22. Sagra dei matti da legare e delle annesse stronzate
Lo sguardo di Ludovico è oltre ogni dire concentrato su di me, la sua attenzione è focalizzata sulla mia faccia completamente assente e distante da lì, da quel tavolo, da quel soggiorno, da quella casa.
L'arredamento della casa di Ludovico Auditore è particolarmente propenso a pareti bianche, mobili dal colore castano e con una punta di antico nelle rifiniture, tappeti ricamati con maestria, mobiletto per gli scotch e per le bottiglie di alcolici in bella vista e decisamente equipaggiato, tende tonalità ecru, un imponente orologio a pendolo che scandisce con precisione il passare dei secondi, dei minuti, delle ore, un camino dal marmo pulito e lustrato con un modesto fuoco acceso per riscaldare l'ambiente, specchi rotondi e piccoli quadri appesi al muro e morbidi divani color verde scuro.
Nessuna foto di famiglia in vista, nessuna foto che ritrae Ludovico oppure Celeste.
Ma non è che me ne importi chissà quanto, in questo momento, di vedere fotografie di un Ludovico poppante o con lo zainetto delle scuole elementari.
No, non m'interessa per niente.
Come nemmeno mi sta interessando quello che stiamo facendo adesso, ovvero studiare storia dell'arte.
Siamo seduti ai lati di un lungo tavolo dal legno scuro, situato proprio in fondo al soggiorno del ragazzo.
In cima a cotale tavolo, esattamente dall'altro capo, vi è Celeste intenta a svolgere i compiti di latino accompagnata da un grande e pesante vocabolario. La ragazzina è china sul quaderno dove sta scrivendo con mano decisa seppur meticolosa parole di una lingua passata, sbirciando di tanto in tanto sull'enorme blocco di pagine accanto a sé, i capelli che le cascano di lato dolcemente sopra il foglio.
È concentrata, lo conferma la piccola ruga formata al centro della fronte, di preciso poco più in su delle sopracciglia, di conseguenza non bada a noi. Non bada a suo fratello e all'amica del fratello. Non bada a me che sto cercando di far preparare Ludovico in vista del compito con risultati scadenti, per non dire di merda.
Ma stavolta la colpa non è soltanto del ragazzo, che si ostina a darmi risposte sbagliate senza ragionarci un po' sopra; stavolta la colpa è anche mia, in buona parte peraltro.
Con il corpo, con il fisico, sono qui, mi trovo qui, seduta su questa sedia di pelle, riversa sopra la superficie del tavolo puntandovici sopra i gomiti, dinanzi a un Ludovico senza speranze; però purtroppo con la mente, con la testa, con i pensieri, sono tutta da un'altra parte.
Lontano, via da lì, da quella casa e dal mio dovere promesso.
Come lo so? Come faccio a esserne così sicura? Be', è molto semplice e facile da comprendere.
Ludovico mi ha appena rifilato una stronzata epocale come risposta e io me ne sono accorta a malapena, anzi, non ho nemmeno protestato, non mi sono incazzata, né quantomeno sbuffato.
Addirittura Celeste, che fino a ora non ci aveva calcolato di striscio, alza il proprio volto nella nostra direzione e non può trattenersi dall'inarcare un sopracciglio. La visione di me che me ne sto in silenzio tombale e con espressione priva di lucidità di fronte allo sfondone del fratello deve esserle parsa un'anomalia alquanto evidente.
Pertanto, lungi da me farlo come un dispetto, non posso fare a meno di ripensare alle parole cariche d'odio di Leonardo pronunciate questa mattina in uno dei luoghi che più amo, al fatto che mi abbia dato ragione sulla questione dell'anormalità di quello che stavamo facendo, del nostro "rapporto", a quando mi ha dato per la millesima volta della Fattona, al come mi abbia paragonata alla feccia più schifosa con un semplice e gelido sguardo, tanto basta a farti sprofondare nello sconforto più totale.
Ripenso a quando siamo usciti dalla Galleria degli Uffizi senza neanche guardarci minimamente negli occhi, nemmeno per sbaglio: lui con le mani ficcate nelle tasche della lunga giacca, io con le braccia strette al petto in una morsa di pura chiusura, sia verbale che visiva.
Appena abbiamo messo piede fuori da quel luogo – che d'un tratto era apparso stretto e soffocante, causandomi un senso di dispiacere, rammarico e terrore tutto insieme –, egli si è acceso una sigaretta dandomi completamente le spalle, la minima occhiata era esclusa.
Poi si è deciso a parlare, poiché fino all'uscita non si era sognato di proferire frase, nemmeno la più breve e insignificante.
«Veditela da sola con Claudio. Puoi anche ucciderlo, non m'importa. Non è un problema mio. E sappi che dentro al Caravaggio le cose non sono cambiate, nemici come prima» ha enunciato con il fumo che gli usciva dalle labbra, con una tale voce irriconoscibile che mi ha fatto rabbrividire, così distaccata da far gelare le membra.
Sentitami punta nel vivo e privata in un certo senso della mia dignità, ho sciolto le braccia dall'incastro sotto il petto e le ho fatte scendere giù, lungo i fianchi, stringendo le mani in due pugni ben tesi. L'esempio di ciò che stavo provando.
Ho aggrottato la fronte in una smorfia di palese alterazione e indignazione, ho piegato gli angoli della bocca talmente tanto da dimenticarmi come si fa per sorridere.
Per tutta risposta io ho urlato, come al solito esagerando, superando i limiti. Ho urlato in mezzo alla gente, in mezzo ai passanti, in mezzo ai turisti senza la minima vergogna.
«Ma sì. Vattene pure affanculo, Perfettino del cazzo!» ho gridato battendo un piede per terra.
Parole dure, affilate quanto quelle pronunciate da lui, sbagliate da dire in quella situazione delicata, efficaci di conseguenza. Dopotutto, volevo allontanare Leonardo e non viceversa.
Non lo volevo vicino.
E giustamente lui si è allontanato, avviandosi in direzione della Piazza della Repubblica, facendo intendere che non sarebbe risalito a bordo con me in macchina. Si è allontanato senza cedere alla mia provocazione, probabilmente qualora l'avessi ferito non l'avrebbe mai e poi mai mostrato.
Non mi avrebbe mai fatto dono di questa soddisfazione.
Dopo tutto quell'accaduto, dopo tutte quelle coltellate verbali, dopo l'indifferenza, sono rimasta in piedi impalata in mezzo alla via. Il respiro affannato nonostante non avessi mosso un muscolo.
Mi sono sentita... arrabbiata, in qualche modo amareggiata. Ero in guerra con me stessa.
Ho ottenuto quello che volevo, ho vinto, eppure mi sono sentita lo stomaco chiuso, la mente come schiacciata da una folta nebbia. Mi sono sentita insoddisfatta.
Insoddisfatta di un qualcosa di indecifrabile, poiché la risposta al mio malessere non è sorta in uno schiocco di dita. Mai sorgerà, forse.
Mi sono accesa una sigaretta a mia volta, prendendone una generosa boccata di fumo, assai generosa, e mi sono infilata le cuffione sopra le orecchie, premendo con ossessione al fine di farle aderire meglio possibile. Necessitavo di silenzio, necessitavo di solitudine in mezzo a tutta quella miriade di persone.
Un bel problema rimanere sola in una città con una soglia di trecentottantamila abitanti... l'unica soluzione plausibile è stata la musica. La vera soluzione a ogni problema esistenziale.
Senza neanche pensarci ho fatto partire "My way" dei Limp Bizkit e con passo lento quanto affranto, strascicato, mi sono diretta verso il muretto che costeggia l'Arno al fine di arrampicarmi e di sedermi su di esso.
Ho piegato le ginocchia fino al petto, stringendo come se abbracciassi una persona... e in fin dei conti qualcuno stavo abbracciando, stavo abbracciando Me.
Ho poggiato il mento sopra la superficie delle calze a rete e ho lasciato che un lamento sofferto e tormentato lasciasse le mie labbra.
Sono rimasta lì sopra per un po', ascoltando con attenzione il testo della canzone che mi rimbombava melodiosa nelle orecchie.
"Solo un altro litigio per colpa di un sacco di cose
e io abbandonerò tutto
per essere di nuovo per conto mio".
Ho pensato, con un groppo in gola, a come Leonardo abbia ignorato bellamente quel "un sacco di cose", a come abbia ignorato quel fottuto dettaglio ossia le metà a cui apparteniamo: io Artistico, lui Classico.
Ho pensato a come abbia scordato che noi ci detestiamo per natura, ha dimenticato che non ci risparmiamo reciproche angherie e vendette varie. Egli ha troppo ignorato l'abissale differenza di carattere e di modo di vedere le cose.
"Un giorno vedrai le cose a modo mio
perché non si sa mai
dove andrai
Un giorno vedrai le cose a modo mio".
Un altro sospiro ha lasciato le mie labbra, di fronte a quell'eventuale ipotesi: Leonardo non vedrà mai le cose a modo mio, e probabilmente neanche io potrò.
Mi è persino scesa una lacrima per quella riflessione così triste e amara. Una sola lacrima salata.
Mi sta così a cuore l'uguaglianza e l'accettazione del modo di pensare del prossimo, quando mi sono appena resa conto – in quell'esatto istante, sopra il muretto accanto al fiume Arno – che io sono la prima a non esserne... capace.
Quando l'ho realizzato ne sono rimasta talmente delusa e affranta che a malapena respiravo tanto singhiozzavo.
Dannazione, quanto è dolorosa la verità.
Soprattutto quella che scopriamo riguardo noi stessi, i noi che celiamo al nostro interno.
All'improvviso, senza assolutamente aspettarmelo, un qualcosa di freddo e ghiacciato mi si posa sulla guancia rovente, ridestandomi così dalle spire cupe delle rimembranze e delle riflessioni. Sbatto le palpebre un paio di volte prima di ritornare a contatto con la realtà e con l'ambiente intorno a me, dove mi sto trovando attualmente.
Ludovico non è più seduto sulla sedia intento, o almeno facendo finta, di studiare storia dell'arte, bensì è in piedi accanto a me, vicinissimo, che mi tiene incollata al volto una lattina congelata di Red Bull.
Il ragazzo mi osserva con espressione priva di emozione, un cliché se si parla di Ludovico.
Gli angoli della bocca sono piegati all'ingiù, in un sorriso inverso. Le iridi mi scrutano a fondo superando la soglia della normale durata di un'occhiata. Per Ludovico queste convenzioni sociali sono quantomeno inutili, e ciò potrebbe anche essere un bene.
«Ti sei incantata» mi fa notare senza farlo sembrare un rimprovero. Una banale constatazione.
«Hai dormito fino a tardi stamattina? A scuola non c'eri» aggiunge dopodiché, alludendo alla mia assenza voluta.
Prima di rispondere a questa semplice e misera domanda afferro con uno scatto la Red Bull sospesa a mezz'aria appiccicata alla mia pelle, la apro facendo leva sulla linguetta di metallo apposita e ne prendo un sorso, nonostante sia bene a conoscenza di quanto mi faccia schifo questa bevanda imbevibile.
Infatti con la mano mi vado a coprire l'estremità delle labbra, strizzando gli occhi in segno di disgusto mentre il liquido scende oltre le pareti della gola.
«Hai un goccio di qualcosa di più forte?» chiedo al ragazzo poggiando la lattina sopra il tavolo, con l'intenzione di non toccarla mai più, «Che so, qualcosa come del rum o del whisky».
La verità è che l'istinto di ingurgitare qualcosa di forte mi è sorta appena Ludovico mi ha risvegliata dalla trance, ho reagito d'impulso bevendo dalla lattina, la verità è che vorrei qualcosa di diverso. Qualcosa che mi dia una scarica per ritornare tra i vivi. Per cui, la mia, è quasi una supplica.
Ludovico, senza dire niente di niente, mette in moto le proprie gambe e si dirige verso il mobiletto delle bottiglie, quello che mi ha subito catturato l'attenzione appena entrata qui dentro.
Apre con sicurezza le ante di quest'ultimo e ne estrae un calice da spumante dalla forma familiare, dopodiché afferra una bottiglia incastrata dietro le altre svitandole il tappo, del rum comincia a cascare dentro il bicchiere di vetro. Ne versa il liquido maldestramente, riempiendo la coppa fino all'orlo.
Un po' troppo anche per i miei standard ma dal momento che è offerto non ho intenzione di rifiutarlo.
Infine Ludovico mi porge con la stessa espressione di poco fa il suddetto calice strapieno, continuando a rimanere in silenzio così come rimane in silenzio anche sua sorella.
"Alla salute", penso fra me e me prima di agguantare l'elegante bicchiere.
Ne bevo due lunghi sorsi, finendone la metà. Non mi sottometto al bruciore che mi causa nelle viscere della gola, non cedo al saporaccio che mi rimane sul palato. Butto giù e sto zitta in segno di trionfo.
E, se non altro, ora sì che sono ritornata coi piedi per terra: in questo soggiorno e con le chiappe posate su questa sedia.
Sistemo il calice con il liquido ancora in attesa di essere consumato accanto all'astuccio dove fanno capolino tre evidenziatori di tre colori diversi, prendo un lungo respiro e mi ravvivo i capelli sciolti gettandoli oltre le spalle.
«Forza, riprendiamo a studiare» invito Ludovico a ritornare a sedersi e procedere con quanto dobbiamo fare.
Il bello di questo strano e particolare ragazzo è che non fiata, non dice mai qualche parola o frase di troppo, anzi, parla veramente poco, il suo è uno di quei rari silenti rigidi e imponenti. Anche se tace, è come se mi avesse risposto con mille vocaboli.
Pian piano ci sto facendo amicizia con questo suo modo di comportarsi, unico e raro.
Senza alcun altro intoppo di vario tipo psicologico – ossia pensieri non benvenuti e rimembranze soffocanti –, riusciamo a riprendere da dove avevamo lasciato, o meglio, da dove io avevo lasciato lui.
Riprendiamo a studiare l'Espressionismo e purtroppo mi metto in modalità di "professorina frustrata, severa e largamente stronza", bacchettando il ragazzo per ogni minimo errore, riprendendolo con eccesso rigore e non necessaria autorità.
Dopo venti minuti d'orologio, contati grazie al pendolo che scandisce il tempo con ogni rintocco, sono costretta a tirarmi indietro con la sedia spingendomi con le gambe, allontanandomi dal libro e dai miei vari appunti scritti. Interrompo nuovamente lo studio ma stavolta per un motivo assai diverso.
Allungo una mano in avanti, come a precedere quello che ho intenzione di dire.
«Ti chiedo scusa» pronuncio mordendomi il labbro inferiore guardando negli occhi Ludovico, che perlomeno non ha dato segni di preoccupazione per il mio comportamento da pazza, «mi sto comportando da stronza con te senza motivo. La verità è che sono arrabbiata, ma non con te. Ho sbagliato».
Ed è giusto così, è giusto che io mi sia scusata per quanto possa servire.
Sono incavolata, sono incazzata, sono adirata, e ciò mi ha fatto credere che fosse giusto prendersela con Ludovico, che fosse giusto sfogarsi con lui.
Quando no, non è giusto per un cazzo. La devo smettere di prendermela con coloro che non c'entrano nulla e che non hanno alcuna colpa.
«È normale che in amicizia venga riconosciuta la stronzaggine con così tanta naturalezza?» fa Ludovico mostrando un serio dubbio al riguardo.
Dunque ho ragione, ho inteso bene: mi sono comportata da perfetta stronza con lui. Se è riuscito a notarlo allora vuol dire che non ho paranoie.
Ma perché è stato zitto e non si è ribellato?
Tuttavia, di fronte alla sua domanda così ingenua, mi viene da ridere.
Emetto una risata seriamente divertita e mi accorgo che per tutta la durata della nostra compagnia io non ho fatto il più piccolo accenno di un sorriso. Sono rimasta con il "broncio" – se così si può intendere l'apatia – per tutto il tempo. Quanto sono odiosa.
«Non è proprio una cosa ricorrente nelle persone» ridacchio soddisfando la sua curiosità, «devi sapere che io ho un talento innato nel farlo, sono speciale».
«Sto notando il tuo essere diversa dalle altre» mi fa presente egli giocherellando con la matita e non posso fare a meno di prenderlo come un complimento.
Mi piace quando qualcuno mi dice che mi trova diversa da tutto il resto. È una questione personale.
«Comunque, ho davvero a cuore che recuperi quel brutto voto a storia dell'arte» pronuncio con sincerità e accennando un lieve sorriso, alzando l'angolo sinistro della bocca.
Come Ludovico sta per dire qualcosa, il mio cellulare comincia a squillare dalla tasca del mio giubbotto, ovviamente sono tenuta a rispondere. Il nickname DarthMart brilla come non mai sul display; già, quasi mi sono dimenticata di avere un'amica del cuore.
Ad ogni modo sono quasi riluttante ad accettare la sua telefonata, ho paura di quello che mi vorrà chiedere, ho paura di quello che dovrò rispondere. Ciononostante io non sono una codarda, Matilde non scappa via a gambe levate e con la coda fra le gambe, Matilde cerca di affrontarli i problemi.
Quindi premo il polpastrello del pollice sopra il cerchietto verde e do il permesso a Marta di parlare con la sottoscritta.
«Pronto?» procedo con la parola di prassi.
«Hi, Mats! Sei da Ludovico?» mi saluta tutta allegra, «Come sta procedendo con lo studio? Grande impresa o grande farsa?».
«Ciao, sì, sono da Ludovico. Lo studio va, in qualche modo» spiego con un sospiro.
«Cioè, Matilde, stamani ti sei persa uno spettacolo mozzafiato!» esclama Marta ignorando la mia risposta, e sono quasi sicura che mi abbia chiamata non proprio per chiedermi dello studio con Ludovico, «La principessa Olivia frignava come non mai. Le colava persino il moccio dal naso e dovessi vedere le sue amichette come la consolavano. Chissà che cosa le è successo. Dio, pagherei fior di euro per saperlo» m'informa come se fosse la cosa più bella mai accaduta durante l'anno.
Be', tuttavia non ne rimango chissà quanto colpita dal momento che sono stata io a ridurla a quel modo. In un'altra occasione avrei urlato dalla gioia, probabilmente. Sicuramente ora non mi viene spontaneo.
«Wow. Da paura» replico sforzandomi di apparire quantomeno contenta, spero di riuscirci senza destare sospetti.
«A proposito, stasera vogliamo vederci prima o dopo che vai al lavoro?» DarthMart ritorna all'attacco, ricordandomi che stasera avrebbe voluto stare in compagnia.
«Ehm, Marta, possiamo rimandare la serata a domani? Sai, stasera non è che abbiamo chissà quanto tempo disponibile» tento di spostare questa benedetta serata, tento di non farla cadere in questo giorno così nero e pieno di emozioni.
«No, no, no e no. Diego è troppo sulla luna per via di quel libro e poi io sono troppo curiosa di sapere cosa hai da raccontarmi! Insomma, non si può rimandare» borbotta Marta alquanto irremovibile sulla decisione.
Porca puttana! Devo anche raccontarle del perché non sono venuta a scuola stamattina. E la colpa è tutta mia visto che sono stata io a proporglielo. Non posso tirarmi indietro ora, non posso, non mi è consentito.
Sicché riprendo in mano il calice di rum con quella libera e finisco di scolare il liquido all'interno con due lunghe sorsate, molto più lunghe.
Oggi ho proprio bisogno di un qualcosa che mi sproni.
«E va bene!» grido tossicchiando a causa del bruciore, «A casa mia alle dieci e quaranta, dopo il turno!».
Ebbene, ho deciso. Ho deciso di vuotare il sacco. Sì, perché comincio a essere stanca di tutti questi sotterfugi alla Trono di Spade, tutti questi segreti celati e verità nascoste.
Io non voglio passare per Ditocorto, né tantomeno come una Cersei. E poi, se Marta è veramente mia amica allora non mi giudicherà, non oserà farlo.
Fanculo, accetto anche la presenza di Diego, fanculo se sentirà anche lui ciò che ho da rivelare, fanculo.
Li vedrò entrambi e a entrambi racconterò la medesima cosa, nessuna scappatoia, nessuna via di fuga, nessun segreto. Basta segreti.
Basta, perché io mi sto logorando dentro e ciò va a discapito per quello che esce dalla mia bocca e per come scelgo di agire. È come un ciclo, come un gioco a ripetizione.
Dopo aver chiuso la telefonata con Marta, lancio letteralmente il cellulare sopra il tavolo facendo sussultare di spavento Celeste, che squittisce come un piccolo scoiattolo di conseguenza. Mi metto più comoda sopra la sedia e comincio a fissare a Ludovico in parte grazie all'aiutino del rum.
Lo fisso intensamente senza distogliere l'attenzione, esattamente come fa lui sempre, e nel frattempo prendo una decisione, faccio una scelta.
«Stasera vieni anche tu a casa mia insieme agli altri» enuncio con un mezzo sorriso crudele, dovuto ai fumi che mi stanno otturando la mente, «porta la bottiglia di rum perché ne avrò sicuramente bisogno!».
Rincaso per l'esattezza alle dieci e mezza, infilo le chiavi nella toppa della porta consapevole di essere ritornata a casa divinamente puntuale.
Apro l'uscio e lo richiudo alle mie spalle togliendomi il giacchetto, lasciando che il calduccio dell'appartamento mi accolga come si deve. Appendo l'indumento sull'appendiabiti e ripongo le chiavi di casa dentro il piccolo zainetto che porto sempre via quando esco.
Faccio qualche passo e lancio un'occhiata a sinistra, oltre l'apertura senza alcuna porta che sta sulla parete, in modo da dare un ingresso libero ed arioso al soggiorno.
Trovo mia madre a guardare la televisione con la luce accesa, sistemata comoda con tanto di plaid sopra il divano, e, naturalmente, con Marsellus a sonnecchiare accanto alle sue gambe. Uno spettacolo di pura dolcezza.
«Sono tornata» esordisco con delicatezza avanzando ancora un po', allentandomi il papillon della divisa.
«Oh, bentornata, Mati! Com'è andata al cinema?» mi saluta ben contenta di vedermi Adele, abbassando il volume del film.
«Uhm, normale» le racconto facendo spallucce, «Jevanni sempre oltremodo gentile e tremendamente mieloso, Violetta sempre melodrammatica al nostro scambio di turni e non troppa gente. Che cosa guardi?» poi chiedo io.
«Gioventù bruciata. Questa sera mi sento in vena di pura ribellione e di puro dramma. E poi James Dean è stata la mia cotta adolescenziale, motivo in più» replica la mamma con un occhiolino malizioso.
«Ah, James Dean, il ragazzo bello e dannato... una delizia per gli occhi» convengo io con uno sguardo scaltro eloquente.
«Puoi dirlo» annuisce Adele convinta, «ah, prima che mi dimentichi, devi richiamare tua nonna Fauste. Ha telefonato all'ora di cena ma tu eri al lavoro, ha detto che deve dirti una cosa piuttosto importante» m'informa cercando di sovrastare il russare di Marsellus.
«Lo farò, ma non ti ha proprio detto che cosa volesse?» ribatto grattandomi il naso e ora piuttosto incuriosita.
«No, tua nonna è fantastica per questo, non le piace che le sue cose le vadano a dire gli altri e questo discorso vale addirittura per sua figlia», mia mamma alza gli occhi al cielo scuotendo il capo ormai arresa da anni.
«La chiamerò e mi toglierò il dubbio», alzo le mani senza insistere, «inoltre, prima che vada in camera mia, ti avverto che i miei amici saranno qui a momenti. Ce ne staremo buoni e possibilmente innocui» la informo che tra pochi minuti Marta, Diego e Ludovico avrebbero suonato il campanello, dunque non la faccio trovare impreparate dinanzi all'evenienza.
Di fronte al mio avvertimento Adele fa spallucce e si stampa in volto un'espressione mista fra l'indifferente e l'ironico, «Fin tanto che non date fuoco alla casa, che non evocate un demone con un rito di sangue e che non praticate un esorcismo io sono tranquilla e non vi starò fra i piedi» commenta melodrammatica.
Appena termina la frase decisamente fuori dagli schemi e oltremodo divertente, tanto da farmi sogghignare, il campanello di casa suona. Senza neanche sollevare il citofono per accertarmi chi si trovi di sotto davanti al portone, premo il bottone che fa sì che quest'ultimo si apra. Tanto so già di chi si tratta.
Dopodiché ritorno all'uscio dell'appartamento e lo tiro verso di me in modo da fargli trovare fin da subito l'ingresso libero. Mi affaccio sul pianerottolo che condivido con il signor Cornelio quando sento le voci dei tre più alte della norma, e grazie all'eco delle scale riecheggiano maggiormente.
Mi auguro che quella bamboccia di mademoiselle Rossini non faccia storie altrimenti giuro che scendo fino al suo piano e la strangolo con le mie stesse mani!
Comunque sia, a quanto pare, i miei tre amici pare stiano... discutendo? Le loro frasi hanno tutta l'aria di somigliare a un evidente battibecco.
«Grazie alla vostra stazza non possiamo prendere l'ascensore! Ora mi tocca fare le scale a piedi!» sento borbottare Marta mentre mi affaccio per la rampa di gradini.
«Fossimo stati in due sarebbe stato perfetto!» ringhia per contro Diego alludendo a lui e a DarthMart, chiaramente scocciato della presenza fuori programma di Ludovico.
Mi fanno ridere, nonostante tutto, sembrano proprio tre bambini e non tre liceali maggiorenni.
«Fossi stato solo io sarebbe stato ancor meglio!» ribatte per contro Ludovico, facendo ridere sotto i baffi ancora di più.
Malgrado io debba loro una sincera e sofferta spiegazione, malgrado io sia leggermente in ansia per questo, non posso non affermare che mi siano mancati, non posso non affermare che le loro voci infastidite mi stanno facendo venire il buon umore. Mentirei.
Addirittura sento di stare a riacquistare più vigore, al cinema ero proprio un morto che neanche si sforzava di sorridere. Per cui sono al tempo stesso preoccupata e felice.
Appena il golden trio giunge dentro il mio appartamento e dopo aver richiuso senza fretta la porta, mi volto verso di loro con le mani fissate sui fianchi, guardandoli con un sopracciglio inarcato.
«Cioè, alla vostra età davvero litigate per un ascensore?» li rimprovero cercando di non scoppiare a ridere.
«Oh no, io mi lamento soltanto della loro presenza» recita Ludovico fulminando Marta e Diego con gli occhi, e subito dopo m'infila fra le mani senza tanti complimenti la bottiglia di rum espressamente richiesta.
«Perlomeno qualcosa di utile l'hai portato» borbotta Diego sarcastico indicando il "dono" di Ludovico.
«Perché, tu cos'hai portato oltre alla tua voce fastidiosa?» brontola l'altro assieme ad un ringhio, in vena di provocazioni.
Allora il ragazzo dai dreadlocks rossi si cancella dalle labbra quella smorfia di disappunto e spazientimento per poi sostituirla con un sorrisino davvero, davvero furbetto. Quasi altezzoso.
Diego si porta una mano all'interno del giacchetto sbottonato e ne estrae alla luce del sole una bustina trasparente di erba, agitandola gagliardo sotto le iridi di Ludovico.
«Poi non la finite tutta eh, Diego. Magari lasciane un po' anche alla padrona di casa anche» s'intromette di punto in bianco mia madre, che senza accorgercene si è alzata dal divano ed è venuta ad appoggiarsi contro lo stipite del divisorio fra soggiorno e corridoio. Un bel ghigno sfoggia con sicurezza la cara mammina.
Diego non è affatto intimidito dinanzi alla strampalata richiesta di Adele, anzi, perfino s'inchina. Non è la prima volta che mia madre "usufruisce" dei nostri... passatempi.
«Naturalmente, miss Adele. Ne farò una anche per voi» recita Diego fingendo di riferirsi a una nobile. Dopodiché si gira verso di me e con una gomitata giocosa mi dice, «Dio, quanto amo tua madre, Mats».
«Non immagini io» replico per niente a disagio, soddisfatta di avere una mamma con la mente aperta e poco scassapalle.
Non che sia a favore delle droghe, sia chiaro, ma non disdegna affatto qualche cannetta benefica ogni tanto. Dice che le distende i nervi.
Una volta fatta la promessa a mia madre di rollare una canna anche a lei, ci accingiamo a dirigerci nella mia stanza con Marta che ovviamente ci precede a passo spedito, desiderosa di mettersi Vivaldi sopra la sua spalla.
Okay, ci siamo.
Il momento tanto temuto e atteso sta arrivando. Una volta che saremo dentro la camera, dovrò prepararmi a confessare tutto ai miei amici, Ludovico compreso, e mi duole dire che l'ho invitato principalmente in veste di "cuscinetto" oltre che da "amico".
Diamine, ammetto che comincia a battermi forte il cuore appena varchiamo la soglia della stanza, comincio ad avvertire una certa tensione. Dopo essere stata l'ultima a entrare, mi accerto di chiudere bene la porta e prendo un bel respiro, il primo di una lunga serie. Quando mi volto verso di loro li studio con cura e minuzia, affilo lo sguardo stringendo le palpebre.
DarthMart si è bellamente stravaccata sul letto a gambe incrociate ed è alle prese con Vivaldi, regalandogli moine e paroline zuccherose varie, Ludovico si è accomodato sopra il grande tappeto in mezzo all'ambiente mentre Diego si è seduto alla scrivania, intento a rollare non più tre ma ben cinque canne (quella di Adele compresa nel pacchetto). I suoi dreadlocks vanno a sfiorare la superficie dove si trovano tutt'ora cartine, tabacco, erba e filtri al posto di libri, quaderni, penne, matite, colori e righelli.
Diego ci si sta mettendo d'impegno, lodevole la sua espressione concentrata e scrupolosa, così come la maestria delle sue dita.
Abbasso senza accorgermene lo sguardo verso la mia mano, che sta stringendo ancora la bottiglia di rum portata da Ludovico, e verso la mia divisa da lavoro ancora non sostituita magari con una tuta.
Ma che importa, rimarrò vestita così. I miei amici non hanno mai fatto assolutamente caso alla mia mise, di certo non cominceranno questa sera.
«Marco dov'è? Perché non è venuto?» domando dopo essermi resa conto che manca qualcuno.
«È alle prove con la sua band» risponde prontamente Marta senza smettere di grattare il sotto becco di Vivaldi, «Veronica è andata addirittura a sentirli».
Subito dopo che Marta pronuncia la parola "band", Ludovico, che ha preso a dondolarsi in avanti e all'indietro, mi lancia un'occhiata d'intesa.
Non è necessario che mi dica a voce a cosa sta pensando, ho già compreso. Ludovico sta ripensando al sabato scorso, al fatto che durante il concerto del mio amico noi eravamo al Forte d'Alabastro a spiare Leonardo e Viola. E adesso ci sto ripensando senza volerlo anche io.
Per cui, purtroppo, ahimè, mi vedo costretta a stappare la bottiglia di rum e a prenderne un sorso, gridando successivamente «Aye!» come un pirata dei Sette Mari.
«Quel libro che mi ha consigliato di leggere Thalìa» prende a parlare Diego con voce mistica girando la sedia verso i sottoscritti con in mano una canna quasi pronta, «è stato... è stato... un qualcosa di unico. Mi sono sentito toccato nel cuore, mi ha segnato in qualche modo. E anche Thalìa mi ha toccato nell'anima» e si preme il palmo della mano contro il petto come a voler creare un perfetto esempio di ciò che vuol intendere.
«Che ti avevo detto? Diego è definitivamente sulla luna!» commenta Marta con ironia.
«Chi è Thalìa?» al che s'interroga Ludovico e non l'avesse mai fatto. Diego lo incenerisce seduta stante con le sue iridi grigie, gli occhi ridotti a due fessure serpentine.
«Thalìa, oltre che una studentessa dell'Artistico con i controcazzi, è la più bella e meravigliosa ragazza che esista. Ha una mente brillante, acuta e affilata dal sapere» lo illumina parlandone come se si stesse riferendo a una musa, a una dea, a una figura ultra-terrena. Con somma ammirazione e devozione.
«Ti piace» taglia corto Ludovico che proprio non ce la fa a cogliere l'essenza del discorso di Diego. Eppure, ha appena detto la verità, ossia ciò che penso io, ciò che pensa Marta, ciò che pensano quasi tutti.
Diego, quando sente con le proprie orecchie l'evidenza che ancora non ha ammesso con se stesso, scatta con velocità sull'attenti, «Non è vero. La stimo con tutto me stesso e basta» bofonchia con una leggera tosse.
«Vorresti fartela» taglia di nuovo corto Ludovico, andando dritto al sodo.
«Non parlare così di lei!» si anima il ragazzo dai capelli rossi, alzandosi in piedi.
Al che interviene Marta, un'altra voce della verità, «In effetti avrebbe ragione, Diego. Thalìa ti piace e vorresti fartela. E non è un problema, davvero, siamo umani e il sesso ci piace quanto l'amore, quanto il perdere la testa per qualcuno» proferisce con voce saggia e leggermente lontana, l'attenzione sempre rivolta a Vivaldi, stavolta alla sua piccola cresta.
«A me la testa piace attaccata al collo» commento io sarcastica automaticamente, e prendo un altro sorso di rum.
«Già, pur tuttavia è sempre un qualcun altro a staccarla per te» continua Marta con un piccolo e malinconico sorriso, «vuoi offrire o te lo scoli tutto tu?» aggiunge inoltre dando la sua attenzione alla bottiglia nelle mie mani, cambiando repentinamente espressione.
Di malavoglia le passo il rum che lei accetta ben volentieri e ben contenta, e sospiro andandomi a sedere sulla sedia a dondolo vicino all'armadio, situata poco più dietro la porta.
«Bene» dico incrociando le dita della mani sopra le cosce, «ora che sappiamo il segreto di Diego chi altro ha voglia di raccontare il suo?».
A quanto pare qui tutti hanno dei segreti, oltre me.
«Ma non eri tu che dovevi dire qualcosa?» obietta Marta dubbiosa staccando le labbra dal collo della bottiglia.
Sicché scoppio a ridere irrimediabilmente, così sguaiatamente che sono obbligata a massaggiarmi le tempie.
«Facciamo che io racconto per ultima, come se fossi il dessert della serata» suggerisco sghignazzando come una psicopatica, «Diego, passami una canna o giuro che vado fuori di testa!» esclamo esasperata tendendo il palmo in avanti, bramoso.
Il mio amico rimane di sasso e sbalordito dalla mia reazione improvvisa, soprattutto la veemenza con cui ho urlato, e senza fiatare mi passa la prima canna pronta e rollata assieme ad un accendino.
«Wow, sembri la sorella di Hannibal Lecter» afferma sghignazzando divertito.
«Magari lo fossi» sussurro con la cicca fra le labbra mentre vado ad accenderla, «Forza, chi altro si sbottona? Dobbiamo tirare a sorte? Testa o croce?» insisto dopo aver fatto il primo tiro. Addirittura mi balla l'occhio destro per l'impazienza.
Diego passa la seconda canna a Ludovico e quindi gli lancio di proposito l'accendino cosicché se l'accenda senza aspettare. Egli ne prende un singolo tiro iniziale come me, fa spallucce e proferisce «A me piace Matilde», come se nulla fosse!
Al sentire della confessione di questo segreto, Marta sputa all'infuori tutto il sorso di rum che si era presa facendolo finire sopra il parquet, a Diego casca di mano la canna che sarebbe destinata a Marta, quanto a me... a me va di traverso un tiro! Roba che quasi mi strozzo!
«Ma per me non è un segreto, è la realtà dei fatti» aggiunge Ludovico disinvolto.
Okay, ho nuovamente bisogno di alcol.
Mi alzo dalla sedia a dondolo e vado verso Marta, che le è venuta una faccia rossissima a furia di tossire. Rifaccio mia la bottiglia di rum e ne bevo ben due sorsi. Di male in peggio. Questa giornata è da segnare sul calendario.
«Marta, ti prego, di' qualcosa anche tu...» la incito esasperata, la supplico, la imploro.
«Okay, visto che siamo a tutti gli effetti alla sagra dei matti da legare e delle annesse stronzate, io penso di essere gelosa di Lunanuova e della nostra prof. di educazione fisica, la Bellante. Lei ha un certo atteggiamento verso di lui, pieno di riguardi, di attenzioni. Non so, mi da fastidio» confessa Marta dopo aver raccolto la canna, dopo averla accesa e dopo averne preso una boccata.
«Porca troia!» esclama Diego colto di sorpresa, non se l'aspettava un segreto del genere.
«E lo sono un po' anche di Ilda, la sua collega teatrale barra amica barra qualsiasi cosa sia!» continua Marta con voce amara e affranta, «Dovrebbero uscire un sabato sera, forse, probabilmente, anche domani».
«Che Gandhi scenda in terra! Queste confessioni sono una più incredibile dell'altra!» afferma Diego mettendosi in piedi, arruffandosi nervosamente i dreadlocks.
«Ti piace quello stronzo di storia dell'arte?» sovviene Ludovico.
«Non lo so!» grida DarthMart disperata.
«E ancora dovete ascoltare la mia di confessione...» sussurro cupa ignorando l'urlo della mia amica, per niente colpita da ciò che ha appena detto. Stessa cosa di Diego, me l'aspettavo.
«Mia cara, se non confessi di aver ucciso un uomo non credo che le supererai tanto facilmente» ironizza e sdrammatizza al tempo stesso Diego, mimando il gesto di una pistola puntata alla tempia.
«Avrei voluto, almeno ora già sarei al fresco» continuo sempre con voce cupa e tetra.
«Mats, ma che cavolo è successo?» mi fa Marta scattata sull'attenti e allarmata, evidentemente la mia espressione da conati di vomito deve averla spaventata.
Emetto una risatina sinistra, senza un motivo ben preciso, bevendo a seguire l'ennesimo sorso di rum e tirando su una boccata di fumo, quasi giunta al suo termine. Mi dondolo per un attimo spostando il peso da una gamba all'altra.
«Dopo ciò che sto per dirvi, sono sicura che vorrete gettarmi su un rogo o, nel migliore dei casi, smettere di parlarmi facendo finta che non sia mai esistita» parlo a rilento scandendo ogni parola, un tono fosco solletica ogni termine.
Diego mi si avvicina, senza fare gesti bruschi come se avessi paura di spaventarmi, e mi mette una mano sopra la spalla.
«Che cazzo dici, Matilde? Ti ha dato di volta al cervello l'erba di Rainer?» mi chiede a voce bassa, ma posso scorgere il lampo di apprensione e di ansia che si cela dietro i suoi occhi. Oh sì, dannazione se c'è, Diego è inquieto assai.
«Toglimi la mano di dosso, Diego. Fidati, è meglio» mormoro con voce roca e abbasso la spalla al fine da incitare la sua mano a toglierla da lì, «prima dirò la "tragedia", poi passerò ai motivi se mai ancora vorrete ascoltarmi».
Ed ecco che ci siamo, devo farlo.
Sono capace di farlo?
Questa qui è a tutti gli effetti una prova di coraggio, ce l'ho davanti... e io sono in grado di superarla? È un ostacolo bello alto e io non sono sicura di saper saltare abbastanza.
Prima di sganciare l'imminente bomba, prima di scatenare il caos mi permetto di prendermi qualche minuto per ragionare, per rimanere in silenzio in autocontemplazione.
Mi gratto nervosamente la pellicina che fa capolino dall'anulare della mano sinistra, la tiro tanto da far sanguinare il dito. Tendo l'udito delle orecchie al fine di udire con chiarezza i rumori intorno a me, quelli più lievi, quelli più impercettibili. Ascolto l'audio ovattato del film che sta guardando mia madre alla televisione, sento il rumore del traffico fuori in strada, i suoni dei clacson in lontananza, percepisco l'abbaiare dei cani fuori al freddo dei loro giardini o dei loro terrazzi.
Stranamente ogni suono, ogni melodia, ogni rumore appare più nitido con questo silenzio che è appena piombato come una valanga dentro la mia stanza da letto. Il silenzio mette paura perché ti fa ascoltare il vero te stesso senza filtri.
Persino il crepitare della canna aspirata da Ludovico, persino le pulsazioni del mio cuore stesso, posso sentire con facilità il rumore dei battiti.
Avverto una strana sensazione sulla mia pelle, mi sento come svuotata, come se fossi passata in un'altra dimensione attraverso un portale e credo proprio che la canna e il rum stiano cominciando ad avere effetto. Ormai non si torna più indietro.
«Leonardo Aspromonte mi ha baciata» rivelo il segreto, la disfatta di me stessa.
L'aereo ha sganciato la bomba, la bomba è esplosa, quanti feriti ci sono? Ce ne sono di feriti? Di morti?
Nessuno di loro osa fiatare; Marta, Diego, Ludovico, tutti e tre zitti, muti, morti. Nessuno osa commentare, nessuna osa dire la sua. Le uniche reazioni che ottengo sono gli occhi spalancati all'ennesima potenza da parte di Marta, la bocca aperta di Diego e Ludovico che cipiglio più avvelenato non poteva averlo.
«... cosa?» ripete dopo qualche secondo Marta con lo stesso timbro vocale di uno dei suoi robot di Star Wars.
È bene che la guardi dritta negli occhi prima di ripetergli l'orribile verità, «Leonardo Aspromonte mi ha baciata».
Inesorabile. Implacabile. Funesta. Impossibile non capire una cosa tanto banale.
«Quel... quel bastardo... ha fatto cosa come?» interviene Diego incredulo, la canna che si consuma da sola.
«Io gli stacco la testa» sibila Ludovico dando finalmente voce alle sue emozioni, ai suoi pensieri.
Ci voleva una terapia d'urto del genere per incitarlo, ci voleva che Leonardo mi baciasse.
«Avete capito benissimo tutti e due. E tu non staccherai la testa proprio a nessuno visto che me la sono andata a cercare» replico fredda e severa ad entrambi, ma perlopiù a Ludovico visto che è subito passato alle minacce.
E dal momento che nessuno dei tre è svenuto, né ha mostrato l'intenzione di andarsene via, né mi ha urlato contro ogni offesa possibile e immaginabile, né mi ha maledetto, né ha estratto una bambolina voodoo con tanto di set di aghi, potrei anche iniziare a spiegare. Spiegare tutto dalla genesi, dalle origini.
Prendo perciò un altro bel respiro.
Spiego.
Spiego che sabato scorso me la sono svignata con Ludovico al Forte d'Alabastro anziché andare all'esibizione della band di Marco, poiché l'avevamo visto insieme a Viola invece che insieme a Olivia.
Spiego che inconsciamente ho scattato a entrambi una fotografia dove si scambiano effusioni, ma che mai l'ho utilizzata e mai mi è venuta la vera intenzione di farlo.
Spiego che, purtroppo, la sera di quel buio mercoledì ero talmente in collera per via dello scherzetto subìto dentro la scuola che ho telefonato in via diretta a Leonardo, minacciandolo di smerdarlo con quella foto se non mi avesse rivelato il colpevole.
Spiego che lui mi ha, per come dire, ricattata... o cancellavo la prova infamante contro di egli o mi avrebbe baciata.
Spiego che il mio errore imperdonabile è stato quello di non prenderlo sul serio, di non credergli affatto, e sfortunatamente quella sera avevo anche esagerato col vino, non rispondevo delle mie azioni ed ero in totale balia di un'altra Matilde, una Matilde che faccio fatica a riconoscere e che non penso di conoscere.
Spiego, inoltre, del mio patto stretto con Laira, che in cambio dei miei passaggi lei avrebbe fatto in modo di scoprire del testa di cazzo che si celava dietro a quella bastardata della fotografia del Maverick.
Infine spiego il risultato finale di tutta questa brodaglia: ovvero che i colpevoli concreti sono Olivia e Claudio, che questa mattina sono stata io stessa a far frignare Olivia come un agnellino e che, successivamente, Leonardo mi ha portata via da lì poiché troppo sconvolta per agire lucidamente.
Perfetto, ho finito. Ho finito di spiegare.
E credo di averci impiegato persino parecchio tempo, non ho tenuto d'occhio l'orologio ma ho motivo di pensare che si sia fatto tardi.
Ad ogni modo, cazzo, mi sento così leggera ora. Una piuma, un soffio di vento, un petalo di tulipano, un fiocco di neve, un capello sottile, una foglia secca di quercia.
È come se avessi tagliato via la corda di una zavorra davvero, davvero pesante, e ora la mia mongolfiera più volare di nuovo in alto, libera fra le nuvole. Matilde può di nuovo spiegare le ali e volare via, ovunque.
Ho una voglia immane e colossale di mettermi a urlare ma è tardi, e siccome sono una persona saggia e responsabile – a tratti –, preferisco non svegliare dal dolce sonno il signor Cornelio.
«Quindi non sei venuta a scuola per questo?» deglutisce Marta senza mostrare cenni d'arrabbiatura alcuno, anzi, ha la fronte ben distesa esattamente come la forma delle labbra.
«Esatto, sto prendendo una brutta piega...» enuncio io con una voce stranamente fievole e un filo rammaricata.
«Eri con lui?» aggiunge Diego piatto, nessun emozione.
«Sì» replico di rimando senza sentimento, impassibile appunto, spostando gli occhi sul mozzicone della canna appena finita incastrata ancora fra il mio dito indice e medio.
L'effetto di quest'ultima si sta facendo sentire eccome, mi sento a tutti gli effetti leggera! «Visto che cattiva ragazza sono diventata? Non chiamatemi più Atena ma Matilde l'Incoerente o la Voltagiubbe» ridacchio con una nutrita crudeltà, spietata, gettando via il mozzicone per terra, infischiandomene di sporcare il pavimento o il tappeto.
Diego scuote il capo, «È palese che ti abbia manipolata, Matilde! Non sarebbe la prima volta che manipola qualcuno, bisogna ammettere che ci sa parecchio fare il testa di cazzo. Ma non ha senso tutto questo tormento da parte tua, non te lo meriti» afferma il ragazzo stringendo un pugno.
Siccome fatta e brilla allo stesso tempo, una combo assurda, alzo le braccia al cielo sorridendo come una cogliona. Sembra che possa toccarlo il cielo, sembra che tocchi qualcosa d'invisibile.
Wow, da paura.
«Eppure non ho fatto nulla per oppormi! Da brivido, non credi?» sghignazzo tuttavia con tono misterioso ed enigmatico, prendendo a volteggiare per la camera e con le mani alzate verso l'alto.
«Eri ubriaca e incazzata, non eri padrona delle tue azioni» mi giustifica Marta, lasciandomi un tantino sorpresa. Non mi aspettavo tutta questa magnanimità.
«Io continuo a volerlo ammazzare» ripete Ludovico sicuro di sé, rabbioso come un cane.
«Perché non vuoi ammazzare me? Ammazza me, Ludovico!» esclamo fuori di me e impalando le mie iridi sulle sue.
«Riecco la Matilde che se la prende con se stessa e non con gli altri» sbuffa Marta contrariata.
«Che ci vuoi fare? Sono la persona più incoerente e masochista che esista, ed è piuttosto grave vista la popolazione mondiale» replico facendo spallucce come se niente fosse.
Poi piego le ginocchia fino a toccare il parquet, distendendomi per terra alla stessa maniera di Mark Renton di Trainspotting. I capelli rosa sparsi in ogni dove.
«Vuoi che facciamo qualcosa? Posso benissimo andargliene a dire quattro. Anche a dargliene, penso che Ludovico sia d'accordo con me» mi domanda Diego chinandosi in ginocchio accanto alla sottoscritta.
«No, non faremo niente. Ho provveduto io a rivendicare la mia posizione. Domani a scuola sarà tutto come prima, un giorno come un altro» sussurro con voce spiritata.
«Perché avevi così paura a dircelo?» mi fa Marta scendendo giù dal letto ed imitando la posizione di Diego.
Prima di darle una risposta, mi vado a indicare lo stomaco con il palmo della mano destra, premendolo direttamente sopra la maglia della divisa da lavoro.
«Perché era così pesante da portare all'infuori. Mi ha fatto un male cane raccontarvelo, poiché non sono composta da metallo o da marmo» spiego chiudendo gli occhi.
«Così mi ferisci, io sono tua amica, Mats» mormora tristemente DarthMart, «anche per me era un peso dire ciò che ho detto del nostro professore, tuttavia ero serena perché sei una delle persone più importanti che ho».
«Ho deluso le vostre aspettative su di me» scoppio a riderle in faccia esattamente come una perfetta stronza, inesorabile, «e per me le vostre aspettative sono vitali».
«Non hai deluso nessuno, sei la Matilde di sempre» conviene Diego contraendo la mascella.
«Sarei la Matilde di sempre se ti dicessi che non mi sono scansata volutamente? Incoerente e masochista, appunto!» sibilo tagliente e velenosa, decidendo di alzarmi a sedere e regalando a Diego un'occhiata glaciale.
«Noi umani siamo graziosamente complicati. La maggior parte delle volte non abbiamo la risposta alle nostre azioni. Le facciamo e basta, forse inconsciamente...» Marta prende parola al posto di Diego, accarezzando con delicatezza la testolina di Vivaldi, «io non voglio una risposta, Matilde, poiché neanche c'è scommetto. Lo stesso nel mio caso. Tanti dubbi, niente che possa risolverli. Non sei la solita Matilde di sempre, non lo sei mai e mai lo sarai, gli umani evolvono continuamente. Mentirei se affermassi il contrario. Io ti voglio bene per come sei, nel tuo continuo divenire».
E le parole di Marta mi colpiscono dritto nel cuore, in positivo tuttavia. Mi viene da mettermi a piangere.
«Sono un caso perso anche io. Per via di Thalìa e per via che non ho le palle da ammetterlo da sobrio» rivela Diego prendendosi la testa fra le mani, ovviamente fatto anche lui.
«Dovete andare affanculo, dovete odiarmi, detestarmi! Non volermi bene di più» singhiozzo senza potermi controllare, seppur alzando la voce.
«Se vuoi posso tenerti il broncio per una settimana» butta lì Marta, con un sorriso familiare e dannatamente dolce.
«Sarebbe l'ideale» confesso sorridendo a mia volta, commossa e con il moccio che mi cola dal naso.
Infine Marta si sposta in avanti, stando attenta a non far cascare il povero Vivaldi, e mi avvolge in un abbraccio caldo e affettuoso. Non so con certezza se sta piangendo anche lei, voglio comunque darle il beneficio del dubbio.
Io sto piangendo, questo posso confermarlo.
«Perché lui può baciarti?» mi domanda Ludovico assurdamente serio.
«Non lo farà più. Non potrà più» mugugno tirando su con il naso.
«Però ora quella merda di Claudio Patriarchi dovrà pagare. Cazzo, se la pagherà» se ne esce infine Diego, con una evidente rabbia che gli sta montando piano piano all'interno di sé.
Alla terza ora del sabato la mia classe ha come di consueto lezione di educazione fisica con Sara Bellante, un'avvenente giovane ragazza sui ventinove anni dal carnato color caffèlatte, dai lunghi capelli castani tirati sempre su in una stretta coda di cavallo e dai meravigliosi occhi marroni dal taglio allungato. Il fisico ovviamente allenato, sodo e muscoloso, vanta di un'altezza invidiabile.
È proprio di una bellezza esotica la nostra professoressa, infatti, come noi ragazze abbiamo pensieri poco casti su Lunanuova, i ragazzi per contro hanno pensieri poco casti su di lei.
Sempre come di consueto, il quinto D si divide per recarsi nei rispettivi spogliatoi etichettati in "maschi" e "femmine" per potersi cambiare con la tenuta da palestra.
L'orario scolastico definitivo vuole che il quinto D, la mia classe, spartisca la sala da ginnastica con il secondo C del Classico, per cui anche lo spogliatoio di conseguenza.
Le ragazzine di secondo, seppur spavalde e impudenti come tipico della loro età, hanno un certo timore di noi, delle ragazze che compongono la mia sezione dal momento che ai loro occhi appaiamo in parte "adulte" e completamente particolari ed eccentriche. Fuori dalla norma.
Fissano ogni volta, alla terza ora del sabato, con un po' di paura la figura di Sofia Palumbo, che è solita a portare una collana a borchie appuntite, da vera punk, e che sfoggia con trasgressione i capelli completamente tinti di un giallo acceso e la frangetta di un rosa più scuro del mio, di Francesca Coppola, che sembra essere uscita da un film di Bernardo Bertolucci – The Dreamers più precisamente parlando –, di Sara Signorelli, per via del piercing septum sul naso, della sua frangetta tagliata storta e della lunga distesa di dreadlocks e naturalmente hanno paura delle sue parole taglienti che non lesina mai.
Stranamente guardano con un lieve e sfuggente ammirazione Dorotea Balestrieri, che indossa sempre vestiti fuori dai canoni ma che comunque hanno stile, inoltre si sa truccare benissimo.
Per quanto riguarda me e Marta, be', di noi hanno abbastanza fifa siccome facciamo parte del gruppo che dà del filo da torcere al loro beneamato Apollo.
«Non vedo l'ora di mettermi a saltare la corda, almeno scarico un po' di questo stress» confesso a Marta sfilandomi la maglietta dei Sex Pistols per sostituirla con una banale t-shirt a maniche corte.
Una volta pronte ed entrate a tutti gli effetti nella grande ed ariosa palestra del Caravaggio, un po' fredda effettivamente, superando delle porte di legno a spinta, troviamo Yousef, Diego e Tommaso Vinci che fanno riscaldamento, ovvero le flessioni, e Gaia Belvedere e Veronica, certe di saltare le due ore di educazione fisica, che conversano con la prof. mentre compila il registro di classe sopra una cattedra accantonata vicino al muro.
Dettate dalle curiosità, io e la mia amica ci avviciniamo di qualche metro e aguzziamo l'udito al fine di cogliere l'argomento del loro discorso senza entrarci necessariamente all'interno.
«Sì, per quanto sia stronzo Lunanuova è proprio un bel tipetto» sento affermare Gaia, utilizzando un certo tipo di linguaggio permesso dalla nostra professoressa.
«Il suo punto di forza sono senz'altro gli occhi» replica Veronica dopo averci pensato qualche secondo su, facendo allusione alle bellissime iridi di Emilio.
La Bellante emette una risatina deliziosamente delicata senza smettere di firmare qui e firmare di là. «Tutto di lui è un punto di forza» commenta la giovane donna con un sorrisetto compiaciuto, «purtroppo, è così distante e freddo. Tento sempre di dargli del "tu", ma lui si ostina a non prevalicare il confine del "lei"» conclude però con aria affranta.
«Si faccia forza, prof.! Lei è molto bella, vedrà che saprà conquistarlo» la incita Gaia, ben sapendo che questo genere di conversazioni si possono sostenere con lei.
«Ahimè, cara Gaia, conta anche la compatibilità caratteriale. E temo che io sia Polo Sud e lui Polo Nord» recita la Bellante sogghignando ironicamente, posando la penna accanto alla pagina del registro, «sta di fatto che non cederò, non mollerò l'osso. Non è nella mia indole gettare la spugna».
Alla fine di quella frase Marta, che è praticamente con la sua spalla incollata alla mia, fa una smorfia di raccapriccio e scuote il capo.
«Se dicessi di stare male potrei saltare la lezione? Dico che mi viene da vomitare e alla fine non è che menta del tutto» sibila acida e carica d'odio. In quanto quella che sta provando è gelosia purissima.
«Coraggio, Marta! Mai arrendersi, resistere sempre» la incito io afferrandola per le braccia e scuotendola, «se resisto io, resisti anche tu».
Poco prima del suono della campanella di fine lezioni, concludiamo la mattinata di studi con la materia di storia dell'arte, e per l'appunto Lunanuova ci avverte come previsto di questo dannato compito lampo che terrà il lunedì successivo. Inoltre, riceviamo una circolare dove spiega che sempre di lunedì, nel pomeriggio, i Rappresentanti sono convocati alle tre e mezza per una riunione in vista dell'Assemblea del 14 novembre e anche per proporre le ipotetiche mete per la gita di quinto anno.
Durante la lezione di Lunanuova, Marta ha preso la bella decisione di mettersi a sonnecchiare beccandosi vari richiami, vari rimproveri, eppure non si è azzardato a toccare penna nel registro al fine di scrivere una nota al riguardo.
È proprio guerra aperta fra i due, non c'è dubbio.
Marta però deve fare attenzione a non tirare troppo la corda, alla fine il coltello dalla parte del manico è lui, è lui il professore e Marta è la studentessa.
Quando arriva il momento di risalire a bordo della mia Yaris, realizzo che in tutta la giornata non ho visto minimamente Leonardo, neanche per sbaglio, neanche di sfuggita. Non che avessi piacere a vederlo, dico solamente che mi sembra strano... in pratica più non lo voglio vedere, più ce l'ho tra i piedi, eccetto oggi.
«Qua dentro c'è un insolito odore. Di profumo. Proprio dove sono seduta io» pronuncia Laira annusando come un segugio che sente odore di tartufo nelle vicinanze.
Già, il profumo di Leonardo lo sento anche io. Normale, visto che ieri su quel sedile c'era seduto lui!
Comunque non sono tanto in vena di rispondere, è stata una mattinata piuttosto lunga e non ho intenzione di dar fiato alla bocca inutilmente. Fortuna vuole che in quell'esatto istante mi arrivi un messaggio su WhatsApp.
È Diego – che si è deciso a usare la tecnologia come i comuni mortali –, con i suoi piani per il sabato sera.
Diego, 13:37
- Bevuta all'Autorimessa e passaggio al Madama Butterfly, dove fanno la cover dei Nirvana. Ci saranno tutti... Marta, Marco, Thalìa, Roona, Yousef e Ludovico, ma Ludovico ha detto che viene solo se vieni tu.
«Matilde, considerami» cerca di catturare la mia attenzione Laira, un po' infastidita dalla mia mancanza di comunicazione con lei.
Distolgo gli occhi dal display del cellulare, dunque, e mi rivolgo in sua direzione inarcando un sopracciglio.
«Hai dato una lezione a Olivia alla fine?» mi domanda come se non stesse aspettando di sapere altro.
«Al cinquanta» dico velocemente, «ma il vero responsabile è Claudio Patriarchi e vedrò cosa fare con lui. Ne discuterò stasera con i miei amici».
A Laira le si illuminano subito gli occhi quando mi sente pronunciare la parola "amici", ignorando il vero dettaglio importante, ossia che la vera colpa di tutto è Claudio.
«Voglio venire con voi, qualsiasi cosa facciate!» esclama saltando sul sedile, dopodiché assottiglia le fessure delle iridi rendendole quasi spaventose, «a tutti i costi» sibila.
«Non ti piacerà venire con noi» ribatto severa, sapendo che Thalìa sarà con noi questa sera, sapendo che Diego stravede per lei, è partito per lei.
«Se c'è Diego mi piacerà di sicuro!» squittisce Laira allegra, abbandonando il malo modo di poco fa.
«Okay» faccio secca, «okay, vieni» accetto senza protestare ulteriormente e inutilmente.
Alla fine ognuno è artefice del proprio destino ed è giusto che si debba affrontare le conseguenze che esso comporta. E io non posso farci niente.
Preferisco che scopra così di Diego anziché detto da me. Preferisco che si faccia male cosicché sarà più forte per il futuro.
Per cui, senza aggiungere dell'altro, scrivo a Diego che un altro membro si è aggiunto alla combriccola.
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