18. ...anzi, s'è visto in un vicolo di Firenze








Marta.

Intorno a mezzanotte l'opera si conclude con tutto il cast degli attori sopra il palco, l'uno accanto all'altro, con le spalle che ritmicamente si vanno a sfiorare senza timore.

Si chiude la scena con un grande e caloroso applauso che, nonostante il numero ristretto di persone, fa pensare che i presenti dentro il piccolo ambiente si siano raddoppiati.

Non c'è un singolo individuo che tiene le proprie mani in tasca, oppure ferme lungo i fianchi, o meglio ancora sotto il mento – il che sta a suggerire che la noia si è impadronita di loro –, nemmeno qualcuno intento a scattare fotografie con il cellulare; si sa, giustamente, che il cellulare a teatro è proprio blasfemia totale.

Gli attori, ognuno di essi, sotto quel sonoro e sentito ringraziamento, non possono far altro che sorridere con evidente gioia ed esibirsi in continui inchini.

Il loro modo di ringraziare per noi spettatori.

Anche io mi ritrovo a battere le mani, e non con fare trascinato o con sufficienza come in parecchie occasioni non ho mancato di fare, bensì eseguo un applauso pulito, completamente sincero.

Nel mio profondo so che se lo sono meritato.

Soprattutto Lunanuova. Che sorprendentemente si è rivelato un attore decisamente brillante e non da pomodori tirati in faccia, men che meno di uova marce.

Lunanuova ha la passione nel sangue, nell'animo, una composizione quasi poetica ai miei occhi. Una passione che io stessa una volta riversavo nella ginnastica artistica, purtroppo odiernamente assopita e risorta in onore dell'arte e del disegno — e naturalmente anche per Star Wars.

È come ci fosse un certo feeling fra me e lui, strano da spiegare, strano per articolarlo.

Non tutti riescono a dedicarsi con anima e corpo in qualcosa, dedicare se stessi in onore di ciò che più ci appassiona, è raro che qualcuno non molli oltre un determinato tempo prestabilito.

Effettivamente, io ho mollato.

La ginnastica artistica è stata il mio sogno dalla prima elementare fino alla terza media poi mi sono tirata indietro.

Marta era cambiata e quello sport le stava stretto.

Ma, comunque, ho subito riabbracciato qualcos'altro, forse anche più di vitale importanza; per me oggi l'arte è tutto, disegnare è tutto, imparare sempre nuove tecniche, studiare e capire i pensieri degli artisti che furono e che saranno — poiché va capito non solo il modo di muovere una matita o un pennello, ma va compresa anche la psiche, il loro essere interiore, lo stato d'animo.

È più che un semplice foglio di carta, una tela bianca e uno strumento da disegno.

E sono più che certa che uno come Emilio Lunanuova possa intendermi parecchio.

Egli non smette di sorridere mentre si abbandona a quegli applausi meritati, posso percepire il suo cuore battere all'impazzata, lo stesso che sarebbe accaduto a me se fossi stata al suo posto, magari con una mia opera d'arte alle mie spalle anziché uno spettacolo appena giunto al termine.

Posso confermare senza ripensamenti di averli spesi bene quei soldi per il biglietto.

Mentre continuo a battere le mani, non posso fare a meno di sentirmi come Hermione quando applaudiva Ron durante la partita di quidditch.

Lo so, è un paragone forse troppo approssimativo dal momento che io non nutro alcun sentimento per quel giovane uomo, tuttavia l'espressione e il modo di fare è esattamente quello.

Ad ogni modo, a differenza di Hermione Granger, io sono assai sfacciata e assai stronzetta quando dico d'impegnarmici.

Supero anche Matilde in questo campo, poiché Matilde cerca sempre di non dare fastidio al prossimo nonostante il suo essere rabbioso e istintivo. Non fa le cose per dispetto, ecco.

Mentre io sì. Oh sì.

Infatti mi viene come il suddetto lampo di genio, come il suddetto "eureka" di Archimede Pitagorico; mi viene un'idea!

Grande e brillante quanto canaglia e farabutta, tipicamente da me.

Mi viene l'idea di recarmi nei dietro le quinte, ho la sicura intenzione di andarmi a congratulare con il professore!

Sono la prima, però, ad ammettere senza riserve che io sono una ragazza che perlopiù si fa sempre i fatti propri, dunque è piuttosto bizzarra questa mia iniziativa.

Insomma... se dovessi rispettare il copione del mio carattere allora dopo i rituali ringraziamenti finali avrei dovuto infilare il giacchetto, riprendere la borsa e andarmene a casa.

Ebbene no! Nossignore.

In questo frangente si tratta di Lunanuova, del mio professore di storia dell'arte che appioppa tre a random, a volte ingiustamente e senza motivazione, e di colui che ha ampiamente accusato me e Mats di esserlo andate a spiare quella dannata sera di Halloween al Maverick.

Per cui è naturale che voglia prendermi una specie di piccola vendetta personale, niente di serio, giusto una discreta dose di disagio e di imbarazzo nei suoi occhi, mi basta questo. Inoltre, a mio parere, è giusto essere sfacciati e sarcastici nelle giuste situazioni e sicuramente questa è una di quelle.

Sicché, mentre mi metto in attesa che la gente si sfoltisca ed esca dal teatro, m'infilo con calma il giacchetto senza abbottonarlo e faccio passare le fibbie della borsa a zainetto attraverso le braccia. Mi siedo nuovamente e accavallo le gambe, guardando le persone della platea con aria di sufficienza, quasi che sembro Constance Langdon, mi manca la sigaretta per somigliarle.

Mi armo di elevata pazienza fino a che non sopraggiunge il segnale che è il momento opportuno per mettere in atto il piano.

Abbandono il palchetto che mi è stato assegnato, chiudendolo, e scendo fino all'altezza del palco, in platea.

Con nonchalance mi avvio oltre il sipario calato, per niente intimorita nonostante io non potrei accedervi.

Supero un secondo sipario, quello che divide il dietro le quinte dal palco della scena, ed ecco che m'imbatto ovviamente in qualcuno che si occupa, diciamo, di vigilare, di tenere d'occhio il perimetro.

Un uomo non troppo giovane e non troppo vecchio, con una grossa pila di fogli fra le mani e una penna tenuta in equilibrio sull'orecchio si pone davanti a me, comunque sorridendo educatamente.

«Salve. Ti serve qualcosa? Cerchi qualcuno?» mi domanda come a sottintendere "mi auguro che tu abbia un valido motivo per essere qui, visto che sarebbe vietato entrare".

Ma non me la prendo, capisco perfettamente la sua posizione. Io probabilmente avrei usato persino un tono differente, meno paziente.

«Sono una parente di Emilio Lunanuova, colui che ha personificato il Cavaliere di questa fantastica Locandiera, la cugina per essere precisi. Mi chiamo Maria Antonietta Lunanuova, molto piacere» replico con un candido sorriso, optando per uno dei nomi che adoro di più, non per niente il medesimo di Maria Antonietta d'Asburgo, che fu regina di Francia e poi morta ghigliottinata.

La sua storia m'intriga ogni volta.

«So che non si dovrebbe entrare qui ma mio cugino mi ha chiesto se dopo lo spettacolo gli potevo portare delle aspirine. Purtroppo ha un brutto mal di testa» m'invento con naturalezza.

«Oh be', in questo caso, se sei una parente di uno degli attori allora cambia la situazione. Per di più se si tratta di una questione di salute meglio ancora. Il suo camerino è il primo che trovi andando verso quel corridoio» abbocca facilmente l'uomo e con gentilezza m'indica la direzione che devo seguire affinché possa andare a trovare il mio adorato cugino.

«La ringrazio enormemente» dico con un cenno del capo.

«Figurati. Comunque non offenderti se ti do del "tu", sei giovane e mi sembra prematuro darti del "lei", per quello c'è ancora tempo» si scusa egli arrossendo lievemente.

Non mi offendo affatto, anzi, ancora mi sembra prematuro sinceramente il "lei" usato per me. Mi reputo ancora troppo giovincella.

Mi accingo a passo spedito a raggiungere il primo camerino, molto sicura di ciò che voglio fare, senza paura, senza ripensamenti.

Non presto neanche attenzione alle decine di persone che ronzano come api in un alveare in quel parquet tipicamente da teatro, e neanche loro badano a me. Meglio così.

Entro nel corridoio indicatomi da quell'uomo e, come egli mi ha suggerito, la prima porta deve trattarsi al cento per cento del camerino di Emilio.

Ovviamente non è come nei film che vi è scritto sopra il nome dell'attore con all'apice la tipica stellina, è solamente una semplice porta marrone, dall'aria piuttosto vecchiotta anche, e addirittura semi-aperta.

Ho quindi una modesta visione dell'interno, una modesta visione del mio professore.

Rimango largamente perplessa quando mi accorgo, osservando da quello spiraglio offerto dell'uscio, che Emilio si sta or ora togliendo la camicia con cui ha impersonato il Cavaliere di Ripafratta.

Se ne disfa con lentezza, senza fretta, senza sgualcire il capo e trattandolo con cura, riponendolo sopra una seggiola.

Egli rimane, dunque, a petto nudo e con la chioma corvina ancora legata con il nastro.

Rimango a studiarlo per qualche secondo di troppo, rimango sorpresa e al contempo ammaliata di quel corpo così tonico e scolpito, come se avesse da sempre praticato danza oppure ginnastica artistica.

Non mi sarei mai immaginata che sotto il suo lungo giaccone nero, sotto i suoi maglioni e sotto le sue camice, ci fosse stato quel fisico così armonioso, un incanto di dettagli che si abbraccia alla perfezione con la sua altezza alquanto elevata.

Mi do uno schiaffo in fronte, quando mi rendo conto di averlo guardato anche troppo oltre e con anche troppa curiosità, arretrando per un attimo di un passo.

"Insomma, Marta, sei qui per ammirarlo neanche fosse il "David" di Michelangelo o sei qui per dargli una lezioncina?", penso velocemente fra me e me.

Scuoto il capo tanto per darmi una dovuta riassestata.

Ovvio, sono qui per dar lui una lezioncina, altroché.

M'importa di molto se sia con o senza qualcosa che gli copra la parte superiore del corpo, alla fine il mio compito è quello di guardarlo dritto in faccia, negli occhi.

Pertanto mi tiro indietro quei piccoli ciuffetti di capelli sfuggiti all'incastro dello chignon, prendo un bel respiro profondo seppur silenzioso – l'effetto sorpresa mi serve! – e mi preparo a bussare alla porta con tre tocchi già ben studiati.

Ho già la mano sinistra chiusa stretta a pugno, il braccio già sospeso a mezz'aria, a poca distanza dall'uscio, finché sono costretta a non portare a termine ciò che è stato premeditato.

Una voce femminile interrompe me e il mio piano.

Una voce femminile e piuttosto familiare proviene dall'interno del camerino, anche assai zuccherosa, accompagnata da un risolino.

Cioè, impossibile, Lunanuova era solo lì dentro, non c'era nessuno ne sono sicura.

Evidentemente non ho calcolato che i camerini devono essere collegati fra di loro, altrimenti altro che magia.

La voce acquista immediatamente un volto, visto che dallo spiraglio spunta fuori l'attrice di Mirandolina, la bella donna che è stata in grado di farmi tenere gli occhi incollati allo spettacolo.

Caspita, vista così da vicino è ancor più bella che vista dal palco.

Ha una carnagione di pelle bianco e candido, come la neve appena attecchita al suolo, dei lunghissimi capelli ricci color castano scuro e, guarda caso, anche lei vanta di due bei occhi celesti quasi come quelli del prof. .

Non che io abbia niente da invidiarle, ammetto che i miei occhi sono ancor più rari dei loro.

Ciò che le invidio, invece, è proprio la voce, poiché la trovo d'un melodioso divino.

«Sei stato veramente bravo, caro Emilio. La tua performance ha sempre dell'incredibile, nonostante sia la stessa di ogni volta» si congratula con Emilio la donna senza nome mentre cammina con impeccabile attenzione lungo il perimetro del camerino, dondola la testa con maestria e sorride senza strafare, «di questo passo Mirandolina finirà per scegliere il Cavaliere anziché Fabrizio».

Inoltre, dal suo tono, non si percepisce neanche il minimo accento fiorentino, anzi, nessun accento vige nella sua parlata.

Parla un italiano lineare e perfetto, come quello dei doppiatori dei film.

Emilio, da parte sua, la accoglie con un sorriso che neanche sopra il palcoscenico, durante gli inchini, è stato in grado di sfoggiare.

A scuola non s'è mai azzardato a esibirlo e credo proprio che mai lo vedrò un sorriso del genere mentre è dietro la cattedra o per i corridoi. È un sorriso caldo, familiare, amichevole... dolce.

In un certo senso, ne sono quasi dispiaciuta, perché significa che non apprezza coloro a cui insegna.

«Le tue labbra sono sempre piene di complimenti nei miei riguardi, cara Ilda» risponde Emilio con un tono ben diverso dal solito, anch'egli senza un particolare accento e con un non so che di ottocentesco, «dovrei fare il modesto e dirti che hai oltremodo esagerato, ma preferisco prendermi i meriti di ciò che mi riesce meglio».

«Non sei nella posizione di fare il modesto» obietta Ilda, persino il nome trovo stupendo. «Quando fai qualcosa che ti appassiona è un diritto prenderselo il giusto merito, sia ben chiaro».

«Comincio a pensare che tu sia troppo di parte, ad ogni modo» inarca Emilio un sopracciglio, andandosi a mettere una maglia per coprirsi.

Ciononostante l'astuta Mirandolina non sembra essersi scandalizzata più di quel tanto, come se fosse quanto meno abituata a una scena simile.

«Nessuna parte, il talento è tuo» sottolinea con una serietà intensa Ilda, «io e gli altri della comitiva andiamo a bere qualcosa dopo aver riacquistato dei toni un po' più da ventesimo secolo. Ti unisci a noi?» poi cambia discorso, sorride di nuovo, lo invita a uscire.

«Mi piacerebbe, la vostra compagnia è uno dei pochi piaceri che la vita mi riserva, ma, purtroppo, sono costretto a rifiutare. Domattina c'è scuola anche per me» rifiuta lui con una bella dose di gentilezza.

«Va bene, comprendo. Vorrà dire che potremmo provare un sabato sera, magari?» allora Ilda passa all'artiglieria pesante, e chiaramente la restante parte della comitiva non credo che sia invitata.

Sembra tanto un invito per due.

Ma visto che ormai il mio piano è letteralmente andato in fumo e visto che, onestamente, non m'interessa della vita privata di Emilio Lunanuova, decido di andarmene da lì.

Evitando così di udire la risposta, non sia mai che poi il prof. mi accusi di nuovo di averlo spiato.

Anche perché stavolta non ho capri espiatori, non ho scusanti.

No, non me ne frega proprio un accidente di sentire i cavoli loro.

Ecco che spunta fuori uno dei tratti distintivi del mio carattere, a tratti magnifico e a tratti merdoso: è bene farsi gli affari propri.

E meno male!










Una volta uscita dal Teatro Don Chisciotte rabbrividisco di freddo, quello vero, quello che esce fuori dalle viscere dopo essere scoccate le nove della sera. Meno male che ho scelto un giacchetto pesante per l'evenienza.

La piccola piazzetta dove è situato il teatro è deserta, non c'è nemmeno un cane fuori a camminare, solo macchine parcheggiate e i suoni lontani e caotici del vero centro di Firenze, decisamente distante da qua.

Oltre questo, v'è la tipica nuvolina di respiro che fuoriesce dalla mia bocca, calda e incompatibile con questo gelo.

Confesso di non vedere l'ora di ficcarmi sotto le coperte del mio beneamato letto. Con molte probabilità, nonostante l'ora tarda, penso di mettermi ad ascoltare la musica con gli auricolari, in tale maniera mi addormento meglio.

A proposito di ora tarda, mi ero dimenticata della chiamata di Matilde fatta nel bel mezzo dell'opera!

Cavolo, chissà che mai avrà voluto dirmi sebbene la serata alcolica passata coi genitori.

Do una rapida occhiata all'orologio che porto sul polso destro, un'abitudine che mi trascino dietro dalle scuole medie, ormai mezzanotte è passata da un po'... se la chiamassi adesso mi tirerà contro una delle sue innumerevoli Dr. Martens?

Sperando non quelle con la suola rialzata!

Da sua migliore amica sarebbe un dovere di stato ritelefonarle, anche se dormisse.

Male che vada, in caso dovesse dormire, eviterà di rispondermi e tanti saluti.

Se fosse sveglia e assai fuori di senno buon per me, avrò da sentire le minchiate che vorrà sparare.

Ragion per cui tiro fuori il cellulare dalla borsa e lo prendo in mano premendo sugli ultimi numeri del registro chiamate, chiaro che il nome di Mats torreggia.

Lo poggio all'orecchio, sfregandomi la spalla con la mano libera, cercando calore inesorabilmente. Esso prende a squillare, il che significa che, comunque, il suo apparecchio è acceso, squilla più volte e più volte ancora.

Ma alla fine squilla a vuoto, l'unica voce che sento è quella della sua segreteria.

Pazienza, è palese che stia dormendo, l'ora della cena è passata da un pezzo.

Grandioso, ora sì che posso davvero ritornarmene a casa.

Dopo aver riposto il telefono con cura dentro lo zainetto, mi avvio alla volta della mia auto, sostituendo quest'ultimo con le chiavi per aprire e poi guidare. Ma neanche percorro cinque passi che qualcuno alle spalle mi chiama per cognome.

«Brunori», secco e deciso.

Mi viene naturale allargare gli occhi dallo stupore, poiché so con certezza a chi appartiene quella voce. Mi guardo intorno con soltanto le iridi, tuttavia rimanendo impalata, non voltandomi.

Ma santo Vader, ma non era impegnato con quella bellissima donzella?

Da stolti ammettere il contrario, io mi reputo parecchia obiettiva e parecchio onesta con i miei pensieri.

«Sì, è sicuramente lei. I capelli argentati sono rari anche in una città grande come Firenze» prosegue Emilio Lunanuova, alle mie spalle.

Al che voglio evitare di passare per maleducata, in quanto non si danno le spalle a nessuno. Men che meno all'odioso professore di storia dell'arte.

Mi volto lentamente, in modo da fare un'entrata d'effetto, sorrido con un pizzico di malizia, provando a imitare lo stesso sorriso beffardo e altezzoso di Cersei Lannister.

La figura di colui che poco fa era il Cavaliere di Ripafratta, è in piedi a pochi metri da me, i capelli sciolti e privi del nastro, il solito lungo giaccone nero e una borsa di pelle che pende dalla sua spalla.

Gli occhi celesti che scintillano sotto la luce fioca del lampione. «Professor Lunanuova, che coincidenza» dico con vero tono sorpreso, senza cadere in una forzatura.

Coincidenza un corno!

«Cosa ci fa in questo quartiere a quest'ora? Domani c'è scuola» mi rimbecca come se fossimo esattamente sotto al tetto del Caravaggio, non mancando di darmi del "lei".

Tsk. E tanti saluti al discorso dell'uomo del teatro.

Facendo appello alla mia sfacciataggine rischio quasi di rispondergli per le rime, con la differenza che io so tener conto di non essere al Caravaggio in questo momento, ma in una libera piazzetta in quel di Firenze.

"Potrei farle la stessa domanda!", è ciò che gli sto per rifilare, ma fortuna vuole che m'interrompo in tempo.

Decido che non è brutta idea dire la semplice verità, «Ero a teatro. Esposito aveva un biglietto ma non è potuto venirci, quindi l'ha dato a me. Un peccato sprecarlo, non crede?» spiego con ovvietà. Mezza verità.

Marco che va a teatro? Ma quando mai.

Appena il professore appura la mia versione del perché mi trovi lì, fa una faccia sorpresa, è piuttosto preso contropiede da ciò che ho detto.

«È venuta a vedere l'opera?» ripete ostentando finta sicurezza, anzi, riesce in malo modo a camuffare un evidente balbettio sulla prima parola.

Quasi mi fa tenerezza.

«Ora si spiega il suo abbigliamento. A scuola non verrebbe mai vestita in questa maniera» aggiunge facendo un cenno verso i miei vestiti.

Immediatamente il mio cervello elabora, pesca ogni singola informazione e cerca di raggiungere a un risultato: il prof. fa caso a come mi vesto ma ricorda a stento i nomi dei suoi studenti.

Uhm, che abbia voglia di affiancare Enzo Miccio nel suo programma?

«Sembro tanto una studentessa del Classico, eh?» replico ironica e inarcando un sopracciglio.

Mi sarei aspettata una battuta da parte sua sulla quale marca che non bisogna fare questi paragoni stupidi e insensati, che bisogna pensare prima a noi stessi e poi agli altri ma... ebbene sono in errore.

Emilio si mette a ridere del mio sarcasmo.

Ride mettendo in mostra una dentatura bianca e ben vicina all'essere perfetta.

Rarissime sono dentature come la sua, persino io ho dei denti non troppo belli.

Ho un incisivo che tende ad andare sopra all'altro, colpa mia che ho rifiutato l'apparecchio quando feci la visita di controllo dal dentista. Ma sui suoi denti sicuramente un apparecchio dentistico c'è passato, oppure vanta di una genetica strabiliante.

«Comunque, ha visto? Di sicuro non ero qui a spiarla, avevo solo voglia di godermi una delle mie commedie preferite» ecco che finalmente scaglio la frecciatina tanto agognata, esaudendo il mio piano.

«Si è legata questa storia al dito, eh?» obietta egli grattandosi con nonchalance la punta del naso, «Ad ogni modo, ero in errore, di sicuro non eravate lì a spiarmi. Ho visto quel ragazzo del Classico che ti si è avvicinato dopo che me ne sono andato. Molto cavalleresco».

Ma che cazzo, non mi dire che si sta riferendo ad Alberto Del Bianco!

Incrocio le braccia al petto di rimando, roteando gli occhi in segno di irritazione.

«Un'altra seccatura di quella serata decisamente penosa» sputo velenosa al solo ricordo.

Adesso è il turno di Lunanuova di inarcare un sopracciglio, «Un'altra?» ripete come se avesse capito male, ma se non altro con un mezzo sorriso.

«Già, un'altra» do conferma, allargando le labbra in un ghigno angelico.

«Lei è sempre così polemica, signorina Brunori?» mi domanda Emilio ridacchiando divertito.

Sicché assottiglio le iridi di fronte a questa scenetta del tutto inaspettata, imito la sua risata, «Io ho il fisico di una sollevatrice di polemiche, questo è il mio segreto» sottolineo facendo l'occhiolino.

«Allora, considerando il suo spirito polemico, che effetto le ha fatto lo spettacolo?» mi chiede incrociando le braccia al petto anch'egli e, sono arci-sicura, ci gioco i miei dvd di Star Wars, quelli della prima trilogia, che me lo ha detto a mo' di sfida.

Infatti colgo quel filo sottile e mi ci aggrappo con tutta la volontà, vedremo se osa mettermi un tre o chissà che altro votaccio.

«Ho trovato un Conte d'Albafiorita più simile al Marchese di Forlipopoli, e viceversa. Hanno preso due buoni attori dandogli i ruoli sbagliati. Invece, riguardo al Cavaliere di Ripafratta l'ho trovato altezzoso al punto giusto, decisamente critico verso tutto. Ma Mirandolina è stata molto più brava, è stata in grado di raggirare il Cavaliere, di farlo innamorare... per poi mandarlo letteralmente in bianco. Fabrizio ha conquistato colei che desiderava» gli espongo un meticoloso riassunto secondo il mio punto di vista.

«Già. Quest'opera, appunto, passa la morale che non bisogna fidarsi delle donne, mai!» esclama Emilio con una certa durezza, «Sono furbe, calcolatrici e dotate di un'arma potente quale la seduzione. Alla fine, il Cavaliere di Ripafratta ha avuto un cuore più malridotto degli altri. I pezzi erano più numerosi i suoi» proferisce mutando la sua voce in un timbro amaro, quasi rabbuiandosi.

Mi lascia di stucco, ne rimango colpita.

Sta parlando in generale o per... esperienza personale?

Perché per come la sta intendendo sembra proprio la seconda, non sembra che lo dica tanto per conversare.

Per questo mi sento in dovere di tirargli su il morale, lo vedo parecchio abbattuto seppure con un'espressione arcigna.

«Pier Paolo Pasolini scriveva "bisogna bruciare per arrivare consumati all'ultimo fuoco". C'è un ultimo fuoco per tutti» dico con dolcezza, cercando d'incutergli serenità.

Lunanuova fa un altro sorriso, un altro dei tanti in questa lunga serata, ma questo è decisamente triste.

«Io sono già cenere».

Sono senza parole per ciò che ha detto e per come l'ha detto.

Caspita, non sono stupida, so fare due più due, ed è perspicuo che il mio professore ha tutt'ora un bel cuore spezzato in due.

Stranamente non so con cosa ribattere. Il mio repertorio si è spento.

In uno schiocco di dita Emilio ritorna a essere il freddo e severo professore di storia dell'arte, cambiando repentinamente l'espressione del volto.

Degli occhi soprattutto.

«Metta questo impegno per studiare la mia materia. Sabato dirò in classe che lunedì intendo fare una verifica scritta. Consideri questa anticipazione come un regalo per essere venuta ad assistere allo spettacolo. Buonanotte, si spera» conclude egli prima di decidere di andarsene.











Ritornando a Matilde...


È risaputo, a tutti piace il proibito.

Più è un qualcosa che non si deve toccare, più va a stuzzicare la fantasia e più incuriosisce; è scientificamente provato, incredibilmente vero.

Di conseguenza si dà interesse a quel ciò che è proibito a noi stessi, non curandoci affatto di andare contro alle proprie abitudini e alla propria moralità.

Diventiamo a tutti gli effetti incoerenti, contraddittori coi nostri pensieri.

Il proibito incanta noi esseri umani con il suo fascino sin dai tempi più remoti, ci si sente irrimediabilmente attratti da quello che non si può raggiungere.

È colpa dei limiti morali, etici e sociali, io credo.

Ci viene insegnato fin da bambini ciò che si deve e non si deve fare, eppure la nostra condizione di "umani" è proprio lei che ci spinge a sperimentare ciò che ci è negato, c'è bisogno ardente di conoscere l'ignoto, di superare quel famoso limite, di infischiarsene delle ripercussioni, vere guardie della nostra psiche.

Addirittura Oscar Wilde se ne interessò molto a cotale argomento, quasi da esserne ossessionato, l'unica maniera per liberarsi d'una tentazione è cedervi.

Perché, stranamente, sono esattamente le cose sbagliate a farci sentire più vivi, ad attivare la suddetta serotonina.

Si può dire che ci fanno volare via dalla realtà così cruda e per niente appagante. A volte.

E se fosse davvero vero tutto questo, be', allora mi sarei aspettata di dover baciare uno come un giovane Alain Delon, ai tempi ruggenti de Il Gattopardo, oppure uno come Jim Morrison, il poeta maledetto!

Non di certo mi sarei aspettata di dover condividere questa sensazione ancestrale con Leonardo!

Proibito lo è di certo, proibitissimo, eccitante... be', non ci ho mai pensato seriamente sopra.

Dannazione... una certa scarica elettrica non posso fare a meno di sentirla più o meno ovunque: lungo la schiena, dietro il collo, sullo stomaco, sulle gambe, persino sulla punta delle dita.

E non saprei se sia dipeso dal fatto che sia ubriaca...

So bene che il contatto con le sue labbra, risolutamente morbide e ardenti, sulle mie, più fredde, mi appare così dolce.

E mi spavento terribilmente di fronte a questo pensiero — con uno scatto repentino lo spingo via, ansimando dal terrore. Terrore che si è riversato persino nei miei occhi castani.

«No! No! No! No! Non va bene! Ma di che droga ti sei fatto, Leonardo?!» urlo portandomi una mano davanti alla bocca, guardandolo come se egli fosse una sorta di alieno.

Il ragazzo, a differenza mia, non è affatto sbigottito.

Anzi, osa addirittura leccarsi il labbro superiore con fare voluttuoso, non mancando di riservarmi un'occhiata felina, andando a somigliare tanto a una pantera.

È soddisfatto della mia reazione.

«Pensi di cancellarla la foto? Sono stato convincente?» articola con tono roco e profondo, un po' canzonatorio.

Maledizione, questo ragazzo mi farà finire in manicomio!

Mi porto le mani ai capelli, preda di una piena crisi isterica, scatenata dal suo menefreghismo palpabile, e anche dalla sua stronzaggine.

«Cazzo, no! Anzi, mi hai convinta ad andare da Olivia stasera stessa. Hai baciato anche me, dannazione! Fai schifo, Leonardo» grido facendo uscire la mia voce come un lamento isterico.

Ora ho compreso che ad Apollo piace toccare il fondo, non si cura quanto possa macchiarsi l'animo. Non mi va di passare per puritana, ma un minimo di decenza, di dignità, ci vuole!

«Bene. Allora dovrò esserlo di più» afferma Leonardo socchiudendo le palpebre in un atto di raccoglimento.

E di nuovo mi afferra per il capo, di nuovo mi conduce fino alle sue labbra, stavolta con più impeto, con più... desiderio.

Azzarda persino a far entrare la lingua attraverso questo bacio folle e insensato, a tratti masochista.

Percepisco nuovamente la scarica di adrenalina, la testa che di colpo diventa leggera. Non riesco a comandare i miei movimenti, lasciandomi in balia delle sue spire.

Ma appena sento che Leonardo sfiora la mia lingua con la sua, sussulto senza volontà, staccandomi ancora una volta. Spingendolo via e premendo le mani sul suo petto.

«Tutto questo non ha senso» balbetto a pochi millimetri dalla sua bocca, rovente e carnosa — decisamente al sapore di un qualche cocktail, come le mie che sanno di vino rosso.

«Ti ho convinta adesso?» mi sussurra pacato, andandomi a sfiorare delicatamente l'orecchio.

E, che il cielo mi aiuti, grazie a quella carezza inaspettata, senza volerlo replico ciò che mai avrei immaginato di dire a uno come lui.

Ora mi sono trasformata in tutto e per tutto in una persona incoerente, sono diventata illogica come una ragazzina di quindici anni.

«Non ancora...» replico a mezza voce, deglutendo un groppo in gola inesistente.

Vorrei che qualcuno mi tagliasse la lingua...

Non riesco a tener conto delle conseguenze immani che porterà questa azione, non riesco a pensare a un ipotetico "giorno dopo".

Perché è chiaro come il sole estivo che un "giorno dopo" è già lì, pronto ad aspettarmi.

Leonardo fa un sorriso sghembo, come se fosse lievemente sorpreso della mia risposta e della mia impertinenza.

Con struggente prontezza elimina per l'ultima volta la distanza fra di noi, riappropriandosi di ciò che sarebbe proibito per lui, ossia le mie labbra.

Le labbra della sua nemica.

Mi bacia ancora come se fossi un vino cui non ne ha gustato abbastanza per poterne confermare la qualità e l'aroma.

Lo fa con maestria e devo ammettere a cuore nero che ci sa fare... troppo.

Chiudo gli occhi, che fino a ora erano rimasti spalancati, e lascio che il suo profumo mi sopraffaccia... indubbiamente Hugo Boss. Fragranza che ho avuto modo di annusare durante un pomeriggio di acquisti con Marta.

Lascio che mi annebbi la mente e che irretisca i sensi.

Tutto ciò che sto percependo mi fa scordare un bel po' di cose... che io sia Atena e lui sia Apollo, che io sia dell'Artistico e lui sia del Classico, che io odi Leonardo e che Leonardo odi me, che Diego probabilmente darà di matto, che Marta scatenerà un putiferio epocale se venissero a sapere.

Mi scordo persino che mi repelle essere toccata da lui.

Persino oso alzare entrambe le braccia, oso posare i palmi sudati delle mie mani sopra le sue guance per niente ispide, oso avvicinarlo di più a me.

Oso ricambiare questo bacio illecito, dando vita alle mie labbra che per ora erano rimaste immobili.

Mi alzo addirittura in punta di piedi dato il mio metro e sessantasei di altezza contro il metro e novantuno di Leonardo. Di colpo il mio corpo ha annullato l'opzione "repulsione" verso di lui.

Poi, come se un cronometro invisibile ci avesse avvertiti che il tempo è scaduto, ci allontaniamo entrambi, lentamente, senza fare scatti improvvisi.

Io ho il respiro affannato e, per quanto abbia lottato per il contrario, gli occhi lucidi.

«Non cancellerò la foto fino a che non scoprirò il colpevole. È una questione vitale per me» enuncio abbassando il capo, ritornando con i piedi completamente per terra.

Leonardo, anch'egli ansimante, si passa una mano fra i capelli dorati e privi di brillantina, il ciuffo che per solito è sempre fissato con essa gli ricade sopra l'occhio sinistro.

«Non ha importanza ormai! Te l'hanno scattata e già hanno avuto modo di usarla per ridicolizzarti! È inutile saperlo adesso!» sbuffa il ragazzo incredulo della mia testardaggine.

Comunque sia è testardo quanto me, diavolacci!

«Ha importanza per me!» grido con voce tremante, arcuando le sopracciglia in segno di delusione, «Perché ho smesso da tempo di essere una persona che subisce e basta. Ho imparato a riscattarmi, a combattere per me stessa, a non darmi per scontata. Ho smesso di lasciare che tutto mi passi attraverso, voglio giustizia» insisto con le migliori intenzioni.

«Ormai è andata, Matilde» replica Leonardo con serietà, scuotendo il capo.

Porca miseria, ho capito che sta cercando di proteggere qualcuno.

Ma chi? Chi cazzo vuole salvaguardare? Quale culo vuole parare?

Sicché mi viene il lampo di genio, perché valutando i fatti di quella serata, stando al racconto di Marta, Alberto Del Bianco di sicuro non è stato visto che era con lei... Giulio Viviani non mi sembra proprio il tipo di questi colpi bassi.

Claudio Patriarchi a volte si dimostra essere un testa di cazzo ancor peggiore di Leonardo ma, ribadisco, non è un colpo basso degno di un maschio.

Più che mai ha tutta l'aria di avere il tocco femminile.

«È stata Olivia» dico con faccia schifata, «c'era la sera di Halloween. Lei mi odia esattamente quanto te. È stata Olivia e tu la stai proteggendo».

Leonardo mi osserva, alzando le iridi ipnotiche verso la mia figura, in silenzio, senza mostrare la minima emozione.

Chi tace acconsente.

«Devo chiamare Marta» deglutisco con il cuore che mi batte più veloce del normale, «deve saperlo».

Anche a costo di doverle raccontare le dinamiche di questa ennesima serata bislacca.

Compongo il numero della mia amica, squillando per tre volte.

Marta, porca puttana, dove ce l'hai quel cazzo di telefono?

Ma Leonardo non permette al quarto squillo di arrivare al mio orecchio, poiché mi sfila il cellulare dalla mano e riattacca prima che sia troppo tardi. Senza nemmeno chiedere il permesso, apre la galleria e con tre rapidi tocchi cancella la prova incriminante.

«Sei degno erede di Niccolò Machiavelli» ringhio inorridita ed al tempo stessa disgustata.

«Un bel complimento per me, grazie» ribatte egli restituendomi il mal tolto.

«Ti odio, Leonardo, mi stai rendendo questo quinto anno un inferno!» esclamo carica di risentimento.

«Era quello che ti avevo promesso, o sbaglio?» mi ricorda lanciandomi un'occhiata tagliente, beffardo.

E appena sento l'ultima frase è come se dentro la mia testa partisse "The sound of silence" di Simon & Garfunkel.

Come se qualcuno la stesse suonando per me, per noi.

«La foto ormai non c'è più, per darti una sorta di "ringraziamento" ti riaccompagno a casa. Sei libera di scegliere» propone Leonardo in gesto di educazione, l'educazione e la pietà del vincitore, come si suol dire.

Vorrei tanto, vorrei tantissimo rispondergli di no, che non ne ho bisogno, che me la so cavare benissimo da sola.

Ma la verità è che i miei genitori ormai se ne sono andati, convinti che io sia con DarthMart in questo momento.

Inoltre, guardiamo in faccia la realtà, non sarebbe furbo chiamare Marta, avrei dovuto spiegarle l'inspiegabile. Mi rendo conto di non esserne minimamente capace e pronta.

Per di più è buio, fa freddo, e sarebbe sconveniente per me ritornarmene a casa a piedi, piuttosto lontana dal centro caotico di Firenze.

«Accetto, ma solo perché sei un ripiego» dico tagliando corto.








Nell'auto di Leonardo regna un silenzio tombale eccetto per la radio sintonizzata su una stazione che passa musica soft per locali chic, difficile poterne dire il nome preciso, ad un volume non troppo alto.

Non posso fare a meno di notare la marca del veicolo, ovvero una Volvo xc60, sicuramente un regalo per i suoi diciotto anni, sicuramente la sua famiglia una spesa simile è in grado di poterla sostenere.

Appena siamo saliti a bordo dell'auto, egli ha acceso il riscaldamento vedendo che non ce la facevo più dal freddo, tanto che mi veniva da battere i denti.

Sto come un pascià su questo sedile in pelle riscaldato. Provo brividi di piacere.

Ad ogni modo, nessuno dei due osa proferire una parola, nemmeno il minimo suono, neanche un colpo di tosse. È chiaro che c'è dell'imbarazzo dentro questo abitacolo.

Una situazione come questa, che lui mi riaccompagna a casa dopo aver praticamente pomiciato come adolescenti in piena crisi ormonale, non era prevista neppure fra cent'anni!

Cioè, a stento riesco a crederci io... non ci riesco mica.

Tengo le mani strette sopra le ginocchia con la testa chinata in avanti, i capelli che coprono il mio volto.

«Tutto ciò che è avvenuto questa sera, che ancora non ho idea di come sia potuto accadere, non dovrà mai uscire da quel vicolo. È chiaro?» dico poi seriamente e facendo appello al nostro reciproco giudizio, sperando che lui ne abbia quanto ne ho io.

Ho qualche serio dubbio al riguardo.

«Chiaro. Non si saprà» è la risposta altrettanto seria di Leonardo.

«Ti strangolo nel sonno con le mie stesse mani, Leonardo, lo giuro» lo minaccio aumentando la pressione.

«Non si saprà» ripete egli sicuro.

«E d'ora in avanti riga dritto. Al prossimo passo falso ti rovino, non mi ci vuol niente a riscattare un'altra fotografia. Contando i dietro le quinte delle tue relazioni» lo metto al corrente, avvisandolo.

Infine mi volto con la faccia verso il finestrino, senza farmi vedere sorrido come una maniaca.

Leonardo non lo sa, ma la fotografia che lui ha cancellato me la sono automandata su Messenger il giorno stesso che l'ho scattata.

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