto senza i suoi occhi che provano a guardare i miei. Li ignora bellamente. «Di Falco poi, assolutamente no».
«Va bene, è come dici tu» borbotto alzando le braccia al cielo, andando ad aprire il frigorifero per prendere la bottiglia dell'acqua.
Se lui non è geloso allora io sono la persona più calma, mite, bonaria, paziente e tranquilla di questo mondo! L'esatta copia di Pippo della Walt Disney.
«Parla con me, Leonardo, potrebbe rivelarsi più utile. Dimmi un po', sono curiosa, come siete arrivati a deporre le armi tu e Matilde?» gli chiede la mamma, suggerendogli chiaro e tondo di ignorarmi.
Wow, ma che bella comunella che fanno! E da quando mia madre è diventata così ficcanaso e pettegola? Ora glielo do io un suggerimento.
«I beatissimi affari tuoi, mà?» sbuffo contrariata posizionando la bottiglia dell'acqua e una di vino accanto alla presina di vimini.
Ma, naturalmente, fa finta che non abbia detto nulla, anzi, nel contempo che gamberetti e zucchine cuociano a fuoco lento e che l'acqua giunga all'ebollizione, si mette addirittura a sedere accanto a Leonardo. Poggiando i gomiti sul tavolo e aguzzando l'attenzione.
Sembra un Hobbit che sta per ascoltare una delle storie di Gandalf.
Tutto ciò sta accadendo per davvero? Sogno o son desta? E pensare che è tutto partito dalla Matilde me medesima cattiva...
«È una storia un po' lunga, in effetti» conviene Leonardo, esaudendo il desiderio della mamma, «diciamo che è stato, a grandi linee, il risultato di un'immensa catena di azioni e reazioni. La tipica fiammella che viene accesa su un piccolo filoncino di polvere da sparo, lentamente lo percorre, senza dare troppo nell'occhio, però quando alla fine arriva nell'area degli esplosivi vedessi che fuoco e fiamme. Questa fiammella è accesa, oserei dire, da un po'».
Rimango a rimirare le labbra di Leonardo mentre tenta di dare una spiegazione logica, a tratti poetica, del nostro rapporto di odio e amore, mentre cerca di trovare le parole più consone per far sì che tutto questo insieme riesca ad avere un senso. La nostra lotta, la nostra guerra nata fin dal principio, una resa avvenuta inconsapevolmente e involontariamente durante la metà del conflitto, poi ancora guerra, ancora battaglia, e infine la pace.
Combattuta, conquistata e adesso goduta.
«Mi ricordate Elizabeth Bennet e Fitzwilliam Darcy» commenta mia madre con gli occhi che le brillano di seria ammirazione. Pende dalle labbra di Leonardo.
Effettivamente Leonardo potrebbe suggerire un non so che di signor Darcy, l'essenza: partendo dalla sua figura alta e slanciata, dal suo aspetto raffinato, signorile e impeccabile praticamente sempre, assai colto, decisamente intelligente, come anche fortemente riservato.
Ma io? Io cosa ho di Elizabeth Bennet?
«Mamma, io non ci azzecco niente con Elizabeth» le spiego mentre mi accingo ad aprire la busta della pasta.
«Tu dici?» sento la voce di Leonardo, «Sei molto intelligente, hai carattere da vendere, sei vivace e al tempo stesso piena di spirito. Sei sensibile, a tratti razionale però ti lasci anche fuorviare, a volte, dalla tua emotività. In certe occasioni spari certe assurdità che hanno dell'incredibile. E per ultimo, ma non meno importante, sei bellissima. Somigli a Elizabeth Bennet più di quanto tu credi, Matilde».
Leonardo mi lascia senza fiato, per l'ennesima volta.
Rimango imbambolata con il pacco della pasta stretto in una mano e con le forbici nell'altra. Non posso fare a meno di guardarlo con sguardo rapito e da totale pera cotta.
Una metà di me mi urla di darmi un contegno, ma l'altra metà esattamente il contrario. Forse più della metà, dato che non faccio nulla per smettere.
«Sai una cosa, Leonardo?» Adele interrompe il magico attimo di idillio, con voce dolce e morbida, «Somigli veramente tanto a tuo padre. Lui, da giovane, nonostante il portamento costantemente composto e rigido, era un inguaribile romantico. Il periodo che ha conosciuto tua madre, ricordo che senza farsi vedere, quando andavamo nella casa di qualcuno a far serata oppure in qualche locale, estraeva dalla tasca dei pantaloni un piccolo libretto di pagine bianche. Piccolissimo, stava tranquillamente nel palmo di una mano. Su di esso era di continuo intento a scriverci qualcosa. Finché arrivò il momento che lo beccai ubriaco e dormiente su un divano. Immorale e curiosa com'ero decisi di rubargli per qualche minuto quel libricino, dovevo sapere cosa diavolo ci scriveva mai Furio Aspromonte con tutta quella dedizione, costanza e concentrazione. Era l'occasione perfetta. Appena lo aprii rimasi meravigliata. Quelle microscopiche pagine erano riempite di frasi, pensieri e brevi versi tutti dedicati per Lucrezia Kroess, la studentessa del dipartimento di letteratura, incontrata mesi prima durante una manifestazione. Avevo compreso che quel ragazzo aveva dentro di sé un qualcosa di così immenso e nascosto dannatamente bene che non avei nemmeno la forza di schernirlo almeno un po' i giorni avvenire».
E terminato il racconto, Adele si alza dalla sedia con un sorriso alquanto luminoso a fior di labbra, arriva fino alla pentola dell'acqua pronta per essere usata e prende a ultimare la preparazione della cena.
Nel frattempo io mi avvicino a Leonardo, che ha un viso assurdamente allietato e disteso, una rarità vederlo in questa maniera. Non si aspettava un qualcosa del genere legato al passato di suo padre, ne sono certa.
Lo osservo in silenzio, inumidendomi a intervalli le labbra; senza accorgermene, poco fa, ho smesso di respirare con il naso.
Il ragazzo mi sfiora la mano con il dito indice e il dito medio, per poi azzardare una presa lieve su quest'ultima.
«Io non sono geloso di Diego, Matilde» mi sussurra veramente moderando la voce al fine di farsi udire solo e soltanto da me.
Ma perché ce l'ha così dolce come il miele e così dannatamente coinvolgente? Potrebbe far concorrenza ad Alberto Angela e Luca Ward messi insieme!
«Sono geloso del fatto che lui abbia potuto dormire con te mentre io no. Per il momento».
Nel giovedì noi Rappresentanti al completo ritorniamo al Caravaggio dopo il normale orario scolastico, al fine di discutere dei costi della gita prevista per gennaio, oltre che della disponibilità dei vari insegnanti, sia da parte del Classico sia da parte dell'Artistico. Siccome la meta è già stata scelta, per amore o per forza, ossia Berlino, ora non rimane altro che accordarsi sulla prenotazione di un eventuale volo e del pernottamento in hotel.
Sempre seduti allo stesso tavolo della prima riunione, stavolta con il vice-preside Nobilis a sostituire Gandolfo, discutiamo in primis degli obiettivi educativi che porterà questo viaggio a noi studenti, scribacchiamo su svariati fogli bianchi gli ipotetici musei e luoghi da visitare tenendo in considerazione il pacchetto "sconti" per comitiva scolastica offerto sia da quest'ultimi, sia dalle agenzie di viaggio.
Stipuliamo il budget di un massimo di quattrocento euro per alunno, anche se la maggior parte di noi pensa fermamente che ne siano sufficienti molti di meno contando che staremo via cinque giorni e quattro notti. Infine buttiamo giù un piccolo programma improvvisato al fine di essere presentato all'eventuale agenzia di viaggi che andremo a scegliere, niente di deciso, soltanto una piccola bozza di idee.
E anche questo piccolo cruccio è stato affrontato e risolto.
La disponibilità, intanto, è stata data da parte della nostra professoressa Drago, della professoressa di discipline progettuali del quinto F, Ornella Castellitto, e – miracolo dei miracoli, accompagnato da uno stupore generale – del professor Lunanuova. Non ha mancato di aggiungere, ovviamente, che lo fa per tenerci meglio d'occhio, per impedirci di fare il più casino possibile.
Io l'ho interpretata un po' come una minaccia, a essere onesta. DarthMart e Diego, be', loro l'hanno interpretato come un dito nel culo, tanto per essere chiari.
Per quanto riguarda la mia situazione con Laira, che potrei dire?
La mattina non ci parliamo, non ci guardiamo in faccia, perlomeno io non mi azzardo a sfiorarla con lo sguardo, ci evitiamo in sostanza. Non posso negare che la cosa mi dia un evidente senso di stranezza e di disagio interiore, il non averla risentita mai in questi giorni è veramente insolito; è come se avvertissi un'ostinata sensazione di prurito e non sapessi dove andare a grattare. Nessuna soffiata mi è più stata data, nessun pettegolezzo o nessun sospiro privo di speranza nei confronti di Diego.
Io e Laira sembriamo due perfette sconosciute.
Nonostante avessi dato di matto – e di brutto – il pomeriggio del lunedì scorso, tutt'ora non mi sento proprio in vena di andarle a dire qualcosa, men che meno a chiederle scusa. Lei, giustamente, difende la sua posizione e io difendo la mia.
Ora come ora, un compromesso purtroppo lo vedo alquanto lontano, molto improbabile.
Passando a me e Leonardo, guarda caso, al Caravaggio ancora nessuno ha la minima idea di quello che sta accadendo fra di noi. Un vero mistero della fede dal momento che Claudio Patriarchi e Olivia hanno ben inteso le nostre intenzioni, anche se non troppo dichiarate fra me e Leo.
Di Costanza, ho avuto modo di constatare, che sa tenere la bocca accuratamente sigillata, inoltre ha persino esatto di essere ringraziata per l'immenso favore che mi ha fatto!
E lo stesso vale anche per Marta, lei non s'azzarderebbe mai ad andare a sbandierare ai quattro venti un dettaglio simile. Anzi, DarthMart ora è seriamente in pensiero per questa gita, la presenza di Lunanuova è stata proprio un colpo basso e inaspettato. Non sa ancora in che modo digerirla. Non sa se sentirsi smielatamente felice oppure infernalmente incazzata.
Conoscendola, sicuramente opterà per la seconda...
Thalìa dialoga con Diego come se niente fosse avvenuto. Lei si comporta normalmente, lui è decisamente a disagio, irrigidito nei movimenti e contenuto nelle parole. Posso addirittura vedere la lama di un enorme coltello rigirarsi continuamente nel suo stomaco, inesorabile e infetta. Il coltello della delusione e dello sconforto.
È una rarità vedere Diego che non sappia tenere il controllo di una situazione, soprattutto di questo genere. Però... che altro potrebbe fare? È combattuto a metà: non se la sente di tagliare di netto i ponti con Thalìa nonostante dall'altro lato vorrebbe eccome, sapendo che è la decisione migliore.
Come se non bastasse, a rincarare la dose, c'è pure Alberto, che è rimasto a far compagnia a Leonardo durante questa riunione non troppo lunga.
Di conseguenza una volta finita l'adunata e mentre noi tutti rimettiamo in ordine le numerose scartoffie, il ragazzo dai capelli scuri ne approfitta per avvicinarsi a Marta, seduta con le gambe accavallate sopra una delle poltrone dell'Aula Magna con stampata in volto un'espressione veramente irritata.
Il testimone passa a Marta, ringraziando la partecipazione di Matilde.
Ci sono tante cose che vorrei fare in questo preciso momento.
Vorrei afferrare ogni sedia da noi usata in questa riunione e scaraventarle all'aria, vorrei prendere i fogli degli appunti scritti in questa ultima mezz'ora e strapparli in mille brandelli, vorrei estrarre vie le piante dai rispettivi vasi e rovinandole per terra, vorrei afferrare i quadri appesi al muro e spaccarli contro le pareti, vorrei alzarmi in piedi e urlare come una pazza da essere internata.
Vorrei non aver sentito Emilio Lunanuova confermare la sua dolce compagnia durante il soggiorno della gita, vorrei non aver "goduto" della presenza non calcolata di Alberto Del Bianco in questo raduno dei Rappresentanti.
Vorrei veramente che tutte queste idee vengano esaudite, ma, ahimè, farei la figura della fuori di senno oltre che quella di merda.
Per cui sono costretta, sono obbligata neanche avessi una spada laser puntata alla gola, a rimanere seduta composta con le gambe accavallate, le dita delle mani intrecciate sul grembo e un'espressione talmente contratta che rischio di farmi prendere un collasso facciale. Diciamo che posso permettermi di bearmi di una qualche sincope interna, come pure il grido che devo per forza opprimere sul nascere.
L'unico tic cui sono preda senza che io possa controllarlo, è il movimento meccanico del mio piede, quest'ultimo si alza a si abbassa con un ritmo ben definito. Sembra che io sia percossa da piccole scariche elettriche.
Credo fermamente che se qualcuno, per disgrazia, dovesse sfiorarmi sarei in grado di folgorarlo. E quel qualcuno, a quanto ho modo di constatare, vuole essere proprio Alberto. Si vede che non ha a cuore la sua incolumità, nemmeno un pizzico.
Il ragazzo dagli occhi blu si distacca dal gruppo dei Rappresentanti intenti a dare una sistemata al grande tavolo, mentre io me ne sto seduta su di una poltrona delle prime file, adirata e gonfia come un gufo. Abbandona per un attimo Leonardo, suo grande amico, e posa l'attenzione su di me nel contempo che osa avvicinarsi.
Tutto ciò che faccio è chiudermi ancora di più a guscio, aiutandomi incrociando le braccia al petto e volgendo il capo dall'altra parte, lasciando che la mia chioma argentata mi nasconda la faccia.
Da quando mi ha volontariamente fatto quella dichiarazione, dicendomi che io – mio dio, ancora non posso crederci – gli piaccio, ho tentato in ogni maniera di evitarlo a scuola, persino all'entrata, all'intervallo e all'uscita. Sono stata attenta anche durante i cambi dell'ora! E stava andando fondamentalmente benone, alla grande!
Fino a ora...
Che poi, io non capisco. Questa è una ritrovo dei Rappresentanti d'Istituto e Consulta, lui che diamine c'entra? Ma non aveva asserito che lui e la politica sono due poli opposti? Allora che se ne stia a casa e non venga a mettere il naso nelle faccende dei piani alti!
Avverto la figura di Alberto sedersi accanto alla sottoscritta, precisamente alla mia sinistra, la parte che sto evitando di guardare. Mi mordo il labbro con fare nervoso, accigliandomi più di prima.
Picchietto con il piede aumentando pressione.
"Ti prego, fa che non mi rivolga parola alcuna, ti prego...", arcuo le sopracciglia pensando e sperando.
«Signora dei Sith».
E invece no. E invece doveva rivolgersi a me, per di più con una voce carica di ironia. Che gran rottura di cazzo.
Rimango in silenzio, fingendo di essere calma ma in silenzio.
«Va tutto bene? Hai una faccia talmente sinistra che rischi di spaventare qualcuno» mi chiede accavallando la gamba a sua volta, in un gesto che suggerisce l'imitazione della mia posizione.
«Del Bianco, mi viene naturale farti notare che non sono affari tuoi» sentenzio provando a non ringhiare.
«Te ne stai qui in disparte, qualcosa ad arrovellarti la testa sicuramente ce l'avrai» continua, ignorando la mia più che evidente allusione a farsi i cazzi propri.
Tanto per non dar lui soddisfazione mi sposto persino più in là con il bacino, almeno non correrò il rischio di sfiorarlo per sbaglio. La parte più avvelenata di me sta prendendo il sopravvento.
«Non è un qualcosa che deve interessarti, grazie e arrivederci!» esclamo con uno sbuffo.
«E invece è proprio un qualcosa che mi interessa» dichiara serio Alberto, colmando la distanza che con scarso successo ho cercato di creare, «lo sai».
«Io non so niente. So solo che, ora come ora, vorrei starmene da sola in santa pace e ciò non è momentaneamente possibile. Infatti non vedo l'ora di andarmene a casa» borbotto con una sensazione di calore che si irradia nei miei arti, stringo maggiormente le braccia.
«Devi per forza assumere le fattezze di una ragazza antipatica? Perché ti dico, in tutta sincerità, che non ti si addicono tali vesti. L'antipatia non fa per te» proferisce abbassando la voce.
«Io penso invece che mi si addicano eccome, dal momento che mi sto comportando da tale!» gli faccio notare scalando di una poltrona, lasciando uno spazio fra di noi. Alberto, nel vedermi, emette una risatina abbassando la nuca.
«Tu sei tutta matta, Signora dei Sith» asserisce bonariamente.
«L'hai capito, finalmente? Per questo è bene che tu non ti confonda con me» do lui ragione e dicendo mentalmente "amen"!
«So essere molto insistente. Pensi che basti questo?», si sporge con sguardo allusivo.
«Io invece getto la spugna facilmente, guarda qua... ops, mi arrendo» ribatto acidamente, mimando il gesto della spugna invisibile che casca dalle mie grinfie.
«Più ti comporti da bastarda, più m'intrighi. È giusto che tu lo sappia, Marta Brunori».
Per tutto il Consiglio Jedi, questo è troppo! Nemmeno mi viene in mente una risposta tagliente e intelligente al tempo stesso!
«Alberto...» sospiro scuotendo il capo, «noi non...» tento di continuare il discorso ma vengo interrotta di proposito.
Soprattutto da chi meno mi sarei aspettata.
«Brunori» mi richiama la voce di Lunanuova, che a quanto vedo ha impressi i suoi occhi blu nella direzione mia e di Alberto. Che abbia seguito il nostro dibattito fin dall'inizio? Bah, anche se fosse non vedo perché dovrebbe interessargli.
«Sì, professore?» recito con finto tono bonario, alquanto canzonatorio.
«Vieni qui, ti do la fotocopia della bozza del programma per Berlino» mi ordina con movimento perentorio della mano, deduco che il Cavaliere non accetti obiezioni.
Per cui, sospirando per la millesima volta, mi metto in piedi senza degnare d'uno sguardo Alberto accanto a me. Mi armo di buone intenzioni e fermo autocontrollo, ed esaudisco la richiesta del mio professore.
Appena sono dinanzi a lui faccio subito per prendere quanto detto, ma Emilio – lasciandomi di stucco, proprio senza parole – accosta il suo capo vicino al mio, velocemente in modo da non essere visto.
«Dopo avrei piacere che lei venga con me a bere una tazza di cappuccino. Devo parlarle di una cosa» mi mormora talmente con rapidità che quasi faccio fatica ad afferrare il concetto generale.
Ho capito bene? Emilio vuole che vada con lui a prendere qualcosa da bere? Insieme a lui? Io e lui? Da soli? Questo è rincoglionito.
Ma oggi è la giornata delle stravaganze?
«Io... io... io bevo il tè» dico in un sussurro e senza pensarci, e ovviamente dico una stronzata.
Io ed Emilio entriamo in un caffè che dista a poca distanza dal Caravaggio. A suo dire viene a farci colazione quasi ogni mattina, si sente a suo agio in questo piccolo localino accogliente.
E in effetti è accogliente, dai colori castani del bancone fino allo scarlatto rosso della superficie dei microscopici tavolini. C'è un odore delizioso qua dentro, di cornetti alla marmellata appena sfornati e di caffè un po' bruciacchiato misto a quello dei liquori invecchiati.
Un signore dall'aspetto canuto e con un grembiule mogano legato attorno alla vita ci sorride con aria gentile appena ci vede varcare la porta. Soprattutto a Emilio, dato che lo conosce da qualche tempo.
«Professore, buon pomeriggio! Ci rivediamo una seconda volta quest'oggi, eh?» lo saluta con un'accoglienza più che calorosa, con l'accento fiorentino talmente marcato che può fare concorrenza direttamente a mio padre.
«Salve di nuovo, Gesualdo. Ho avuto una riunione con i Rappresentanti della scuola e mi sono fermato nel pomeriggio» gli spiega Lunanuova con un'espressione talmente serena e gioviale che quasi rimango impalata, sono troppo abituata a vederlo rigido e contenuto.
«Con chi ho l'onore, se posso?» domanda Gesualdo spostando i suoi occhietti color cioccolato su di me, incuriositi.
«È una mia studentessa, dobbiamo fare due chiacchiere a proposito della gita scolastica» mi precede il professore senza darmi il tempo nemmeno di ponderare una risposta sensata.
«Hai degli occhi bellissimi, gioia» sento che mi dice l'altro, come se fosse una notizia degna di nota, «identici a quelli della mia nipotina».
«Oh, be', la ringrazio» parlo arrossendo appena.
«Allora, cosa vi do? Qualcosa di caldo? Qualcosa di freddo ma che comunque, a tempo debito, porterà del caldo?» ridacchia Gesualdo strofinandosi le mani solcate da piccole rughe.
«Un cappuccino al vetro con una spruzzata di cioccolato e una tazza di tè caldo al limone. Grazie, Gesualdo. Meglio rimanere sobri» asserisce Emilio sfilandosi il lungo giaccone nero, il solito che indossa tutti i giorni, e andandosi ad accomodare in uno dei tre tavolini.
Gli unici tre presenti in tutto il localino.
«Il solito per te e il tè al limone per la signorina. Arrivano subito!».
Il professore, dopo essersi seduto, alza le iridi su di me, ancora in piedi e ancora con il giacchetto a coprirmi. Ancora che lo studio con occhiata dubbiosa.
Egli mi fa cenno di andare a occupare la sedia di legno posta sull'altro lato del tavolino e io, senza fiatare, eseguo. Tuttavia scelgo di rimanere con il giacchetto, avverto un po' di freddo.
La domanda adesso è soltanto una: perché mi ha portato qui con lui?
Mentre stavamo camminando alla volta di questo caffè, Emilio è rimasto zitto e muto, senza darmi uno straccio di spiegazione che avesse dato un senso a quell'invito spuntato fuori all'improvviso.
Avrei potuto dirgli di no, rifiutare, rivestirmi e andare a casa. Eppure l'ho seguito senza fare nemmeno una domanda. Un comportamento davvero ambiguo da parte mia. Sto ufficialmente perdendo colpi... sto perdendo colpi solo quando si tratta di lui.
Porca miseria, quale immane disonore!
«Può chiedermi tutto quello che vuole, adesso» esordisce Emilio dopo aver posato i gomiti sopra il legno del tavolino, inclinando il capo e lasciando che i lunghi capelli corvini gli sfiorino la spalla. Ancora quel dannato "lei"...
Dannazione, siamo fuori dal Caravaggio, per di più a bere qualcosa in compagnia... occorre aggiungere altro?
Starò anche perdendo colpi, ciononostante non voglio dargli la minima soddisfazione.
Assottiglio le palpebre prima di parlare. «Qualsiasi cosa a proposito della gita. Non siamo venuti qui per discutere di questo?» domando alzando il mento a mo' di provocazione.
Emilio alza all'insù l'angolo destro delle labbra al sentirmi usare tanta beffardia.
«Non cominci a fare la sarcastica. Le ricordo che in fatto di bugie lei mi batte, Maria Antonietta» sogghigna divertito e con ciò si aggiudica un punto a suo favore.
«La smetta di usare quel ridicolo "lei"» tuttavia replico senza lasciarmi soggiogare, «ho diciotto anni, quasi diciannove, ancora posso sopportare il "tu". E poi il Caravaggio non è più sopra le nostre teste. Parliamoci chiaro, Cavaliere».
Gesualdo raggiunge il nostro tavolo con il cappuccino al vetro più cioccolato per Emilio e con il tè caldo per me, riponendoli con delicatezza davanti a entrambi, aggiungendo un piccolo cestino con le bustine dello zucchero.
«Se cominciassi a usare il "tu" significherebbe che abbia varcato quella linea di confine che mi sono imposto fin dall'inizio» obietta andando ad afferrare il cucchiaino per poi immergerlo nella schiuma del latte, «meglio rimanere dietro di essa».
Roteo gli occhi senza fare a meno di sghignazzare carica di scherno.
«Quanta paura ha, professore. Sono ben felice di essere Maria Antonietta, almeno non ho timore».
«Davvero non vuole chiedermi niente sul perché l'abbia invitata, interrompendo la sua conversazione con quel ragazzo del Classico?» insiste Emilio, inchiodandomi con gli occhi.
«In tutta onestà sto aspettando che lei mi dia una spiegazione. Che voglia mettermi in guardia degli imminenti colloqui? Vado così male nella sua materia? E comunque avevamo già finito di parlare, io e quel ragazzo del Classico» dichiaro inarcando un sopracciglio e ignorando di proposito le bustine dello zucchero.
«È fuori strada, Brunori» contesta perplesso, «i colloqui non c'entrano. L'ho portata qui perché voglio scusarmi con lei».
«Scusarsi?» ripeto sbattendo velocemente le palpebre. Devo aver capito male.
«Sì, esattamente, scusarmi» mi da la conferma, «mi voglio scusare per il mio comportamento imperdonabile al Teatro Verdi, sono stato alquanto zotico. E vorrei dirle che io posso comprendere, io comprendo, se ha deciso di guardarsi altrove», Emilio allude chiaramente ad Alberto. Lo si legge benissimo fra le righe, solo uno sciocco ne dubiterebbe.
Okay, Emilio mi ha invitata a prendere qualcosa da bere solamente per dirmi questo? Per dirmi di guardare altrove e di lasciare in pace lui? È questo il succo? No, dico, ma si è bevuto quel suo cervello da letterato?
«Professore, allora lei non ha compreso niente a differenza da quanto ha appena affermato» recito dopo aver raccolto del sano coraggio, «io non potrei mai guardare altrove, non è contemplata una soluzione del genere. Lei non ha la minima idea...».
«... di quello che prova per me? Sto provando a immaginare, onestamente, e forse ci sto andando vicino» m'interrompe Emilio picchiettando con le dita sopra il tavolo.
«E allora è proprio un idiota a suggerirmi di guardarmi altrove, perdoni il francesismo» sottolineo con una risatina isterica.
«Sarò un idiota come dice lei, però perlomeno salvaguardo entrambi».
«Di cosa ha paura, professore? Me lo dica, perché lo so, qualcosa le fa una paura immane... non sono stupida» tento di farlo aprire con me, voglio riuscirci una volta per tutte.
«No, non è affatto stupida, Marta, è tutto il contrario» risponde con molta serietà e passione, «e adesso le rispondo diversamente da come feci al Teatro Verdi. Stavolta ti dico che sì, c'è qualcosa che mi spaventa, e non ne voglio parlare perché più che paura mi da dolore».
E la voce, verso la fine della frase, gli si incrina appena.
«Parlarne potrebbe farle bene oltre che dare un barlume di chiarezza anche per me. Perché, anche se non sembra, io sto impazzendo. Esternamente sembro la serenità fatta persona, ma internamente sto andando in decadenza, mi creda» mugugno finalmente dicendo quello che sento, liberandomi di un peso. «Lasci perdere il passato andato, ignori il futuro imperfetto, tenga conto del presente» continuo a dire.
«È grazie al presente se riesco ad avere una stabilità emotiva, perché andare a stuzzicarlo?» chiede di rimando con una smorfia di tristezza, in lotta con sé stesso.
«Perché altrimenti che vivi a fare, dannazione?» esclamo con elevata veemenza, scordandomi persino la forma di cortesia.
Anche se non è che me ne importi particolarmente data la situazione.
Il liquido all'interno delle nostre tazze si muove percettibilmente siccome ho sbattuto il palmo della mano contro il tavolo. Mi auguro di non aver scioccato il povero Gesualdo. Emilio rimane imbambolato a osservare il nulla, con gli occhi sbarrati e il cucchiaio del cappuccino a mezz'aria.
«Infatti non vivo» è ciò che dice senza nessuna emozione in particolare, «io non sto vivendo. Ho l'arte greca, l'arte rinascimentale e l'arte gotica. Ho il teatro, ho la musica classica di Chopin e la mia collezione di borse in cuoio. Ho la mia laurea che brilla di luce propria, ho la bellezza dei castelli da visitare, sì, soltanto i castelli, vado matto per i castelli. Però è finita lì, io non ho altro. Io non vivo, io esisto soltanto».
«E allora fai qualcosa, devi fare qualcosa» mormoro tirando su con il naso, ormai il "lei" può bellamente andare a farsi fottere.
«Che cosa devo fare, secondo... te?». Emilio saetta le sue iridi contro le mie, veloci e predatrici, di colpo colme di vita.
E... e... mi ha dato del "tu".
Emilio Lunanuova si sta rivolgendo a me con una sua pari. Mi sento scoppiare il cuore dalla gioia. Eh sì, potrei fare mille salti e mille capriole per questo. Sarei ipocrita se affermassi il contrario.
Sicché mi sporgo in avanti, aprendo lentamente le labbra, e sorreggo il suo sguardo. «Devi aprirti con me. Spiegami e io sarò una buona ascoltatrice, te lo prometto».
«Mi farà male...», digrigna i denti e stringendo le palpebre.
«Ti farà bene».
«Riaprirà quella voragine».
«La richiuderà ancor meglio quella voragine» insisto io.
Per esperienza, parlare di un problema è la migliore soluzione per risolverlo e, chissà, magari scacciarlo via. Lo imparai quando quel fottuto pezzo di merda mi spezzò il cuore oltre che portarmi via la verginità. Matilde e Diego si sono rivelati dei buoni ascoltatori, e poco anche Marco.
«Ti vuoi fidare di me?» gli domando, azzardando ad andargli a sfiorare la mano con la punta del dito medio.
Una parte sepolta di me da tempo immemore sta emergendo, la percepisco chiaramente. È paragonabile a una scarica di adrenalina, rimango un po' presa contropiede siccome è parecchio che non ne provo una seria dose.
«E poi? Se mi fido di te, poi che succede?». Emilio non sottrae via la mano come avevo temuto, si lascia toccare.
Un'altra tacca di adrenalina.
«Il futuro è imperfetto, ricordi? E poi pensiamo al presente. Andiamo via da qui, andiamo in un luogo ancora più tranquillo di questo».
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