27. Uno per tutti, ognuno per sé
Venerdì 14 novembre del 2014 è il giorno cruciale.
Se non da definirsi anche definitivo e oltremodo critico. La prima ora dobbiamo affrontare, come da orario definitivo, italiano con la professoressa Monteluce.
Inutile specificare che, durante l'arco di tutta la sua lezione, sia io, sia Marta e sia Diego non abbiamo prestato la minima attenzione.
Mentre la giovane e bellissima prof. spiega il melodramma romantico - neanche a farlo apposta! -, citando nel mezzo anche Giuseppe Verdi, noi tre siamo troppo impegnati ad arrovellarci il cervello e soprattutto a contenerci dal rovesciare il proprio banco e dal metterci a urlare.
E, be', è un'opzione alquanto invitante contando il momento delicato in cui ci stiamo sfortunatamente trovando.
Abbiamo, sì, i libri di testo spalancati nelle giuste pagine, stringiamo, sì, le matite come se avessimo l'intenzione di annotarci o di sottolineare qualcosa, rimaniamo, sì, in silenzio proprio per rispetto della prof., ma sennò l'interesse è pari a zero, l'argomento neanche osa sfiorare i nostri pensieri.
Oh no, siamo troppo presi e coinvolti dagli avvenimenti che accadranno durante l'ora successiva.
Avvertiamo le dita delle mani formicolare e la cute in fiamme. È effettivamente una sfida con noi stessi quella di rimanere buoni, calmi e composti.
Nei nostri movimenti apparentemente non c'è la minima traccia di quello che vorremmo realmente fare: scatenare un putiferio senza precedenti. Dettato in buona parte dallo sconforto e dall'essere stati tratti in inganno, seguiti successivamente dall'impotenza e dallo scontento inevitabile.
Comunque, a dispetto di tutto, resistiamo e teniamo duro.
Tra non molto la campanella che sancisce la fine della prima ora sarebbe suonata e a quel punto niente e nessuno ci avrebbe potuto fermare. È soltanto questione di pazientare ancora altri pochi minuti.
Mentalmente pondero mille modi fattibili per commettere un omicidio senza essere colta in flagrante, studiando con cura la giusta arma e il giusto momento, il movente ce l'ho già servito in un piatto d'argento! Meglio di così non posso volere!
Il suono della campanella erompe oltre lo spessore della porta, sovrastando la voce della Monteluce e non facendoci attendere oltre. Suona per pochi secondi, ma tanto basta a farci inserire in modalità "saette".
Non indugiamo sugli allori, quindi con uno scatto ben studiato richiudiamo i libri di letteratura, abbandoniamo dove capita penne, matite e evidenziatori, e ci alziamo con un certo impeto nelle nostre ginocchia.
Dal momento che siamo esonerati dall'obbligo di rimanere in aula data la circostanza attuale, sgattaioliamo via senza nemmeno degnare di uno sguardo la nostra docente, senza neanche avere la buona creanza di salutarla.
È inutile, le priorità sono altre in questo attimo.
L'unica cosa che conta, adesso, è quella di recarci in Aula Magna, di sfoggiare le espressioni più truci del nostro repertorio e di risolvere questa ridicola questione una volta per tutte.
Io e Marta abbiamo informato Diego dell'alzatina d'ingegno di Leonardo ieri sera appena dopo aver concluso la telefonata, del fatto che la scelta della meta della gita sia andata a puttane. Che Edimburgo sia andata a puttane.
Diego è forse ancor più battagliero di noi due. E lo dimostra, infatti, la fantasia illimitata cui quest'ultimo dispone; si è portato da casa un tubetto di vernice rossa adatta appunto per i make-up del viso e se la sta spalmando sulle guance come facevano esattamente gli Indiani d'America.
Due strisce scarlatte, una per lato. Un abbinamento perfetto con i suoi dreadlocks fulvi.
«Stamattina sono come Toro Seduto» tuona Diego con gli angoli della bocca piegati in una smorfia di stizza, senza interrompere la nostra marcia implacabile.
Mentre avanziamo a un passo decisamente spedito, più veloce della norma, spuntano fuori e si aggregano accanto a noi i restanti Rappresentanti del nostro indirizzo.
Thalìa, Jeanine e Ang Louis. Essi non hanno le nostre stesse facce furenti, come non hanno neppure un'espressione propriamente bonaria, anzi, tutt'altro.
La squadra è ufficialmente al completo, tutti quanti e sei ci apprestiamo a raggiungere l'Aula Magna, con gli altri studenti che non si attardano a imitarci. Pian piano ogni sezione esce dalla medesima classe, chi con più ordine, chi con meno.
Sfiliamo nel corridoio con la stessa sensazione di andare a rallentatore, nonostante la camminata incalzante; numerosi sono gli occhi che ci osservano e che percepiscono la tensione.
Io sono tesa come una corda di violino, roba che se mi toccassero nel modo sbagliato potrei sganciarmi dal sostegno e finire contro il viso di qualcuno. Avverto gran parte dei muscoli contrarsi, in particolare quelli del collo e della schiena. Neanche avessi sostenuto un allenamento intenso.
Dentro di me percepisco l'impulso primordiale, arcaico, di saltare addosso a Leonardo per poi staccargli la testa a morsi, oltre che a quella pedina instabile del preside.
Sono certa che vivrebbe anche senza il proprio capo, Gandolfo.
Dal canto suo, Marta invece vorrebbe aprire la gola a Lunanuova, perché non solo non si è opposto alla decisione presa su due piedi ma non ha manco interpellato i suoi studenti prima di accettare! Magari avrebbe potuto affrontarlo oggi l'argomento. All'Assemblea!
Sennò le Assemblee che cazzo si fanno a fare?!
Se negli ultimi giorni al Caravaggio, l'ostilità fra Classico e Artistico si era sentita appena, in questo esatto momento si sta chiaramente avvertendo un solido e palpabile clima di guerra. Da un opposto all'altro, si potrebbe dire.
Appunto, gli ambedue indirizzi si dovranno schierare e attendere nient'altro che il segnale di via libera per scannarsi a vicenda. Personalmente non sto nella pelle. Altro che far la spia su chi fuma all'interno dei bagni!
Quando finalmente arriviamo al piano terra, il piano del nemico, è prettamente inevitabile il venir squadrati dagli alunni dell'altro indirizzo, inevitabile non accorgersi dei loro sguardi superiori e da mera presa per il culo.
È inevitabile incontrarsi a tu per tu con gli altri sei Rappresentanti del Classico, la metà di cui farei volentieri a meno. Li scorgiamo seduta stante in mezzo a quel vespaio di adolescenti che si spostano in ogni dove.
Midorin ed Elettra sono le prime due che sopraggiungono ai miei occhi, entrambe tengono fra le mani dei plichi di fogli che dovrebbero essere le varie proposte di cambiamento da parte del loro indirizzo. Gli stessi che stringono Jeanine e Ang Louis anche.
In secundis, visualizzo Leonardo, Giulio e Chiara Sordini, intenti a conversare con Gandolfo in persona - per non dire a leccargli il suo regale didietro.
Infine c'è Giordano Borghetti, l'unico che sembra essere un pesce fuor d'acqua; egli è palesemente annoiato e picchietta con ritmo sopra lo schermo del cellulare. Ciononostante è il primo che si accorge della nostra presenza, forse dovuta alla nostra "aura demoniaca".
Il ragazzo dalle iridi chiare ci scruta come se avesse dinanzi a lui qualcuno con la peste, inarcando un sopracciglio.
«Ce l'avete fatta. Aspettavate la morte e resurrezione di Cristo?» puntualizza tagliente.
In automatico mi sento tremare l'occhio sinistro appena dà fiato alla bocca, e onestamente non so che cosa avrei potuto rispondergli... non lo so davvero, poiché, per mia fortuna, interviene Ang Louis, che in cotal mattino, oltre che sfoggiare il suo fisico asciutto e alto vestito totalmente di nero, esibisce la lunga chioma corvina legata in una coda alta.
Quasi che lo fa somigliare a un ronin dalle fattezze cinesi.
«Oppure aspettavamo la tua» commenta sarcastico il ragazzo asiatico con tanto di occhiolino, cosa che fa accigliare terribilmente Giordano, «però non risorgere, facci il favore».
«Andiamo, Ang!» lo riprende con severità Thalìa, «Facciamo i seri. Abbiamo diciotto anni, cazzo!».
Oh sì, anche la pacifica Thalìa Obi Malek è decisamente tesa.
«Seri come Leonardo e il suo averci pugnalato alle spalle?» ribatto a questo punto gelida come una tormenta in pieno inverno. I miei occhi, nonostante il profondo e scuro colore castano, sono una lastra di ghiaccio.
«Oh, suvvia, non prendetevela troppo sul personale» cinguetta Elettra ravvivandosi i capelli lisci come seta, ostentando quello che è un sorriso di vittoria, affatto comprensivo.
«T'ha chiamato in causa qualcuno?» replico raccogliendo volutamente la sua provocazione.
«Be', dal momento che è Rappresentante quanto te ha tutto il diritto di essere chiamata in causa» interviene in difesa di Elettra, come se l'avessero chiamato con l'altoparlante, Leonardo, che a quanto pare deve aver finito di conversare col suo grande amico Gandolfo. «Gandolfo ha detto che possiamo accomodarci» poi aggiunge facendo un cenno con il capo verso la direzione del terreno di guerra.
«Davvero tu hai il coraggio di parlare?» lo fulmino senza controllarmi, perentoria.
«Sì, ne ho parecchio, piccola Atena» risponde lui per le rime, mostrando dell'acuto nonchalance oltre che un ghigno strafottente.
Dio, come vorrei riempire di sberle quella sua faccia da cazzo...
Poi fa per spostare il suo sguardo sulle righe rosse che segnano il volto di Diego e non trattiene per certo uno sbuffo divertito.
«Ma come ti sei conciato, Falco?» commenta sprezzante.
«In un modo che non concepirete mai, vostra grazia» risponde Diego tatticamente con calma per non dar "dispiacere" a Thalìa.
«Come un perfetto imbecille, dunque ha senso» s'intromette Giulio canzonandolo mentre si va a sistemare la propria maglia a righe, uno dei suoi indumenti preferiti.
«Fai sul serio, Viviani?» mi sembra d'obbligo prendere le difese di Diego.
«Ci vuole un perfetto imbecille per riconoscerne un altro» sorride, tuttavia, radioso il mio amico, «vogliamo entrare, sì o no? Ho una voglia immane di rompere il vostro beneamato culo. Avete della vaselina, per caso?» aggiunge poi mostrando un'impellente eccitazione e gli occhi grigi spalancati, tanto da sembrare inquietante.
Dopodiché Diego, tutto impettito, supera sia noi che il gruppetto agguerrito di fronte, muovendosi alla volta dell'Aula Magna. Anche noialtri, i restanti, decidiamo di metterci al lavoro e procediamo nella direzione del ragazzo dai capelli rossi.
«Tu vedrai come lo ammazzo quel voltagiubbe» sibila Marta, che fino a ora era rimasta con la bocca sigillata, fra sé e sé usando l'accento fiorentino marcato da morire, riferendosi ovviamente a Lunanuova, «i coltelli gli tiro, altro che i pomodori! Lo metto su una ruota da circo e lo uso come bersaglio».
Ovviamente la sua vendetta non è indirizzata anche verso la Drago, soltanto al bel professorino.
In conclusione, mentre avanziamo, mi avvicino involontariamente al fianco di Midorin, che con sguardo di scuse ferma sia la sua camminata che la mia, esibendosi poi in un tipico inchino giapponese, i capelli sottili le finiscono tutti davanti al volto.
«Gomen'nasai» proferisce con profondo e sincero rispetto, «mi dispiace, Matilde. Il gesto di Leonardo è stato imperdonabile. Noi tutti eravamo all'oscuro, credimi sulla parola» alludendo certamente alla gita.
E sento che ciò che dice corrisponde alla verità. Se si tratta di lei posso crederle. Mi tranquillizzo un po' appena sento le sue parole così sentite.
«Ti credo, Rin, ti credo» sospiro abbattuta, «ciò non cambia che ce l'abbia messa nel deretano come sempre».
«Un proverbio giapponese dice "Tutti commettono errori. È per questo che c'è una gomma in ogni matita". Leonardo ha commesso un errore, ma può sempre rimediare» recita Midorin con dolcezza mista ad una saggezza incredibile.
«In questo caso Leonardo è una penna, non una matita» obietto con ironia.
«Esiste sempre il bianchetto» sorride la ragazza dagli occhi a mandorla, «e poi vediamo il lato positivo, Berlino è proprio una bella città da visitare».
Le sorrido a metà, «Ormai è andata. Grazie per cercare di sollevarmi il morale».
«Berlino deve essere molto bella. Impariamo ad apprezzare» conclude con voce morbida.
«Non è che non apprezzi Berlino, non apprezzo la trovata di Leonardo, come si è comportato. Ha mancato di rispetto anche a voi non dicendovi niente» sottolineo cercando di farle intendere il mio punto di vista.
«Sono quasi cinque anni che abbiamo Leonardo sotto i nostri occhi. Mi sto chiedendo del perché te la stia prendendo così tanto» enuncia Midorin con lo sguardo di chi la sa lunga, piegando il collo in avanti.
Perché me la sto prendendo così tanto, lei chiede?
Perché pensavo che, dopo quello che era successo fra me e lui, il ragazzo non arrivasse così a tanto. Ecco il perché. Ed ecco perché me ne sto zitta, lasciandole il dubbio di tale domanda.
Dopodiché entrambe notiamo che alcune classi stanno arrivando, quasi investendoci, per cui decidiamo di entrare una volta per tutti, raggiungendo gli altri Rappresentanti.
Okay, adesso dovrò dare la prova più grande di me.
Dovrò appellarmi più che posso alla maturità dettata dalla mia maggiore età al fine di mantenere un controllo decente, ci devo provare.
L'Aula Magna è colma di studenti, tutto il Caravaggio è riunito in questa enorme sala: a sinistra il Classico, a destra l'Artistico, come è giusto che sia.
A sinistra la maggior parte vestiti con colori tenui, maglioncini ordinati, camicette linde e qualche pantalone d'alta sartoria. Capelli e acconciature impeccabili. A destra spiccano look da punk, hippie, hipster, bohèmien, gotico, grunge, indubbiamente da skater e tribal. Non manca il vintage, lo stile che ho amorevolmente abbracciato da qualche tempo.
Chi più ne ha più ne metta!
Capelli mechati, rasati, legati in dreadlocks, tinti con colori disparati. Capi d'abbigliamento stravaganti e fuori dalle righe sono la parola d'ordine. Lembi di pelle tatuati con disegni particolari e bucati da piercing.
Eccole qua, le due metà messe a confronto, bianco e nero, fuoco e ghiaccio, mare e montagna, yin e yang.
Insomma, non sto affatto sostenendo che una metà sia bene e l'altra sia male, poiché tutti e due sono presenti in entrambi, che lo si voglia o no. Faccio solo caso alla differenze abissali che ci dividono, e non mi riferisco solo al piccolo corridoio che divide le rispettive poltrone di quest'aula.
Da matti unire questi due indirizzi sotto lo stesso tetto, da matti.
"È buffo, comunque" , penso con del sapore amaro sulla lingua, "le differenze dovrebbero accomunarci, non il contrario... eppure, siamo così ottusi, tutti quanti".
Il vice-preside Nobilis si vede costretto a intervenire per calmare ambedue le parti, però inutilmente. Non gli è sufficiente il banale e solito muovere le braccia.
Il casino è talmente troppo che pare di essere davvero al luna-park, mancano solo il carretto dello zucchero filato e le montagne russe all'ingresso.
Sicché, visto il totale fallimento di Nobilis, tenta di provarci la professoressa di greco del Classico, Sefora Villaggi, conosciuta maggiormente per il suo esaurimento nervoso e famosa per le sue ripetute sbroccature coi studenti.
Dicesi che le sua urla isteriche riecheggino minimo tre volte al mattino per il piano del Classico, dicesi che è paragonabile a un'arpia, ai livelli della vipera centenaria.
Sefora Villaggi, pertanto, si mette al centro dell'Aula Magna - proprio sulla metà della sala in modo da avere entrambe le parti sott'occhio - armata di un microfono, con tanto di un pacchiano e lungo vestito sino alle caviglie, gonfiando a più non posso le guance. Ricordando tanto un tacchino.
«Questo è un istituto superiore, non una scuola elementare! Smettetela, smettetela!» esclama la professoressa corrugando pericolosamente la fronte e con gli occhi incendiati, i capelli corti e color topo che le vanno in ogni dove come se avesse improvvisamente la scossa.
E con ciò, la Villaggi non solo non riesce nell'impresa di far cessare quel baccano, bensì, ironia della sorte, lo fa aumentare!
Le risate si triplicano e sorgono addirittura gli applausi.
Siccome quest'ultima sembra quasi in procinto di tirare il microfono addosso a qualcuno (con tanto di filo), è necessario e vitale l'intervento di Cristinella Balzi, la segretaria, che la afferra per la mano libera dall'apparecchio e si appresta a portarla all'esterno dell'Aula Magna. Un atteggiamento comprensivo il suo.
«Si faccia una tisana, prof., e si misuri la pressione» la esorta Giulio Viviani piegato in due dal ridere.
Non posso biasimarlo, nemmeno io, Diego e Marta possiamo farne a meno, di ridere di lei. Quella professoressa è una gag continua.
«Su, su, su, ragazzi, torniamo seri» prende parola successivamente Leonardo, cercando di ricomporsi nella voce e ancora divertito dalla situazione.
E come per magia, la metà che sta sulla sinistra sprofonda nel silenzio eccetto per qualche sghignazzo di troppo. Per l'altra metà è costretta a intervenire Thalìa invece, «State zitti anche voi, non facciamoci riconoscere» dichiara con la voce che riecheggia per tutta la sala, «e soprattutto attenti ai vostri genitali» aggiunge facendo l'occhiolino.
Sempre magicamente, cala il silenzio anche a destra, permettendo così di iniziare.
Senza perdere altro tempo, Diego clicca un paio di volte sul mouse del computer usato poco fa da Leonardo, suo vicino in questa Assemblea, e velocemente il logo del Caravaggio viene proiettato sullo schermo alle nostre spalle, a immagine ingigantita.
Poi, muovendoci come una reazione a catena, prende la parola Gandolfo che comincia teatralmente il discorso. Rimanendo in piedi ed alla vista di tutti.
«Benvenuti, cari studenti, deliziosi ragazzi. Bentrovati alla prima Assemblea dell'anno scolastico 2014/2015. Prima di cominciare ho l'enorme piacere a presentare a tutti voi i nostri nuovi Rappresentanti d'Istituto e Consulta, freschi di elezioni» esordisce lo svalvolato preside con un largo sorriso, radioso, splendente, «Matilde Castellani, Diego Falco, Thalìa Obi Malek, Jeanine Bonham, Marta Brunori e Ang Louis Xhion, dell'Artistico. Leonardo Aspromonte, Giulio Viviani, Elettra O'Connor, Midorin Ayasaka, Giordano Borghetti e Chiara Sordini, del Classico».
Tutta la sala sprofonda in un applauso con tanto di fischi dopo che egli ha elencato i rispettivi nomi di coloro che stanno seduti dietro questo grande e imponente tavolo. Le due metà fanno a gara a chi fischia con più intensità. Roba da derby calcistico allo stadio.
«In questa Assemblea, oggi, verranno discusse questioni importanti quali il malfunzionamento dei bagni della palestra, grazie professor Bacchi, per averci fatto notare l'orribile acquitrino che regna nello spogliatoio maschile... anche se non c'era bisogno di portarmici di persona» asserisce il preside lanciando un'occhiataccia verso la metà del Classico, dato che il professor Bacchi è uno dei loro insegnanti di educazione fisica, e per tutta risposta il suddetto prof. lo indica con tanto di occhiolino di ringraziamento, «discuteremo dell'organizzazione dell'Autogestione prima delle vacanze natalizie, delle varie date a proposito di manifestazioni, di attività pomeridiane, del ricorrente veglione, dell'ammodernamento dell'impianto computer e, ovviamente, della gita del quinto. La quale il signor Aspromonte è così gentile da illustrarci alcune novità e cambiamenti» conclude Gandolfo dopo aver elencato a dovere ogni punto discusso durante la scorsa riunione, passando la parola al biondino paladino della giustizia e beniamino di tutti.
Quindi mi viene naturale aguzzare l'attenzione e affilare lo sguardo, assottigliandolo come farebbe un gatto.
Sono tutta orecchie, ha tutta la mia attenzione il signorino.
Molti ragazzi del quinto anno si guardano fra di loro leggermente perplessi dalla dichiarazione finale del preside, e fanno bene!
Un brusio generale si leva verso l'alto.
Leonardo si schiarisce la voce prima di agguantare nuovamente il microfono che ha pochi centimetri dal naso, si sistema al meglio la montatura degli occhiali e finalmente prende a parlare, prende a confessare i suoi viscidi peccati.
«Buongiorno, come già anticipato dal preside, c'è qualche novità a proposito della gita che è bene chiarire fin da subito» articolare usando di proposito un tono vocale morbido e dolce come il miele, peccato che a me il miele faccia schifo! «Sono state proposte quattro opzioni alla riunione di lunedì: Londra, Parigi, Edimburgo e Berlino. Partendo dal presupposto che Parigi è stata la meta dei quinti dell'anno scorso l'abbiamo scartata da subito. Poi però è sorto un altro problema, cioè che per Inghilterra e Scozia serve a prescindere il cambio euro con la sterlina oltre che un costo più elevato da far sostenere ai singoli ragazzi. Ne ho parlato personalmente con il preside e il vice-preside, e siamo arrivati alla conclusione che sia più opportuna Berlino come destinazione. È economico come viaggio, è ricca di storia e cose da vedere, e si può usare tranquillamente l'euro» continua a spiegare con chiarezza e una non indifferente sicurezza Leonardo, sostenendo con maestria gli sguardi muti del Caravaggio.
Parecchi si sentono traditi poiché ha deciso per tutti quanti loro, tanto che c'è del malcontento anche nella metà del Classico.
Leonardo, approfittando di quel chiasso infernale, si volta verso di me, superando con lo sguardo la figura di Diego che ci separa, e mi lancia un'occhiata che di primo acchito non so come decifrare.
È dopo qualche istante che realizzo.
La sua non è altro che un'espressione che pare urlare "non solo ho vinto, ma ho pure ragione".
Mi viene riversata addosso tutta la sua soddisfazione, tutto il suo trionfo come una doccia fredda.
Dannazione, è vero, ha ragione, è un risparmio andare in Germania anziché in Scozia, sotto molti aspetti. Eppure so bene che qualche studente non ha le stesse possibilità economiche di altri, eppure ho continuato a insistere con la mia fottuta idea, tutto pur di non dare a Leonardo il contentino.
E infatti ero in errore. Per cui fa doppiamente male!
Riesco a sostenere i suoi occhi senza dover per forza abbassare i miei, non mi volto da qualche parte. Rimango a fissare le iridi di Leonardo con le labbra serrate. Ed egli fissa le mie, con la differenza che sogghigna.
Niente da fare... sono troppo piccata, sono troppo furiosa con lui!
La gita mi stava troppo a cuore; intendiamoci, forse sarei scesa a compromessi una volta aver sentito al meglio le motivazioni e soprattutto non dalla sua lingua.
Ma no, ovvio che no!
Lui doveva fare di testa sua come sempre, tanto da non discuterne con quelli che in teoria rappresentano i suoi colleghi, ovvero tutti noi, i Rappresentanti dell'Istituto.
È il risultato di tutto quello che è avvenuto ciò che sto appena per compiere.
Lo sto facendo, e mi dispiace da morire dover ricorrere a questi giochetti ma al momento non riesco a vedere ulteriori alternative.
Mi dispiace davvero, perché non un qualcosa che Matilde Castellani, la dea Atena, farebbe.
Prendo il cellulare custodito come sempre nella tasca di qualsivoglia indumento stia indossando, apro l'applicazione di Messenger, cerco Olivia Valorosi fra la lista dei miei amici virtuali, premo sulla sua chat nuova di zecca e senza ripensamenti le invio la foto del bacio fra Leonardo e Viola.
Sapevo che prima o poi questa fotografia mi sarebbe tornata utile.
La sera del giorno stesso, dopo aver portato a termine il mio consueto turno al cinema, mi reco con Marta al supermercato per acquistare da bere, al fine poi di ritrovarci a casa di Diego per stare in compagnia.
Ci sarebbero stati Marco, Ludovico, Yousef, Thalìa e Roona, un po' il gruppetto del sabato scorso, persona in più, persona in meno.
Io e Marta siamo entrambe dinanzi allo scaffale dell'alcol, bello lucente, con i colori sgargianti e mai noioso; guardiamo, studiamo attentamente ed in rigoroso silenzio le numerose etichette al fine di scegliere la bottiglia che più ci aggrada.
È come un rito la scelta dell'alcol.
«Mi sembra ieri quando mi fiondavo come un razzo nel reparto giocattoli. E ora eccomi qua, a fiondarmi in quello degli alcolici» dichiaro sbuffando, realizzando quanto sia ironica la vita delle persone.
Soprattutto la mia, che da piccola impazzivo alla sola vista dei peluche degli animali, andavo in autocombustione appena varcavo la soglia di un negozio e speravo con ogni particella del corpo che mia madre mi facesse uscire da lì con un bucciotto soffice e morbido fra le mani. Tsk.
E ora?
Ora impazzisco alla sola vista della tequila, del rum, dello sherry, del vino bianco e rosso. Mi viene da pensare che sia quasi triste.
«Dopo una giornata del genere ce lo dovrebbero regalare l'alcol, altroché» commenta Marta con una scrollata di spalle, arricciando il naso.
«Sei riuscita ad accoltellare Emilio, poi?» le domando piegando appena il capo verso di lei, scorgendo la linea perfetta del suo profilo, ammirando il suo naso alla francese costellato di lentiggini.
L'espressione del suo viso dice tutto, «Purtroppo no, fai il favore, non nominarlo» borbotta l'altra.
«Sono confusa. Ti piace o vuoi ammazzarlo?» le chiedo sinceramente curiosa, ridacchiando senza volerlo.
«Matilde, attenta che se ti faccio io questa domanda stai peggio di me!» esclama Marta con i canini affilati che le spuntano fuori dalla bocca e le fiamme che le escono dalle orecchie.
E per poco che non mi sfugge via dalla mano una bottiglia di Malibù presa per guardarla meglio da vicino!
«La mia non era cattiveria, brutta bastarda!» faccio esasperata e sorpresa della piega che ha preso il discorso.
«La mia sì, invece» replica lei coi capelli trasformati in serpenti come quelli di Medusa, stavolta.
«Come sei irascibile...» le faccio notare preoccupata dalla sua reazione, arpionando meglio il collo della bottiglia.
«Vediamo, se ti chiedessi "ti piace Leonardo o vuoi ammazzarlo?" tu mi rifileresti un pugno! È scontato. Dunque faccio l'irascibile quanto mi pare, se permetti» mi spiega con saccenza. Tossicchiando oltretutto, non si è ripresa al cento per cento dall'influenza.
«Mi perdoni» mi arrendo roteando gli occhi.
Ho capito, con lei è impossibile fare allusioni. E questo vale anche per me. Abbiamo proprio un carattere del cazzo, tutte e due.
Successivamente interrompe la nostra diatriba lo squillare del mio cellulare.
Deve essere mio padre, mi chiama per decidere con me cosa mangiare l'indomani a pranzo visto che sarei dovuta andare da lui. Per cui, appellandomi a questa ferrea convinzione, vado ad accettare la telefonata senza guardare di striscio lo schermo, men che meno il nome che lampeggia sopra.
«Papà» dico mentre esamino con noncuranza il prezzo del Malibù.
«No, non sono decisamente tuo padre!» ringhia fredda la voce di Leonardo, talmente gelida che mi fa congelare l'orecchio.
«Leonardo!» esclamo colta dannatamente alla sprovvista e stavolta lasciando, ahimè, la presa dalla bottiglia.
Che si spacca in mille pezzi sul pavimento a pochi millimetri dalle mie scarpe. Vetro e liquido alcolico appiccicoso si riversano dappertutto formando un vero e proprio lago.
Marta, assistendo alla scena, si porta una mano alla bocca e l'altra per coprirsi gli occhi davanti a quel macello.
Cazzo! Non mi aspettavo affatto una sua chiamata! Diamine, così non va bene!
«Risposta esatta, piccola Atena, tuttavia, non vinci niente» si prende beffa di me con tono duro, «si può sapere che cazzo ti passa per la mente? È un po' che cerco di capirlo, e quando arrivo a decifrarti puntualmente mi ritrovo a partire da zero. Come adesso, ad esempio. Hai mandato quella maledetta foto a Olivia! Ma non era stata cancellata?».
Oh oh, allora la dolce donzella ha vuotato il sacco. Stranamente a me in chat non ha degnato di una risposta...
«Mi sottovaluti, forse» proferisco scrollando le scarpe da quello schifo vischioso che adesso neanche lontanamente berrei, «ho fatto come te. Almeno ora il nostro odio è rafforzato» sorrido angelica riprendendomi dalla sorpresa.
«Quello che Olivia ora prova è sicuramente rafforzato» marca egli incredulo dinanzi alla mia naturalezza.
«Dovrei dire "ops"?» enuncio allora apatica, indifferente neanche a farlo apposta.
«Dovresti farmi il favore di dirmi dove sei così che possa offenderti in tutte le lingue del mondo» tuona Leonardo autoritario.
In quell'esatto momento arriva un commesso del supermercato attirato dal chiasso del vetro che ho appena fracassato, involontariamente s'intende. «Ci penso io» mi sussurra Marta spingendomi via e scuotendo il capo.
«Non ci contare» ritorno a parlare con Leonardo, esaminando l'aggravio della situazione.
Tecnicamente non dovrebbero farci pagare il danno, basta dire che è stato un incidente non voluto. Ed è così!
«Oh, ci conto eccome dal momento che sono sotto casa tua. Vedo una luce accesa al tuo piano, magari suono il campanello e salgo» mi minaccia inesorabile dicendo quello che sembra essere la verità. Una verità terrificante.
«Fermo, non t'azzardare! Non sono a casa ora!» grido di riflesso, allarmata.
«Ma tua madre sì» è la risposta gongolante di lui.
«Fanculo!» sbotto dopo qualche secondo di silenzio, premendo le dita contro la fronte accaldata.
«Dimmi. Dove. Sei.» scandisce Leonardo inarrestabile.
«No, non è giusto! Scusami, Leonardo, "occhio per occhio, dente per dente", è così il detto. Dovevi aspettarti che non sarei stata buona e immobile» mi lamento con una voce quasi sconfitta.
«Giuro su quello che ti pare che farò in modo che saltiate la gita. Sarà un gioco da ragazzi con quello svitato di Gandolfo. Visto come è stato facile per Berlino? Bastano due complimenti, il giusto sorriso e tutta la buona intenzione del mondo» tenta di spaventarmi il ragazzo crudelmente, sferrandomi addosso un'altra minaccia, ancor peggiore della prima.
«Non lo farai...» scuoto il capo ridendo dell'evenienza.
No, impossibile. Questo non lo farà. È troppo anche per lui.
«Lo farò eccome se non ti farai trovare» m'insiste imperterrito, e talmente serio che mi fa vacillare.
Mi mordo la lingua di conseguenza, non posso mettere in pericolo la gita anche per gli altri. Se Leonardo non sta tutt'ora bluffando allora è bene che decida in fretta sul cosa fare!
Insomma, non pare abbia voglia di scherzare, è irato davvero. Neanche all'uscita degli Uffizi aveva questo tono di voce!
Mamma mia... come sono combattuta.
Perché devo sempre cedere? Perché non riesco a impormi? Devo sempre sottostare a lui, al suo modo del cazzo di ricattare per ottenere ciò che vuole. Ed è una sensazione che faccio fatica ad accettare.
«Sono nel supermercato dietro casa» confesso con un certo sforzo, grosso quanto Palazzo Pitti.
«Bene, non muoverti», e come d'abitudine, ormai, mi attacca.
Dopo aver spiegato brevemente a Marta che devo per forza maggiore fare una cosa - questione di vita o di morte - e dopo averle giurato che sarei venuta da Diego da sola con la mia auto, esco dal supermercato tirando su la zip del giacchetto che avevo momentaneamente slacciato per via del calore all'interno del negozio.
Mi trovo la Volvo nera di Leonardo parcheggiata a pochi passi dall'entrata, oltre che un freddo cane.
Il ragazzo dai capelli biondi è poggiato con la schiena sopra la porta del passeggero ovviamente chiusa, le mani infilate nelle tasche della lunga giacca che gli ho visto addosso tutte le volte che ce l'ho avuto sotto tiro.
Appena mi vede uscire dalle porte scorrevoli mi scruta attentamente come un predatore, affilando entrambe le iridi.
Io mi limito a ricambiare la sua occhiata tenendo le braccia conserte, che considero anche una posizione difensiva. Non sono minimamente intenzionata a scusarmi, questo è bene che lo intenda a prescindere senza farsi troppi film mentali. Anzi, se solo osa anche chiedermelo sono pronta a saltargli addosso - come avrei fatto volentieri stamattina - e staccargli la testa, per poi bruciarla.
Ma badate che è una roba incredibile questa!
Questa sua mania di sapere dove mi trovassi, questa ossessione di volermi sempre dire le cose a voce la trovo assurda, le trovo assurde entrambe.
«Ti denuncio per stalking» esordisco irritata dalla scia degli eventi, soprattutto non sapendo cosa dire.
«E io per violazione della privacy» obietta Leonardo veloce, piegando le sopracciglia in una smorfia contratta e intimidatoria.
Un'altra pausa di silenzio s'insinua fra di noi.
Ho terminato le parole logiche, soprattutto quelle intelligenti. Non vorrei dar lui l'ennesima soddisfazione, ossia quella di sparare stronzate prive di senso.
Un susseguirsi di suoni dovuti al traffico serale mi rimbombano nelle orecchie, clacson, rombo di motori, frenate brusche. La vita di Firenze che scorre a dispetto dei problemi dei suoi abitanti.
«Hai combinato un bel casino» mi fa notare Leonardo piegando il ginocchio destro e poggiando la suola dello stivale basso sulla carrozzeria della macchina.
«Non ho iniziato io» rispondo rapidamente scrollando le spalle.
«Ma lo hai voluto e questo basta» dice chiaro e tondo, ricordandomi la palese richiesta che gli ho fatto dopo il Blue Velvet, nel bel mezzo della notte.
Cazzo, ha nuovamente ragione. Comincio a essere stufa...
«Offendimi in tutte le lingue del mondo e poi vattene» gli ordino acida distogliendo lo sguardo, non volendo ascoltare la conseguenza delle mie parole.
«Perché hai preferito mandare la mia foto con Viola anziché raccontarle del bacio che ci siamo scambiati non una, ma ben due volte?» parla categorico Leonardo, alzando il mento.
«Come perché?» ripeto meravigliata.
Davvero Leonardo si aspettava che sarei andata a sbandierare il nostro bacio ai quattro venti? A Olivia? Tsk, andiamo!
«Ora lei non solo odia me, ma odia anche la sua amica» spiega il dio del Classico riferendosi a Viola Angeloni, «questo tuo gesto mi fa quasi pensare che sia stato fatto per gelosia». E uno strano luccichio va a illuminare le sue iridi irreali. Un non so che di lussuria.
«Per... gelosia?» ribatto facendo finta di non aver sentito, a metà fra l'inorridito e il divertito.
«Gelosia di Viola, di Olivia, di qualsiasi altra che non sei tu» dichiara Leonardo convinto delle sue parole.
Ebbene mi ritrovo a sorridergli come fosse un bambino ingenuo, «L'Assemblea di oggi ti ha dato alla testa, eh?» ridacchio, anche se effettivamente, pensandoci bene, ammetto di essere stata troppo appagata nell'aver mandato quella foto a Olivia.
Leonardo scuote la testa, agitando i ciuffi sottili e si mette a ridacchiare come me. «Ammettilo, perché è evidente che sia così» ghigna seppur con quel sottile filo di autorevolezza.
Mi mordo il labbro inferiore appena sento pronunciare codesta frase. «Nah, io non credo».
«Dillo, sii brava» si ostina.
Lentamente mi avvicino, stando molto attenta a non inciampare, sorrido di pura beltà, come se fossi la persona più pura e casta di questo mondo, e sbatto con grazia le palpebre prive di trucco.
«Tu puoi pomiciare, scopare e quant'altro con chi ti pare. Il capitolo "Atena" è ufficialmente chiuso» narro spavalda in modo da farmi udire solo una volta e di non dovermi ripetere.
«Ma guardati, fai tanto la difficile e poi eccoti qua, di nuovo davanti a me» mi canzona Leonardo facendomi notare qualcosa che secondo lui avevo ignorato.
«Sotto ricatto è capace chiunque di ottenere quello che vuole» realizzo mostrando i denti.
«Pensala come vuoi, eppure sei qui» sorride altezzoso, più altezzoso del suo standard.
Dio beato, come lo odio! Non lo sopporto più! Qualcuno lo investa! Qualcuno gli faccia cadere un vaso di fiori su quella sua testa bionda! Una fioriera intera, anzi!
«Infatti me ne vado» obietto decisa, ma senza muovere un solo muscolo.
«Non lo farai».
«Lo faccio, ti dico».
Leonardo allunga la mano fino a toccarmi con delicatezza il mento, alzandomelo verso l'alto, verso di sé. La sua mano è maledettamente ghiacciata.
«Sei ancora qui» m'informa sussurrando, andandomi inevitabilmente a deliziare l'udito.
Mi rimetto nuovamente a braccia conserte senza sfuggire al suo tocco, guardando al tempo stesso la sua rara eterocromia oltre la lente rotonda dei suoi occhiali e m'incanto, lasciando che mi ammali con la sua bellezza.
Quasi!
«Smetti di confondermi le idee. A differenza tua, mi servono!» sbatto le palpebre ricomponendomi e opponendomi alla presa, anche se lui non fa altro che avvicinarmi di più.
«Ti voglio dire» comincia a pronunciare con un'espressione talmente seria da non farmi venire la malsana idea di interromperlo, «che ti voglio dire, che ti voglio dire, che voglio dirti, che ti voglio dire, che ti voglio».
E si zittisce dopo aver citato la poesia di Timur Kibirov, "La Dichiarazione".
Il sangue mi si gela nelle vene, smetto di respirare, smetto di vivere.
«S-sicuro che non volevi offendermi in russo?» balbetto con le guance bollenti, sicuramente con due rose sbocciate al posto delle gote.
«Considerala come un'offesa» formula Leonardo a pochi centimetri dal mio volto. Con il suo naso che sfiora il mio.
E per finire, come se tutto questo caos non bastasse, dal supermercato alle nostre spalle fuoriesce Marta tutta impettita e furibonda.
In mano stringe un pacco d'uova oltre che una bottiglia di vino rosso. Ha i capelli argentati legati lì per lì con un elastico a mo' di coda di cavallo ed ha veramente uno sguardo inviperito.
«Adesso vedrà che cosa gli aspetta a quel voltagiubbe! Ci faccio una frittata con lui! Lui e il suo teatro del cazzo, lo faccio svergognare davanti al pubblico, lo faccio svergognare! Gli faccio vedere che cosa vuol dire far incazzare una dell'Artistico» borbotta senza neanche averci visto, né a me, né a Leonardo.
Non nota neanche lontanamente la vicinanza terribile dei nostri visi. Marta è troppo impegnata ad andare da Lunanuova a dargli una lezione coi fiocchi.
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