28. Contro ogni logica
Marta.
Il povero commesso costretto a lavorare di venerdì sera oltre l'orario della cena è chinato con la schiena coperta dal tipico grembiule verde, – impiegato a vestire coloro che operano dentro i supermercati alimentari – verso il disastro che ha appena combinato Matilde.
Il semplice allargare lievemente la presa dal collo di una bottiglia colma di liquido alcolico ha provocato un casino degno del collasso di una diga. Quindi il pavimento del reparto bevande alcoliche e vini è ricoperto gran parte da schegge di vetro e rum aromatizzato al cocco, un odore pungente colpisce il mio setto nasale arricciato.
E quindi il povero commesso, un ragazzo piuttosto giovane, è intento ad asciugare con tanto di straccio, spazzolone e secchio, facendo ben attenzione a non pestare i resti taglienti con la suola delle scarpe.
Dopo essermi ovviamente scusata con lui appellandomi a ogni sorta di pentimento possibile, ho spiegato – mentendo spudoratamente – che soffro purtroppo di tremori a causa del Parkinson e che è stato uno spiacevole incidente, mi sono persino offerta di ripagare il danno. Inutile dire che il commesso ha rifiutato animatamente, rassicurandomi di non preoccuparmi.
Per solidarietà, mentre lui è alle prese con le pulizie, gli rimango accanto chiedendogli di tanto in tanto se necessita di una mano.
Nel mentre prendo a spulciare la home di Facebook piegando il ginocchio in un movimento anti-noia. Mi mordo l'interno della guancia osservando con zero interesse quella massa di post, di frasi e di immagini. Visi, panorami, canzoni mi scorrono davanti con noncuranza, senza destare in me una sorta di scintilla.
Ebbene, Matilde è fuggita alla velocità della luce perché doveva fare una cosa, per forza maggiore addirittura, questione di vita o di morte, lasciandomi qua come insetto stecco congelato dalla neve.
Chissà come mai è sempre questione di morte più che di vita quando c'è di mezzo quell'Apollo dannato. Ancora me lo sto chiedendo a distanza di non so quanti anni.
Improvvisamente – facendomi volatilizzare il pensiero di Matilde che perderà nuovamente le staffe con quel ragazzo –, scorgo una foto che risveglia la mia attenzione, una foto della pagina Teatro Don Chisciotte per l'esattezza.
È stata pubblicata qualche minuto fa e c'è raffigurato il mio professore di storia dell'arte di nuovo nelle vesti del Cavaliere di Ripafratta; la didascalia recita una serie di educati e vittoriosi ringraziamenti a coloro che hanno presenziato, citando il successo che lo spettacolo "La Locandiera" ha riscosso anche in cotale serata.
Lunanuova è così sorridente nella fotografia che quasi sembra una lampante presa per il culo, quasi che egli se ne sia bellamente dimenticato, per non dire infischiato, della sorte della gita. Del suo menefreghismo spiccio e della sua negligenza sbrigativa.
Scendendo ad accordi con uno studente del Classico, evitando volutamente di chiamare in causa un alunno delle sue classi, o ancor meglio un Rappresentante! Macché, ovvio che no!
Inizio a gonfiare il petto dalla rabbia, smettendo di respirare con ritmo, e stavolta davvero mi cominciano a tremare le mani – e non per via del Parkinson, poco ma sicuro!
Dunque, senza degnare d'uno straccio di parola il gentile commesso che ha quasi portato a termine la sua opera di pulizia, prendo una decisione. Brandisco il mio senso di giustizia personale, non sempre appropriata e decisamente non sempre imparziale, assieme a un ghigno di strafottenza rivolto, per ora, al niente.
Agguanto a caso una bottiglia di vino rosso per poi recarmi di buona lena alla corsia ove è situato lo scaffale delle uova. Lì invece presto la dovuta cura alla scelta del cartone più inerente alla situazione, scelgo saggiamente le uova biologiche poiché prediligo di gran lunga gli allevamenti piccoli e all'aria aperta, portando comunque del rispetto a quei poveri animali.
Infine vado alla cassa per pagare la mediocre spesa, poggiando quest'ultimo sul rullo scuro scorrevole. Mentalmente mi strofino i palmi delle mani come il villain di qualche film e sogghigno con singhiozzi malefici, tutt'altro che da personaggio buono. Infatti non ho mai detto di essere il "bene", in questa storia.
Dal momento che voglio vendicarmi in qualche maniera del torto subìto rappresento sicuramente la "cattiva", ma andiamo! Sono soltanto uova, uova che fracasserò sull'auto di Emilio oppure direttamente sulla sua testa corvina, cosa vuoi che sia? È una vendetta anche sin troppo... benigna.
Oh sì, percepisco così tanto salire l'irritazione dalle viscere che persino mi scordo di prendere il resto della banconota di venti euro che ho rifilato alla cassiera.
Sostanzialmente me ne frego di proposito, sono così intenzionata a raggiungere a tutti i costi quel maledetto teatro, così intenzionata ad affrontare il caro professore. Tanto ho ben inteso che il devo fare una cosa di Matilde andrà per lunghe, ho ben inteso che sprecherà tutto il venerdì sera, o meglio quello che ne resta, a scannarsi con Leonardo. Scannarsi... e non solo, oserei mettere la mano sul fuoco, potrei scommetterci lo stipendio da ferroviere di mio padre!
Ma sono infinitissimi cazzi suoi, poco mi importa se si sono pugnalati a sangue durante gli anni sotto quel maledetto tetto scolastico, poco mi frega se si sono sabotati a vicenda, poco mi pesa se domattina riprenderanno a strapparsi l'uno i capelli dell'altra!
Tanto Matilde è testarda, quasi al mio stesso pari, per cui non sarebbe servito a nulla fermarla dal fare la cazzata con un buon e saggio consiglio, sarebbe stato inconcludente. Ad esempio, se qualcuno tentasse di frenarmi da quello che sto per compiere e di calarsi nei panni di "Gesù nel tempio" – o per meglio paragone calarsi nei panni di Yoda –, avrei alzato il dito medio e avrei cominciato a cantare insieme a Caparezza "Il dito medio di Galileo".
Scelgo, in conclusione, di rispettare la mia amica e di non interferire. Se mai Leonardo le arrecherà danno alla psiche allora il prossimo obiettivo, dopo Lunanuova, sarà senz'altro lui.
Nessuna pietà e nessun timore di infrangere una legge o due. Però niente uova, e no! Mi farò prestare la mazza chiodata da baseball di Negan, in quel frangente. Mi sfogherò su di lui con la stessa furia di Yuno Gasai, calandomi nel tipico comportamento schizzato e folle da yandere, nonostante il mio spiccato senso di appartenenza a quello tsundere.
Agguanto la spesa con entrambe le mani, appena dopo essermi legata i capelli in una coda alta alla carlona tanto mi sento accaldata.
Fuoriesco dal supermercato a passo spedito ringraziando il fatto che esistano negozi aperti sino alle undici della sera, mutando la mia faccia in un'espressione avvelenata. «Adesso vedrà che cosa gli spetta a quel voltagiubbe! Ci faccio una frittata con lui! Lui e il suo teatro del cazzo, lo faccio svergognare davanti al pubblico, lo faccio svergognare! Gli faccio vede che cosa vuol dire far incazzare una dell'Artistico» borbotto senza neppure badare a Matilde e Leonardo dannatamente vicini.
Volentieri mostrerei loro il dito medio di Galileo eppur mi trattengo e mi focalizzo sulla mia missione: dare una lezione coi fiocchi a Lunanuova.
E tanti saluti alla serata a casa di Diego... il vino comprato mi servirà solo per berci sopra una volta a lavoro completato.
Giungo al Teatro Don Chisciotte a velocità record, entrando con maestria e aria furtiva nel dietro le quinte scarsamente controllato, assicurandomi di assumere l'aria più calma e serena del repertorio e privandomi del giacchetto visto che c'è un caldo tremendo qua dentro.
Mi sono naturalmente premunita di infilare il cartone di uova in una bustina trovata lì per lì dentro la mia macchina, tanto per dare poco nell'occhio e per passare inosservata. Nonostante il basso livello di sicurezza di tale posto, c'è un gran via vai nei camerini debolmente illuminati; tutti che si cambiano e si rilassano dopo la conclusione dello spettacolo.
Parole di gioia, frasi allegre e complimenti riecheggiano per tutta la sala ristretta, per non parlare dei sorrisi che illuminano i volti di queste persone, di questi attori e degli addetti a tutto il resto dell'opera. Sembrano quasi una famiglia allargata, persino fanno venire la voglia anche a me di sorridere insieme a loro.
Mentre avanzo con non troppa irruenza, osservando l'ambiente caloroso che mi circonda, vengo volutamente fermata da qualcuno. O meglio, dal coordinatore che ho incontrato la scorsa volta che sono venuta qua.
«Maria Antonietta! Che piacere rivederti, sei qui per un'altra emergenza?» mi saluta egli ben contento di vedermi.
Alla velocità della luce imposto come mia identità Maria Antonietta Lunanuova, cugina diretta di Emilio. Pertanto faccio buon viso a cattivo gioco. Anche se non nascondo che un piccolo sentore d'irritazione dovuto all'interruzione della mia marcia lo avverto eccome sulla superficie della mia pelle.
«Sì, ciao, ehm... il piacere è mio...» bofonchio guardandomi intorno al fine di vedere un viso familiare e ignorando il nome dell'uomo che ho davanti.
«Silvio» mi toglie il dubbio egli afferrando al volo.
«Silvio» ripeto abbozzando un sorriso non troppo convinto.
«Un altro mal di testa ha colpito il nostro Cavaliere?» chiede Silvio curioso ma senza sospettare di ciò che ho intenzione di fare.
«No!» esclamo senza volerlo e con elevata enfasi, rammaricandomi subito dopo, infatti mi schiarisco la voce e mi sforzo di ricompormi, «Voglio dire, no, la sua salute è impeccabile» mi correggo pensando contemporaneamente "ancora per poco". «Mi ha dato una commissione e io sono qui per portarla a termine» concludo sventolando la busta contenente la mia arma segreta.
«Gli hai portato delle uova?» domanda scettico Silvio dopo aver aguzzato lo sguardo per vedere meglio attraverso la sottile plastica.
«Già, uova. Valli a capire gli artisti» recito ridendo di quanto realmente capisca gli artisti, essendo io stessa una di loro, «posso andare ora? È in camerino, vero?».
Faccio il verso di sorpassare la figura di Silvio, squadrando la solita penna che tiene sopra l'orecchio, ma lui mi precede.
«È in camerino. Te lo chiamo subito» dice disponibile, «almeno fa un po' di strada anche lui. Gli dico che lo sta cercando sua cugina Maria Antonietta» ridacchia l'uomo convinto di farmi un favore invece che un immenso e serio danno.
«No!» urlo nuovamente senza rendermene conto, allargando gli occhi come un felino, «non preoccuparti, faccio da sola».
Lunanuova non deve minimamente sapere della mia invenzione della cugina! Oh dio, sarebbe la fine del mondo. Sarò costretta ad emigrare su Marte per la vergogna.
«Insisto. Tu mettiti comoda, Antoinette» continua Silvio storpiando il nome alla francese.
Dopodiché il portatore di catastrofi parte in quarta e mi lascia impalata e con un'espressione da perfetta idiota.
Cazzo! Il piano è andato a farsi fottere! Ora Lunanuova saprà tutto, chissà con quale coraggio ora assisterò alle sue lezioni, con quale faccia potrò affrontare una sua interrogazione, non oso pensare ai colloqui con i genitori... «Signora Minareti, sua figlia è dotata d'una fantasia degna di un artista. Addirittura s'impersona in personaggi che hanno dell'incredibile. Dovrebbe iscriverla a teatro, dovrebbe incitarla, potrebbe far carriera. Soprattutto interpretando cugine ghigliottinate» m'immagino il prof. intento a parlare con mia madre agli incontri.
E come un fulmine a ciel sereno mi vedo la mia testa argentata staccata dal collo e tenuta fra le mie mani, impersonando un credibile Amleto al femminile. Il sorriso stampato su quella ghigliottinata è agghiacciante.
«Porca troia!» grido in preda al panico dettato da quella stramba e irreale visione. Eppure così vivida, cazzo!
Bene, missione annullata. Le truppe saranno ritirate dal campo di battaglia. Devo immediatamente andarmene da lì. Con le uova ci avrei cucinato un'ottima carbonara oppure una crostata alla marmellata di fragole, il dolce preferito di Matilde. In fondo sono pure sprecate per uno come il mio professore di storia dell'arte!
Decido di fare dietro front e di tagliare la corda, ma sfortunatamente Silvio è stato più veloce di me nel prendere una decisione.
«Eccola lì. È lei, la ragazza con i capelli argento» sento la sua voce alle mie spalle, stranamente percepisco addirittura il suo dito indice puntato verso la mia schiena.
"Ora o mai più, Marta", penso mentalmente prima di eseguire uno scatto degno d'un giaguaro.
«Maria Antonietta!» esclama una voce deliziosamente femminile, già sentita prima di adesso.
Non posso credere alle mie orecchie... oltre al danno pure la beffa! Perché ma Ilda è qui? Non doveva essere chiamato solo Emilio?
«Wow, è un onore poter conoscere la cuginetta di Emilio. Non stavo più nella pelle dalla curiosità di vederti» mi saluta con un caloroso sorriso Ilda, la prima cosa che mi colpisce appena mi costringo a voltarmi verso di loro, che ha indosso un corpetto legato stretto, una lunga gonna rossa e le spalle nude. I capelli ricci lasciati liberi dietro la schiena, tirati ai lati con due semplici forcine.
«Piacere, io sono Ilda, amica e collega di tuo cugino» continua Ilda afferrandomi di sua volontà la mano, stringendola con gioia.
Io sono completamente esterrefatta dalla vicenda, sono letteralmente congelata, non muovo un singolo arto, non piego neppure il mignolo.
Lunanuova, in piedi dietro la figura di Ilda, mi osserva con sguardo indecifrabile e, pur tuttavia, con un sopracciglio inarcato. Come la scorsa volta ha abbottonata una camicia dall'aria antica con tanto di gilet nero cui spiccano bottoni dorati, addirittura ha una gorgiera ad adornargli la gola. La lunga chioma corvina legata con un nastro di velluto. In poche parole, il Cavaliere di Ripafratta in carne e ossa.
«Sei splendida. Gli occhi chiari sono un tratto distintivo della vostra famiglia, a quanto noto» constata Ilda dopo avermi rimirato con espressione affascinata le iridi, abbassandosi appena con la schiena in quanto poco più alta di me. «Hai anche un nome raffinato e bellissimo. Chi lo ha scelto?» continua lei senza smettere di sorridermi come se fossi la ragazza più bella di questa Terra.
Nonostante sia attualmente a corto di parole, osservo che il volto di Ilda, tutt'ora molto vicino al mio, è alquanto familiare. Come se somigliasse a qualcuno che conosco e che già ho visto prima. Indubbiamente è splendida, quasi da far male; inoltre anch'ella vanta due grandi iridi blu, più scure di quelle del professore.
«Mio zio» s'intromette Lunanuova, salvandomi da questo immane pasticcio e senza smettere di fissarmi con quegli occhi inintelligibili.
«Avete un gusto sopraffino, voi Lunanuova» sentenzia Ilda con un lampo di malizia, «ma Emilio! Hai chiesto a questa ragazzina di venire qui a quest'ora quando domattina ha scuola? Come sei immorale» lo sgrida infine sia con scherno che con severità, lanciandogli un'occhiataccia.
«Evidentemente è una cosa importante» dichiara Emilio marcando la parola "importante" volutamente.
«S-sì, l-lo è» balbetto io ricordandomi improvvisamente di come si formula una frase a senso compiuto.
«Sono imperdonabile a chiedertelo, Ilda, ma potresti lasciarci soli un minuto?» richiede il professore con morbidezza suggestiva nella voce alla sua amica, un vero agglomerato di zucchero filato con tanto di bastoncino.
«Assolutamente! Devo togliermi questi vestiti, a malincuore s'intende» acconsente subito lei con un sorrisetto, «ci beviamo qualcosa dopo? Sento cosa ne pensano anche gli altri ragazzi».
«Naturalmente, certo» annuisce Lunanuova con gentilezza.
«È stato bello conoscerti, Maria Antonietta» mi saluta la graziosa donna con un inchino prima di ritornare in camerino.
«Anche per me» mormoro vergognandomi oltremodo.
E finalmente rimaniamo soli, faccia a faccia, a quattrocchi. Come avevo premeditato fin dall'inizio ma senza questa scenetta tragi-comica di mezzo.
Sfortunatamente tutta la mia grinta, il mio coraggio e la mia sfrontatezza sono andati in frantumi al posto delle uova appena ho capito di aver fatto una deliziosa e colossale figura di merda.
Mi mordo con fare nervoso il labbro inferiore e stringo i sottili manici della busta come se avessi paura che scappi via dalla mia presa. Mi guardo la punte dei miei stivali consumati reputandole dannatamente interessanti, tutto pur di non guardare Emilio in faccia. Forse era meglio andare da Diego e lanciargli macumbe da casa sua.
«Allora le avrei richiesto una commissione, cara Maria Antonietta» esordisce Emilio spezzando l'imbarazzante silenzio, alzando il mento in alto, «e cosa doveva comprarmi di preciso?» mi chiede senza mancando di usare quell'odioso "lei".
«Ha voglia di scherzare?» contesto un po' ferita dal suo infierire. Credevo che Lunanuova fosse più superiore di così. «Me lo sta chiedendo davvero?» insisto quasi a mezza voce.
«Sto solo cercando di scovare della logica, dovesse essercene» si difende Emilio portandosi le mani dietro la schiena, intrecciandone le dita, «uhm, anche stavolta ti ha regalato il biglietto Esposito?» mi fa alzando entrambe le sopracciglia.
Mi sta intenzionalmente provocando. E io ho sempre un cartone di uova in caso di emergenza!
«No» sospiro dondolandomi sulle ginocchia.
Lunanuova mi scruta a fondo, con morbosa attenzione, assottiglia le palpebre per soffermarsi sui miei jeans a sigaretta a vita alta e ai miei stivali con un lieve cenno di tacco. Il celeste spicca da quelle fessure, come se brillassero di una luce accecante. «Non è venuta all'opera, non è vestita come l'ultima volta» fa caso sardonico.
«La chiamavano "occhio di falco" da piccolo, eh?» mi ritrovo a schernirlo con freddezza dovuta alla sua minuziosa analisi visiva.
«Si permette di fare del sarcasmo, Maria Antonietta?» mi ragguaglia il professore con un discreto ghigno.
«Sa, a volte mi confondo, vorrei sembrare nichilista però mi scordo e mi aggrappo a una connotazione positiva. Pensi se mi affidavo alla satira» rimbecco senza demordere.
«La satira, storicamente, risponde a un bisogno dello spirito umano. Oscillazione fra sacro e profano» precisa Emilio quasi divertito dalla mia affermazione.
«Anche il sarcasmo» ribatto critica, «è vitale sdrammatizzare... tipo, io sento la necessità di sdrammatizzare il suo pugnalarci alle spalle voluto» faccio presente riacquistando audacia e sfoggiando un largo risolino angelico.
Lunanuova appena mi sente dire ciò sbatte le palpebre perplesso, la sua fronte aggrottata è la prova schiacciante che è confuso dalle mie parole.
«Come, scusi? Il mio "pugnalare alle spalle"?» ripete facendo un passo in avanti, quasi venendo al mio fianco, tuttavia non lo abbandono con gli occhi.
«Ah-ha» annuisco con convinzione, «il suo accettare la proposta di Leonardo Aspromonte riguardo la gita senza neanche interpellare i suoi studenti. Io lo vedo come alto tradimento, faccia lei» gli rinfresco la memoria.
Al che le iridi oceaniche di Lunanuova s'illuminano, un lampo divertito balena attraverso di esse, «Oh, lei è venuta qua per fare polemica, Maria Antonietta?» ridacchia caustico, «A sfoggiare la sua dote di sollevatrice di polemiche, se ben rammento».
«Ha poco da scherzare, professore, c'è del serio malcontento in tutto l'Artistico e non solo. Roba che si avvicina al malcontento sociale ed economico dopo la Prima Guerra Mondiale» asserisco tagliente, squadrandolo in malo modo imperterrita.
«Sta cercando di darmi lezioni di storia?» commenta Emilio Lunanuova inclinando percettibilmente il capo.
«Se ha carenze in storia, perché no?» replico sfacciata incrociando le braccia al petto e agitando la busta con il proprio contenuto. Alla facciaccia del tre che mi ha appioppato all'inizio dell'anno!
«Di tutte le cose importanti e di tutte le varie preoccupazioni, l'unico problema, per voi dell'Artistico, è quella della gita? Tsk, la vostra è veramente la generazione delle frivolezze e della superficialità» mi dice Emilio con uno sprezzo disarmante, l'espressione dura e la mascella contratta.
La nostra sarebbe la generazione delle frivolezze e della superficialità? Ma come fa a dire una cosa del genere quando quelli dell'Artistico sono le persone meno superficiali della piramide sociale?
Sto quasi cominciando a pensare che costui abbia un ego smisurato e fin troppo vasto, per i miei gusti, come se nessuno capisse abbastanza il mondo quanto lui.
Fanculo! Semplicemente, fanculo!
Matilde ha sofferto l'anoressia sulla propria pelle, come così anche la depressione e la totale incapacità di gestire la rabbia, Diego è stato vittima di un incidente con la sua moto da cross in quarto anno, roba che quasi ci ha rimesso le penne, Marco cerca sempre di aiutare e ascoltare gli altri da quando è sopravvissuto ad una overdose, addirittura fregandosene se la persona in questione sia uno spocchioso del cazzo del Classico, apprezzando di più ciò che ha disposizione ossia la vita, il poter vivere, io medesima ho avuto la sfortuna di perdere la verginità con uno stronzo epocale e diventando una stronza senza cuore a mia volta, non avendo più rispetto per Marta stessa.
Non credo minimamente che noi siamo la generazione dei frivoli e dei superficiali, tutti i sottoscritti e chissà quanti altri hanno delle cicatrici sotto pelle, invisibili agli occhi del prossimo.
Noi non siamo frivoli, siamo sognatori, noi non siamo superficiali, siamo coraggiosi e concreti.
La gita rappresenta nient'altro che l'apertura a ciò che segnerà la fine: la maturità. È qualcosa di importante e bello da ricordare a distanza di anni. Perché dovrebbe rappresentare la superficialità?
«Prof., ma lo sai che lei è proprio una testa di cazzo?» proferisco con una tranquillità scoraggiante, lascia sorpresa anche me.
Ho appena dato del testa di cazzo al mio professore! A Lunanuova, oddio, vorrei mettermi a urlare!
Emilio spalanca gli occhi celesti sorpreso dalla mia insolenza spropositata. È come una sferzata di vento gelido in pieno viso.
«Noi non siamo affatto la generazione dei superficiali. Noi siamo la generazione dei sognatori, di coloro che non si arrendono, degli affamati di sapere e del viaggiare. Siamo gli ultimi romantici, i rimasugli di quel che rimane dei poeti e dei pittori, gli scrittori della notte in piedi sulla punta della luna, i vogliosi di mettersi in gioco e gli assetati di sensazioni. Lei ha ventisei anni eppure è così strano il fatto che non riesce a comprenderci. Tecnicamente dovrebbe far parte della nostra generazione» spiego con un'intensità tanto da farmi rizzare i peli delle braccia, un'intensità passionale che mi fa trascendere con la mente numerose dimensioni parallele.
Penso di averlo lasciato di stucco, il professore.
«Magari io stesso voglio distaccarmene» recita rigido Lunanuova dopo qualche abbondante secondo di silenzio, deludendo un po' le mie aspettative su di lui.
«Okay, professore, adesso le faccio provare qualcosa» affermo mentre leggo nuovamente della sofferenza palpabile nel suo sguardo sfuggente, tentando di non mostrare troppo.
Poggio la busta per terra, a poca distanza dai miei piedi, chinandomi appena per scartare il cartone e afferrando due uova, una per mano.
Adesso non la vedo tanto come una punizione o una vendetta, bensì come un'emozione da provare. Senza preoccuparmi di future e inevitabili conseguenze, mi fiondo verso Emilio e, mettendomi in punta di piedi per raggiungere al meglio il suo capo, vado a rompere letteralmente le uova contro i suoi capelli lucenti, gusci compresi.
Emilio si rende conto troppo tardi di ciò che è appena avvenuto, restando di sasso. Un gesto senza dubbio inaspettato. Egli è immobile, sta realizzando che la sua alunna Marta Brunori, del quinto D, l'ha appena scambiato per un bancone di Bake Off Italia.
«Ebbene, cosa sente?» domando scrollando le mani appiccicose di chiara e tuorlo.
«Sento che sto per impedirvi di andare in gita, a lei e a tutta la sua classe» ringhia il prof. con l'interno dell'uovo che cola lungo la sua faccia.
«Andiamo! Non faccia il pessimista! Scoprirà che posso batterla sul campo, altrimenti» esclamo mettendomi a ridere, «e per intenderci, se l'è anche meritato. Così impara a dare il contentino al Classico. Per una questione così delicata come la gita del quinto».
«Me lo sono meritato?» fa eco Lunanuova interdetto.
«Naturalmente» pronuncio tronfia.
«Buono a sapersi», e poi il prof. si china a sua volta, prendendo anch'egli due uova, due uova che tragicamente finiscono per essere infrante sulla mia maglietta nera, ora non più nera. «Cosa sente?» mi ritorce contro la domanda mettendosi sorprendentemente a ridere.
«Ma lei è un testa di cazzo davvero!» tuono inorridita dal disastro che ho attaccato inesorabilmente alla stoffa che indosso, «Mi sento come Yoda che sta per fare a pezzi il proprio nemico!» urlo prima di spiaccicarmi contro il suo gilet immacolato, al fine di imbrattarlo, al fine di vendicarmi.
Matilde.
Mi ritrovo nuovamente nella bolla.
La stessa identica bolla cui mi ero rintanata durante la riunione pre-Assemblea, con la differenza che ora, all'interno di essa, sono sola e non in compagnia degli altri, la presenza di terzi non mi è imposta per forza.
Faccio fatica a sbattere le palpebre, mi accorgo, le tengo spalancate e serrate, m'incanto. Ho le labbra schiuse appena di qualche millimetro – i denti in compenso sono incollati gli uni con gli altri –, le guance così roventi che pare abbia la febbre.
Alle mie orecchie arrivano ovattati una miriade di suoni: i clacson paiono soffici e lontani, il rombo dei motori che quasi solletica la soglia dell'organo dell'udito, l'abbaiare dei cani sembra quasi gioioso invece che minaccioso. È l'effetto della bolla.
Mi fa sentire come catapultata in un'altra dimensione, di conseguenza mi fa sollevare dalla superficie terrestre, incitandomi a fluttuare nell'aria. Allo stesso modo della ragazza del videoclip "Vermillion pt.2" degli Slipknot.
Esatto, devo trovarmi sicuramente e per forza in un'altra dimensione. Nella mia, in quella attuale, dove vige l'anno 2014, è prettamente impossibile, contro ogni logica, qualcosa di inverosimile, che Leonardo Aspromonte mi abbia detto quella frase.
Quella frase così bella, così carezzevole, quella frase che sarebbe stata in grado di mandare fuori gioco il cervello di qualsiasi ragazza del Classico – e forse, di nascosto, anche a qualche d'una dell'Artistico –, sarebbe stata in grado di incidere la pietra del cuore della più cinica, di strapparlo via dal petto e di innalzarlo al cielo per dimostrare di cosa sia capace.
È assurdo che l'abbia detta proprio a me, a colei che odia, che non tollera, che disprezza di più. È assurdo che sia proprio io la destinataria di quelle parole. Appunto per quello devo essere in un'altra dimensione ove le persone, i nostri alter-ego, si comportano al contrario di come fanno normalmente.
«Ti voglio dire, che ti voglio dire, che ti voglio dire, che voglio dirti, che ti voglio dire, che ti voglio».
Santo cielo! È pazzesco!
Lo ha detto a me, non a Olivia, non a Viola, né a nessun altra con cui avrà sicuramente a che fare. Non a una ragazza del Classico, ma a una ragazza dell'Artistico! Apollo lo ha detto ad Atena. Apollo la vuole. E io non so che cazzo fare, al diavolo il francesismo spicciolo.
Be', mi sento leggera e fluttuante nell'aria, un qualcosa fottuto vorrà significare. Non avverto le farfalle, avverto un'insostenibile leggerezza, un'inconsistenza sublime, come se fosse una sensazione troppo grande da contenere, come se fossi impreparata ad un evento simile. E in effetti impreparata lo sono: per tutte le ultime settimane non abbiamo fatto altro che farci guerra, "Fuoco e sangue", come il motto della casa Targaryen, per poi giocare a una splendida contraddizione di sentimenti e infine ritornare all'odio antico, originario.
Io l'ho voluto, optando per il giusto e il raziocinio, lui mi ha accontentata, in parte per le parole che ho riversato su di egli, taglienti e che ti fanno sentire sporco.
Risultato? Altro rancore, altra sofferenza.
Ma cos'è la vita senza sofferenza e tormento?
Sarebbe talmente piatta e banale da portarti a cadere nel baratro dell'apatia, dell'insensibilità e della pigrizia. I giorni passerebbero senza essere vissuti davvero.
Non affermo che per vivere al massimo si debba sfiorare la morte o infrangere le regole obbligatoriamente. Basta solo accettare le emozioni come vengono, brutte e belle, abbracciandole come delle amiche. Le tue migliori amiche. Anche se a volte potrebbe richiedere del tempo, accettare qualcosa che ci spaventa.
Infatti io credo fermamente che mi necessiti del tempo. E la vicinanza pericolosa alle labbra di Leonardo è un po'... fuori luogo.
«No, no, no, no! Fermi, fermi, fermi, fermi!» esclamo a raffica facendo un considerevole passo indietro e alzando il viso verso il cielo, tirando un lungo sospiro liberatorio. «Se ci baciamo un'altra volta poi andrò fuori di testa e non risponderò delle mie azioni» metto al corrente Leonardo, che mi sta osservando con espressione stranita.
Sì, so bene di essere matta, una toccata.
«Ah, perché fino ad ora hai risposto delle tue azioni, miss "dico una cosa ma poi ne faccio un'altra"?» mi rimbecca Leonardo senza muoversi dalla sua posizione.
«Sì, lo so, sono pessima!» affermo prendendo a camminare avanti e indietro, «Uhm, ma sai, non ti darò la soddisfazione di farmi sentire uno schifo... a quello provvedo sublimemente da sola. Grazie, prego, arrivederci».
«E rieccola che ricomincia», Leonardo alza gli occhi al cielo spazientito, «Matilde, non ci pensare».
«Non ci pensare?» ripeto la sua identica frase, esplodendo a ridere senza controllo, «Sto gran cazzo, che consiglio saggio! Talete, Solone, Biante, Cleobulo, Chilone, Pittaco e Periandro ti fanno un baffo tutti insieme! E pensare che li studi pure!».
«Matilde» sospira Leonardo passandosi una mano tra i capelli privi di brillantina e sistemandosi gli occhiali sopra il naso.
«Ti rendi conto che fino a ieri facevi sesso con Olivia e ora mi hai detto ciò che mi hai detto?» blocco la mia nervosa camminata e lo inchiodo con gli occhi.
«Matilde, io non sono legato sentimentalmente a nessuno, non capisco dove sia il problema» recita egli con normalità come se stesse parlando ad una bambina.
«Perché lo hai detto a me? Perché hai voluto... offendere me?» gli domando calandomi in una serietà ombrosa.
Al che lui mi scruta torvo, inclinando la testa verso sinistra, «Perché hai mandato la foto a Olivia?» allora mi rivolta la domanda.
«Lo sai perché. Non ne vado fiera ma mi hai fatto troppo incazzare con la storia di Berlino. Ho agito d'impulso, ne sono consapevole, ma in quel momento sentivo il bisogno di farlo» spiego come se fosse ovvio.
«Non perché volevi allontanarla da me, ti prego, sii onesta» proferisce Leonardo stravolgendo totalmente la mia versione dei fatti.
«...Volevo solo vendetta, tutto qua» taglio corto agitando i capelli rosei.
«Che gran bugiarda» sogghigna lui quasi divertendosi.
«Vaffanculo» gli sibilo in faccia e riprendo a camminare ma stavolta in un'unica direzione.
Ovviamente Leonardo mi si piazza accanto, esattamente come fece quel giorno per andare agli Uffizi. Io che marcio impettita, incazzata con lui, lui che tiene il mio passo senza fatica, infischiandosene della mia furia omicida.
«Vaffanculo tu. Scappi via di nuovo senza affrontare l'argomento» mi contraddice con acidità, usando la mia stessa arma.
«Non scappo! Cammino!» borbotto accigliata senza degnarlo d'uno sguardo.
«Ah, e dove vai?» domanda appellandosi a del sincero sarcasmo.
«Non hai capito? Stiamo andando entrambi affanculo» sorrido con crudeltà e togliendogli la curiosità.
«Matilde, cazzo, abbiamo diciotto anni, quasi diciannove! Possiamo parlare con maturità?» grida Leonardo alla stregua della sopportazione.
«No» dico categorica e grazie a ciò Leonardo perde terreno di un passo.
«No? Perché no?», è visibilmente incredulo della mia risposta decisa e impassibile.
«Perché direi cose che non voglio dire» è ciò che confermo sicura.
«Dille, avanti, dov'è il problema?» mi incita il ragazzo ritornando al mio fianco senza fatica.
«Il problema è solo uno ed è evidente, ti basti ripensare all'Assemblea di stamattina e alle due metà sedute ai lati dell'Aula Magna!» sibilo con fatica, un certo dolore trasuda dalle parole.
«Perfettini e Fattoni. Ebbene?» recita Leonardo dubbioso, continuando a non afferrare il succo del mio discorso.
Mi vedo obbligata a fermarmi, ad arrestarmi sul posto. Lo guardo ancora una volta dritto negli occhi, superando sempre l'ostacolo delle sue lenti da vista.
«Tu mi vuoi, hai detto. Leonardo che vuole Matilde. Il dio del Classico che vuole la dea dell'Artistico. Non dico che sia sbagliato ma dico che sia improbabile, tanto improbabile» soppeso le giuste parole affrontando l'argomento come voleva lui. «Come diavolo è successa una cosa del genere, Leonardo?» aggiungo abbassando la voce, con la paura di pentirmene poi.
«È successa ma a quanto pare tu non ricordi...» mormora abbassando il capo, senza riuscire a sostenere il mio sguardo.
«...cosa dovrei ricordare?» chiedo confusa, scattando il mento in avanti.
«Il motivo».
«Spiegati meglio» lo incito.
«Servirebbe a qualcosa?» obietta Leonardo.
Ci penso su qualche attimo, giusto cinque secondi, «Sì, direi di sì. Okay, facciamo così: io smetto di fare la drammatica e la psicopatica e tu di fare il misterioso e l'altezzoso di merda, ci fumiamo una sigaretta e mi racconti questo motivo» propongo sotterrando l'ascia di guerra, spostando lo scudo della difesa.
Leonardo mi guarda per un po', con la bocca serrata, combattuto, e infine sbuffa. «Va bene. Sediamoci da qualche parte» acconsente alla mia proposta di tregua temporanea, «la sigaretta la offri tu».
«Occhio, potrebbe esserci infilata della droga» lo schernisco inarcando un sopracciglio di proposito mentre estraggo il pacchetto di Winston dalla tasca del giacchetto e porgendogliene una.
«Correrò il rischio» ghigna Leonardo, aprendo poi le labbra come a incitarmi a dargliela di persona.
Non mi tiro sicuramente indietro, poso la sigaretta sulla soffice superficie della sua bocca che successivamente e lentamente serra addentandola con maestria. Il perfetto esempio vivente che la sensualità esiste ed è di fronte a me.
Ci sediamo in un muretto a pochi metri, di quelli con il cemento a tratti sgretolato e a tratti imbrattato di scritte; io mi accomodo sopra di esso a gambe incrociate mentre lui si sistema sedendosi con compostezza. Come sempre, ci dimostriamo totalmente diversi.
In seguito Leonardo estrae dal suo lungo cappotto l'accendino e con movimento studiato allunga la mano verso di me, andando ad accendere prima la mia Winston e infine la sua. Il re del Classico tira una boccata di fumo tanto da creare una sfera che dura un nanosecondo, gettandolo successivamente all'esterno, facendolo finire a pochi centimetri dal mio orecchio.
Contro ogni logica, sono seduta su di un muretto assieme a Leonardo, a fumare una sigaretta con lui e trattenendomi dal... saltargli addosso.
Fanculo quel suo fare voluttuoso e tremendamente eccitante! Fanculo i miei ormoni impazziti! Fanculo il suo trasudare sesso da un banale e semplice movimento quale fumare una cazzo di sigaretta!
«Chissà cosa direbbero i tuoi amici se ci vedessero qua» mormoro sorridendo divertita, provando a spezzare quella sensazione così strana.
Leonardo mi viene dietro e ride anche lui della cosa, gettando la testa all'indietro, i capelli biondi che gli cascano delicati sfiorandogli appena le spalle.
«Alberto non direbbe niente, la prenderebbe con filosofia. È fissato con Marta, sai?» mi spiega prendendo un altro tiro.
«L'avevo intuito. Al Caravaggio stiamo impazzendo tutti a quanto pare» enfatizzo senza sorprendermi più di quel tanto, io e Marta ne siamo venute a capo in poche e semplici deduzioni.
«Camillo storcerebbe il naso, ma non gli importa più di quel tanto. Ciò che facciamo io e Albi lo fa anche lui, tende a seguire qualcuno più che se stesso. Giulio è il tipico pignolino, direbbe che dovrei cambiare spacciatore. E Claudio... Claudio continuerebbe a fare il testa di cazzo. I tuoi amici, invece?» conclude Leonardo sintetizzando a grandi linee i comportamenti del suo gruppetto.
Prima di replicare, sputo fuori il fumo appena filtrato dai polmoni e ci penso su.
Già, chissà come la prenderebbero i miei amici? Darei chissà cosa per vedere le loro facce.
«Diego si metterebbe a urlare e mi direbbe "perché questo bamboccio, Mats, perché?"» ridacchio pensando alla reazione di Diego, sicuramente più calibrata ora che grazie a Thalìa sta vedendo le cose in modo differente, «Marta ti giudicherebbe in rispettoso silenzio e a me non direbbe niente. A Marco non fregherebbe un cavolo, lui la reputa una perdita di tempo la nostra faida. Thalìa, forse, sarebbe felice per noi che ci comportiamo fraternamente. Ludovico ti spaccherebbe la faccia».
«Curioso che il bestione ricorra alle mani» sottolinea Leonardo sarcastico.
«Allora? Mi racconti o no?» lo esorto con la curiosità e la preoccupazione che mi stanno divorando la carne viva.
Leonardo, dunque, si guarda intorno come se avesse tutto il tempo di questo mondo, prende un lungo tiro dalla Winston e si avvicina alla mia bocca.
Con gesto lento e architettato posa l'altra sua mano libera a pugno sopra le mie labbra, delicatamente. È fredda contro il mio bollore incontrollato.
Infine si avvicina ancora di più, sfiora la sua stessa mano e vi soffia all'interno il fumo che deve essere buttato all'infuori dai polmoni. Viene soffiato verso l'orlo del mio labbro inferiore, aperto. Leonardo allunga la linea della sua bocca in un sorriso sghembo e mi cattura con i suoi occhi, con la sua eterocromia. Mi ha interamente in pugno, mi ha alla sua mercé.
...Leonardo mi ha appena soffiato il fumo addosso...
Una tacita e assurda proposta indecente. E ne va pure fiero! Il suo sorrisetto obliquo mi sta facendo dimenticare il perché mi trovi qua con lui!
«Questo che sto per raccontarti è accaduto davvero» prende a parlare Leonardo, allontanandosi di poco dal mio volto stregato, «è accaduto alla festa di fine terzo anno. Esattamente il giorno stesso della chiusura della scuola...».
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