36. Lo strano caso della Legge di Murphy
Marta.
I due ragazzi che si accingono ad andare a vomitare in quella povera aiuola scatenano in me una sensazione di pura repulsione. Non tanto perché stiano rigettando qualsiasi dubbia sostanza, ma perché in questo momento mi avrebbero fatto ribrezzo persino se si fossero messi a leggere la Divina Commedia con tanto di monocolo e sorseggiando caffè.
È un qualcosa di automatico, non fatto per dispetto o per cattiveria.
Non riesco a trattenermi dal guardarli inorridita. È chiaro, sono stata testimone di situazioni ben peggiori e ben più disgustose di questa, ma – come ho detto – non posso farne a meno.
«Okay, se vedo che la situazione è così tragica vedrò di svignarmela subito, anche a piedi» pronuncio digrignando le labbra e serrando con forza le palpebre. Poi mi distacco dai miei due amici con un'evidente espressione contrariata in faccia, tanto per fare un sopralluogo necessario e tanto per rimanere sola.
Muovo dei passi in direzione del patio con non poca riluttanza e incrociando le braccia al petto in un movimento di totale chiusura, paragonabile a una cerniera.
Ancora non riesco a credere di aver accettato l'invito a una festa del nemico, una festa quasi organizzata in nostro onore. Chi l'avrebbe mai detto che in questi cinque anni Leonardo Aspromonte ci accogliesse in casa sua senza spade e scudi in posizione di attacco?
Io stessa sarei stata la prima a non averci minimamente creduto se solo la realtà non si fosse dimostrata per quella che è. Tutt'ora è un evento che devo assorbire, non è per niente facile vista la gravità della circostanza. Però è tutto vero, nessun inganno, nessuna presa in giro, nessuna insidia e assolutamente nessun tranello. Anche se un piccolo dubbio ce l'avrei.
Aspromonte afferma che fa tutto questo per ripagare del danno riguardo al suo comportamento inerente alla faccenda di Berlino; secondo me, invece, lo fa perlopiù per dare una buona impressione a Matilde. Soltanto il diavolo sa cosa stia accadendo fra quei due: la coppia che potrebbe suscitare scalpore al Caravaggio per il prossimo decennio. Altro che la mia cotta per Lunanuova!
Un'alunna – maggiorenne, ci tengo a specificare – che s'invaghisce del suo professore non otterrebbe lo stesso risultato.
C'è dell'incredibile anche in ciò, Apollo e Atena sempre impegnati a odiarsi, e ora impegnati in ben altre questioni. Perfino per questo, non l'avrei mai detto.
Le probabilità dell'esistenza si estendono ben oltre i limiti imposti da noi stessi, e noi – noi umani – non possiamo farci nulla se non arrenderci.
È un po' come la Legge di Murphy che, è vero, cita la famosa frase "se qualcosa può andar male, andrà male", tuttavia in questo caso assume un significato ben differente. Un significato del tutto ironico e paradossale: un evento considerato inizialmente improbabile, alla prova dei fatti si verifica spesso o addirittura sempre, ovverosia al primo tentativo nientemeno.
Ne ho tutt'ora un perfetto esempio, anzi, ne ho due. La festa a casa di Leonardo e il legame nascente e del tutto nuovo di Apollo e Atena.
Più Legge di Murphy di così.
Ad ogni modo, parlando di "arrendevolezza", ecco che scorgo Alberto Del Bianco in mezzo alla folla danzante, intento a cercare qualcosa o... qualcuno, a quanto sembra.
I suoi occhi saettano in ogni dove, smarriti e nel contempo avidi.
Per esatta reazione roteo i miei, di occhi, e mi volto subito di spalle nonostante sia consapevole che i miei capelli argentati potrebbero tradirmi da un momento all'altro.
Dunque mi muovo alla svelta e scappo fino al buffet, tentando di coprirmi grazie ai movimenti e alle schiene degli altri. Vicino al grande tavolo del cibo e delle bevande trovo Diego, che si è riempito un bicchiere colmo di prosecco, o forse di rum, non riesco a distinguere bene il colore. Vorrei schiarirmi la voce al fine di fargli rendere conto che sta esagerando con la dose, ma dubito che con questa musica assordante possa sentirmi.
A dispetto del mio pensiero, lui alza il proprio sguardo e mi osserva, come se mi avesse letta nella mente. Sporge il suo bicchiere verso di me brindando in silenzio, lancia un'occhiata fugace a Thalìa, intenta a muoversi a ritmo della melodia, e infine prende due buone sorsate, strizzando le palpebre con sofferenza dettate dall'amaro sapore del liquido.
Sicuramente si tratta di rum, il prosecco non è così di cattivo gusto.
Tiro un lungo sospiro mentre evito di guardare intenzionalmente verso colei che ha spezzato il cuore a Diego, preferisco averla lontana dagli occhi e da pensieri non troppo gentili; purtroppo, almeno per adesso, sono destinati a rimanere tali fino a nuovo avviso.
Scuoto il capo quando vado ad agguantare una ciotola di vetro piena di pistacchi, pescata a caso in tutto quell'ammasso invitante di cibo. Voglio eclissarmi da tutto questo casino e ammasso di gente, se non altro anche con un buon bottino a portata di mano.
Giro i tacchi e, facendo meticolosa attenzione a non prendere gomitate varie o pestoni molesti, ritorno con la suola degli stivaletti con qualche centimetro di tacco sul giardino, rimanendo in perfetto equilibrio.
Cerco di non perdere quel ben di Dio stretto fra le mie grinfie, sarebbe un gran peccato. Il mio piano attuale, fino a nuovo ordine, è esattamente questo, ovvero mettermi comoda da qualche parte, lontano dagli altri e dalla musica, a mangiare pistacchi.
Con passo veloce e sicuro mi vado a infilare nell'altro lato della villa di Leonardo, nel lato est, illuminato impeccabilmente da svariate luci da esterno, sia fissate sul terreno sia appese alle mura della casa.
Mi siedo sul morbido e curato prato dal verde acceso, accanto a un albero di frassino e dei numerosi cespugli accuratamente tagliati. Poggio le mia schiena sprovvista di giacchetto contro la corteccia, mettendomi più comoda possibile.
Mi sgranchisco il collo fasciato dalla stoffa nera della maglietta e penso fra me e me, "La dimora di Aspromonte è quasi piacevole".
Se non altro, in questa parte di giardino, qui la musica arriva ovattata, non troppo alta, se non altro un po' di silenzio c'è e io, adesso, ne ho bisogno.
Forse non sarei dovuta venire, osservazione più che giusta, però era un qualcosa di doveroso, l'invito era esteso a tutti i Rappresentanti del Caravaggio e nessuno ha declinato. Chi più restio, chi meno, comunque tutti hanno presenziato. Non potevo restarmene a casa come una vecchietta che ce l'ha a morte col mondo intero, anche se in parte tale esempio mi rappresenti alla grande. E poi è appropriato tenere la mente bene aperta. Non è necessario chiudersi a riccio dinanzi a queste sciocchezze.
Vado a pescare un pistacchio dalla ciotola bellamente rubata sotto il naso di tutti gli invitati, dopodiché comincio a sgusciarlo e nel contempo apro la mia scatolina metallica con la scritta Jack Daniel's, che porto sempre con me.
Mi avvicino un drum alla bocca, accendendomelo. Successivamente, mangiucchiando pistacchio dopo pistacchio, mi ritrovo ad aprire Facebook e a spiare il profilo di Emilio, dove i post sono invariati dalla scorsa settimana, da quando è successo il più tragico degli esiti.
Rimango a osservare la sua foto per qualche secondo, inespressiva, picchiettando di tanto in tanto con il polpastrello al fine di non far bloccare lo schermo.
«E io che credevo di averti capito» mormoro sorridendo a metà, amaramente.
Ripensando a quella sera al Teatro Verdi, ripensando a quanto mi sia sentita stupida, a quanto avrei voluto ardentemente fuggire da lì, lasciandolo solo nel palchetto e magari avergli resettato la memoria, facendogli dimenticare ogni parola da me detta, ogni gesto da me fatto. Sarebbe stato meglio per tutti, almeno mi sarei risparmiata la vergogna del guardarlo in faccia a scuola.
Come sempre, mi sono data la zappa sui piedi da sola, rimanendoci fregata.
Forse la modalità "regina di ghiaccio" non è poi così male, dopotutto. Forse è bene che ricominci ad assumere quelle fattezze; grazie a loro mi sono preservata un sacco di volte e non è stato un male. Ho schivato un sacco di "fossi" ascoltando la mente e la ragione, anziché quell'organo la quale unica utilità è quella del pompare sangue costantemente.
Dov'è che ho sbagliato adesso? Che cosa c'è stato di diverso questa volta?
«Chi credevi di aver capito?» arriva una voce alla mia destra, dalla parte da dove proviene il rumore assordante della musica, distraendomi per un attimo dai miei pensieri.
Alzo subito gli occhi per vedere chi diamine abbia abbandonato la festa a cui parecchi ragazzi per farne parte avrebbero fatto carte false, bloccando il cellulare, oscurando il profilo Facebook del mio professore.
Alberto è in piedi a pochi metri da me, un piccolo sorriso fa capolino dalle sue labbra e i capelli sembrano più disordinati di poco fa. Tiene le mani ficcate sulle tasche dei pantaloni, di una stoffa che pare soffice solo a guardarla.
Alla fine il mio tentativo di nascondermi si è rivelato un vero fiasco.
Io e Alberto rimaniamo a fissarci per qualche attimo che sembra infinito; io che lotto contro la mia fronte corrugata e il mio cipiglio alla Cersei Lannister, lui che inarca un sopracciglio senza cercare di mascherare una strana quanto sfrontata felicità.
«È da maleducati origliare. I tuoi genitori non te l'hanno insegnato?» replico scegliendo di fare la prima mossa, mantenendo un tono pacato alla Yoda e stringendo di più la ciotola dei pistacchi con fare possessivo.
Non mi alzo, rimango seduta a gambe incrociate esattamente come quando mi ci sono posizionata fin dall'inizio.
«Potrei scriverti un saggio perfettamente dettagliato su cosa significhi "maleducazione", potrei tradurtelo alla fine sia in greco che in latino, potrei trovarti molteplici sinonimi e molteplici contrari, potrei risalire addirittura alle origini del termine, potrei...» spiega con aria saccente Alberto osando un passo in avanti.
«Ho afferrato!» lo interrompo di proposito, guardandolo di traverso, «Però, a quanto pare, non hai il dono della sintesi» convengo scettica ed esibendo un sorriso amorevole.
Alberto mostra un ghigno divertito appena sente le mie parole, non sembra per niente irritato dall'osservazione poco carina che gli ho appena fatto.
«So bene cosa voglia dire "maleducazione" e non è assolutamente il mio caso. Mi stavo semplicemente avvicinando e ti ho sentita parlare, non ho ascoltato di proposito. Mi spiace darti questa delusione» sottolinea insieme a un altro passo ancora, accorciando la distanza che ci separa.
«Allora è sicuramente il caso dell'altra volta, al Caffé delle Giubbe Rosse, quando ti sei a tutti costi voluto unire a me... e unire è un eufemismo» borbotto sarcastica senza dargliela vinta, mettendo mano alla sua memoria, «comunque non darti pena, darmi delusioni o quant'altro non dipende da te».
«Uhm, qui qualcuno è nervosetto. Che c'è? La festa del mio compare non è di tuo gradimento?» mi scimmiotta Alberto finendomi accanto, rimanendo sempre in piedi, osservandomi dall'alto.
«Non è la mia serata tipo, esattamente» ammetto senza girarci intorno, rimanendo su quel tono ironico che mi permette di schivare domande scomode e affrontare con successo qualsiasi affermazione.
«Allora dovevi rimanertene a casa» asserisce l'altro con fare provocatorio, «se questo non lo reputi un ambiente adatto a te non occorreva che ti scomodassi a venire».
«Ho voluto dare ad Aspromonte il beneficio del dubbio» faccio semplicemente spallucce senza raccogliere la provocazione, distogliendo gli occhi dalla sua espressione fin troppo sicura di sé, «ora sono un Rappresentante del Caravaggio, devo soppesare al meglio le mie decisioni. E venire qua, stasera, insieme a tutti gli altri del mio indirizzo so che è stata una scelta più che saggia e giusta».
Preferisco omettere il fatto che l'idea di venire a casa di Leonardo sia stata perlopiù di Matilde, preferisco non elargire troppi dettagli, non ho alcun dovere verso di lui. Poi alcune informazioni non spetta a me darle.
«Wow, come siamo politicamente corretti stasera» dichiara Alberto con voce beffarda.
«Da sempre io sono politicamente corretta, esattamente come i miei amici, a differenza di qualcuno!» esclamo scattando il capo verso la sua figura, le iridi fiammeggianti.
Gli occhi di Alberto si spostano velocemente dalla mia faccia fino all'altezza della ciotola di vetro che tengo stretta fra le mani, inarca un sopracciglio mentre rimane a studiarla per numerosi istanti.
«Rubare dei pistacchi e rintanarsi in un luogo isolato, lontano dagli altri, non fa troppo politicamente corretto, sai?» fa una domanda che non necessariamente richiede una risposta seria.
«Perché vomitare in un cespuglio di rose pregiate allora lo è?» ribatto un po' offesa, riferendomi a quei due ragazzi ubriachi di poco fa.
«Non divagare, stiamo parlando di te» precisa Alberto ridacchiando della piega della nostra conversazione. E tanto per comodità, si appoggia al tronco dell'albero con la spalla.
«Non mi va di parlare di me» sbuffo seccata.
«Di cosa ti va di parlare, dunque? Vogliamo paragonare i voti che prendiamo a scuola?» ritenta dopo averci pensato su.
«Ricordati sempre che non è un voto a decidere la persona che sei. Comunque andrà saremo sempre dei falliti» boccio seduta stante l'idea per un nuovo argomento.
«Vuoi parlare, che so, di te però in ambito caratteriale?» tenta nuovamente Alberto.
«Di me da sapere c'è solo una cosa. Sono una persona assai delicata, mi si rompe subito il cazzo, davvero, basta un nonnulla» tronco sul nascere anche questo argomento, sorridendo angelicamente e sbattendo di proposito le palpebre.
Quasi che provo un immenso piacere a farglielo apposta, tuttavia Alberto sembra spassarsela quanto me delle mie risposte.
«E allora vuoi parlare del mondo? Un argomento piuttosto vasto».
«Il mondo mi fa talmente schifo che neanche getto benzina sui commenti di politica su Facebook, non c'è più gusto» taglio corto fingendo di sbadigliare, «ti propongo io qualcosa, che ne dici di non parlare affatto?».
«Preferisci rimanere in silenzio?» mi domanda poco convinto.
«Sì, labbra cucite» annuisco.
«Molto bene, faremo come dici tu, rimarremo in silenzio» accetta Alberto abbassandosi a sedere incrociando le gambe, tenendo la schiena incollata alla corteccia proprio come faccio io.
Ora mi sorge solamente una domanda: perché questo qua si è seduto proprio nello stesso punto esatto dove mi sono seduta io? La villa di Leonardo, da come ho avuto modo di constatare, è piuttosto ampia, sia nell'interno che nell'esterno. Con tutto lo spazio che c'è perché mai Alberto Del Bianco deve starsene qui? Questo giardino è esteso per non so quanti ettari, che si scegliesse un angolino tutto per sé lontano da me! Io voglio stare in solitudine, è chiedere troppo?
«Non avrai origliato, però mi hai bellamente seguita» dico irritata dalla sua presenza a pochi centimetri da me.
«Non volevi rimanere in silenzio?» mi ricorda assumendo una certa espressione severa.
O mio Dio, ma fa sul serio?
«Non sai quante cose vorrei, mio caro Alberto» ringhio a denti stretti, sgusciando nervosamente un pistacchio.
"Vorrei tagliarti in due con una spada laser, ad esempio!", mi spunta un pensierino niente male dentro la testa.
«Intanto comincia dalla più semplice, serra la bocca e sarai già accontentata. Non male come inizio» mi punzecchia di proposito, portandosi le mani dietro la nuca, sistemandosi in una posizione che pare se ne stia alle Hawaii.
Socchiudo le palpebre ripetendomi mentalmente che non devo dare di matto, che devo mantenere un certo contegno e che non farei bella figura se mi mettessi a urlare come un'aquila, per di più sbattendo i talloni sul terreno. Sicché rimetto mano alla scatolina dei drum e ne estraggo un altro visto che il precedente è andato a puttane grazie all'arrivo di Alberto. Appena me l'accendo, ecco che l'attenzione di quest'ultimo si riversa improvvisamente sulla sottoscritta, neanche l'avessi chiamato con il fischietto. È chiaro che rimanga imbambolata a fissarlo con tanto di accendino acceso e occhi sbarrati, timorosa di sentire la tanto scontata richiesta.
«Me ne dai uno?», infatti è ciò che mi chiede, con naturalezza per giunta.
Aspiro dal drum, gettando poi all'infuori il fumo prima di rispondergli. «Perché dovrei?».
«Semplice e puro atto di cortesia» proferisce facendo spallucce, riportando entrambe le braccia sopra le ginocchia.
«Avrebbe senso se solo il diretto interessato non fossi tu» dico senza alcuna traccia di emozione, alzando il mento e prendendo un altro tiro, «perché mi hai seguito, Alberto?».
«Sei proprio curiosa, Signora dei Sith» ridacchia Alberto con un non so che di voluttuoso mentre si passa la mano fra i capelli scuri, «se ti accontento poi mi farai l'onore di darmi un drum?».
«Forse. Tu dimmelo mentre io intanto ci penso» pronuncio quasi annoiata, rigirandomi fra le dita la scatolina metallica con la scritta Jack Daniel's proprio davanti ai suoi occhi.
«La verità è che ti stavo cercando, stavo aspettando che arrivassi» racconta Alberto dopo aver fatto un lungo sospiro, catturando tutta la mia attenzione con delle poche e modeste parole. «Non avevo pace» aggiunge infine spostando le iridi dalla scatolina fino all'altezza delle mie.
Che significa che mi stava cercando? Rimango un pelino interdetta dalla sua delucidazione anche se alquanto sintetica.
Mi correggo, ce l'ha eccome il dono della sintesi.
Sicuramente sono io che sto fraintendendo il senso della sua frase, poiché mi rimane difficile accettare un'eventuale e ovvia interpretazione. Un'interpretazione che va a fare a calci e pugni con qualsiasi logica, con qualsiasi sistematicità. Devo aver frainteso, non v'è altra spiegazione.
«Ti servivo io per riversare tutta la tua frustrazione anti-Artistico?» al che borbotto impaziente, senza provare vergogna nello sbuffare senza ritegno.
«Volevo vederti e basta» confessa Alberto facendomi raggelare sul posto, mi blocco persino con il drum incastrato fra l'indice e il medio a mezz'aria.
«E perché mai?» deglutisco e parlando con coraggio. A quanto pare ho voglia di andare a fondo su questo argomento.
Alla fine Alberto ha introdotto un "buon" pretesto per parlare e non stare in silenzio tombale. Ma non mi sento di farglielo notare dal momento che non voglio appunto cambiare discorso bensì vorrei approfondirlo. Non che abbia chissà quale timore di sentirmi dire chissà cosa... ho voglia di togliermi unicamente la curiosità.
E, ad ogni modo, la curiosità è una delle caratteristiche più certe e sicure di un intelletto attivo, così diceva Samuel Johnson. Non so quanto sia attinente questo detto adesso, però mi fa piacere potermici aggrappare almeno per avere uno straccio di giustificazione.
«Davvero te lo devo spiegare? Eppure sei una delle ragazze più sveglie e perspicaci che conosca» mi arriva la risposta di Alberto con tanto di mezzo sorriso che fa intendere davvero – ma davvero! – un sacco di cose.
Volgo i miei occhi da un'altra parte, necessitando repentinamente di distogliere l'attenzione via da lui, via dal suo sguardo blu, più scuro di quello di Emilio, via dalle sue sopracciglia scure e folte, via dalla sua bocca carnosa e dal taglio allungato, via dal suo sguardo troppo penetrante perché io riesca a sostenerlo.
Il mio respiro si fa accelerato a dispetto della mia convinzione precedente, ossia che non mi avrebbe fatto né caldo, né freddo la sua spiegazione, qualsiasi essa sia stata.
«Non... non ha alcun senso» sussurro a mezza voce, guardandomi intorno disorientata senza poterci far nulla.
Tutto ciò che vedo sono le mura della villa di Leonardo impeccabilmente illuminate e il verdeggiare del suo rigoglioso giardino. Tutto ciò che sento è la musica che mi arriva ovattata alle orecchie.
«Perché mai non dovrebbe avercene?» chiede Alberto tranquillo, senza batter ciglio. Come se per lui la cosa fosse la più normale di tutte.
«Perché in questi cinque anni non abbiamo fatto altro che odiarci e stilettarci alle spalle, ecco perché» faccio presente quasi con tono stridulo tanto non riesco a calibrarlo, «non ha senso che tu te ne esca fuori con questa... cosa» taglio corto non sapendo come concludere la frase, e infatti opto per "cosa" non sapendo come altro descriverla, in tutta sincerità.
«Ne ha del senso, per l'appunto come ce l'hanno anche Leonardo e Matilde... pensi che non sappia cosa stia accadendo fra quei due?» insiste lasciandomi di stucco.
«Sono affari loro, non miei, non tuoi» ribatto decisa, «e comunque, tu mi hai sempre guardato di traverso, non mi hai mai sopportata, quanto meno tollerata. Sono sicura persino che tu mi abbia disprezzata. Per cui mi viene naturale pensare che ci sia della solida incoerenza con questo che stai dicendo. Alberto, ma davvero non te ne rendi conto?».
«Mi rendo conto solo di quello che sento, Signora dei Sith, e potrà essere come confermi tu, illogico, insensato, incoerente, ciononostante continuo a provarlo. Una sensazione non si ferma davanti a queste bazzecole di ostacoli» proferisce Alberto sicuro di sé.
Scatto in piedi in automatico, non riesco a resistere oltre standomene seduta. Sposto la ciotola dei pistacchi accanto a me, poggiandola sull'erba, e mi protendo all'insù, lisciandomi la gonna. Mi afferro entrambe le guance con i palmi sudati delle mani e scoppio a ridere di gusto. Un risata maniacale, da perfetto Darth Sidious. I ciuffi dei capelli mi solleticano il naso e le labbra, cascandomi in avanti.
Ma fin dove cazzo osa spingersi questa dannata Legge di Murphy? Non ho il cuore adatto per reggere queste situazioni.
«E quando te ne saresti accorto, di grazia? Per tutto l'Ordine dei Jedi, sento di star per impazzire» faccio ad Alberto senza togliermi le mani dal volto, il drum che si consuma con il vento che sta soffiando.
A quel punto Alberto mi imita, si mette anch'egli in piedi superando di buon grado il mio metro e sessantotto, e prende a studiarmi con intensità. Nei suoi occhi c'è il ritratto spiccicato di quello che mi ha appena detto, nessuna bugia, nessuna menzogna. Non mi sta prendendo per il culo, nonostante per un attimo io lo abbia quasi pensato.
Insomma, Alberto Del Bianco del Classico non esiste nemmeno nella quinta dimensione che si prenda una cotta per me!
No, no, no, è impossibile. Non sta succedendo davvero.
Magari ho bevuto senza ricordare della mia promessa di non farlo e adesso sono ubriaca come un pirata dentro una locanda. Magari mi sto sognando tutto quanto e non c'è niente di veritiero.
Ma purtroppo il mio equilibrio ineccepibile e lo sguardo così intenso di Alberto mi fa assolutamente pensare al contrario, mi fa desistere da quell'opzione così comoda e più vantaggiosa per me stessa.
«Ricordi il giorno in cui Falco ha fatto quella rappresentazione politica prima delle elezioni? Fuori nel cortile del Caravaggio con tanto di megafono, canzone di Caparezza e discorso alla Che Guevara?» mi fa ragionare Alberto con tono tranquillo, per niente agitato, non come me.
Ovvio che lo ricordo, è stato quel mattino che Leonardo ha afferrato Matilde per il colletto della maglia e Diego stava quasi per rendergli un occhio nero. Quando è intervenuto Lunanuova in perfetto stile da eroe senza macchia e senza paura. Come dimenticarsi...
«Sì, certo» riconosco inumidendomi le labbra con lingua.
«È stato quando sei intervenuta dopo che io stesso avevo accollato al vostro indirizzo la colpa di tutto. Dopo che hai saputo rispondere per le rime non soltanto a me, ma anche al tuo professore» racconta il ragazzo immergendosi nella rimembranza di quella bizzarra e movimentata mattinata, «non so, ho sentito un qualcosa muoversi dentro di me e da lì non c'è stato più niente da fare. Da quando ti vedevo ogni mattina a scuola fino all'incontrarti al Maverick, questa sensazione non ha fatto altro che aumentare. Pensi che ancora sia un qualcosa di illogico e privo di senso?».
Non so cosa dirgli. Non ho idea di quale frase intelligente sia più consona da proferire. È un qualcosa di piuttosto grave visto che io ho sempre la battuta pronta, satirica, triste o gioiosa che sia.
Alberto mi ha letteralmente presa contro piede.
Fino a qualche ora fa, prima che venissimo a questa festa, non avrei mai e poi immaginato che questa serata avrebbe preso una svolta simile. Certo, ho ipotizzato che qualcuno di noi avrebbe potuto fare qualche stronzata, nella normalità dopotutto. Succede quando ti ubriachi o ti fai di qualche sostanza. Ma non ho minimamente presupposto questa dichiarazione in piena regola! Non l'ho messa in considerazione con il pacchetto!
Accidenti di nuovo alla Legge di Murphy!
Ora, comunque, si spiega il suo comportamento "strano" nei miei confronti in questo ultimo periodo. C'entra ben poco il legame di Matilde e Leonardo in questo caso.
«Io» comincio a dire tentando di non balbettare anche se invano, «io... io... non so che cosa dire. Che cosa dovrei dirti, Alberto?».
«Be', intanto potresti complimentarti per il coraggio» azzarda lui utilizzando una nota scherzosa, sdrammatizzando e vedendomi visibilmente in difficoltà.
«Complimenti per il coraggio, te lo concedo» accetto il consiglio provando a riacquistare un pizzico di contegno, «ma, onestamente, non so cos'altro aggiungere».
«Sarebbe carino e gentile dirmi cosa ne pensi al riguardo, magari» mi offre un altro consiglio, rimettendosi le mani in tasca.
Mi scosto i capelli dal viso, onde ad avere una visuale migliore e non ostruita dalle ciocche argentate.
Stranamente per me, non avverto l'impulso irrefrenabile di comportarmi da stronza – mettendomi in modalità "regina di ghiaccio" appunto – e nemmeno mi sento di ferirlo in qualche modo.
Però, però, però, però... però io nella testa ho un altro, che nemmeno ricambia, tuttavia non diversifica la situazione, Emilio è fissato lì e non andrà via così facilmente.
Certo, una soluzione come quella del "chiodo scaccia chiodo" non è mai stata un qualcosa che ho disdegnato, ma ad oggi posso confermare che sicuramente una delle due parti finirà distrutta mentre l'altra finirà per essere più scontenta di prima poiché comunque non ha ciò che realmente vorrebbe. Tra capo e collo ci ritroveremmo con una circostanza spiacevole, di disagio e alla lunga ingestibile. È sicuramente una soluzione, ma non quella più adatta.
«Alberto, mi spiace, ma al momento non posso darti quello che cerchi. Ho già qualcuno che ha occupato mente e cuore» infine mi ritrovo a dire con voce quasi meccanica e quasi inesorabile. Il suono preciso della spiacevole verità.
Alberto non batte palpebra, non muove un muscolo, non da segni di disperazione o di squilibrio momentaneo. No. Rimane impassibile, pacato, distaccato. Una statua.
«In realtà potresti, mi devi un drum» apre bocca dopo qualche secondo speso a rimanere in silenzio. Mi abbozza persino un sorriso sghembo, come se non avessi pronunciato l'ultima parte della nostra conversazione.
Oh. È vero. In conclusione lui mi ha detto quello che io ho insistito a farmi raccontare. Per cui gli devo un drum.
Estraggo la scatolina dalla tasca della gonna, la apro e la inclino verso di lui. Alberto ne sfila uno e se lo porta alle labbra facendomi il cenno di un accendino invisibile. Automaticamente allungo la mano con stretto l'accendino e gli accendo la cicca, dando fede al nostro scambio.
Uno scambio non troppo equo.
Matilde.
«Un Dorian perfetto?» mormora Leonardo contro le mie labbra, il respiro caldo che s'infrange contro quest'ultime in maniera così delicata e sensuale che mi provoca un brivido di freddo lungo tutti gli arti.
«Uhm, sì... giovane, bello come un angelo, in apparenza innocente ma che non ci penseresti due volte a vendere l'anima al diavolo. Abbagli chi ti sta intorno, talvolta compi azioni scorrette, per non parlare dei morbidi ciuffi biondi, hai un qualcosa di affascinante difficile da comprendere. A volte sei privo di moralità, vivi una vita carica di lussi, donne e droghe» convengo io portando le mani dietro la sua nuca, acciuffando i suoi capelli.
Uhm, esattamente come ho detto, morbidi ciuffi biondi.
«Quindi tu dovresti essere la mia Sibyl» afferma inclinando il capo verso destra mentre gli rilascio una scia di baci per tutta la lunghezza del suo naso, evitando gli occhiali, raggiungendo l'apice del mento.
«Non credo proprio, non mi vado a suicidare per te» scuoto con decisione la testa, «è soltanto una metafora la mia. Rimani comunque Leonardo, l'Apollo faccia da cazzo del Classico» lo provoco sorridendo angelicamente.
«Acuta osservazione, e tu rimani l'Atena rompipalle dell'Artistico» resta al gioco lui, scansando di proposito il volto, allontanando la bocca da me.
«Abbiamo una bella considerazione l'uno dell'altra, non c'è che dire» sogghigno riavvicinandomi ciò di cui ha voluto privarmi solamente per farmi dispetto e per palese provocazione.
Appoggio nuovamente le mie labbra sulle sue, chiudendo gli occhi e abbandonandomi in quel qualcosa che fino a poco tempo fa giudicavo proibito, sbagliato, imperfetto. Contro ogni aspettativa si è rivelato dolce come il miele, lecito, straordinario e immensamente perfetto.
Io mi permetto di definirlo perfetto. La nostra è un'unione quasi che si avvicina al divino. Un legame che neanche si avvicina a ciò che ho condiviso con Gabriele, un legame così sublime che mi fa persino "male".
Non vi sono farfalle dentro il mio stomaco bensì falene delle dimensioni più grandi, il mio cuore non batte per una, ma per due persone, la testa non è pesante come la prima volta che io e lui ci siamo baciati, è leggera ed evanescente come la nebbia che abbraccia un bosco durante un'alba invernale.
Leonardo solletica il mio labbro inferiore con la sua lingua, andandola per finire a farla combaciare con la mia. Si avvolgono all'infinito e al contempo vengo inebriata dal suo profumo pungente e flautato. Una poesia per l'olfatto.
«Perché non sai tutto di me, altrimenti spenderesti soltanto complimenti e apprezzamenti vari» sento ridacchiare Leonardo, prendendo una rapida pausa dalla nostra effusione.
«Cos'è che dovrei sapere? Almeno te lo guadagneresti un apprezzamento da parte mia» chiedo curiosa.
«In realtà mi staresti già apprezzando come si deve» sottolinea con una carica immensa di malizia, e l'unica cosa che va a guadagnarsi da parte mia, per ora, è un bel morso accanto l'angolo della bocca, ben piazzato per giunta.
«Cos'è che dovrei sapere?» domando una seconda volta, in questo caso con più determinazione.
Leonardo non si fa intimorire dalla mia intimidazione mordente e senza esitare prende a lambire di baci la mia gola, succhiando appena in ogni singolo punto, facendo attenzione a non lasciarmi segni troppo evidenti. Con le mani si sposta verso i fianchi, aderendo perfettamente i palmi in un gesto di splendido dominio.
«Di me c'è da sapere che ho praticato scherma durante il periodo delle elementari ed ero piuttosto bravo, facevo il culo a qualsiasi sfidante», e mi lascia un bacio sulla clavicola scoperta grazie alla maglietta con uno scollo ben tangibile, «oggi giorno, come ben hai visto, mi dedico totalmente all'equitazione, per la precisione al salto a ostacoli e al polo, e sono un vero e proprio asso. Uno dei migliori del mio centro. Adoro i miei cavalli, li considero parte della famiglia», e mi lascia un bacio sulla giugulare, «sono appassionato di letteratura classica e potrei morire dietro la bellezza dei musei. Catullo per me è un idolo da venerare, Seneca una figura cui rendere onore, Epicuro un qualcuno da adorare. Vado matto per la poesia ellenistica e Callimaco, le sue opere sono così argute ed eleganti, vivaci e concise. Se mi lasci dentro un museo come il Louvre sarei capace di rimanerci giorni e giorni al suo interno», e mi lascia un bacio sulla spalla, scoprendola dalla stoffa della maglietta, «so mascherare impeccabilmente le mie emozioni, così mi ha insegnato mia madre, la donna che stimo e rispetto di più al mondo», e mi lascia un bacio accanto alle labbra, di proposito, «le mie materie preferite sono filosofia e storia, e vorrei andare all'università di lettere e filosofia anziché a quella di economia come vorrebbe mio padre».
Leonardo conclude la sua illustrazione generale posando un bacio casto direttamente sulle labbra, poi mi osserva con occhi provocanti dietro le lenti della sua montatura dorata, inarcando un sopracciglio.
«E tu? Cos'è che dovrei sapere di te?».
«Be', di me» comincio a dire mentre guardo verso il basso, verso le sue mani incastrate sui miei fianchi, «di me c'è da sapere che dalla quinta elementare ho praticato danza classica fino al primo liceo. Grazie a lei i miei movimenti sono sinuosi, se voglio, e potrei muovermi leggiadra come un felino. Ho sofferto di disturbi alimentari dovuti alla ferrea convinzione che dovessi a tutti i costi raggiungere la vetta della perfezione, la danza ha un po' contribuito, lo devo ammettere, tuttavia non gliene faccio una colpa. Adoro il grande cinema, fosse per me starei giorni interi dentro una videoteca o dentro la sala di un cinema a vedere un film dietro l'altro, soprattutto quelli cult degli anni novanta. A differenza tua, io non so mascherare per niente le mie emozioni, quando lo faccio vengono fuori nel peggiore dei modi, però so essere molto combattiva e non mi do mai per vinta, la malattia ti insegna a combattere con tutte le tue forze. L'arte rappresenta una delle mie più grandi passioni, dipingerei qualsiasi cosa se potessi, infatti vorrei andare all'Accademia delle Belle Arti una volta chiusa la pagina "Caravaggio". I miei genitori sono divorziati, tuttavia voglio un bene dell'anima a entrambi e non ho fratelli. Questa sono io».
Entrambi ci guardiamo dritti negli occhi senza batter ciglio, come se fossimo stregati da ciò che ci siamo appena raccontati. Poiché c'è dell'incredibile. Io non sapevo tutte queste cose di Leonardo e Leonardo non sapeva tutte queste cose su di me. E dal momento che io rappresento – come dire – il suo invaghimento dalla fine del terzo anno, è come se gli avessi aperto un mondo intero da esplorare.
Ci osserviamo sotto una luce diversa da quella di sempre, per un attimo non siamo più l'Apollo del Classico e l'Atena dell'Artistico.
Siamo Matilde e Leonardo, due ragazzi di diciotto anni pieni di passioni, di ricordi, di difetti, di valori, di imperfezioni varie, di voglia di sapere, di conoscere. Siamo due cuori che battono all'unisono, siamo due respiri che oscillano con lo stesso ritmo, siamo due menti che elaborano con precisione. Non siamo due miseri pezzi di carne squallidamente etichettati come un qualcosa a cui apparteniamo solamente perché ci appassiona una cosa più di un'altra; lui appassionato di greco, letteratura classica, filosofia, latino, io appassionata di arte, della sua storia, della sua pratica.
È bene che al Caravaggio qualche regola venga riscritta. Noi siamo studenti, tutti uguali, nessuna differenza, e la cosa che ci accomuna è la voglia di imparare e di sapere sempre di più, non importa in quale ambito, poiché nessun ambito è reputato sbagliato.
«Sei dannatamene più interessante di come ti ho immaginata» dichiara Leonardo con la sua eterocromia che sembra brillare di vita propria.
«Sono solo me stessa e io non indosso alcuna maschera» mormoro carezzandogli la guancia delicatamente, «non hai capito che essere te stesso ti renderà come un qualcosa di raro e unico? Oltre che una serenità infinita».
«Non posso permettermi di essere me stesso, nella mia famiglia sono cresciuto con questa convinzione. L'unico sano di mente è stato Michelangelo, lui ha sempre ragionato di testa propria» asserisce l'altro con una risata sarcastica.
«Puoi essere sano di mente anche tu» insisto afferrandogli entrambe le guance, «è la tua vita, le tue decisioni, il tuo futuro. Ognuno è artefice delle proprie azioni».
«A volte la vita sa essere molto dura» m'informa come se niente e nessuno può farci niente.
All'improvviso una voce provenire dall'altra stanza, dal salone dal quale sono venuta, interrompe il nostro attimo di intimità. Una voce strascicata e pienamente associabile a una persona brilla.
«Leooonaaaardo!» grida la voce femminile ovattata sia per via della musica sia per via della lontananza, e successivamente si sente una porta che si apre.
La figura di Costanza barcollante irrompe letteralmente in questo secondo e più piccolo salotto. La vaporosa chioma di capelli ricci è un totale disordine, persino qualche patatina al formaggio le è finita lì in mezzo, senza contare le ciocche che le si sono incollate contro la fronte per via del sudore. Una spallina della sottile e raffinata canottiera rosa pallido le si è strappata, penzolando all'aria. In compenso il bicchiere colmo di vino è sempre presente, stretto fra le sue dita.
«Oh» borbotta appena ci vede, e subito scoppia a ridere di gusto tenendosi addirittura lo stomaco con la mano libera, «vi ho trovati... e io che pensavo che ci stavate dando dentro, immaginate che figura di merda... comunque quell'idiota di Andrea Fioredoro era fuori come un balcone e si è aggrappato alla mia povera spallina prima di finire con il culo per terra. Penso si sia fatto persino male, ben gli sta! Accidenti a lui, ci tenevo a questa canottiera, è di Vivienne Westwood» piagnucola la ragazza afferrando con tristezza quel pezzo di stoffa squarciato.
«Costanza, che ci fai qui?» le domanda immediatamente Leonardo anche se con il dovuto tatto.
«Che ci faccio qui?» esclama Costanza rialzando il capo, «Be', sono venuta a vedere come Classico e Artistico firmano la Dichiarazione di Pace, addirittura siete passati alla pratica» ridacchia lei indicandoci con l'indice, «no, a parte i scherzi, facciamo i seri. Ehm, che ero venuta a fare? Dovevo informarti di qualcosa di importante, ma cosa? Ah, sì! Ci sono! Sono qui per informarti che quella pazza della tua ex è qui fuori, sembra davvero che le manchi qualche rotella» alla fine viene al nocciolo.
«Olivia è qui?» Leonardo quasi si mette a urlare tanto rimane sorpreso.
«È proprio lei, in carne e ossa, più in là che in qua» conferma Costanza annuendo come un soldato.
«Maledizione!» esclama il ragazzo scostandomi delicatamente via da sopra di lui per poi alzarsi, «Mi dispiace, ma devo andare a vedere cosa vuole prima che combini qualche casino» mi spiega cercando un cenno di comprensione da parte mia. Dopodiché schizza via, velocemente come Costanza l'ha avvisato.
«Questa festa fa schifo» commenta Costanza inarcando un sopracciglio e arricciando le labbra come a trattenere un conato di vomito.
Sento la vibrazione di un messaggio di WhatsApp in quell'esatto momento.
Apro il telefono e seduta stante scorgo che ho sei chiamate perse da parte di Laira avvenute ben venti minuti e poco più fa. Che cosa avrà mai voluto Laira? Di sabato sera per di più!
Il messaggio è da parte sua, dunque apro la sua chat e corro a leggere l'ultimo paragrafo che mi ha inviato.
Laira, 23:17
-È da quasi mezz'ora che cerco di telefonarti ma sembri finita su Marte! Comunque spero che leggerai questo messaggio, Olivia sta per venire alla festa di Leonardo! Ripeto, Olivia sta per venire alla festa di Leonardo e non è nemmeno in sé.
Rimango alquanto perplessa dopo aver letto quelle righe.
Laira sapeva che Olivia sarebbe venuta fin qui? Va bene che lei sia il mio uccelletto personale, pronta a raccontarmi vita, morte e miracoli del Caravaggio, insieme a intrighi vari, ma così è troppo.
Come faceva Laira a sapere questa cosa? Effettivamente sono numerose le cose che Laira sa e mi racconta, ma in tutta onestà io non so come diavolo faccia a venirne a conoscenza. È sempre stato un mistero. Ma adesso occorre che ci faccia luce, perché qui la cosa mi puzza un po'. E parecchio.
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